RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 15 maggio 2019, la Corte d'appello di Messina ha confermato la sentenza del Tribunale di Messina del 17 ottobre 2017, con la quale l'imputato era stato condannato, per il reato di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 4, perchè, quale legale rappresentante di una società in liquidazione, al fine di evadere le imposte sui redditi, presentava la dichiarazione dei redditi relativa al periodo 2010, indicando gli elementi attivi per un ammontare inferiore a quello effettivamente percepito, con superamento delle soglie di punibilità di legge (in particolare: l'IRES evasa era di Euro 164.490,00 e l'ammontare degli elementi attivi sottratti all'imposizione di Euro 598.147,00).
2. Avverso la sentenza l'imputato ha proposto, tramite il difensore, ricorso per cassazione.
2.1. Con un primo motivo di doglianza, si contesta il ritenuto superamento della soglia di punibilità di Euro 150.000,00, richiesta dalla legge. Si sostiene, in particolare, che i testi escussi avrebbero affermato che parte delle fatture in esame erano relative ad esercizi di competenza diversi dal 2010, precisando che il calcolo era stato effettuato facendo la differenza fra il totale delle fatture emesse, senza conteggiare le note di credito, e i costi sostenuti dalla società, in cui non erano stati considerati gli importi per acquisto di carburante. Secondo la difesa, tale calcolo sarebbe scorretto sia in relazione al principio di competenza, sia in relazione alla mancata considerazione dell'emissione delle note di credito. La difesa richiama la consulenza tecnica di parte da cui emerge - a suo dire che i verbalizzanti avevano accertato i ricavi senza diminuire il relativo importo di due fatture di competenza dell'esercizio 2009, per complessivi Euro 40.000,00, e non avevano rilevato una perdita su crediti che avrebbe abbattuto il reddito per l'anno 2010 (per cui i costi, di Euro 465.648,00 avrebbero dovuto essere aumentati di Euro 29.733,85, giungendosi così a Euro 495.381,85). Da tale ricalcolo conseguirebbe il mancato superamento della soglia di punibilità o, comunque, il suo superamento per soli Euro 3.500,00, con conseguente applicabilità dell'art. 131-bis c.p..
La difesa aggiunge, quanto alle note di credito, che l'art. 101, comma 5, del testo unico delle imposte sui redditi non richiede una procedura aggravata per contabilizzare dette perdite e che tale disposizione deve essere applicata nella formulazione attuale, perchè più favorevole al reo di quanto fosse nella precedente formulazione.
2.2. In secondo luogo, si censura la mancata considerazione del ragionevole dubbio, quantomeno in relazione al superamento della soglia di legge.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso - i cui motivi possono essere trattati congiuntamente, perchè attengono entrambi alla contestazione del giudizio sulla responsabilità penale - è inammissibile, perchè consiste nella mera riproduzione di doglianze relative alla valutazione del compendio istruttorio, con riferimento ai criteri di computo delle fatture e delle perdite su crediti, già esaminate e motivatamente disattese dal Tribunale e dalla Corte d'appello, con conforme valutazione.
Data questa premessa, è sufficiente qui richiamare il passaggio saliente della motivazione della sentenza d'appello, laddove, con assoluta coerenza argomentativa, si evidenzia che le fatture che la difesa vorrebbe imputare ex post all'anno 2009, per complessivi Euro 40.000,00, sono dell'anno 2010 e, pertanto, non sono state registrate nella contabilità del 2009, con la conseguenza che la loro imputazione al 2009 si risolverebbe in una evasione fiscale per tale anno.
Quanto, poi, alla pretesa deduzione delle somme riportate nelle note di credito per Euro 29.733,85, la stessa si basa - per ammissione della difesa ricorrente - su una formulazione del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 101, comma 5, successiva rispetto ai fatti, perchè introdotta dal D.L. n. 83 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 134 del 2012, secondo cui le perdite su crediti si possono dedurre se risultano da elementi certi e precisi, che devono essere ritenuti sussistenti in ogni caso quando il credito sia di modesta entità e sia decorso un periodo di sei mesi dalla scadenza di pagamento del credito stesso. Una tale deduzione non avrebbe potuto, invece, essere operata sulla base della disposizione vigente al momento della presentazione della dichiarazione fiscale, senza che possa trovare applicazione, in tale fattispecie, la regola dell'applicazione della legge più favorevole, di cui all'art. 2 c.p..
Deve infatti richiamarsi la costante giurisprudenza di questa Corte secondo cui, in tema di successione di leggi penali, la modificazione in melius della norma extrapenale richiamata dalla disposizione incriminatrice esclude la punibilità del fatto precedentemente commesso solo se attiene a norma integratrice di quella penale oppure ha essa stessa efficacia retroattiva (ex plurimis, Sez. 3, n. 11520 del 29/01/2019, Rv. 275990; Sez. 3, n. 28681 del 27/01/2017, Rv. 270335).
Si tratta di presupposti che non sono sicuramente sussistenti in relazione al D.P.R. n. 917 del 1986, art. 101, nella formulazione introdotta dal D.L. n. 83 del 2012, perchè tale disposizione ha semplicemente per oggetto i criteri di scomputo delle perdite su crediti e non è, perciò, norma integratrice della fattispecie penale, in quanto lascia del tutto immutati gli elementi costitutivi e la soglia di punibilità del reato previsto dal D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, art. 4.
2. Il ricorso, conseguentemente, deve essere dichiarato inammissibile. Tenuto conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che "la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità", alla declaratoria dell'inammissibilità medesima consegue, a norma dell'art. 616 c.p.p., l'onere delle spese del procedimento nonchè quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in Euro 2.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 25 ottobre 2019.
Depositato in Cancelleria il 11 febbraio 2020