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Violenza privata: condannato l'imputato per aver cambiato la serratura contro la volontà di proprietario e affittuario

Violenza privata

Cassazione penale sez. V, 06/10/2021, n.1053

Integra il delitto di violenza privata la condotta preordinata a rendere anche solo disagevole una lecita modalità di esplicazione del diritto della persona offesa. (Fattispecie relativa alla sostituzione, da parte degli imputati, contro la volontà del proprietario e dell'affittuario, della serratura di una delle due porte di accesso alle scuderie di un'azienda agricola).

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La sentenza integrale

RITENUTO IN FATTO 1. Con sentenza del 6 novembre 2019 la Corte di appello di Lecce ha - per quanto qui ancora rileva - confermato la pronunzia di primo grado, con la quale C.G., C.F. e C.M. erano stati ritenuti colpevoli, in concorso tra loro, del reato di violenza privata "consistita nel cambiare le serrature di accesso alle scuderie dell'azienda agricola di R.L., condotta in locazione da Co.Ma.", impedendo così l'accesso al proprietario ed all'affittuaria (capo 2). E' stata altresì confermata l'affermazione di responsabilità del solo C.G. per il delitto di tentata violenza privata, per aver compiuto atti idonei, diretti in modo non equivoco a far recedere R.L. dal contratto di affitto della sua azienda, stipulato con la Co. in data 1 febbraio 2010, mediante minaccia di far saltare in aria la stessa azienda, senza realizzare il proprio intento per cause indipendenti dalla propria volontà (capo 3). Gli imputati erano stati condannati, in solido tra loro, anche al risarcimento dei danni patiti dalle parti civili, con una provvisionale nella misura di Euro 5000,00 ciascuno. 2. Con un unico atto di ricorso, sottoscritto dal difensore di fiducia avvocato Michele Fino, impugnano la suindicata sentenza i tre imputati, articolando i sei motivi qui di seguito sintetizzati. 2.1. Con il primo motivo i ricorrenti denunziano violazione di legge in relazione al reato di violenza privata. Dopo aver premesso che nell'atto d'appello era stata dedotta l'inesistenza di ogni prova in merito alla sussistenza del delitto di violenza privata di cui al capo 2), sussistendo tutt'al più un comportamento malizioso, che può essere fonte di responsabilità civile o legittimare l'esercizio di azioni a tutela del possesso, i ricorrenti evidenziano che la Corte territoriale, disattendendo le censure difensive, aveva omesso di considerare che gli imputati non avevano mai impedito l'accesso alle scuderie al proprietario e all'affittuario del fondo. Invero le scuderie erano dotate di due accessi (così come confermato dalla stessa persona offesa Co. e da altri testi), per cui, anche a voler presumere che una serratura era stata cambiata, il proprietario e l'affittuaria avrebbero potuto comunque entrare nelle scuderie. 2.2. Con il secondo motivo si denunziano vizi motivazionali in relazione alla responsabilità penale di F. e C.M., ai quali il reato di violenza privata era stato ascritto in concorso con il fratello G.. Era emerso che l'affittuaria dell'azienda non aveva avuto mai contatti con F. e C.M.; e nello stesso senso si era espresso il proprietario dell'azienda. La Corte territoriale aveva disatteso le censure difensive sul punto ritenendo che il cambio della serratura dei due accessi al capannone fosse ascrivibile anche ai congiunti di C.G. per il solo fatto che essi erano proprietari dei cavalli ivi detenuti, per cui ciò avrebbe dimostrato il previo accordo tra i tre imputati, tanto che essi avevano continuato a mantenere in quel sito i propri animali anche dopo essere stati informati della chiusura del c.d. codice di stalla. Assumono i ricorrenti che le valutazioni della Corte territoriale hanno carattere indiziario e non sarebbero conformi alle regole dettate in via generale dall'art. 192 c.p.p.. L'essere proprietari dei cavalli non è dato di sicura interpretazione univoca in ordine al concorso nel reato di violenza privata, così come non è univoco e di sicura alternativa spiegazione in ordine alla conoscenza della chiusura del c.d. codice di stalla, in quanto non vi è prova di tutto ciò. Immotivata è rimasta altresì la sentenza in ordine alla censura dei mancati contatti dei coimputati con l'affittuaria dell'azienda e con lo stesso proprietario. 2.3. Con il terzo motivo, proposto nell'interesse del solo C.G., si denunzia violazione di legge e si lamentano correlati vizi motivazionali in ordine alla configurabilità del reato di tentata violenza come ascritto nel capo 3; la semplice prospettazione di adire le vie legali non è idonea a determinare la soglia del tentativo e soprattutto non è di interpretazione univoca in merito alla contestazione in imputazione. Peraltro, non era stata mai posta in essere alcuna minaccia nei confronti del R., così come desumibile dalla deposizione di quest'ultimo. Quindi secondo il deducente deve escludersi la sussistenza del reato contestato, poiché la condotta dell'imputato era motivata dal rispetto delle regole di normale convivenza tra locatore e conduttore, atteso che la Co. aveva provveduto alla sospensione dell'energia elettrica e della fornitura di acqua. Il comportamento del C. non può considerarsi come finalizzato a far recedere dal contratto di affitto della sua azienda il R., proprio perché le parole proferite dall'imputato sono da ritenersi riferite all'affittuaria e non al proprietario. 2.4. Con il quarto motivo i ricorrenti assumono che il termine prescrizionale sarebbe decorso prima della deliberazione della sentenza di appello, in quanto vi sarebbe incertezza sulla data di commissione delle condotte oggetto dei capi di imputazione, sicché l'unico riferimento certo sarebbe la data del 1 febbraio 2010, quando era stato stipulato il contratto di affitto tra il proprietario e la Co.. La Corte territoriale ha invece individuato il momento della commissione dei reati nel periodo intercorrente tra il mese di (OMISSIS), senza però giustificare in alcun modo tale assunto. 2.5. Il quinto motivo denunzia vizi motivazionali in relazione al trattamento sanzionatorio. 2.6. Il sesto motivo è riferito ai vizi motivazionali in ordine alle statuizioni civili. Con l'atto d'appello era stata dedotta l'insussistenza del danno in favore delle costituite parti civili. La Corte territoriale non ha motivato sul punto. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. I ricorsi sono inammissibili. 2. I primi tre motivi di ricorso sono versati in fatto e basati su una ricostruzione degli accadimenti differente da quella operata dai giudici di merito. 2.1. Il primo motivo è anche manifestamente infondato. Invero, del tutto irrilevante è la circostanza che le scuderie fossero dotate di due accessi, per cui, anche con la sostituzione della serratura di uno dei due suddetti accessi il proprietario e l'affittuaria avrebbero potuto comunque entrare nelle scuderie. Di certo, l'aver non consentito ai soggetti che ne avevano diritto di accedere senza limitazioni agli ambienti delle scuderie ha impedito la libera determinazione degli stessi soggetti. Infatti, integra comunque il reato di violenza privata la condotta preordinata a rendere anche solo disagevole una lecita modalità di esplicazione del diritto della persona offesa. Orbene, è pacifico nella specie che all'epoca dei fatti vi fosse un contratto di affitto delle scuderie stipulato tra il R. e la Co., sicché l'aver sostituito la serratura di uno degli accessi contro la volontà di questi ultimi, impedendo così il pieno esercizio dei diritti rispettivamente di proprietario e affittuaria, integra gli estremi della violenza privata, considerato che, ai fini della configurabilità del reato in questione, il requisito della violenza si identifica in qualsiasi mezzo idoneo a privare coattivamente l'offeso della libertà di determinazione e di azione (ex plurimis, Sez. 5, Sentenza n. 1913 del 16/10/2017, Rv. 272322; Sez. 5, Sentenza n. 4284 del 29/09/2015, Rv. 266020; Sez. 5, Sentenza n. 11907 del 22/01/2010, Rv. 246551). 2.2. Il secondo motivo è inammissibile anche perché finalizzato a una rivalutazione delle prove, non consentita in sede di legittimità. Una lettura congiunta delle sentenze di primo grado e di appello consente di ritenere come vi sia congrua e logica motivazione sulle emergenze processuali che provano il pieno coinvolgimento della condotta di violenza privata anche dei ricorrenti F. e C.M.. I giudici di merito hanno fondato la condanna a titolo di concorso di F. e C.M. non sulla base della semplice qualità di proprietari dei cavalli, quanto piuttosto sull'adesione, e la conseguente collaborazione, prestata al fratello G.. 2.3. L'inammissibilità del terzo motivo è correlata anche alla genericità delle deduzioni difensive, giacché esse finiscono per non confrontarsi con le argomentazioni della sentenza impugnata. E' smentito dalle dichiarazioni del teste R., ritenute attendibili dai giudici di merito, l'assunto secondo il quale C.G. si sarebbe limitato a prospettare di adire le vie legali, giacché è emerso che l'imputato, al fine di convincere il R. a risolvere il contratto con la Co., minacciò di "distruggere la masseria se non fosse stata soddisfatta la sua richiesta" (si vedano pag. 3 della sentenza di appello e pag. 13 della sentenza di primo grado). 3. Manifestamente infondato è il quarto motivo. Non vi è affatto incertezza sull'epoca di commissione dei reati, giacché i giudici di merito, facendo riferimento alle emergenze processuali, collocano i fatti tra i mesi di febbraio e marzo 2012 (pag. 2 della sentenza di appello e pag. 4 della sentenza di primo grado), sicché, calcolati giorni 121 di sospensione ex art. 159 c.p., il termine prescrizionale deve ritenersi decorso dopo la sentenza di appello. 4. Congrua e non manifestamente illogica motivazione si rinviene nella sentenza di appello in ordine al diniego delle attenuanti generiche. D'altronde, costituisce orientamento consolidato quello per cui, nella concessione di tali attenuanti, il giudice del merito esprime un giudizio di fatto, la cui motivazione è insindacabile in sede di legittimità, purché sia non contraddittoria e dia conto, anche richiamandoli, degli elementi, tra quelli indicati nell'art. 133 c.p., considerati preponderanti ai fini della concessione o dell'esclusione. La Corte, sul punto, ha dato conto dell'insussistenza di elementi positivi da valorizzare ai fini della concessione delle attenuanti (pag. 3 della sentenza di appello e pag. 13 della sentenza di primo grado); né i ricorrenti indicano quali specifici fattori le sentenze di merito avrebbero omesso di valutare. 5. Quanto, infine, alle statuizioni civili, diversamente da quanto dedotto dai ricorrenti, la Corte territoriale ha motivato richiamando per relationem quanto già statuito dal giudice di primo grado, risolvendosi le censure difensive contenute sia nel ricorso che nell'atto di appello nella deduzione di una generica insufficienza di prova dell'entità del danno. 6. Alla declaratoria di inammissibilità consegue la condanna di ciascun ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende. I ricorrenti vanno altresì condannati, in solido tra loro, alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute dalla parte civile R., liquidate nella misura qui di seguito indicata in dispositivo. P.Q.M. dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende. Condanna, inoltre, i ricorrenti, in solido tra loro, alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile R.L., che liquida in complessivi Euro 4.000,00, oltre accessori di legge. Così deciso in Roma, il 6 ottobre 2021. Depositato in Cancelleria il 13 gennaio 2022
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