Tribunale Napoli sez. I, 03/10/2018, (ud. 03/10/2018, dep. 03/10/2018), n.10910
L’oltraggio a pubblico ufficiale si configura quando un soggetto, in un luogo aperto al pubblico, rivolge espressioni denigratorie idonee a ledere l’onore e il prestigio del pubblico ufficiale nell’esercizio delle sue funzioni. La giurisprudenza della Cassazione qualifica i luoghi penitenziari come "luoghi aperti al pubblico", dato l'accesso consentito a una categoria qualificata di persone. L’elemento soggettivo si individua nel dolo generico, ossia nella consapevolezza e volontà di arrecare offesa, valutata anche in base ai criteri etico-sociali e al contesto in cui le espressioni vengono pronunciate.
In tal senso, la condotta materiale è integrata dal fatto che T.G., all'interno del carcere di Napoli Secondigliano, luogo aperto al pubblico, in presenza di numerosi detenuti che si trovavano con lui nel reparto, terminata l'ora ricreativa ed invitato a rientrare nella cella dall'agente di polizia penitenziaria T.R. offendeva l'onore ed il prestigio del predetto agente mentre compiva un atto del suo ufficio, profferendo nei suoi confronti l'espressione oltraggiosa "tu non sei nessuno, anzi proprio perché porti la divisa non sei nessuno, fai quello che vuoi non mi interessa... ".
Al riguardo la Suprema Corte di Cassazione con giurisprudenza ormai consolidata, ha affermato che "luogo aperto al pubblico è anche quello in cui può accedere una specifica categoria che abbia determinati requisiti" (Cass. Sez. I n. 28853 del 16.09.2009) ed, ancora, che in relazione al carcere "la fruizione, anche se limitata, controllata e funzionalizzata ad esigenze non private, è consentita ad un numero indeterminato di soggetti che hanno qualificato titolo di accedervi" e che "...la cella e gli ambienti penitenziari sono da considerare luogo aperto al pubblico e non certo luogo di privata dimora né luogo pubblico, sul rilievo che si tratta di luoghi che si trovino nella piena disponibilità dell'amministrazione penitenziaria, che ne può fare uso in ogni momento per qualsiasi esigenza d'istituto, non essendo nel possesso dei detenuti ai quali non compete alcuno ius excludendi alios..." (Cass. Sez. VI n. 26028 del 7.06.2018, Pres. Rotundo, Rel. Giordano).
Ed inoltre la giurisprudenza ha altresì chiarito che in caso di oltraggio rivolgendo una frase al pubblico ufficiale "...le espressioni utilizzate devono essere connotate da un'obiettiva idoneità offensiva e, pertanto, essere tali da recare nocumento a quella particolare forma di decoro e di rispetto che deve circondare quanti esercitano una pubblica funzione... e che ai fini della valutazione dell'idoneità offensiva delle espressioni utilizzate nei confronti del P.U., non ci si deve limitare a valutare il mero significato obiettivo delle parole, ma si deve tenere conto dei criteri etico sociali comunemente condivisi ...non dovendosi limitare a valutare..." (Cass. Sez. VI 18.10.1994 n. 11396, Cass. Sez. VI n. 413 del 29.11.1988).
Nel caso in esame l'espressione utilizzata dal T.G. in presenza di numerosi altri detenuti, all'interno del carcere di Secondigliano, nei confronti dell'agente della polizia penitenziaria "tu non sei nessuno, anzi proprio perché porli la divisa non sei nessuno, fai quello che vuoi non mi interessa..." costituisce proprio non una mera espressione critica o inurbana dovuta al degradato contesto sociale, ma piuttosto assume una obiettiva valenza denigratoria e dunque lesiva dell'onore e del prestigio del pubblico ufficiale.
Anche l'elemento psicologico risulta integrato e consiste nel dolo generico, ossia nella coscienza e volontà di tenere il comportamento lesivo dell'onore del P.U., alla presenza degli altri detenuti, dimostrando una tracotanza nei confronti dell'agente della polizia penitenziaria che, alla presenza degli altri detenuti, poneva in essere un atto del suo ufficio.
Il Giudice, nonostante i numerosi ed allarmanti precedenti penali (rapina, lesione personale, evasione, detenzione di stupefacenti, spendita di monete false etc.) riportati dall'imputato, ritiene di poter riconoscere in favore di T.G. le circostanze attenuanti generiche, al fine di adeguare la pena in concreto irrogata all'effettivo disvalore del fatto anche in considerazione del degradato contesto sociale al cui interno è maturato il reato.
Ciò premesso, valutati tutti i criteri di cui all'art. 133 c.p., questo giudicante stima conforme ad equità irrogare a T.G. la pena di mesi uno e giorni dieci di reclusione; pena così determinata: pena base mesi due di reclusione, determinata in misura non lontana dal minimo edittale non applicando il minimo in considerazione dei numerosi ed allarmanti precedenti penali, ridotta per il riconoscimento delle attenuanti generiche alla pena di mesi uno e giorni dieci di reclusione.
Segue, ex art. 535 cpp, il pagamento delle spese processuali.
Non sussistono i presupposti per la concessione in favore di T.G. del beneficio di cui all'art. 163 cp, per il certificato penale, ostativo in tal senso.
P.Q.M.
Letti gli artt. 533 e 535 c.p.p. dichiara T.G. responsabile del reato ascritto in rubrica e, riconosciute le circostanze attenuanti generiche, lo condanna alla pena di mesi uno e giorni dieci di reclusione, oltre al pagamento delle spese processuali.
Napoli, 3 ottobre 2018