RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Con sentenza del 26 giugno 2023 la Corte di appello di Ancona confermava la decisione con la quale il Tribunale di Ascoli Piceno aveva condannato Ca.Ga. alla pena ritenuta di giustizia per il reato di appropriazione indebita.
2. Ha proposto ricorso l'imputato, a mezzo del proprio difensore, chiedendo l'annullamento della sentenza per violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla ritenuta sussistenza dell'elemento soggettivo del reato e alla entità della pena.
La Corte di appello ha dedotto la responsabilità del ricorrente dalla mera veste di legale rappresentante della Iris Srl, in assenza di adesione psicologica al fatto, come già ritenuto da altro giudice in un processo per analoga fattispecie, conclusosi con l'assoluzione di Ca.Ga. in ragione del suo ruolo di mero prestanome.
L'imputato, analfabeta, "non aveva la possibilità di comprendere la natura delle proprie azioni" e non si è appropriato di alcun bene.
La sentenza, confermando la pena inflitta dal primo giudice, ha affermato erroneamente che l'entità del danno arrecato non era esigua.
3. Si è proceduto alla trattazione scritta del procedimento in cassazione, ai sensi dell'art. 23, comma 8, del decreto-legge 28 ottobre 2020, n. 137, convertito nella legge 18 dicembre 2020, n. 176 (applicabile in forza di quanto disposto dall'art. 94, comma 2, del decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 150, come modificato dal decreto-legge 30 dicembre 2023, n. 215, convertito nella legge 23 febbraio 2024, n. 18), in mancanza di alcuna tempestiva richiesta di discussione orale, nei termini ivi previsti; il Procuratore generale e il difensore hanno depositato conclusioni scritte.
4. Va premesso che nel caso di specie il difensore non necessitava di uno specifico mandato rilasciato dopo la sentenza impugnata, considerato che dai verbali di udienza risulta che l'imputato, nel corso del giudizio di primo grado, fu presente a una udienza e, pertanto, andava considerato presente e rappresentato dal difensore, secondo il disposto dell'art. 420, comma 3-ter, richiamato dall'art. 484, comma 2-bis, del codice di rito.
Il giudizio in appello si è svolto con trattazione "cartolare" e pertanto l'imputato non poteva essere considerato assente, diversamente da quanto risulta nella intestazione delle due sentenze di merito (v. Sez. 6, n. 49315 del 24/10/2023, L., Rv 285499-01).
5. Ciò premesso, il ricorso è inammissibile per la genericità e la manifesta infondatezza dei motivi.
Il ricorso ha riproposto, in larga parte anche testualmente, i motivi di gravame disattesi dalla Corte d'appello con motivazione immune da ogni vizio, che la difesa neppure ha specificamente indicato.
Va ribadito che sono inammissibili motivi che riproducono pedissequamente le censure dedotte in appello, al più con l'aggiunta di espressioni che contestino, in termini meramente assertivi e apodittici, la correttezza della sentenza impugnata, laddove difettino di una critica puntuale al provvedimento e non prendano in considerazione, per confutarle in fatto e/o in diritto, le argomentazioni in virtù delle quali i motivi di appello non sono stati accolti (Sez. 6, n. 23014 del 29/04/2021, B., Rv. 281521; Sez. 6, n. 34521 del 27/06/2013, Ninivaggi, Rv. 256133; Sez. 2, n. 27816 del 22/03/2019, Rovinelli, Rv. 276970).
La sentenza impugnata ha osservato che "la tesi difensiva non è stata in alcun modo dimostrata, neppure a livello minimale di asserzioni verbali dell'accusato (il quale ultimo non è mai comparso in giudizio)" ed è contraddetta dalla partecipazione attiva del ricorrente alla conclusione del contratto di locazione dei beni mai restituiti e alla ricezione degli stessi.
L'appellante aveva chiesto la riduzione della pena con un motivo giudicato correttamente inammissibile dalla stessa Corte, stante la sua evidente genericità ("la pena poteva essere contenuta ulteriormente, alla luce del contesto in cui sono maturati i fatti").
È comunque incensurabile la valutazione della Corte di appello sulla non esiguità del danno (i canoni mensili non pagati ammontavano a Euro 675,33 ciascuno), contestata dalla difesa con il motivo di ricorso sul trattamento sanzionatorio, anch'esso generico.
6. All'inammissibilità dell'impugnazione proposta segue, ai sensi dell'art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento nonché, ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al pagamento in favore della cassa delle ammende della somma di Euro tremila, così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso il 06 marzo 2024.
Depositata in Cancelleria il 20 marzo 2024.