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Esclusione del dolo nel reato di abbandono: rilievo del comportamento attivo del soggetto obbligato alla cura (Giudice Raffaele Muzzica)

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Tribunale Nola, 25/05/2023, n.986

L’abbandono di persone minori o incapaci presuppone la sussistenza di un pericolo concreto, anche solo potenziale, per la vita o l’incolumità del soggetto passivo, ma l’elemento soggettivo del dolo non può ritenersi integrato se il comportamento dell’agente risulta attivamente orientato a prevenire o mitigare il pericolo stesso.

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La sentenza integrale

Svolgimento del processo
Con decreto del 5/2/2021 gli odierni imputati erano rinviati a giudizio dal GUP di Nola davanti al giudice monocratico per rispondere del reato contestato in rubrica all'udienza del 29/4/2021.

In quell'udienza il giudice, dopo aver accertato la regolarità della notifica nei confronti degli imputati, ne dichiarava l'assenza, ricorrendone i presupposti di legge. Nella stessa udienza, in assenza di questioni o eccezioni preliminari, il Giudice dichiarava aperto il dibattimento e ammetteva le prove così come richieste dalle parti, in quanto legittime e non manifestamente superflue o irrilevanti. Stante l'assenza dei testi il processo veniva rinviato all'udienza del 30/9/2021. In quella sede il Giudice prendeva atto dell'astensione dalle udienze proclamata dall'Unione Camere penali, cui il difensore dichiarava di aderire e, sentito il PM, previa sospensione dei termini di prescrizione, rinviava il procedimento all'udienza del 10/3/2022.

In quella sede le parti concordavano l'acquisizione delle sommarie informazioni e della denuncia querela rese da Be.Fi., Pr.Pa., An.An. e An.Sa., con domande a chiarimento. Il processo veniva rinviato per il prosieguo istruttorio all'udienza del 19/5/2022.

In quella sede le parti concordavano l'acquisizione della nota a firma del teste Gi.Gi., escusso a chiarimenti, nonché le annotazioni di polizia giudiziaria redatte dai testi di lista, la cui ordinanza ammissiva della prova veniva revocata da questo Giudice. Con il consenso delle parti, inoltre, veniva acquisita la denuncia querela sporta da Na.An., odierno imputato. Il processo veniva rinviato per il prosieguo istruttorio all'udienza del 3/11/2022, nella quale, con il consenso delle parti, si invertiva l'ordine probatorio, escutendo i testi della difesa Ru.An., Ma.An. e Na.Gi.. La difesa rinunciava ai residui testi di lista, revocati da questo Giudice nulla opponendo il PM. Il processo veniva rinviato per l'esame degli imputati e la discussione all'udienza del 26/1/2023 e, successivamente, stante l'impedimento del difensore di fiducia degli imputati, al 2/3/2023, nonché, per l'assenza del giudice titolare del procedimento, all'udienza odierna.

in questa sede, in assenza di ulteriori adempimenti istruttori e dichiarati utilizzabili tutti gli atti acquisiti al fascicolo del dibattimento, il Giudice invitava le parti a rassegnare le conclusioni di cui in epigrafe.

Al termine della discussione, questo Giudice si ritirava in camera di consiglio, all'esito della quale dava lettura del dispositivo in udienza, allegandolo al verbale, con contestuale redazione dei motivi.

Motivi della decisione
Questo Giudice non ritiene provata la responsabilità penale degli odierni imputati, che devono pertanto essere assolti dalla contestazione perché il fatto non costituisce reato.

Depongono in tal senso gli elementi di prova raccolti nel corso dell'istruzione dibattimentale e che si compendiano, essenzialmente, nelle dichiarazioni rese dai testi escussi, nelle prove documentali costituite dalla documentazione medica della Di., con allegati provvedimenti di convalida dei TSO ricevuti, nonché nei numerosi atti di indagine acquisiti con il consenso delle parti e pertanto integralmente utilizzabili ai fini della decisione (sommarie informazioni e denuncia querela di Be.Fi., Pr.Pa. An.An. e An.Sa.; le annotazioni di polizia giudiziaria redatte dalla Legione Carabinieri Campania - stazione di Terzigno del 2/5/2018 con allegato fascicolo fotografico e del 3/7/2018, nonché quella del 2/5/2018 redatta dalla Legione Carabinieri Campania - stazione di Boscoreale; la denuncia querela di Na.An. sporta il 10/2/2016; la nota a firma del dott. Gi.).

In punto di fatto, la dinamica degli eventi può essere ricostruita nei termini che seguono.

Be.Fi. e An.An., nell'atto di denuncia querela e nelle successive sommarie informazioni, acquisite con il consenso delle parti, riferivano che la signora Di.Ca., donna affetta da gravi patologie mentali poi successivamente deceduta, abitava insieme con i figli in uno stabile a Terzigno nel (…), in prossimità delle loro abitazioni. Il marito della Di., Na.An., continuava invece a risiedere in San Giuseppe Vesuviano alla via Santa Maria la Scala, disinteressandosi della moglie, con gravi problemi di ordine pubblico per il vicinato.

Nello specifico, le denuncianti riferivano che in data 2/5/2018 i militari della caserma di Terzigno e di Boscoreale, congiuntamente con il personale del 118, dopo aver sfondato la porta della Di., si imbattevano in una abitazione ridotta in condizioni igieniche deplorevoli, con pavimenti ricoperti di escrementi e fluidi corporei.

Le denuncianti riferivano che in più occasioni erano state allertate ambulanze e forze dell'ordine in quanto la Di., nei suoi eccessi di follia, inveiva e urlava contro i passanti e gli abitanti del quartiere, talvolta destinatari anche di violenza fisica da parte della Di., armata di bastoni.

Le denuncianti, pertanto, sporgevano formale denuncia querela nei confronti del marito della Di. e dei figli, rei, a loro giudizio, di disinteressarsi completamente della congiunta, lasciata per intere giornate da sola, in condizioni igieniche incivili.

Nello specifico, in sede di sommarie informazioni, sia la Be. che la Annunziata riferivano che Na.An. si recava in visita dalla moglie ogni dieci o quindici giorni, trattenendosi per una decina di minuti. I figli, pur risiedendo nello stesso stabile, abitavano in un appartamento separato e non comunicante al piano superiore rispetto a quello dove la Di. viveva, barricata in casa. Inoltre gli stessi uscivano di casa alle ore 7:30 circa per rincasare in serata. Tali dati erano confermati altresì dalle sommarie informazioni rese da un altro vicino di casa della Di., tale An.Sa., acquisite con il consenso delle parti. Infine, Pi Pr.Pa., fratello della persona offesa, confermava che sua sorella aveva gravi problemi psichici, che peraltro di fatto impedivano anche il rapporto personale con il fratello.

Il dichiarante, nelle sommarie informazioni acquisite, riferiva che la Di. non era accudita da nessuno e che, con ogni probabilità, aveva interrotto la terapia psicofarmacologica di cui necessitava e, nella cui assenza, la Di. si dava a comportamenti disturbanti e molesti per tutto il vicinato.

Il Di., inoltre, riferiva di aver altresì informato i figli della sorella di questo problema ma gli stessi gli avevano riferito che avevano necessità di lavorare e non potevano accudire la madre.

Le dichiarazioni sopra esposte risultano parzialmente inattendibili, quanto meno nella parte in cui i dichiaranti, mossi dall'esasperazione e dal risentimento nei confronti degli imputati, "incolpavano" questi ultimi della perdita della quiete domestica da parte del vicinato a causa della Di..

Ed infatti, molte delle dichiarazioni dei dichiaranti sul punto, apparentemente assertive e trancianti, risultano invero eminentemente valutative e non prive di un certo livore, come si desume dall'utilizzo delle espressioni adoperate e dalle continue generalizzazioni.

D'altronde, il narrato dei dichiaranti finora esaminato non ha trovato integrale riscontro nella restante istruttoria.

Neppure le annotazioni di polizia giudiziaria, acquisite con il consenso delle parti e sul cui contenuto non vi è alcun dubbio, stante il carattere articolato e riscontrato dalla restante istruttoria, nonché la provenienza da pubblici ufficiali nell'esercizio delle loro funzioni, hanno integralmente riscontrato il narrato dei denuncianti. Ed infatti, pur confermando, all'atto degli accessi del 2/5/2018 e del 3/7/2018, le condizioni di forte disagio psichico della Di. e lo stato orrendo dell'abitazione in cui la stessa si era barricata in casa, gli operanti, nel corpo delle annotazioni, relazionavano altresì in ordine all'intervento del Na.An., che accorreva immediatamente e, insieme con i vicini, si prodigava nel forzare con un piccone la porta di ingresso dell'abitazione della Di., in escandescenze.

Paradossalmente, come documentato dall'annotazione contestuale redatta dai militari di Boscoreale, la Di. indirizzava il proprio malessere nei confronti del marito, calmandosi soltanto una volta che lo stesso si fu allontanato. Anche i figli Na.Mi. e Na.Fo. sopraggiungevano poco dopo, riferendo che la madre rifiutava ogni terapia e rendeva la convivenza impossibile. Le condizioni cliniche della Di. ed il rapporto con i parenti, inoltre, sono stati oggetto dell'esame dibattimentale del dott. Gi.Gi., sulla cui attendibilità, stante il narrato chiaro e tecnico, proveniente da un soggetto estraneo ai fatti, non vi è dubbio alcuno.

Il dott. Gi. riferiva di aver avuto in cura la Di. per molti anni. La stessa, accompagnata dal marito, praticava una terapia farmacologica iniettiva per curare il disturbo schizo affettivo di cui era affetta.

Successivamente la paziente, anche in ragione di ulteriori disturbi di salute di tipo organico che subentrarono, iniziò ad opporsi alla terapia, tanto da costringere il sanitario a praticarle svariati trattamenti sanitari obbligatori, anche di tipo domiciliare.

Il dott. Gi. riferiva, inoltre, di una grande conflittualità della paziente sia con il marito sia con i figli che con il vicinato, dal momento che la Di., per sua espressa volontà e per vivere in relativa autonomia dai familiari, si trasferì in un appartamento sito a Terzigno. A domanda del difensore, il dott. Gi. precisava che all'atto delle visite domiciliari la Di. era sempre stata in compagnia dei figli o del marito e che la conflittualità con i congiunti era legata alla sua ostinazione nel non curarsi.

Il dichiarante riferiva di essere in contatto con i figli per il profilo relativo alle terapie della Di. che, da quando si era trasferita a Terzigno, a volte si chiudeva in casa per giorni, nonostante i tentativi dei figli. Con schiettezza, il dott. Gi. riferiva che le assenze del marito e dei figli erano talvolta per riservarsi un po' di "quiete familiare" (pag. 11 del verbale stenotipico dell'udienza del 19/5/2022). A domande del PM e del Giudice, il dott. Gi. riferiva che la Di. era un soggetto lucido e non farneticante, in grado di essere autosufficiente nella gestione della propria vita quotidiana; ne escludeva in alcun modo la pericolosità sociale, nonostante le reazioni aggressive inquinate dal disturbo paranoideo, ma confermava la necessità di assistenza continua della paziente sotto il profilo della sua scarsa complianza con le terapie di cui necessitava.

Successivamente al decesso della Di., il dott. Gi. redigeva, su richiesta di Na.An., una nota nella quale relazionava della storia clinica della paziente, acquisita con il consenso delle parti.

Nel corpo della nota il dott. Gi. riferiva che i Na. avevano ordinariamente e in maniera continuativa assistito la Di., sollecitando svariati interventi dei sanitari, e trattamenti sanitari obbligatori sia ospedalieri (nelle date dell'8/5/2018 e del 10/7/2018) sia domiciliari (nelle date del 23/8/2018,18/9/2018, 17/10/2018, 28/12/2018), come confermato dai certificati medici e dalla documentazione sanitaria in atti.

A fronte di tali elementi accusatori, gli imputati non rendevano dichiarazioni utilizzabili in questo procedimento.

Appare opportuno sottolineare, tuttavia, che è stata acquisita con il consenso delle parti una denuncia sporta da Na.An., il 10/2/2016, in cui il denunciante riferiva delle condizioni cliniche e abitative della moglie, che rifiutava ogni cura. Utile contributo conoscitivo è stato fornito dai testi a discarico, le cui dichiarazioni - provenienti da soggetti posti in una posizione del tutto equiparata a quella dei denuncianti, in quanto parimenti membri del vicinato - si sono rivelate maggiormente obiettive ed esasperate.

Ru.An., Ma.An. e Na.Gi., oltre a confermare le tragiche condizioni della Di., riferivano che sia il marito che i figli accudivano (o meglio, tentavano di accudire) la paziente, dagli stessi descritta come una donna non pericolosa, e tendenzialmente autonoma nelle mansioni della vita quotidiana, ma riottosa alle terapie e, in alcune occasioni, ad avere qualsiasi contatto con i figli ed il marito, tanto da costringere gli stessi a forzare la porta di casa. Così ricostruita l'istruttoria dibattimentale, ritiene questo Giudice che non siano emersi tutti gli elementi costitutivi della fattispecie contestata agli odierni imputati. Come è noto, "L'elemento oggettivo del reato di abbandono di persone minori o incapaci, di cui all'art. 591 cod. pen., è integrato da qualsiasi condotta, attiva od omissiva, contrastante con il dovere giuridico di cura (o di custodia), gravante sul soggetto agente, da cui derivi uno stato di pericolo, anche meramente potenziale, per la vita o l'incolumità del soggetto passivo. (Fattispecie nella quale la Corte ha ritenuto sussistente il reato con riguardo alla condotta del genitore che, recandosi a fare la spesa, aveva lasciato da sola la figlia minore di 23 mesi all'interno della propria automobile, ermeticamente chiusa ed esposta al sole nelle ore più calde della giornata)" (Sez. 5, Sentenza n. 27705 del 29/05/2018 Ud. (dep. 15/06/2018) Rv. 273479 - 01), non rilevando affatto che l'abbandono sia temporaneo ("Per la sussistenza del delitto di abbandono di persone minori o incapaci basta uno stato, sia pure potenziale, di pericolo per l'incolumità del minore o dell'incapace in dipendenza dell'abbandono, onde l'abbandono è punibile anche se temporaneo" (Sez. 5, Sentenza n. 332 del 12/10/1982 Ud. (dep. 18/01/1983) Rv. 156917-01). Nel caso di specie è emerso pacificamente che - sebbene in modo non del tutto continuativo - la Di. sia stata privata di assistenza da parte dei soggetti intitolati del dovere di cura nei suoi confronti in qualità di prossimi congiunti in alcune occasioni, come quelle oggetto dell'intervento delle forze dell'ordine nelle annotazioni di polizia giudiziaria acquisite.

D'altronde, le gravi condizioni igieniche immortalate nel fascicolo fotografico allegato all'annotazione del 2/5/2018 testimoniano in re ipsa la prova dell'abbandono della Di. (Sez. 5, Sentenza n. 491 del 31/05/1991 Ce. (dep, 11/07/1991) Rv. 187737 - 0) la quale, per quanto non del tutto incapace di provvedere a se stessa nelle mansioni della vita quotidiana, era evidentemente non in grado di evitare l'insorgenza di pericoli, ancorché potenziali, per la sua o altrui incolumità, come si desume dal rifiuto ostinato delle terapie, nonché dalle pessime condizioni igieniche in cui la donna si costringeva a vivere ("Ai fini della sussistenza del reato di cui all'art. 591 cod. pen. (abbandono di persone minori o incapaci)è necessario accertare in concreto, salvo che si tratti di minore di anni quattordici, l'incapacità del soggetto passivo di provvedere a se stesso. Ne consegue che non vi è presunzione assoluta di incapacità per vecchiaia la quale non è una condizione patologica ma fisiologica che deve essere accertata concretamente quale possibile causa di inettitudine fisica o mentale all'adeguato controllo di ordinarie situazioni di pericolo per l'incolumità propria. Ne consegue, altresì, che il dovere di cura e di custodia deve essere raccordato con la capacità, ove sussista, di autodeterminazione del soggetto anziano. (Sez. 5, Sentenza n. 6885 del 09/04/1999 Ud. (dep. 01/06/1999) Rv. 213801 -01). Ciò premesso quanto alla sussistenza degli elementi oggettivi della fattispecie, non è emersa prova sufficiente dell'elemento soggettivo doloso del reato di cui all'art. 591 c.p.

È pur vero che, come ricordato dalla giurisprudenza di legittimità, "Il dolo del delitto di abbandono di persone minori o incapaci è generico e può assumere la forma del dolo eventuale quando si accerti che l'agente, pur essendosi rappresentato, come conseguenza del proprio comportamento inerte, la concreta possibilità del verificarsi di uno stato di abbandono del soggetto passivo, in grado di determinare un pericolo anche solo potenziale per la vita e l'incolumità fisica di quest'ultimo, persiste nella sua condotta omissiva, accettando il rischio che l'evento si verifichi" (Sez. 5, Sentenza n. 44657 del 21/10/2021 Ud. (dep. 02/12/2021) Rv. 282173 - 01), ma nel caso in esame l'istruttoria dibattimentale ha convogliato elementi inidonei a comporre una volontà dolosa, ancorché blanda come quella del dolo eventuale, in capo gli odierni imputati.

Le forti e conclamate resistenze da parte della persona offesa, lucida e cosciente, sia alla terapia che al contatto con i figli e con il marito (la Di., contro la volontà del marito, che addirittura denunciava l'accaduto come documentato in atti, sceglieva deliberatamente di trasferirsi a Terzigno per allontanarsi dalla famiglia e più volte si barricava in casa alla vista del marito o dei figli), i documentati trattamenti sanitari obbligatori effettuati nei confronti della donna, su impulso e con l'assistenza del marito e dei figli, il comportamento attivo e collaborativo degli imputati in occasione degli interventi curati dalle forze dell'ordine rappresentano indici che consentono fondatamente di escludere una precisa coscienza e volontà degli imputati di abbandonare la Di. a se stessa e, finanche, pongono seri dubbi altresì su un atteggiamento negligente e trascurante da parte degli stessi - in ogni caso non previsto e punito dalla norma, incriminante la sola fattispecie dolosa - non potendosi francamente esigere da cittadini privati, in assenza di validi ed efficaci presidi pubblici di assistenza, un comportamento diverso. Per questi motivi Na.An., Na.Mi. e Na.Fo. devono essere assolti dal reato loro ascritto perché il fatto non costituisce reato.

P.Q.M.
Letto l'art. 530 c.p.p.,

assolve Na.An., Na.Mi. e Na.Fo. dal reato loro ascritto perché il fatto non costituisce reato.

Motivi contestuali.

Così deciso in Nola il 25 maggio 2023.

Depositata in Cancelleria il 25 maggio 2023.

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