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Reati Fallimentari

Bancarotta documentale: legittimità del sequestro probatorio e limiti dell'opposizione

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Avv. Salvatore del Giudice - Avvocato penalista Napoli


Con la sentenza n. 5261 del 3 dicembre 2024, la Corte di Cassazione, Sezione V Penale, ha chiarito i criteri di legittimità del sequestro probatorio in materia di bancarotta fraudolenta documentale e i limiti dell’opposizione a tale provvedimento.


Il caso: perquisizione e sequestro della documentazione

La vicenda riguarda il ricorso proposto da D.P. GROUP Srls avverso l'ordinanza del Tribunale di Benevento, che aveva confermato il decreto di perquisizione e sequestro emesso nei confronti della società in relazione a un’indagine per bancarotta fraudolenta documentale.

La società contestava la legittimità della perquisizione, sostenendo che l’assenza delle scritture contabili rendesse superflua la loro ricerca e che il provvedimento fosse solo uno strumento per acquisire prove ulteriori rispetto all'ipotesi di reato contestata.


Le questioni giuridiche sollevate

Il ricorso si fondava su diversi motivi, tra cui:

  • l’erronea applicazione della legge in relazione agli articoli 247 e 250 c.p.p., con riferimento ai presupposti del sequestro probatorio.

  • ll difetto di motivazione dell’ordinanza del Tribunale del Riesame, che non avrebbe giustificato adeguatamente la necessità della perquisizione.

  • la violazione del diritto di difesa, in quanto il provvedimento avrebbe avuto una finalità esplorativa più che probatoria.


La decisione della Cassazione

La Suprema Corte ha rigettato il ricorso, affermando la legittimità del sequestro probatorio e chiarendo i seguenti principi:

  • il sequestro probatorio è legittimo se finalizzato all’accertamento del reato e alla ricostruzione del patrimonio della società fallita.

  • la perquisizione è ammissibile anche in assenza delle scritture contabili, per verificare eventuali altre irregolarità o elementi che possano integrare il reato di bancarotta fraudolenta documentale.

  • non è ammesso impugnare autonomamente il decreto di perquisizione, se non nei casi di manifesta illegittimità o violazione di diritti costituzionalmente tutelati.


Conclusioni: conferma della legittimità del sequestro

La Cassazione ha ribadito che l’opposizione al sequestro probatorio deve basarsi su violazioni di legge evidenti e non su mere contestazioni di merito. Ha inoltre confermato che il pubblico ministero ha il dovere di ricercare sia prove a carico che elementi favorevoli all’indagato. Di conseguenza, il Tribunale di Benevento ha legittimamente confermato la misura, respingendo le doglianze della società ricorrente.

Questa sentenza conferma l’orientamento giurisprudenziale volto a tutelare le indagini sul dissesto finanziario e a impedire che formalismi procedurali ostacolino l’accertamento della verità.



La sentenza integrale

RITENUTO IN FATTO

1. Con l'ordinanza del 6 settembre 2024 il Tribunale di Benevento - Sezione per il riesame rigettava l'istanza proposta nell'interesse di D.P. GROUP Srls in persona del legale rappresentante Pe.De., confermando l'ordinanza del Gip del Tribunale di Benevento, che aveva convalidato il sequestro probatorio.


Il Tribunale rigettava l'istanza di riesame, ritenendo infondate le eccezioni e legittimi la perquisizione ed il sequestro probatorio.


2. Il ricorso per cassazione proposto nell'interesse della società D.P. GROUP Srls consta di unico motivo, seppur variamente articolato, enunciato nei limiti strettamente necessari per la motivazione, secondo quanto disposto dall'art. 173 disp. att. cod. proc. pen.


3. Il motivo deduce erronea applicazione della legge e penale e vizio di motivazione in relazione agli artt. 247 e 250 cod. proc. pen.


La ricorrente società premette di aver contestato la legittimità della perquisizione già con l'istanza di riesame, lamentando che nel decreto di perquisizione il reato indicato risultava essere quello di bancarotta fraudolenta documentale specifica (ex art. 216, comma 1, n.2., prima parte, l. fall.), cosicché la perquisizione doveva avere ad oggetto la ricerca delle stesse. Afferma la ricorrente che, però, la sottrazione e la distruzione delle scritture postula sul piano logico la loro assenza, rendendo superflua e vana la loro ricerca.


Oggetto della perquisizione era anche la ricerca di documentazione comprovante rapporti commerciali tra IMS Srl e la D.P. GROUP. Il Tribunale del Riesame argomenta sostenendo che "il P.M. indaga anche per ipotesi di reato in relazione all'impossibilità di ricostruzione del patrimonio della fallita IMS Srls e che la ricerca di documentazione è volta a vagliare tale ipotesi di reato".


La ricorrente non condivide questa ricostruzione, affermando che la bancarotta documentale specifica si realizza proprio a causa della mancata tenuta delle scritture contabili, rendendo superflua ogni ricerca e strumentale la perquisizione al ricavare altri elementi di indagine al di fuori dell'imputazione provvisoria.


Infine, a fronte della motivazione del Tribunale del riesame che rammenta che il ruolo istituzionale del pubblico ministero è finalizzato anche alla ricerca di prove 2a discarico", la ricorrente deduce che ciò non è avvenuto nel caso concreto: la perquisizione ebbe la finalità solo intrusiva, tesa a ricavare elementi in ordine non alla prova di un reato già realizzato, bensì di condotte di reato ulteriori.


4. Il Pubblico ministero, nella persona del Sostituto procuratore generale, concludeva come indicato in epigrafe.


Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è complessivamente infondato, per le ragioni che seguono.


2. Va innanzi tutto ricordato che in materia di misure cautelari reali il ricorso per cassazione è ammesso solo per violazione di legge e che pertanto è consentito dedurre censure attinenti la motivazione del provvedimento impugnato solo nei limiti in cui oggetto di doglianza sia l'assoluta mancanza di un apparato giustificativo della decisione o, quanto meno il difetto dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza del medesimo, tanto da evidenziarne l'inidoneità a rendere comprensibile l'itinerario logico seguito dal giudice (Sez. un. n. 25932 del 29 maggio 2008, Ivanov, rv 239692; Sez. Un., n. 5876 del 28 gennaio 2004, P.C. Ferazzi, Rv. 226710).


3. L'ordinanza del Tribunale di Benevento, qui impugnata, fa buon governo dei principi in materia, il che rende infondato il motivo di ricorso.


Va chiarito che il decreto di perquisizione e sequestro emesso dal Pubblico ministero beneventano ineriva al delitto di bancarotta fraudolenta documentale di tipo specifico - per sottrazione o distruzione dei libri contabili - e aveva ad oggetto la ricerca e il sequestro delle scritture contabili della società fallita I.M.S. nonché della documentazione commerciale relativa ai rapporti fra la menzionata società e la D.P. GROUP e alle operazioni di acquisto di beni già appartenenti alla fallita da parte della D.P. GROUP.


I luoghi della perquisizione erano quelli ove aveva sede quest'ultima società, ma in precedenza erano stati occupati dalla fallita.


Indagato risultava An.Gl., quale amministratore unico della fallita dal 26 novembre 2019.


La polizia giudiziaria, recatasi nella indicata sede, riscontrava, per quel che qui rileva, la presenza di Pe.De., amministratore della società D.P. GROUP, il quale però delegava il proprio figlio ad assistere alle operazioni di perquisizione.


La documentazione relativa ai rapporti fra D.P. GROUP e I.M.S. veniva sequestrata; inoltre la polizia giudiziaria - per quanto emerge dal verbale di perquisizione e sequestro - rinveniva anche alcuni macchinari, in relazione ai quali non veniva offerta prova della legittima provenienza dei beni. Veniva, pertanto, disposto il sequestro d'urgenza degli stessi, risultando altresì che la D.P. GROUP fosse subentrata nei locali della I.M.S..


Difatti, D.P. GROUP aveva acquistato l'immobile nell'ambito di una precedente procedura di esecuzione immobiliare presso il Tribunale di Benevento.


In tale sede, per altro, D.P. GROUP aveva esonerato il custode dal mettere in esecuzione lo sgombero dei locali sia dai macchinari già presenti, sia anche dalla I.M.S., che occupava lo stesso immobile. Inoltre, risultava una richiesta di D.P. GROUP di locazione dei macchinari, ma non ne emergeva in atti il relativo esito.


Alla luce di tali risultanze, il G.i.p. del Tribunale di Benevento, su istanza del Pubblico ministero, convalidava il sequestro dei macchinari e della relativa documentazione, rilevando la sussistenza del fumus del reato per Fi.De., in ordine ai delitti di bancarotta fraudolenta documentale e patrimoniale per distrazione, riconoscendogli il ruolo di amministratore di fatto della fallita (fol. 2 del provvedimento genetico) dal 2019 in avanti e, in precedenza, quello di amministratore di diritto.


Indicava, poi, i macchinari quale profitto del delitto di bancarotta fraudolenta per distrazione, essendo i beni rinvenuti presso la D.P. GROUP i medesimi già utilizzati dalla I.M.S., ritenendo giustificato il sequestro, sia quanto alle ragioni di urgenza, che alla necessità di evitare l'aggravarsi delle conseguenze del reato, impedendo così la protrazione della condotta di reato.


Non provvedeva il G.i.p. in ordine alla documentazione fin dall'origine indicata nel decreto di perquisizione, essendo la stessa oggetto di sequestro probatorio in conformità al decreto emesso dal Pubblico ministero.


4. Tanto ricostruito, il Tribunale del riesame ha ritenuto la legittimità della perquisizione operata, ravvisando per un verso la finalizzazione della perquisizione a verificare la sussistenza del delitto di bancarotta fraudolenta documentale; in secondo luogo, rilevando come il Pubblico ministero abbia anche il dovere di procedere ad acquisire elementi favorevoli all'indagato; infine, osservando come l'eventuale nullità del decreto di perquisizione non si trasferisce al sequestro, né ne causa la inutilizzabilità al decreto di sequestro.


Infine, l'ordinanza del Tribunale del riesame argomenta che - a voler intendere l'istanza di riesame diretta a ottenere la restituzione dei macchinari sequestrati - l'impugnazione del decreto di perquisizione non produce effetti sul provvedimento di sequestro emesso dal G.i.p.


5. Va premesso che il decreto di perquisizione è stato emesso in data 14 giugno 2024 ed eseguito in data 8 luglio 2024, cosicché risultava già vigente la disciplina dell'art. 252 - bis cod. proc. pen. che prevede quale rimedio l'opposizione al decreto di perquisizione per il solo caso in cui allo stesso non consegua il sequestro.


Si tratta di una norma introdotta dall'art. 12, D.Lgs. n. 150 del 2022, proprio per garantite tutela ai casi per i quali la giurisprudenza convenzionale (Corte EDU, sez. I, 27 settembre 2018, Brazzi c. Italia) aveva ritenuto l'Italia responsabile per aver violato l'art. 8, par. 2 della Convenzione, in una fattispecie in cui il ricorrente si era lamentato di non aver potuto beneficiare di alcun controllo giurisdizionale preventivo o a posteriori nei confronti di una perquisizione disposta in fase di indagini, a seguito della quale non era stato sequestrato alcun bene.


Nella ipotesi di specie, però, il decreto di perquisizione è stato emesso contestualmente al decreto di sequestro, eseguito in concreto, con la possibilità di impugnare quest'ultimo e far valere le eventuali doglianze nei confronti dello stesso.


Occorre verificare in che limiti sia possibile impugnare il decreto di perquisizione, in quanto il presente ricorso si concentra esclusivamente sulla illegittimità del decreto di perquisizione: il che limita la doglianza al solo sequestro probatorio dei documenti che furono indicati nel decreto genetico dal Pubblico ministero.


Va evidenziato come il ricorso per cassazione avverso l'ordinanza del tribunale del riesame - confermativa di un decreto di sequestro contestuale a decreto di perquisizione - non può dedurre motivi attinenti esclusivamente ai presupposti ed alla legittimità di quest'ultimo (Sez. 1, n. 30130 del 24/06/2015, Rv. 264489 - 01). In questo ultimo caso dalla Corte di cassazione la doglianza è stata ritenuta improponibile in quanto le censure difensive riguardavano - analogamente al caso in esame - la circostanza che la perquisizione sarebbe risultata volta alla ricerca di elementi di nuovi reati, anziché alla prova di reati che vi era fondato motivo di ritenere sussistenti.


D'altro canto, tale ultima pronuncia si pone nel solco di una consolidata giurisprudenza di legittimità secondo la quale, in applicazione del più generale principio della tassatività delle impugnazioni e degli atti soggetti a tale strumento di verifica, sia il decreto di perquisizione locale adottato dal pubblico ministero, sia quello di convalida, ove l'atto sia stato eseguito per ragioni di urgenza dalla polizia giudiziaria, non sono suscettibili di impugnazione, neppure per motivi di legittimità (Sez. U, n. 23 del 20/11/1996, dep. 1997, Bassi, Rv. 206656; Sez. 2, n. 6149 del 09/12/1999, dep. 2000, Marini, Rv. 21635; Sez. 5, n. 2108 del 04/04/2000, Peluso, Rv. 216365; Sez. 5, n. 6502 del 19/12/2000, Bellomo, Rv. 218973; Sez. 3, n. 40985 del 23/10/2002, Incastrane, Rv. 222857; Sez. 2, Ordinanza n. 45532 del 08/11/2005, Di Paola, Rv. 233144; Sez. 3, n. 8841 del 13/01/2009, Guasco, Rv. 243002; Sez. 3, n. 8999 del 10/02/2011, Brazzi, Rv. 249615; Sez. 1, n. 30130 del 24/06/2015, Laezza, Rv. 264489). Tanto perché si tratta di provvedimenti che non hanno natura decisoria, sicché non sono coperti dalla garanzia costituzionale del doppio grado di giudizio, fornita dall'art. Ili, settimo comma, Cost. per gli atti aventi natura - anche solo sostanziale - di sentenza e che, non essendo idonei ad attentare all'intangibilità della libertà personale del destinatario, non possono dirsi provvedimenti "sulla libertà personale". Diversamente, altre pronunce per il solo caso di perquisizione personale - afferente alla tutela della libertà della persona - e non locale, quale è la perquisizione qui disposta - ne hanno, invece, espressamente affermato la impugnabilità (Sez. 5, n. 2793 del 27/11/1995, Melillo, Rv. 203593; Sez. 3, n. 562 del 04/02/2000, Grava, Rv 216575).


6. Deve però osservarsi come Sez. 1, n. 15537 del 2020, n.m., dopo aver richiamato i principi finora evidenziati, abbia rilevato come il decreto che dispone o convalida la perquisizione 'domiciliare' non sia sottoponibile a gravame o a querela nullitatis, se non nei limiti in cui possa avere avuto riflessi sul sequestro, ossia nei limiti di un'indagine strumentale alla verifica della legittimità del sequestro medesimo. È stato, infatti, osservato che "l'irritualità della perquisizione, quando riscontrata, non dà luogo ad ipotesi di nullità, ma solo, se ravvisabili, a rilievi disciplinari, né ad ipotesi di inutilizzabilità, non potendo essere qualificato come inutilizzabile un mezzo di ricerca della prova, ma solo la prova stessa".


È solo in caso di abnormità della perquisizione che il procedimento acquisitivo assume rilevanza, ai fini dell'utilizzabilità della prova, "se la sua manifesta illegittimità lo ponga completamente al di fuori del parametro normativo di riferimento, quando cioè la sua difformità dal modello legale sia di per sé "rivelatrice di una lesione concreta o potenziale dei diritti soggettivi, oggetto di specifica tutela costituzionale". Dunque, quando una perquisizione sia stata effettuata senza l'autorizzazione del magistrato e non "nei casi" e "modi" stabiliti dalla legge, si è in presenza di un mezzo di ricerca della prova che non è più compatibile con la tutela di diritti soggettivi che, per la loro stessa rilevanza costituzionale, "reclama(no) e giustifica(no) la più radicale sanzione di cui l'ordinamento processuale dispone, e cioè l'inutilizzabilità della prova così acquisita in ogni fase del procedimento" (Sez. U, n. 5021 del 27/03/1996, Sala, Rv. 204643). L'illegittimità della ricerca della prova, dunque, quando assuma le dimensioni conseguenti ad una palese violazione delle norme poste a tutela dei diritti soggettivi irrinunciabili, non può, in linea generale, non diffondere i suoi effetti invalidanti sui risultati che quella ricerca ha consentito di acquisire, salvo che ricorra l'ipotesi prevista dall'art. 253, comma primo, cod. proc. pen., nella quale il sequestro del corpo del reato o delle cose pertinenti al reato, costituendo un atto dovuto, rende del tutto irrilevante il modo con cui ad esso si sia pervenuti".


Tale principio della interdipendenza fra perquisizione "abnorme" e sequestro è stato anche ribadito - così in motivazione Sez. 5, n. 15648 del 2022, n.m. - se la perquisizione sia finalizzata al sequestro e i due decreti siano inseriti in un unico contesto: in tal caso il riesame può coinvolgere anche la perquisizione, nella misura in cui risulti la stretta interdipendenza delle due statuizioni, e nei limiti, perciò, di un'indagine strumentale all'accertamento della legittimità del sequestro medesimo.


Resta, tuttavia fermo il principio per cui come in sede di riesame non possono essere presi in considerazione i motivi che costituiscono autonoma censura della perquisizione, così non può proporsi con il ricorso per cassazione una censura che attenga esclusivamente ai presupposti e alla legittimità del decreto di perquisizione.


Pertanto, le doglianze mosse dalla ricorrente con riferimento alla perquisizione illegittima rilevano in questa sede in ragione della sola stretta interdipendenza esistente tra la perquisizione e il successivo sequestro probatorio.


La circostanza che la società ricorrente non abbia in questa sede impugnato la decisione del Tribunale del riesame in ordine al sequestro probatorio, limitando i motivi al solo tema della perquisizione, deve dunque spingere questa Corte a verificare se le doglianze della ricorrente palesino un decreto di perquisizione abnorme o meno.


Il Tribunale a buona ragione ha escluso la illegittimità della perquisizione e, inoltre, per quanto si leggerà a seguire, deve escludersi l'abnormità dell'atto a sorpresa.


Deve, quindi, affermarsi il principio per cui, nel caso in cui alla perquisizione sia seguito il sequestro, non trovando applicazione il rimedio dell'art. 252 - bis cod. proc. pen., il decreto che dispone o convalida la perquisizione "domiciliare" non è sottoponibile a gravame autonomamente rispetto al sequestro e, comunque, se non nei limiti in cui sussista l'abnormità del mezzo di ricerca della prova, operata al di fuori dei "casi" e dei "modi" stabiliti dalla legge e in violazione di diritti costituzionali irrinunciabili, con la conseguente inutilizzabilità di quanto acquisito, fatta eccezione del doveroso sequestro del corpo del reato e delle cose pertinenti al reato ex art. 253, comma 1, cod. proc. pen.


7. Difatti, la ricorrente lamenta la contraddizione del decreto di perquisizione, che sarebbe stata diretta alla ricerca della documentazione contabile sottratta o distrutta, per la stessa tesi dell'Accusa quindi non più reperibile.


Si tratta di censura aspecifica e infondata.


Aspecifica, perché il decreto di sequestro era diretto anche al rinvenimento di documentazione relativa ai rapporti fra la fallita e la D.P. GROUP, dunque risultava sostenuto da una diversa ratio decidendi, non specificamente "attaccata", che riguardava proprio i rapporti fra la società fallita e la D.P. GROUP: il decreto già palesava come l'intento trasparente del Pubblico ministero non fosse solo quello di verificare la dispersione delle scritture contabili della fallita, ma anche di acquisire elementi ulteriori. Il che rende del tutto infondata la doglianza della natura strumentale e pretestuosa del decreto di perquisizione. Pertanto, il ricorso sul punto è aspecifico, in quanto si limita alla critica di una sola delle rationes decidendi poste a fondamento della decisione, il che accade quando, come è nel caso in esame, le stesse siano entrambe autonome ed autosufficienti, cosicché da una pronuncia favorevole su di esse non potrebbe derivare all'impugnante quella modificazione della sua situazione processuale in cui si sostanzia l'interesse che, per espresso dettato normativo, deve sottostare ad ogni impugnazione (Sez. 3, n. 30021 del 14/07/2011, F., Rv. 250972; Sez. 3, n. 27119 del 05/03/2015, P.G. in proc. Bertozzi, Rv. 264267; Sez. 3, n. 2754 del 06/12/2017, Bimonte, Rv. 272448).


Quanto, poi, alla infondatezza della doglianza, deve evidenziarsi come correttamente il Tribunale del riesame abbia evidenziato che la perquisizione era "sostenuta" anche dalla condotta di bancarotta fraudolenta documentale generica.


In effetti, Tesarne della imputazione provvisoria, che è assolutamente fluida nella fase in esame, consente di evidenziare come il Pubblico ministero abbia richiamato anche il profilo per cui la tenuta delle scritture rende "impossibile la ricostruzione del patrimonio e della movimentazione degli affari della fallita".


Si tratta del richiamo alla seconda parte della norma incriminatrice citata, il che è ben consentito, essendo ammissibile la contestazione alternativa dei delitti di bancarotta fraudolenta documentale per sottrazione, distruzione o occultamento di scritture contabili, per la cui sussistenza è necessario il dolo specifico di recare pregiudizio ai creditori, e di fraudolenta tenuta delle stesse, che integra una ipotesi di reato a dolo generico, non determinando tale modalità alcun vizio di indeterminatezza dell'imputazione (Sez. 5, n. 8902 del 19/01/2021, Tecchiati, Rv. 280572 - 01).


Tale ultimo profilo spiega la ragione per la quale fosse necessaria, e non illegittima né abnorme, la perquisizione, tesa a verificare la tenuta fraudolenta delle scritture o, in alternativa, la sottrazione o distruzione delle stesse, per orientare le indagini e formulare con esattezza l'ipotesi accusatoria, anche perché Sez. 5, n. 15743 del 18/01/2023, Gualandri, Rv. 284677, ha evidenziato come sia definitivamente superata ed assolutamente non più proponibile l'opzione ermeneutica secondo la quale, ai fini della configurabilità del delitto di bancarotta fraudolenta documentale, venivano ritenute condotte equivalenti la distruzione, l'occultamento o la mancata consegna al curatore della documentazione e l'omessa o irregolare o incompleta tenuta delle scritture contabili, sicché per la sussistenza del reato si riteneva sufficiente l'accertamento di una di esse e la presenza in capo all'imprenditore dello scopo di recare pregiudizio ai creditori e di rendere impossibile la ricostruzione del movimento degli affari (Sez. 5, n. 8369 del 27/9/2013, dep. 2014, Azzarello, Rv. 259038; Sez. 5, n. 9435 del 12/6/1984, Kranaver, Rv. 166406; Sez. 5, n. 6967 del 11/05/1981, Cristofari, Rv. 148775).


Se, in sede di accertamento, emerga la fisica sottrazione delle scritture contabili alla disponibilità degli organi fallimentari (bancarotta documentale specifica), anche nella forma della loro omessa tenuta, non può essere addebitata all'agente la fraudolenta tenuta delle medesime (bancarotta documentale generica), proprio perché tale ultima ipotesi implica un accertamento condotto su libri contabili effettivamente rinvenuti ed esaminati dagli stessi organi fallimentari.


Qualora emerga, sulla scorta di uno specifico accertamento, che la contabilità sia in parte omessa ed in parte irregolarmente tenuta, e che detta ultima situazione renda impossibile o complessa la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari, evidentemente proprio la descritta struttura della norma rende possibile non solo la contestazione alternativa, ma anche la sufficienza, ai fini delle individuazione della fattispecie penalmente rilevante, dell'accertamento di una sola delle condotte, ancorché diversamente strutturate, purché risulti possibile configurare anche il relativo elemento soggettivo. Ciò che, invece, non appare in alcun modo possibile - osserva Sez. 5 Gualandri - è la confusione tra le due diverse condotte, data la loro specificità strutturale, sia sotto l'aspetto della condotta che dell'elemento soggettivo. Tale distinzione fra le due ipotesi di bancarotta fraudolenta documentale impone un accertamento preciso, anche perché in un caso è richiesto il dolo specifico, nell'altro quello generico. Sez. 5 Gualandri evidenzia come, una volta contestata la condotta per la quale è richiesto il dolo specifico, il giudice deve accertare la sussistenza delle prove in riferimento a tale ipotesi, non potendo, a fronte di una omessa tenuta della contabilità, anche parziale o limitata ad un determinato arco temporale, ritenere integrata, piuttosto, la condotta di tenuta irregolare della stessa.


E comunque, l'argomento della ricorrente per cui la bancarotta documentale specifica postuli la sottrazione o la distruzione di tutte le scritture, non si confronta con il dettato normativo, che ritiene integrato il delitto anche qualora emerga che la condotta abbia riguardato solo "parte" dei libri e delle altre scritture contabili (cfr. art. 216, comma 1, n. 2, prima parte, l. fall.; così anche Sez. 5 Gualandri, in motivazione). In sostanza, il delitto, per il quale la perquisizione è stata eseguita, è integrato anche solo se le condotte abbiano riguardato non tutte le scritture contabili: cosicché, l'attività di ricerca della prova aveva una sua ragione per l'eventuale rinvenimento di una "parte" delle stesse, o anche per l'accertamento dell'inesistenza di "tutte" le scritture contabili, ovvero per verificarne la tenuta fraudolenta, oltre ad essere, evidentemente, come correttamente evidenziato dal Tribunale del riesame, funzionale al compito del pubblico ministero di procedere agli accertamenti ex art. 358 cod. proc. pen., tesi al rinvenimento di elementi di favore per l'indagato, qualora "tutte" le scritture fossero state rinvenute e fossero state regolarmente tenute.


8. Ne consegue l'infondatezza del motivo di ricorso e il rigetto dell'impugnazione, con condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali.


P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.


Così deciso in Roma il 3 dicembre 2024.


Depositata in Cancelleria il 10 febbraio 2025.

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