Impugnazioni
La questione della inappellabilità delle sentenze di proscioglimento emesse dal giudice di pace in relazione a reati puniti con pena pecuniaria o pena alternativa, a seguito delle modifiche introdotte dal D.Lgs. n. 150 del 2022, ha sollevato diversi contrasti interpretativi.
L’art. 593, comma 3, c.p.p., in base alla riforma, prevede l’inappellabilità per i casi di proscioglimento per reati di minore entità. Tuttavia, l’incertezza normativa riguarda il diritto della parte civile di appellare tali sentenze agli effetti della responsabilità civile. La Cassazione penale, Sez. V, con l’ordinanza n. 39591 del 2024, ha ritenuto necessario rimettere la questione alle Sezioni Unite per dirimere il contrasto.
Nel caso in esame, il giudice di pace di Torino ha assolto l’imputato Sa.Ni. dall’accusa di diffamazione in danno di Ce.An., pronunciando sentenza di proscioglimento “perché il fatto non sussiste.”
La parte civile ha impugnato la sentenza ai soli fini della responsabilità civile. Tuttavia, il Tribunale di Torino ha rigettato l’appello, ritenendolo inammissibile in quanto in contrasto con l’art. 593, comma 3, c.p.p., che rende inappellabili le sentenze di proscioglimento per reati puniti con pena pecuniaria o alternativa. Il Tribunale ha quindi riqualificato l’impugnazione come ricorso per Cassazione, trasmettendo gli atti alla Suprema Corte.
La Corte ha sollevato il seguente quesito di diritto: “Se, anche dopo la riforma di cui al D.Lgs. n. 150 del 2022, la sentenza di proscioglimento pronunciata dal Giudice di Pace per un reato punito con pena alternativa sia appellabile, agli effetti della responsabilità civile, dalla parte civile che non ha chiesto la citazione a giudizio dell'imputato, ovvero sia solo ricorribile per cassazione”.
In altri termini, la parte civile ha diritto a un secondo grado di giudizio per ottenere il risarcimento del danno, mettendo in discussione l’interpretazione del nuovo art. 593, comma 3, c.p.p.?
La questione trae origine da due orientamenti contrapposti.
Un primo orientamento ritiene che la riforma del 2022 limiti il diritto della parte civile, in virtù dell’art. 593, comma 3, c.p.p., alla sola possibilità di ricorrere in Cassazione contro le sentenze di proscioglimento del giudice di pace, escludendo quindi l’appello.
Un secondo orientamento, invece, sostiene che la parte civile debba conservare il diritto di appello in base all’art. 576 c.p.p., che attribuisce alla parte civile il potere di impugnare le sentenze di proscioglimento “senza limiti” agli effetti della responsabilità civile. Secondo questa interpretazione, il diritto di appello della parte civile non sarebbe stato implicitamente limitato dalla riforma, e quindi l’impugnazione dovrebbe rimanere invariata, consentendo l'accesso a un secondo grado di giudizio.
Di fronte a questa complessità, la Corte ha ritenuto opportuno rimettere la questione alle Sezioni Unite per chiarire se il diritto di appello della parte civile debba essere inteso in modo estensivo o, viceversa, subordinato alle limitazioni oggettive dell’art. 593 c.p.p., che ha introdotto la regola dell’inappellabilità per i reati minori.
Cassazione penale sez. V, 24/10/2024, (ud. 24/10/2024, dep. 28/10/2024), n.39591
RITENUTO IN FATTO
1. Con la sentenza impugnata il Giudice di pace di Torino ha assolto Sa.Ni. dal reato di diffamazione.
2. Ha proposto appello la parte civile, con atto sottoscritto dal difensore, deducendo, ai soli effetti della responsabilità civile, la sussistenza degli elementi costitutivi del reato e l'assenza di cause di giustificazione.
Con ordinanza del 15 luglio 2024 il Tribunale di Torino, riqualificata l'impugnazione come ricorso, ha trasmesso gli atti alla Corte di cassazione sul rilievo che l'art. 593, comma 3, cod. proc. pen., novellato dal D.Lgs. n. 150 del 2022 e applicabile ratione temporis, ha decretato la inappellabilità delle sentenze di proscioglimento relative a reati puniti con la sola pena pecuniaria o con pena alternativa (nel cui novero rientra il delitto di diffamazione).
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il Collegio ritiene di dover rimettere il ricorso alle Sezioni Unite, ai sensi dell'art. 618, comma 1, cod. proc. pen., per la soluzione del seguente quesito di diritto: "Se, anche dopo la riforma di cui al D.Lgs. n. 150 del 2022, la sentenza di proscioglimento pronunciata dal giudice di pace per un reato punito con pena alternativa sia appellabile, agli effetti della responsabilità civile, dalla parte civile che non ha chiesto la citazione a giudizio dell'imputato, ovvero sia solo ricorribile per cassazione".
2. Il Giudice di pace di Torino ha assolto, con la formula "perché il fatto non sussiste", Sa.Ni., chiamato a rispondere del delitto di diffamazione commesso ai danni di Ce.An.
La persona offesa si è costituita parte civile all'udienza del 24 ottobre 2022 (in un momento anteriore alla operatività dell'art. 573 comma 1-bis cod. proc. pen. in base alla regola temporale sancita da Sez. U., n. 38481 del 25/05/2023, D., Rv. 285036 - 01).
Il Tribunale di Torino, investito dell'appello della parte civile, ha osservato che, in forza del nuovo art. 593, comma 3 cod. proc. pen., la sentenza di proscioglimento del giudice di pace, riguardante un reato punito con pena alternativa, non è più appellabile.
Pertanto il medesimo Tribunale ha qualificato, ai sensi dell'art. 568, comma 5, cod. proc. pen., l'impugnazione come ricorso per cassazione e ha trasmesso gli atti a questa Corte.
3. Il provvedimento del Tribunale si radica sulla disciplina contenuta nell'art. 593, comma 3 cod. proc. pen., nel testo risultante dalla novella di cui al D.Lgs. n. 150 del 2022, applicabile in ragione della data di pronuncia della decisione del Giudice di pace.
3.1. L'art. 593 stabilisce, per l'appello, sia limitazioni soggettive (al primo comma per l'imputato, al secondo comma per il pubblico ministero) sia limitazioni oggettive (al terzo comma).
Nel testo attualmente vigente, il terzo comma del citato art. 593 prevede che: "Sono in ogni caso inappellabili le sentenze di condanna per le quali è stata applicata la sola pena dell'ammenda o la pena sostitutiva del lavoro di pubblica utilità, nonché le sentenze di proscioglimento relative a reati puniti con la sola pena pecuniaria o con pena alternativa".
Nel caso di condanna, che qui non rileva, deve aversi riguardo alla pena in concreto applicata dal giudice (sul punto cfr. Sez. 3, n. 20573 del 13/03/2024, Staffieri, Rv. 286360 - 01; parzialmente difforme Sez. 4, n. 11375 del 30/01/2024, Mamani, Rv. 286018 - 01).
In ipotesi di proscioglimento, che qui interessa, occorre considerare il regime sanzionatorio in astratto previsto per i reati: rispetto all'intervento del legislatore del 2018, la novella ha ampliato l'ambito oggettivo della inappellabilità delle sentenze di proscioglimento estendendolo a quelle concernenti "reati" (quindi anche delitti e non più solo contravvenzioni) puniti con la sola pena pecuniaria o con pena alternativa.
3.2. La novità legislativa ha fatto sorgere la necessità di stabilirne la portata rispetto alla parte civile e, specificamente, in relazione alla appellabilità o meno delle sentenze di proscioglimento emesse dal giudice di pace.
Assumono rilevanza due dati preliminari: il regime sanzionatorio previsto per i reati di competenza del giudice di pace; le norme speciali dettate dal D.Lgs. n. 274 del 2000 per le impugnazioni del Pubblico ministero e dell'imputato, ma non per l'impugnazione della parte civile che non abbia chiesto la citazione a giudizio dell'imputato.
3.2.1. Sotto il primo profilo va osservato che i reati rientranti nella competenza del giudice di pace sono puniti o con la sola pena pecuniaria (art. 52, comma 1 e comma 2, lett. a, prima parte, D.Lgs. n. 274 del 2000) oppure con pena alternativa (pena pecuniaria o permanenza domiciliare o lavoro di pubblica utilità ex art. 52, comma 2, lett. b), seconda parte, e lett. c), D.Lgs. n. 274 del 2000).
La conclusione non muta ove si voglia fare riferimento al criterio di ragguaglio di cui all'art. 58 D.Lgs. n. 267 del 2000 - secondo il quale per ogni effetto giuridico la pena dell'obbligo della permanenza domiciliare e il lavoro di pubblica utilità si considerano come pena detentiva-, poiché si verserebbe sempre in un caso di "pena alternativa": pecuniaria o detentiva (cfr. sul punto l'elaborazione giurisprudenziale sull'art. 157, comma quinto, cod. pen. e per tutte Sez. 5, n. 28539 del 29/05/2007, Barbierato, Rv. 237110 - 01).
Unica eccezione sarebbe l'ipotesi della "recidiva reiterata infraquinquennale", che prevede l'applicazione della detenzione domiciliare o del lavoro di pubblica utilità (art. 52, comma 3, D.Lgs. n. 274 del 2000), quindi una alternativa tra due pene che vanno considerate, però, entrambe, ad ogni effetto giuridico, come pena detentiva.
Ma, a parte la difficoltà di ipotizzare una "recidiva reiterata infraquinquennale" rispetto a una sentenza di proscioglimento, è indubbio che se l'art. 593, comma 3 secondo parte, cod. pen. si applicasse ai procedimenti davanti al giudice di pace, la totalità (o quasi) delle sentenze di proscioglimento emesse da quel giudice sarebbero inappellabili.
3.2.2. Sotto il secondo profilo occorre ricordare che nel procedimento del giudice di pace il regime delle impugnazioni soggiace alla disciplina speciale dettata dagli artt. 36 e ss. del citato D.Lgs. n. 274 del 2000.
All'art. 36, sotto la rubrica "impugnazione del pubblico ministero" è stabilito che: "il pubblico ministero può proporre appello contro le sentenze di condanna del giudice di pace che applicano una pena diversa da quella pecuniaria" (comma 1); "il pubblico ministero può proporre ricorso per cassazione contro le sentenze del giudice di pace" (comma 2).
Deriva che unico mezzo di impugnazione del pubblico ministero avverso la sentenza di proscioglimento del giudice di pace è il ricorso per cassazione (Sez. 4, n. 47995 del 18/09/2009, Di Loreto, Rv. 245741; Sez. 5, n. 30224 del 31/05/2017, Balli, non massimata sul punto; Sez. 5, n. 57716 del 13/10/2017 non massimata sul punto), disciplina, questa, ritenuta costituzionalmente legittima dal Giudice delle leggi, che ha dichiarato infondata la questione di legittimità costituzionale, sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 111 Cost., dell'art. 9, comma 2, della legge 20 febbraio 2006, n. 46 nella parte in cui, modificando l'art. 36, comma 1, del D.Lgs. n. 274 del 2000, non consente al pubblico ministero di proporre appello avverso le sentenze di proscioglimento del giudice di pace (Corte Cost., sentenza n. 298 del 2008).
L'art. 37 regolamenta, invece, l'appello dell'imputato, sancendo che "l'imputato può proporre appello contro le sentenze di condanna del giudice di pace che applicano una pena diversa da quella pecuniaria; può proporre appello anche contro le sentenze che applicano la pena pecuniaria se impugna il capo relativo alla condanna, anche generica, al risarcimento del danno" (comma 1); "l'imputato può proporre ricorso per cassazione contro le sentenze di condanna del giudice di pace che applicano la sola pena pecuniaria e contro le sentenze di proscioglimento" (comma 2).
L'art. 38 contiene poi una specifica disciplina per il caso (che qui non interessa) della "impugnazione del ricorrente che ha chiesto la citazione a giudizio dell'imputato", stabilendo che, quando la parte civile assume il ruolo di accusatore privato (v., infatti, di recente, Sez. 4, n. 43463 del 27/10/2022, Catalano, Rv. 283748 - 01), l'impugnazione contro la sentenza di proscioglimento è ammessa negli stessi casi in cui è ammessa l'impugnazione del pubblico ministero.
Nulla è espressamente previsto per la parte civile che non abbia chiesto la citazione a giudizio dell'imputato.
Ergo torna applicabile il disposto dell'art. 2 D.Lgs. n. 274 del 2000 che rimanda alla disciplina del codice di rito per quanto non previsto dal citato decreto.
4. Sulla individuazione delle norme interessate da tale rinvio si innesta il contrasto insorto nelle pronunce della giurisprudenza di legittimità successive alla modifica dell'art. 593, comma 3, cod. proc. pen.
In estrema sintesi, secondo un primo indirizzo il rinvio alle disposizioni generali comporta, per la parte civile, la rilevanza non solo del principio sancito dall'art. 576 cod. proc. pen. ma anche del disposto dell'art. 593, comma 3 cod. proc. pen. come riscritto dal D.Lgs. n. 150 del 2022; secondo altro, diverso orientamento opererebbe soltanto la regola di cui all'art. 576 cod. proc. pen., che, nella interpretazione della giurisprudenza di legittimità e di quella costituzionale, riconosce alla parte civile la legittimazione ad appellare, senza limiti, agli effetti della responsabilità civile, tutte le sentenze di proscioglimento pronunciate nel giudizio.
5. La prima opzione ermeneutica si trova espressa nelle sentenze Sez. 4, n. 24097 del 16/04/2024, Sergiovich, non massimata sul punto e Sez. 5, n. 14370 del 22/03/2024, Conca, non massimata.
5.1. Sez. 4, n. 24097 del 16/04/2024, Sergiovich muove dall'assioma per cui il nuovo art. 593, comma 3, cod. proc. pen. impedisce alla parte civile di appellare, agli effetti della responsabilità civile, la sentenza di proscioglimento emessa dal giudice di pace relativa a reati puniti con la pena pecuniaria o con pena alternativa.
Sulla scorta di questo postulato, la decisione esclude un vulnus rispetto ai principi costituzionali (affermazione oggetto di massimazione, Rv 286471 - 01):
"Atteso che la limitazione dell'appello - come sottolineato nella relazione illustrativa al D.Lgs. n. 150/2022 - persegue il fine, da considerare rientrante nell'esercizio della legittima discrezionalità legislativa, di implementare l'efficienza del sistema delle impugnazioni attraverso una riduzione dell'appellabilità oggettiva delle sentenze, con conseguente manifesta infondatezza della questione (per le ragioni suddette) in relazione agli artt. 3,25,27 e 111 Cost.; previsione peraltro riferita - con conseguente inconferenza dei richiami agli artt. 102 e 106 Cost. - a tutto il catalogo di reati prevedenti il suddetto sistema sanzionatorio e non a quelli di sola competenza del Giudice di Pace".
In questa prospettiva la decisione aggiunge che la regola del doppio grado di giurisdizione di merito non trova copertura costituzionale; e rimarca che la persona offesa ha la facoltà di adire in via alternativa la giurisdizione di rango civile al fine di tutelare i propri diritti patrimoniali e non patrimoniali.
5.2. Sez. 5, n. 14370 del 22/03/2024, Conca offre un approccio meditato.
La pronuncia muove dalla ratio della riforma del 2021 - 2022, ricavabile dall'art. 1, comma 13, lett. c), L. 27 settembre 2021, n. 134, che, con carattere di generalità, persegue l'obiettivo di escludere l'appellabilità delle sentenze di proscioglimento relative a reati puniti con la sola pena pecuniaria o con pena alternativa.
Osserva che si tratta di un mutamento del contesto normativo che impone una rimeditazione dei confini dell'impugnazione di secondo grado, tenendo conto che l'inappellabilità non priva la parte di uno strumento di controllo della decisione giurisdizionale, alla luce della persistente possibilità di proporre ricorso per cassazione.
Rileva che, nonostante le peculiarità che caratterizzano il regime delle impugnazioni dinanzi al giudice di pace, il D.Lgs. n. 274 del 2000 non detta disposizioni specificamente riferite alla parte civile, se non per il caso del ricorrente che abbia chiesto la citazione a giudizio dell'imputato, a norma dell'art. 21 dello stesso D.Lgs. (art. 38).
In questa prospettiva, ritiene che: "non è in discussione il potere generale di impugnazione riconosciuto dall'art. 576 cod. proc. pen. alla parte civile, ma la ragionevolezza di un sistema che, rispetto alle sentenze di proscioglimento, in difetto di una norma specificamente attributiva del potere di appello e in un contesto che mira a circoscrivere l'impugnabilità delle sentenze di secondo grado, riconosca alla parte civile, che abbia fatto valere esclusivamente una pretesa risarcitoria o restitutoria, poteri più ampi di quelli riconosciuti al pubblico ministero e soprattutto alla stessa parte civile che, valendosi dei poteri di cui all'art. 21 D.Lgs. n. 274 del 2000, abbia introdotto una pretesa non dipendente dall'iniziativa della pubblica accusa. È soprattutto il confronto interno ai poteri riconosciuti alla stessa parte civile, secondo che si avvalga o non dei poteri riconosciuti dall'art. 21 cit., a disvelare l'intrinseca incoerenza della diversificazione del regime dell'appello".
In sintesi, ad opinione di quel collegio, "su un piano generale, indipendentemente dalla portata dell'art. 576 cod. proc. pen., sono proprio, per un verso, l'art. 593 cod. proc. pen. - che, in difetto di una lex specialis come l'art. 37 D.Lgs. n. 274 del 2000 per l'imputato, assume portata generale - e, per altro verso, una lettura sistematica fondata sul significato dell'art. 38 D.Lgs. n. 274 del 2000, che convincono dell'inappellabilità della sentenza nel caso di specie. Sono, quindi, questi dati normativi a costituire il fondamento di una lettura specificatrice del generale potere di impugnazione attribuito dall'art. 576 cod. proc. pen".
6. Su opposto versante si colloca Sez. 5, n. 36932 del 10/07/2024, G., che, invece, valorizza lo specifico statuto impugnatorio riconosciuto alla parte civile dalla giurisprudenza costituzionale e di legittimità nonché i caratteri peculiari del procedimento dinanzi al giudice di pace.
L'ampio ordito argomentativo passa attraverso gli snodi di seguito riassunti e, in parte, rielaborati.
6.1. Le Sezioni Unite della Corte di cassazione sono intervenute, dopo la riforma di cui alla legge n. 46 del 2006, a fondare sull'art. 576 cod. proc. pen. la generale legittimazione della parte civile a proporre appello: la norma non limita il potere di impugnazione della parte civile "al solo ricorso per cassazione, né esclude, espressamente o per implicito, la possibilità dell'appello, come accade nel caso disciplinato da altra norma (art. 428/2 c.p.p.), sicché può essere letta anche nel senso che è consentita ogni forma di impugnazione ordinaria. Tale lettura è compatibile con un'interpretazione meno rigida e restrittiva del principio di tassatività di cui all'art. 568/1 c.p.p.: l'art. 576, infatti, prevede che la parte civile possa impugnare la sentenza che le è sfavorevole e non pone alcuna restrizione all'utilizzo degli ordinari mezzi previsti, la cui individuazione, in un quadro invariato dei rapporti tra processo penale e azione civile, non può che essere affidata ad una ermeneutica sistematica e costituzionalmente orientata del complessivo quadro normativo in tema di impugnazioni, evitando epiloghi che determinino asimmetrie e irragionevoli posizioni processuali differenziate" (Sez. U., n. 27614 del 29/03/2007, Lista, in motivazione).
Siffatta impostazione ha ricevuto ampio avallo da parte della Corte costituzionale che, nel riconoscere la legittimità della illustrata interpretazione di "riequilibrio", ha osservato che: "nell'aderire a tale soluzione interpretativa, le Sezioni Unite hanno fatto leva, in particolare, sull'interpretazione logico-sistematica dell'art. 576 cod. proc. pen. - attribuendo "a mero difetto di tecnica legislativa la formulazione letterale" della norma in questione - e, soprattutto, sulla volontà legislativa, quale desumibile dai lavori parlamentari"; "la Corte di cassazione ha evidenziato come le modifiche apportate al testo normativo originariamente approvato dal Parlamento, dopo il rinvio alle Camere da parte del Presidente della Repubblica ai sensi dell'art. 74 Cost. - e segnatamente la soppressione, nell'art. 576 cod. proc. pen., dell'inciso "con il mezzo previsto dal pubblico ministero" - risultassero finalizzate, in realtà, a rimodulare, accrescendoli, i poteri di impugnazione della parte civile, sganciandone la posizione da quella del pubblico ministero"; nonché, conseguentemente, a ripristinare il potere di appello della parte privata: con il chiaro intento di recepire il rilievo formulato nel messaggio presidenziale, circa l'eccessiva compressione della tutela delle vittime del reato, quale si delineava nelle soluzioni legislative inizialmente adottate" (Corte Cost. ord. n. 302 del 2008).
6.2. La ratio sottesa alle modifiche apportate dalla legge n. 103 del 2018 e, soprattutto, dal D.Lgs. n. 150 del 2022 nella materia delle impugnazioni, potrebbe sollecitare l'interprete a confrontarsi ex novo, nel mutato panorama normativo, sul rapporto tra la regola generale sancita dall'art. 576 cod. proc. pen. (come interpretata dalle Sezioni Unite Lista) e la regola specifica sulla inappellabilità di cui al modificato art. 593, comma 3, cod. proc. pen. stigmatizzata dall'inciso, inserito dalla legge n. 103 del 2018, "in ogni caso".
Questo tema, però, potrebbe interessare il processo dinanzi al giudice togato, non già quello davanti al giudice di pace.
6.3. Invero il sistema del procedimento dinanzi al giudice di pace ha "carattere autonomo e tendenzialmente separato", sostanzialmente servente rispetto alla mediazione del conflitto interindividuale (Sez. U., n. 28908 del 27/09/2018, dep. 2019, Balais).
"La stessa competenza per materia e il catalogo dei reati attribuiti a questo giudice delineano, più di ogni altro parametro, i caratteri della sua giurisdizione, che conciliano il soddisfacimento delle esigenze deflattive, con un nuovo modello di giurisdizione volto alla composizione del dissidio interindividuale, consacrato in modo formale nell'art. 2, comma 2, D.Lgs. n. 274 del 2000, che funzionalizza il procedimento all'obiettivo della conciliazione tra le parti" (Sez. U., n. 28908 del 27/09/2018, dep. 2019, Balais, cit.).
Su posizione sintonica si colloca la giurisprudenza costituzionale (Corte cost. n. 298 del 2008; n. 426 del 2008; n. 47 del 2014) che ha rilevato trattarsi di "procedimento connotato da una accentuata semplificazione e concernente reati di minore gravità, con un apparato sanzionatorio del tutto autonomo: procedimento nel quale il giudice deve, inoltre, favorire la conciliazione tra le parti" (Corte Cost., n. 50 del 2016).
6.4. È certo che nei procedimenti del giudice di pace l'art. 593 cod. proc. pen., nella sua interezza, non trova applicazione né per l'imputato né per il pubblico ministero in ragione dello specifico regime delle impugnazioni dettato dal D.Lgs. n. 274 del 2000 (cfr. Corte Cost. ord. n. 193 del 2009).
La norma, allora, non può applicarsi neppure alla parte civile che, in forza dell'art. 576 cod. proc. pen., deve ritenersi "legittimata a proporre appello, ai soli effetti della responsabilità civile, avverso la sentenza di proscioglimento pronunciata dal giudice di pace (cfr. tra le altre Sez. U., n. 6509 del 20/12/2012, dep. 2013, Colucci, in motivazione; Sez. 5, n. 35882 del 17 luglio 2009, Liporace, Rv. 244919 - 01; Sez. 5, n. 30224 del 31/05/2017, Balli, in motivazione).
6.5. Nel procedimento del giudice di pace è più alto il rischio di asimmetrie, che vanno accortamente evitate nel rigoroso rispetto del principio di cui all'art. 111/2 della Costituzione (Sez. U., n. 27614 del 29/03/2007, Lista, in motivazione).
In virtù dell'art. 37 D.Lgs. n. 274 del 2000, nel caso di condanna anche al risarcimento danni, l'imputato può appellare tutte le sentenze del giudice di pace, comprese quelle che infliggono la sola pena pecuniaria, altrimenti inappellabili (cfr. Sez. 5, n. 4965 del 06/12/2006, dep. 2007, Triolo, Rv. 236310 - 01 che ha rimarcato come all'imputato viene riconosciuta la possibilità di un secondo giudizio di merito nel caso in cui alla condanna a pena pecuniaria segua quella al risarcimento del danno in quanto l'imputato, che deve affrontare la parte civile, ha necessità di maggiori garanzie).
Pertanto, se, nel processo del giudice di pace, si ritenesse applicabile alla parte civile l'art. 593, comma 3, cod. proc. pen., si otterrebbe che solo questa parte, in caso di soccombenza, verrebbe privata, sostanzialmente in toto (cfr. paragrafo 3.2.1.), del secondo grado di giudizio di merito; mentre se a soccombere fosse l'imputato, controparte nella lite "civile", questi non incorrerebbe in alcun limite, potendo investire sempre il giudice di appello.
Ciò sarebbe difficilmente compatibile con un rito orientato, più che alla repressione del conflitto sotteso al singolo episodio criminoso, alla sua composizione.
In tale ottica le Sezioni Unite hanno escluso l'applicabilità della causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto, prevista dall'art. 131-bis cod. pen. nel procedimento davanti al giudice di pace, dando prevalenza alla peculiarità del complessivo sistema sostanziale e processuale introdotto dal D.Lgs. n.274 del 2000, nel cui ambito la specifica tenuità del fatto, già prevista dall'art. 34 del medesimo decreto, svolge un ruolo anche in funzione conciliativa, valorizzando proprio la posizione della persona offesa (Sez. U., n. 53683 del 22/06/2017, Pmp, Rv. 271587 - 01).
6.6. A ben vedere, ove, nel procedimento del giudice di pace, si volesse seguire la prima opzione interpretativa, si stravolgerebbe il portato dell'art. 593, comma 3, cod. proc. pen., che da limitazione oggettiva valevole per tutte le parti e circoscritta a specifiche tipologie di sentenze, finirebbe per applicarsi solo alla parte civile (pubblico ministero e imputato hanno il loro specifico statuto) con l'effetto di trasformarsi in limitazione soggettiva diretta a precludere, in modo pressoché assoluto, l'appello di detta parte.
7. La decisività della soluzione della questione in esame, da cui dipende l'ulteriore corso del giudizio, il contrasto insorto tra le sezioni semplici su una novità normativa, nonché la rilevanza in sé della questione (suscettibile di incidere sullo schema generale di impugnazione delle sentenze di proscioglimento del giudice di pace ad opera della parte civile), inducono il Collegio a rimettere il ricorso alle Sezioni Unite.
P.Q.M.
Rimette il ricorso alle Sezioni Unite.
Così deciso in Roma, il 24 ottobre 2024.
Depositata in Cancelleria il 28 ottobre 2024.