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Responsabilità penale per falsa testimonianza e induzione alla stessa: esclusione dell'aggravante del metodo mafioso (Giudice Napolitano Tafuri)

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Tribunale Napoli sez. IV, 22/10/2010, (ud. 24/09/2010, dep. 25/10/2010), n.13565

La ritrattazione o falsa testimonianza resa in dibattimento può costituire reato quando si dimostri che il teste sia stato indotto o costretto a deporre il falso, a prescindere dall'esito del procedimento principale. La pressione esercitata sull'individuo, se priva di prove sull'uso di metodi mafiosi, non giustifica l'applicazione dell'aggravante di cui all’art. 7 L. 203/91.

Responsabilità penale per falsa testimonianza e induzione alla stessa: esclusione dell'aggravante del metodo mafioso (Giudice Napolitano Tafuri)

Falsa testimonianza in sede civile: configurabilità del reato e dolo generico

Conflitto probatorio e insufficienza di prove: limiti alla condanna per calunnia e falsa testimonianza

La sentenza integrale

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con decreto emesso dal Giudice dell'udienza preliminare in data 2.12.2008, veniva disposto il giudizio nei confronti di N. C. e Di M. G. per rispondere dei reati loro compiutamente ascritti in rubrica.

Espletate le formalità di costituzione delle parti e dichiarato aperto il dibattimento, all'udienza del 25.9.2009 le parti avanzavano le proprie richieste istruttorie, il Tribunale disponeva in conformità, come da ordinanza letta in udienza, ammettendo i testi indicati nelle liste, ed acquisendo varia documentazione, quali verbale di s.i. rese da Di M. G. alla PS Afragola in data 31.3.2005 e 13.7.2005, albums fotografici, decreto che dispone il giudizio a carico di La M. D. +2, nota del 6.2.06 del Commissariato PS Afragola in ordine alla citazione dei testi Di M. V. e Di M. G., note del 15.5.2007 e del 14.12.07 dell'Ufficio Matricola Casa Circondariale di Napoli Poggioreale, verbali di udienza del 9.11.2006 e del 24.1.08 relativi al procedimento n. 5349/06 RG Dib. innanzi alla I sezione penale del Tribunale di Napoli, sentenza del 10.4.08 emessa nell'ambito del precitato procedimento e dispositivo di sentenza emesso dalla Corte di Appello di Napoli in data 27.4.09.

Alla successiva udienza del 12.11.2009, il processo veniva rinviato all'8.1.2010 quando veniva escusso il teste Isp. della PS C. G., all'udienza del 12.3.2010 le parti acconsentivano alla acquisizione delle dichiarazioni rese da S. O. nell'ambito del processo n. 5349/06 RG Dib. in data 24.1.08 e quelle dell'ispettore C. G. rese all'udienza del 24.1.08, in luogo dell'escussione dei detti testi, sancendo così la piena utilizzabilità delle dichiarazioni già rese.

Dopo un'udienza di mero rinvio, in data 10.6.2010 l'imputato N. rendeva esame. Infine, in data 24.9.2010 acquisito il dispositivo di sentenza emesso dalla Corte di Cassazione in data 16.3.2010, veniva dichiarata chiusa l'istruttoria dibattimentale e le parti rassegnavano le proprie conclusioni come indicate in epigrafe. Il Tribunale si ritirava per la decisione che veniva emessa e pubblicata mediante lettura del dispositivo in udienza.

MOTIVI DELLA DECISIONE
All'esito dell'espletata istruttoria può dirsi raggiunta la prova in ordine alla sussistenza della penale responsabilità in capo ad entrambi gli imputati in riferimento ai reati loro rispettivamente ascritti in rubrica, sia pur con esclusione dell'aggravante contestata.

Il Tribunale fonda il proprio convincimento principalmente sulla base dei seguenti elementi di prova:

1) le dichiarazioni rese da Di M. G. dapprima in fase di indagini preliminari in data 31.3.2005 e 13.7.2005 e poi in sede dibattimentale all'udienza del 9.11.2006, - nell'ambito del procedimento n. 4862/06 RG e n. 5349/06 RG Trib., che vedeva il Nobile imputato del reato di estorsione-,

2) la sentenza del 10.4.2008 della sez. I del Tribunale di Napoli, nei confronti di La M. D. + 2, la con la quale il N. è stato condannato per reato di estorsione ai danni del DI M., e che ha disposto la remissione degli atti al PM per il Di M. per il reato di falsa testimonianza

3) le dichiarazioni del collaboratore di giustizia S. O..

Quanto alle dichiarazioni del DI M. G., questi sentito in sede di indagini preliminari dapprima nel marzo 2005 e poi nel mese di luglio dello stesso anno, nell'ambito di un'attività investigativa diretta a reprimere attività estorsiva ai danni di alcuni commercianti di Cardito e zone limitrofe, ammetteva di essere stato oggetto di richieste estorsive, soprattutto in prossimità delle festività natalizie e pasquali. In tali occasioni, infatti, erano soliti presentarsi presso la sala da bowling di cui è titolare, dei giovani a chiedere soldi per i carcerati. Le persone che avanzavano tali richieste non erano mai le stesse, per cui si dichiarava in grado di riconoscere solo quelli che si erano presentate in epoca più recente, in prossimità delle ultime festività pasquali.

Gli venivano perciò mostrate alcune foto dalle quali riconosceva con un certo grado di approssimazione quella raffigurante il N. C..

Risentito alcuni mesi dopo ribadiva, questa volta con certezza, l'operato riconoscimento, specificando che aveva avuto modo di vedere la persona per strada a Caivano a bordo di una lancia Y10 di colore grigio (cfr. del dichiarazioni acquisite agli atti all'ud. del 25-9-2009, e le dichiarazioni del teste C. G. ud. del 22.5.2007 nel processo a carico del N. per estorsione, acquisite all'ud. del 12.3.2010).

Il Di M., però, in sede dibattimentale all'udienza del 9.11.2006, innanzi alla I sezione penale del Tribunale di Napoli, nel processo che si svolgeva a carico di L. D. +2, e che vedeva tra gli altri il N. imputato per l'estorsione di cui era stato vittima lo stesso Di M., rendeva dichiarazioni palesemente reticenti sia quanto alle somme che gli erano state richieste ("Non lo so, abbiamo limitato gli addobbi natalizi e sono usciti 500 euro"), sia al tempo in cui erano iniziate le richieste estorsive ("non lo so, può darsi che ci fosse un mio fratello, ma degli anni precedenti non so niente, io personalmente negli anni precedenti non li ho dati"), ma soprattutto quanto all'individuazione fotografica del N..

Su quest'ultimo aspetto Di M. smentiva l'operato riconoscimento ("dalle foto che ho visto ho potuto riconoscere qualcuno per averlo visto a Caivano, ma non posso dire che fossero le persone che sono venute da me... " ed ancora "La PS mi mostrò delle foto recanti i numeri, mi è sembrato di riconoscere le persone che vennero a chiedermi i soldi a Pasqua 2005, ma non posso asserire che fossero loro) adducendo, come scusante problemi di vista ("ho visto le foto, potrebbe darsi che fossero quelle persone, ma poiché da vicino non ci vedo bene non mi sento onesto ad asserire questo, a condannare delle persone, se non ne sono sicuro, potrebbe darsi che magari era una di quelle persone. Io parlai con il più giovane dei due).

Quanto poi all'individuazione fotografica operata nel luglio 2005, nel corso della quale aveva riconosciuto con certezza il N., spiegando di averlo rivisto in strada, Di M. cercava di aggiustare il tiro sostenendo di non aver:mai detto che la persona raffigurata nella foto gli aveva fatto richieste estorsive ("Sono stato una seconda volta dalla PS che mi ha mostrato delle foto, non so se fossero le stesse o altre foto, questa seconda volta mi è sembrato di riconoscere qualcuno, ma non ho mai asserito che erano quelle persone perché non ho molta fisionomia, ho conosciuto qualcuno, ma se rileggo il fascicolo posso dire se ho precisato di riconoscere delle persone o se mi sembravano.

Mi sembra che qualcuno di quelli ritratti nelle foto l'avevo visto per strada medio tempore, ma non sono sicuro perfettamente, non ricordo se l'ho visto a piedi o in macchina").

Le contestazioni mossegli dal PM non sortivano alcun effetto, dal momento che il Di M. sosteneva di non ricordare le dichiarazioni rese e di non essere in grado di riconoscere gli estorsori, minimizzando sinanche le stesse richieste di denaro ricevute ("non ricordo questa dichiarazione, non posso ricordare ovviamente, non discuto che ci sia la mia firma, ma chiedo di rileggere il fascicolo per ricordarmi.

Non ho detto che non l'ho dichiarato, quando ho fatto queste dichiarazioni era passato poco tempo, evidentemente ho detto quello che ho visto e come stavano le cose, essendo passato del tempo, non posso ricordare quello che ho precisato.

Non ho mai denunciato questi pagamenti alla PS, non vedo perché avrei dovuto denunciarli, anche perché non mi è stato estorto niente, mi è stato solo chiesto se c'era la disponibilità di dare qualcosa e io li ho dati (i soldi), i soldi li ho dati altre volte per la Madonna, 50 euro, e per i fuochi, anche se sto fermo con la macchina al semaforo e vengono quelli che stanno al semaforo io do loro i soldi. Non ho ricevuto minacce").

Alla domanda, poi, della difesa di vedere se in aula riconosceva qualcuno di coloro che gli avevano chiesto i soldi per i carcerati, Di M. rispondeva: "non posso asserire che c'è qualcuno che è venuto a chiedere questo, mi sembra che il signore in della (N. C.) somigli a qualcuno che stava nelle foto mostratemi, ma non posso asserirlo al cento per cento."

Il Tribunale davanti a cui si svolgeva il processo giungeva però comunque alla condanna del N. per il reato di estorsione, con il rinvio degli atti al PM a carico del Di M. per il reato di falsa testimonianza.

Tale sentenza è stata confermata in Appello e quanto al fatto anche dalla Corte di Cassazione (cfr. dispositivo del 16.3.2010, acquisito all'udienza del 24.9.2010).

Intatti, la Corte di Cassazione ha annullato la sentenza di appello di condanna dello stesso limitatamente alla statuizione concernente la determinazione della pena, avendo la Suprema Corte rilevato che i giudici di appello avevano calcolato la pena applicando erroneamente un duplice aumento della stessa per effetto delle due aggravanti ad effetto speciale (recidiva ed art. 7 L. 203/91) ulteriori rispetto all'altra aggravante ad effetto speciale delle più persone riunite, in quanto sarebbe stato consentito un solo aumento fino a un terzo ai sensi dell'art. 63 c. 4 c.p.

La Corte dì Cassazione invece ha espressamente confermato la sentenza di appello nella parte relativa all'affermazione della responsabilità del N. in ordine al reato di estorsione di cui trattasi.

Pertanto, la Corte di Appello, in sede di giudizio di rinvio, non potrà rivalutare la colpevolezza o meno del N., ma si dovrà limitare a rideterminare la pena già irrogata, ferma restando la condanna del N. per il reato di estorsione, rispetto a cui la sentenza è passata in giudicato.

All'affermazione della penale responsabilità del N. C. per l'estorsione ai danni del Di M. G., si giungeva anche sulla base delle dichiarazioni del collaboratore di giustizia S. O., acquisite nel presente procedimento con il consenso delle parti e quindi pienamente utilizzabili in questa sede. S. O. dichiarante ex art. 210 c.p.p. all'udienza del 24.1.08 nel processo innanzi alla I sezione penale nei confronti di La M. D. +2 per i reati di cui agli art 416 bis c.p e 629 c.p., dichiarava di essere stato condannato in primo grado a 16 anni di reclusione per traffico internazionale di cocaina quale promotore ed organizzatore, di aver ammesso gli addebiti e di aver chiamato in correità la propria convivente e il fratellastro.

Riferiva inoltre di essere stato arrestato il 18.5.06 e di aver iniziato a collaborare nel settembre-ottobre 2006.

Riferiva che quando era stato detenuto nel carcere di Poggioreale aveva conosciuto N. C., con il quale faceva l'ora d'aria e, poiché entrambi erano imputati con lo stesso PM, Fragliasso, commentavano l'andamento dei rispettivi processi. In una di queste occasioni, N. ebbe a dirgli che doveva fare un'udienza in cui doveva essere sentito un teste, il titolare del bowling di Caivano, che avrebbe dovuto riconoscerlo e che ciò non sarebbe avvenuto o quanto meno che il teste avrebbe indugiato nel riconoscerlo.

Il S. riferiva di non sapere come il teste fosse stato contattato, ricordava solo che N. era certo che non l'avrebbe riconosciuto.

Quando poi si rividero dopo l'udienza, il N. gli disse che il teste non l'aveva riconosciuto, ma che ciononostante era rimasto in carcere.

L'attendibilità del S. è desumibile oltre che dalla documentazione prodotta, da una serie di considerazioni di ordine generale.

In particolare, dalla nota n. 13120 datata 15.5.07 e dalla nota n. 33660 datata 14.12.07 del carcere di Poggioreale risulta che N. C. e S. O. sono stati entrambi detenuti nel padiglione Genova dal 19.5.06 all'1.12.06, che effettuavano in detto periodo il passeggio negli stessi orari e che in particolare, hanno effettuato il passeggio insieme in epoca precedente al 9.11.06 (data dell'udienza in cui è stato esaminato il teste Di M. G.), in particolare in data 4.11.06, 5.11.06 e in altre date precedenti.

Inoltre, S. O. non avrebbe avuto alcun interesse a dichiarare cose non vere dal momento che non solo non era imputato nel processo per estorsione a carico del N., ma era un soggetto che operava in una realtà territoriale completamente diversa da quella di Caivano. Né si può pensare che tale dichiarazioni abbiano avuto lo scopo di accreditarsi come collaboratore, avendo già reso ampie dichiarazioni nel processo che lo vedeva imputato.

Del resto lo stesso N. C. non nega di aver conosciuto in carcere S. O. e di aver parlato con quest'ultimo delle sue vicende processuali, ma sostiene soltanto - che in riferimento al teste Di M., avrebbe esposto solo una sua preoccupazione a che il teste ritrattasse ("Successivamente ho incontrato S. altre 2-3 volte ed abbiamo parlato, egli mi chiese se fossi andato in udienza ed io gli dissi che avevo parlato con il mio avvocato in quanto nel processo a mio carico tutti i testi che erano venuti al dibattimento stavano ritrattando ed allora io dissi: speriamo che il teste non fa come hanno fatto questi altri testi e dice la verità che ha detto nel primo verbale, perché, se fa il contrario, il Tribunale potrebbe capire una cosa per un'altra, ed infatti così è successo").

Orbene, è evidente che l'imputato abbia cercato di dare una spiegazione di comodo a proposito delle confidenze fatte al S..

Infatti, al di là dell'interesse personale del N. alla vicenda, sono evidenti le contraddizioni quando ha sostenuto di essere preoccupato che il teste potesse ritrattare, dal momento che una ritrattazione avrebbe comportato l'assoluzione dal reato, per cui questo sarebbe dovuto essere un auspicio e non certo una preoccupazione.

Pertanto, le dichiarazioni del N. non risultano credibili, né è possibile sostenere che egli abbia equivocato il termine "ritrattazione", in quanto lo stesso appare ben consapevole dei meccanismi processuali della ritrattazione e del riconoscimento in forma dubitativa.

Dagli elementi, dunque, emerge incontrovertibilemnte provata la penale responsabilità degli imputati in ordine al reato di falsa testimonianza, e del N. per quello di cui all'art. 611 c.p.

Infatti, non solo vi è già un giudicato dal quale risulta che N. C. ha commesso l'estorsione ai danni del DI M., ma le dichiarazioni del Di M., rese nell'ambito di tale procedimento appaiono palesemente false.

Del resto se si procede ad un raffronto tra le dichiarazioni rese dal Di M. nel corso delle indagini e le dichiarazioni dallo stesso rese al dibattimento, nonché se si pone mente alle numerose ed illogiche contraddizioni ed incongruenze, da cui è costellata la sua deposizione dibattimentale, non si può affatto dubitare della falsità di quest'ultima. ,

Che poi il Di M. abbia operato il riconoscimento del N., come uno dei due soggetti, autori della richiesta estorsiva in prossimità della Pasqua 2005, emerge oltre che dai verbali di sommarie informazioni acquisiti, anche dalla deposizione del teste isp. R. C. (dichiarazioni acquisite all'udienza del 12.3.2010) il quale ha confermato che in un primo momento il Di M. riconobbe il N. in modo dubitativo, ma che poi a luglio riconobbe con certezza N. C., anche perché, medio tempore, come riferito spontaneamente dal Di M. stesso, l'aveva visto in giro per Caivano a bordo di una lancia Y10 di colore grigio, elefantino, che N. possedeva insieme alla moglie, cui era intestata.

Tanto che le indagini accertarono che N. utilizzava una Y10 elefantino grigia, da lui acquistata presso la concessionaria Liguori di Caivano.

Pertanto, in questa sede non è possibile revocare in dubbio la responsabilità del N. per l'estorsione ai danni del Di M., né il pregresso avvenuto riconoscimento del N. da parte del Di M., essendovi già un giudicato sul punto, che fa stato.

È quindi logica conseguenza affermare che le dichiarazioni rese dal Di M. in dibattimento sono chiaramente mendaci, avendo negato il Di M. non solo la circostanza di aver riconosciuto il N. come uno degli autori dell'estorsione ai suoi danni, sostenendo di averlo riconosciuto come persona che vedeva a Caivano, - ma a questo punto non si comprenderebbero le ragioni di un riconoscimento in tal senso,- ma ha finito per negare l'esistenza stessa dell'estorsione, paragonando le richieste di danaro alle richieste di elemosina al semaforo o alle donazioni per le feste religiose.

Che poi la falsa deposizione del Di M. non sia frutto di una scelta autonoma del teste, o di uno stato di intimidazione ambientale, come spesso avviene in processi di "camorra", ma di una vera e propria pressione operata sul teste, lo svela il S. il quale ebbe a ricevere le confidenze del N. riguardo "all'avvicinamento del teste" Pertanto non è dato avere dubbi sulla falsa testimonianza posta in essere dal Di M. nel processo per l'estorsione ai suoi danni.

Quanto poi alla responsabilità del N., a titolo concorsuale, nella falsa testimonianza del Di M. ed in ordine al reato di cui all'art. 611 c.p. per avere indotto il Di M. a deporre il falso, discende dalla responsabilità del N. per avere indotto il DI M. a rendere la falsa testimonianza, di cui da notizia il S.. Pertanto, alla stregua dell'evidente contrasto tra le dichiarazioni rese dal DI M. nelle indagini e quelle dallo stesso rese al dibattimento, del contrasto tra le dichiarazioni dell'ispettore C. e quelle dibattimentali del Di M., della manifesta illogicità ed inverosimiglianza di queste ultime, e delle dichiarazioni di S. O., deve fondatamente ritenersi che Di M. G. sia stato intimidito e comunque avvicinato per conto e nell'interesse di N. C., con la conseguenza che quest'ultimo deve rispondere non solo del reato di cui all'art. 611 c.p., ma altresì, a titolo concorsuale, del reato di falsa testimonianza commesso dal Di M..

Quanto all'aggravante, di cui all'art. 7 L. 203/91 del metodo mafioso, contestata al N., per avere commesso i fatti avvalendosi della forza di intimidazione del vincolo associativo relativo al clan camorristico La M. e delle condizioni di assoggettamento e di omertà che ne derivano, si osserva che non è dato sapere in che termini il Di M. fu avvicinato, e quale fu la modalità della pressione esercitata, ad es. la pressione potrebbe aver fatto leva su particolari interessi del Di M., o per esempio sul ravvedimento del N. o ancora potrebbe essere stata rappresentata al Di M. che si assumeva la esclusiva responsabilità di mandare un uomo in prigione sottraendolo alla sua famiglia, o anche insistendo sull'innocenza ed estraneità ai fatti del N..

Pertanto ipotizzare che la pressione esercitata abbia fatto leva sull'appartenenza del N. al clan, appare un'ipotesi plausibile, ma di cui non vi è alcuna prova, pertanto deve essere esclusa la sussistenza dell'aggravante in questione.

Quanto alla pena da infliggere, valutati tutti gli elementi di cui all'art. 133 c.p., e ritenuto di poter concedere le circostanze attenuanti generiche al solo Di M., in considerazione sia dello stato di incensuratezza che del contesto della vicenda, stimasi equo comminare a Di M. G. la pena di anni uno mesi quattro di reclusione (p.b. anni due di recl. ridotta di 1/3 per le generiche) Al N., invece, nessuna attenuante può essere concessa tenuto conto della gravità intrinseca dei reati ascrittigli e della sua personalità fortemente negativa desunta dai suoi precedenti penali e giudiziari. I reati ascrittigli vanno unificati per la continuazione, tenuto conto dell'identità dell'ideazione criminosa degli stessi, sotto la più grave ipotesi sub B), e la pena comminata, tenuto conto della contestata recidiva, va quantificata in anni tre di reclusione (p.b. per la più grave ipotesi sub B) anni due di recl., aumentato per la contestata recidiva ad anni due mesi sei, ulteriormente aumentata per la continuazione alla pena comminata.

Segue ex lege la condanna degli imputati al pagamento delle spese processuali.

Sussistono i presupposti per la concessione al solo Di M. del beneficio delle pena sospesa.

Visto l'art. 29 c.p. il N. va dichiarato interdetto dai pubblici uffici per la durata di anni cinque.

Il termine di giorni trenta per il deposito dei motivi è giustificato dalla complessità dell'argomento.

P.Q.M.
letti gli artt. 533 e 535 c.p.p. dichiara N. C. e Di M. G. colpevoli dei reati loro rispettivamente ascritti ed, esclusa l'aggravante di cui all'art. 7 L. 283/91, unificati per N. ex art. 81 c.p. i reati sotto la più grave ipotesi sub B), concesse le circostanze attenuanti generiche a Di M. G., condanna N. C. alla pena di anni tre di reclusione e Di M. G. alla pena di anni uno mesi quattro di reclusione.

Pena sospesa per Di M. G..

Condanna N. C. e Di M. G. al pagamento delle spese processuali e di quelle della custodia cautelare.

Letto l'art. 29 c.p. dichiara N. C. interdetto dai PP.UU. per anni cinque. Motivi in trenta giorni.

Napoli, 24.9.10

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