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Impugnazioni

Obbligo di rinnovazione della prova dichiarativa in appello: le ambiguità dell'orientamento restrittivo seguito dalla giurisprudenza

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Avv. Salvatore del Giudice - Avvocato penalista Napoli
Rinnovazione prova appello

La Corte di Cassazione, con la recente sentenza n. 2054 del 2024, ha affrontato il tema dell'obbligo di rinnovazione della prova dichiarativa in appello in caso di appello del pubblico ministero avverso una sentenza di proscioglimento per motivi attinenti alla valutazione della prova dichiarativa. La norma introdotta con la riforma dell’art. 603, comma 3-bis, del codice di procedura penale, è stata oggetto di diverse pronunce giurisprudenziali che ne hanno delimitato, in termini restrittivi, l'ambito applicativo.

Tuttavia, l'orientamento giurisprudenziale che ha cercato di restringere la portata dell'obbligo di rinnovazione non è esente da ambiguità e solleva dubbi in relazione ai principi costituzionali del giusto processo e del diritto di difesa.


Il contesto normativo: l’art. 603 c.p.p. e la riforma del 2017

La rinnovazione della prova dichiarativa in appello è una questione strettamente connessa alla giurisprudenza in tema di giusto processo. L'art. 603 del codice di procedura penale disciplina la rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale in secondo grado. Il comma 3-bis, inserito dalla legge n. 103 del 23 giugno 2017 (c.d. Riforma Orlando), prevede che il giudice d’appello, qualora debba riformare una sentenza assolutoria di primo grado, abbia l’obbligo di disporre la rinnovazione della prova dichiarativa se questa è stata ritenuta decisiva per l'assoluzione.

Tale disposizione ha lo scopo di tutelare l’imputato, garantendo una valutazione diretta e immediata della prova dichiarativa da parte del giudice d’appello, evitando così condanne basate esclusivamente sulla rilettura degli atti del primo grado.


Il caso di specie

La sentenza n. 2054 del 2024, emessa dalla Corte di Cassazione, sezione III penale, è un esempio chiaro di come debba essere applicato il principio della rinnovazione della prova dichiarativa in appello.

Nel caso in questione, l’imputato era stato condannato dalla Corte d’Appello di Bologna per un reato di violenza sessuale (art. 609 bis c.p.), ribaltando una precedente sentenza di assoluzione pronunciata dal Tribunale di Ferrara. La condanna era stata basata principalmente sulle dichiarazioni della persona offesa, risentita in appello, e sui riscontri forniti dalla testimonianza di una collega della vittima, non risentita nel secondo grado.

Il ricorso per Cassazione sollevava il mancato rinnovo della testimonianza della collega della parte offesa, ritenuta decisiva dalla difesa per l’assoluzione. La Corte di Cassazione ha rigettato tale doglianza, chiarendo che l'obbligo di rinnovare la prova dichiarativa non riguarda tutte le testimonianze assunte in primo grado, ma solo quelle che, sulla base di una valutazione oggettiva, siano effettivamente decisive per il giudizio di colpevolezza.


Il principio di diritto

La Corte, con questa pronuncia, ha ribadito un principio già consolidato nella giurisprudenza: l’obbligo di rinnovazione della prova dichiarativa in appello sussiste solo per le prove decisive ai fini della condanna, non per tutte quelle già acquisite in primo grado.

In particolare, la Corte ha sottolineato come, ai sensi dell'art. 603, comma 3-bis, c.p.p., il giudice d’appello, qualora intenda riformare una sentenza assolutoria, debba necessariamente procedere alla rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale solo per quelle dichiarazioni ritenute cruciali per la valutazione della responsabilità dell’imputato. Questo significa che non è necessario risentire tutti i testimoni già esaminati in primo grado, ma solo quelli la cui testimonianza è considerata essenziale per la decisione.

Nel caso in questione, la testimonianza della collega della persona offesa era stata considerata un elemento di contorno, non decisivo per la valutazione della colpevolezza dell’imputato, in quanto la Corte d'Appello aveva ritenuto sufficiente la credibilità della parte offesa, risentita in secondo grado.


Limiti all’obbligo di rinnovazione della prova

La sentenza n. 2054 del 2024 si inserisce in una più ampia giurisprudenza che delimita l’applicazione dell’art. 603, comma 3-bis, c.p.p. La Corte di Cassazione ha infatti chiarito che la rinnovazione della prova dichiarativa non deve essere disposta in modo automatico per ogni testimonianza resa in primo grado. Si tratta di un obbligo limitato ai casi in cui la testimonianza sia decisiva per la tenuta logica della sentenza.

È stato inoltre ribadito che l’obbligo di rinnovazione della prova dichiarativa è concorrente e non alternativo rispetto a quello di fornire una "motivazione rafforzata" per il ribaltamento della sentenza assolutoria.

Ciò significa che, oltre a rinnovare l’assunzione delle prove decisive, il giudice d’appello deve anche fornire una motivazione particolarmente accurata e dettagliata per spiegare perché ritiene di dover pervenire a una diversa valutazione rispetto al primo grado.


Le conseguenze

L’obbligo di rinnovazione della prova dichiarativa in appello rappresenta una garanzia fondamentale per l’imputato, in particolare nei casi in cui la sua colpevolezza si fondi su prove dichiarative. Tuttavia, la giurisprudenza della Cassazione evidenzia come tale obbligo debba essere applicato con equilibrio, evitando un eccessivo formalismo che porterebbe a un inutile allungamento dei tempi del processo.

Nel caso in esame, la Corte ha ritenuto che la testimonianza della parte offesa, corroborata da riscontri esterni, fosse sufficiente per la condanna, senza che fosse necessario risentire altri testimoni. Questo approccio risponde all’esigenza di garantire una giustizia rapida ed efficace, senza però sacrificare le garanzie difensive fondamentali.


Conclusioni

L'orientamento giurisprudenziale sopra menzionato suscita alcune perplessità

In particolare, il rischio di una sua interpretazione restrittiva potrebbe ridurre la portata delle garanzie offerte all'imputato. Limitare l'obbligo di rinnovare le prove dichiarative soltanto a quelle ritenute decisive ai fini della condanna, infatti, implica un elevato grado di discrezionalità da parte del giudice d'appello, che potrebbe sottovalutare la rilevanza di testimonianze apparentemente “secondarie”, ma fondamentali per la difesa.

Inoltre, il concetto stesso di "prova decisiva"  può rivelarsi ambiguo nella prassi giudiziaria.

La valutazione di quali dichiarazioni siano effettivamente decisive può variare sensibilmente da caso a caso e tra diversi giudici, rischiando così di compromettere l’obbligo di rinnovazione come strumento effettivo di tutela per l’imputato. In particolare, nelle fattispecie in cui la sentenza di primo grado si basi su un’accurata valutazione complessiva delle prove dichiarative, la mancata ripetizione di alcune testimonianze potrebbe comportare una revisione parziale e non del tutto equa del giudizio.

Infine, sebbene la giurisprudenza cerchi di bilanciare la necessità di efficienza processuale con le garanzie difensive, l'eccessiva enfasi sulla rapidità del processo rischia di compromettere la qualità del giudizio. Il principio del contraddittorio, che garantisce un esame diretto e immediato delle prove, dovrebbe essere applicato con rigore, soprattutto in casi di ribaltamento di sentenze assolutorie, dove la decisione di condannare l'imputato segna un cambio sostanziale di valutazione.

In conclusione, sarebbe auspicabile un'applicazione meno restrittiva dell’obbligo di rinnovazione della prova dichiarativa, che tenga conto del rischio di limitare in modo eccessivo il diritto alla difesa. Una più ampia rinnovazione delle testimonianze potrebbe garantire un giudizio d’appello più trasparente e giusto, in linea con i principi costituzionali del giusto processo e del diritto di difesa.




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