RITENUTO IN FATTO
1. Con la sentenza impugnata la Corte di appello di Reggio Calabria, parzialmente riformando la sentenza emessa il 20 gennaio 2014 dal GIP del Tribunale di Palmi, ha confermato il giudizio di responsabilità dell'imputato P.V. in ordine a due episodi di estorsione e, riconosciuta l'attenuante prevista dall'art. 62 c.p., n. 4, che unitamente alle già concesse attenuanti generiche ha ritenuto prevalenti sull'aggravante contestata, ha rideterminato la pena inflitta, concedendo il beneficio della sospensione condizionale.
Si addebita all'imputato di avere mediante minaccia costretto l'ausiliaria del traffico S.S. ad annullare il preavviso di contravvenzione per mancata apposizione del tagliando per parcheggiare l'auto sulle strisce blu, che la stessa aveva compilato il 28 agosto 2012, e di avere alcuni giorni dopo preteso che altra ausiliaria non gli elevasse altra contravvenzione per analoghe ragioni.
2. Avverso la detta sentenza propone ricorso l'imputato, con atto sottoscritto dall'avv. Renato Pecoraro deducendo:
2.1 violazione dell'art. 629 c.p. e vizio della motivazione poiché la corte di appello ha respinto la richiesta di derubricazione del reato di estorsione in quello di violenza privata, fondata sulla costatazione che la presunta attività intimidatoria posta in essere dall'imputato non era finalizzata ad ottenere elargizioni in denaro, in quanto l'imputato aveva costretto una persona offesa ad annullare il preavviso di contravvenzione e l'altra a non elevare alcun verbale per il parcheggio irregolare.
2.2 Violazione dell'art. 62 c.p., comma 1, n. 6 e vizio di motivazione poiché la corte ha escluso l'attenuante del risarcimento del danno sul presupposto errato che non vi sia stata riparazione a favore delle persone offese, mentre vi è prova scritta di un'offerta di risarcimento di Euro 3500.
2.3 Erronea applicazione dell'attenuante del danno patrimoniale di speciale tenuità, poiché la corte la corte ha applicato sulla pena la relativa diminuizione in misura inferiore alla massima estensione consentita.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il primo motivo di ricorso è fondato nei termini che verranno precisati.
Occorre premettere che dalle emergenze processuali risulta che i due episodi si sono svolti secondo una diversa dinamica. Nel primo episodio l'imputato, rivolgendo reiterate minacce e insulti, induceva la persona offesa ad annullare il preavviso di contravvenzione che la stessa aveva già compilato; nel secondo episodio l'imputato intimava a M.F. di non elevargli la contravvenzione per analoga infrazione da lui commessa alcuni giorni dopo, con atteggiamento intimidatorio. La teste ha riferito di non avere redatto il verbale poiché era spaventata e intimorita anche dal comportamento minaccioso e quasi persecutorio che l'imputato aveva assunto nei confronti della sua collega poco tempo prima.
La difesa non ha contestato questa ricostruzione in fatto, ma solo la qualificazione giuridica della condotta osservando che la costrizione non mirava direttamente ad ottenere un vantaggio, con correlato danno di carattere economico.
Giova ricordare che in tema di delitti contro la libertà individuale, se la coartazione da parte dell'agente è diretta a procurarsi un ingiusto profitto, anche di natura non patrimoniale, con altrui danno - che rivesta però la connotazione di ordine patrimoniale e consista in una effettiva "deminutio patrimonii" - ricorre il delitto di estorsione e non quello meno grave di violenza privata. (Sez. 1, Sentenza n. 9958 del 27/10/1997 Ud. (dep. 05/11/1997) Rv. 208938 - 01).
E' stato infatti precisato che è configurabile il delitto di estorsione e non quello di violenza privata, nel caso in cui l'agente, al fine di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto, faccia uso della violenza o della minaccia per costringere il soggetto passivo a fare od omettere qualcosa che gli procuri un danno economico. (Fattispecie nella quale l'imputato aveva costretto, mediante violenza e minaccia, la P.O. a fornirgli cibo e bevande senza pagare il corrispettivo, così procurandosi un ingiusto profitto con danno della P.O. stessa). (Sez. 2, Sentenza n. 5668 del 15/01/2013 Ud. (dep. 05/02/2013) Rv. 255242 - 01).
Di contro si configura il delitto di violenza privata e non quello di estorsione se la minaccia posta in essere dall'agente, pur essendo diretta al conseguimento di un ingiusto profitto, non arreca alcun danno alla vittima del reato. (In applicazione del principio si è ritenuto che la minaccia diretta ai responsabili di una casa di cura al fine di ottenere l'affissione di un invito agli utenti a servirsi di una determinata ditta di onoranze funebri integra il reato di violenza privata e non quello di estorsione). (Sez. 6, Sentenza n. 38661 del 28/09/2011 Cc. (dep. 25/10/2011) Rv. 251052 - 01).
Alla stregua di questi criteri la condotta dovrebbe essere qualificata come violenza privata, ma non va trascurato che ricorre nella condotta dell'imputato un quid pluris rispetto alla previsione di cui all'art. 610 c.p., costituito dalla qualifica di incaricato di pubblico servizio delle persone offese e dalla costatazione che la violenza era diretta a costringere le stesse a porre in essere un atto contrario ai doveri del proprio ufficio. La condotta in esame integra piuttosto il reato di violenza o minaccia a pubblico ufficiale, previsto dall'art. 336 c.p., poiché l'imputato ha usato minaccia per costringere le due persone offese, nella veste di incaricate di un pubblico servizio, ad annullare il preavviso di accertamento già emesso e a non elevare la multa.
Giova ricordare che nel delitto di cui all'art. 336 c.p., l'atto contrario ai doveri di ufficio non fa parte dell'elemento oggettivo del reato, ma di quello soggettivo e più precisamente del dolo specifico che attiene alla finalità che l'agente si propone con il suo comportamento. Ne consegue che se l'agente agisce con minaccia e con l'intenzione di attaccare il pubblico ufficiale per costringerlo a fare un atto contrario ai propri doveri od omettere un atto dell'ufficio, il delitto è consumato sia che l'attività commissiva o l'omissione cui è finalizzata l'azione dell'agente siano state già realizzate, sia che ancora debbano esserlo. (Sez. 6, Sentenza n. 7346 del 22/01/2004 Ud. (dep. 20/02/2004) Rv. 229162 - 01) In applicazione di tale principio, questa Corte ha ravvisato il delitto indicato nella minaccia diretta a due agenti della polizia municipale per costringerli ad omettere l'inoltro alla Procura della Repubblica della notitia criminis concernente taluni abusi edilizi, poi risultata già inviata dagli stessi nei giorni precedenti).
Così riqualificata ai sensi dell'art. 336 c.p., la condotta ascritta all'imputato, si impone l'annullamento senza rinvio della sentenza impugnata poiché il delitto continuato di violenza a pubblico ufficiale, pur calcolando le sospensioni del termine di prescrizione intervenute nel corso del giudizio, si è nelle more estinto per intervenuta prescrizione. Appare di conseguenza superfluo esaminare gli altri motivi relativi al trattamento sanzionatorio.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché, qualificato il fatto ex art. 336 c.p., il reato è estinto per prescrizione.
Così deciso in Roma, il 26 ottobre 2021.
Depositato in Cancelleria il 17 gennaio 2022