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Bancarotta preferenziale e concorso dell’extraneus (Cass. Pen. n. 5040/2025)


bancarotta

La recente sentenza della Corte di Cassazione, Sez. I Penale, n. 5040 del 24 gennaio 2025, affronta il reato di bancarotta preferenziale ed il tema della responsabilità del cosiddetto extraneus, ossia il soggetto esterno alla gestione della società fallita, che concorre nella condotta illecita.


Il caso: condanna per bancarotta preferenziale

L’imputato, Sc.An., era stato condannato per bancarotta preferenziale ai sensi dell’art. 216, comma 3, R.D. 267/1942, con sentenza confermata dalla Corte d’Appello di Roma. Il ricorso in Cassazione si basava su diverse doglianze, tra cui:

  • errata valutazione dell’elemento soggettivo, in quanto la Corte d’Appello non avrebbe fornito una motivazione adeguata sulla consapevolezza dell’imputato dello stato di insolvenza della società;

  • mancata prova del vantaggio indebito, poiché l’operazione contestata sarebbe stata frutto di normali dinamiche finanziarie;

  • illegittimità delle statuizioni civili, in quanto la parte civile, Ba.Sa., non avrebbe avuto un credito diretto nei confronti della società fallita.

La difesa ha sostenuto che l’imputato, pur avendo partecipato all’operazione, non fosse consapevole dello stato di insolvenza della società e che non vi fosse una prova concreta della sua volontà di favorire un creditore rispetto agli altri.


Il principio di diritto: la consapevolezza dell’extraneus nel reato di bancarotta preferenziale

La Cassazione ha rigettato il ricorso, affermando che:

  • l’extraneus risponde di bancarotta preferenziale se ha consapevolezza del dissesto – Per integrare la responsabilità del soggetto estraneo alla gestione, è sufficiente che egli abbia coscienza che la sua condotta favorisca un creditore rispetto agli altri in un contesto di insolvenza, senza che sia necessaria una conoscenza approfondita della situazione finanziaria della società fallita.

  • il vantaggio indebito si configura nel momento in cui il pagamento altera la par condicio creditorum – Il reato di bancarotta preferenziale è integrato anche quando il beneficio per un creditore derivi da una cessione di beni o diritti, come avvenuto nel caso di specie con il trasferimento del "leasehold" di un appartamento londinese.

  • le statuizioni civili sono legittime se il fallimento ha arrecato danno alla parte civile – La Corte ha confermato il diritto al risarcimento del danno della parte civile, Ba.Sa., in quanto il reato ha inciso sull’equa ripartizione del patrimonio fallimentare, pregiudicando il soddisfacimento degli altri creditori.


Le implicazioni

Questa pronuncia assume particolare rilievo perché rafforza l’orientamento secondo cui il dolo dell’extraneus nella bancarotta preferenziale è costituito dalla consapevolezza della preferenza concessa a un creditore a danno degli altri. Non è necessario che il soggetto estraneo alla società fallita sia pienamente consapevole di tutti i dettagli dello stato di dissesto, ma è sufficiente che abbia partecipato a operazioni che hanno alterato la par condicio creditorum.

La sentenza ribadisce inoltre che, in materia fallimentare, le decisioni sui risarcimenti alle parti civili devono basarsi sul concreto pregiudizio arrecato dalla condotta distrattiva, senza che sia necessario un credito diretto nei confronti del fallito.


La sentenza integrale

RITENUTO IN FATTO

1. La Corte di appello di Roma, con sentenza pronunciata il giorno 11 luglio 2017, confermava quella emessa in data 25 maggio 2015 del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Roma che, all'esito del giudizio abbreviato, aveva affermato la penale responsabilità di Sc.An. e De.Li. per concorso nel delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale commesso da La.Gi., quale socio illimitatamente responsabile di una società di fatto, e li aveva condannati, rispettivamente, alla pena di anni due ed anni uno di reclusione, con il beneficio della sospensione condizionale, oltre al risarcimento dei danni in favore della parte civile Ba.Sa. da liquidarsi con separato giudizio.


1.1. Il delitto era collegato ad un'altra e più complessa vicenda criminale relativa alla creazione di una associazione finalizzata alla commissione di più delitti di esercizio abusivo dell'attività finanziaria e di truffa, della quale facevano parte La.Gi., Ca.Gi., Ra.Ra. e To.Ro. In particolare, era emerso che sussisteva, tra questi soggetti, una società irregolare funzionale alla direzione dell'attività di raccolta e gestione del risparmio solo formalmente imputata a tre società, tutte identificate con l'acronimo E.I.M., iscritte nel Regno Unito, in Inghilterra ed in Irlanda. Questa società irregolare era stata dichiarata fallita dal Tribunale di Roma con sentenza dell'8 novembre 2011, confermata dalla Corte di appello di Roma il 10 settembre 2012; conseguentemente erano stati dichiarati i fallimenti dei singoli soci in proprio.


1.2. A De.Li. ed Sc.An. si contestava, in particolare, di avere concorso (unitamente ad altri soggetti) con La.Gi., dichiarato fallito quale socio illimitatamente responsabile della predetta società irregolare, nella distrazione del "leasehold" (vale a dire il diritto esclusivo su un bene immobile, ma valido per un arco di tempo determinato) di un appartamento sito in Londra, di cui era titolare personalmente La.Gi. Tale diritto era stato ceduto alla società di diritto inglese Giavellotto Limited, totalmente partecipata dalla Bon Retir Srl controllata direttamente o indirettamente, per una quota del 91,69%, dalla famiglia Sc., a fronte della dazione in pagamento di titoli provenienti dal portafoglio dei coniugi Sc. in E.G.P. s.a. per un valore formalmente pari ad Euro 1.521,406,99, ma che in realtà erano divenuti privi di valore a causa dell'insolvenza delle società controllate dal La.Gi. I titoli erano stati trasferiti alla Bon Retir Srl dai coniugi Sc. che erano divenuti titolari di un credito verso la Bon Retir Srl; in particolare, in data 3 novembre 2010 l'assemblea dei soci della Bon Retir Srl aveva deliberato di acquisire il "leasehold" dell'appartamento londinese e i titoli suddetti. Con due contratti i coniugi Sc. avevano venduto alla Bon Retir i titoli ordinando in data 5 novembre 2010 alla E.G.P. s.a. di trasferire i titoli dai loro portafogli alla Bon Retir Srl Il giorno 6 dicembre 2010 era stato stipulato il contratto preliminare di vendita del "leasehold" tra La.Gi., rappresentato dal procuratore speciale Si.Sa., e la Bon Retir Srl, rappresentata dall'amministratore unico Rodolfo Conti; il 16 dicembre 2010 era stata conferita dalla Bon Retir Srl, amministrata da Rodolfo Conti, e dai coniugi Sc. (quali precedenti proprietari dei titoli) una procura speciale a La.Gi., con la quale era stato attribuito a quest'ultimo il potere di disporre dei titoli quale prezzo della cessione del "leasehold"; nella procura i conferenti avevano attestato falsamente che il 5 novembre 2010 era stato ceduto, con atti controfirmati da EGP, alla Bon Retir Srl il pacchetto titoli. Quindi, in data 5 gennaio 2011 era stata costituita la Giavellotto Limited, interamente partecipata dalla Bon Retir Srl; con contratto registrato il 31 gennaio 2011 la Giavellotto Limited aveva acquistato il "leasehold" dell'appartamento londinese consegnando al Si.Sa., procuratore del La.Gi., la procura speciale del 16 dicembre 2010; la procura era stata consegnata alla Giavellotto Limited dalla Bon Retir quale finanziamento, a seguito del quale la Bon Retir era divenuta creditrice della Giavellotto Limited. In data 27 gennaio 2011 la Giavellotto locava l'appartamento cui si riferiva il 2leasehold" al La.Gi. al canone settimanale di mille sterline per diciotto mesi; il contratto di locazione era sottoscritto da Rodolfo Conti per la Giavellotto Limited e da Si.Sa. per il La.Gi.. Con delibera del 20 settembre 2011 la Bon Retir Srl deliberava di valutare positivamente la proposta di acquisto del "leasehold" da parte della Spalding Investments Limited e dava incarico al proprio amministratore di procedere alla trattativa ed alla eventuale vendita delle quote della Giavellotto Limited facendosi assistere da De.Li., presidente del collegio sindacale della Bon Retir Srl e commercialista di quest'ultima società, e dall'avv. Calà, "barrister" di Londra. Nella delibera si prevedeva l'accensione di una ipoteca di almeno Euro 2.000.000,00 sull'immobile a garanzia del finanziamento erogato dalla Bon Retir alla Giavellotto Limited e che questa sarebbe stata amministrata dal De.Li. anche dopo la cessione, sino all'integrale adempimento delle obbligazioni assunte dalla cessionaria. Il giorno 27 dicembre 2011 le quote della Giavellotto Limited venivano cedute alla Spalding Investments Limited e, contestualmente, il De.Li. veniva nominato amministratore della Giavellotto Limited; il 9 febbraio 2012 sul diritto di "leasehold" veniva costituita dalla Giavellotto Limited Srl un'ipoteca per due milioni di sterline a garanzia del credito della Bon Retir Srl


Successivamente, in data 26 luglio 2012, la Giavellotto Limited veniva ceduta alla Stalvant Real Estate Limited.


1.2. Il delitto veniva contestato come commesso l'8 novembre 2011, data della dichiarazione di fallimento dei soci illimitatamente responsabili della società irregolare.


1.3. Avverso detta sentenza Sc.An., a mezzo del suo difensore, proponeva ricorso per cassazione affidato a nove motivi, chiedendo il suo annullamento.


1.4. Avverso detta sentenza aveva proposto ricorso anche De.Li., a mezzo del suo difensore, chiedendone l'annullamento ed affidandosi a sei motivi.


2. La Quinta Sezione della Corte di cassazione, con la sentenza n. 11936/2020, accoglieva in parte, per quanto di interesse in questa sede, il ricorso proposto nell'interesse di Sc.An.


In particolare, veniva ritenuto fondato il secondo motivo laddove si lamentava la illogicità o manifesta contraddittorietà della motivazione della sentenza in ordine alla sussistenza del delitto di bancarotta fraudolenta per distrazione. La sentenza di primo grado, per affermare la penale responsabilità dello Sc.An., aveva affermato che i titoli ceduti quale prezzo del "leasehold" esistevano, ma che il loro valore era scarsissimo. A fronte delle censure sollevate dallo Sc.An. per contrastare tale assunto, la Corte di appello aveva sostenuto che i titoli sarebbero stati perfino inesistenti, mancando la prova dei conferimenti, da parte dei coniugi Sc., alla società EGP s.a. delle somme di denaro che sarebbero occorse per acquistare i titoli. Tale assunto, tuttavia, come segnalato dal ricorrente, si poneva in netto contrasto con le parti della motivazione della stessa sentenza in cui si ammetteva la effettività dell'investimento dello Sc.An. nei titoli stessi al fine di affermare che era provato l'elemento soggettivo del reato. A pag. 22 della sentenza impugnata la Corte di appello attribuiva valore decisivo ad una scrittura sottoscritta da Ca.Gi., che, secondo la Corte di appello, avrebbe integrato una ricognizione di debito del Ca.Gi. per una somma corrispondente all'entità dell'investimento dello Sc.An.; in particolare, secondo i giudici di appello, poiché il Castellacci era estraneo alla EGP s.a., tale documento aveva reso manifesto allo Sc.An. una comunanza di interessi tra il La.Gi. ed il Castellacci, che poteva trovare giustificazione solo nella loro comune partecipazione alla società di fatto poi dichiarata fallita.


Inoltre, sempre al fine di affermare la sussistenza del dolo, a pag. 23 della sentenza impugnata si sosteneva che lo Sc.An. era a conoscenza dell'insolvenza del La.Gi. perché quest'ultimo non aveva dato seguito alla richiesta dell'odierno ricorrente di trasferire i titoli su un conto titoli intestato ai coniugi Sc.An. presso una banca italiana. Un tale ragionamento presupponeva necessariamente che il diritto dei coniugi Sc.An. al trasferimento in loro favore dei titoli fosse effettivo e non fittizio. Tali argomentazioni si ponevano in insanabile contrasto con la affermazione che il diritto dei coniugi Sc.An. ai titoli fosse inesistente. Il motivo in questione era considerato fondato anche laddove si lamentava il travisamento della scrittura firmata dal La.Gi. con la quale quest'ultimo aveva riconosciuto di avere ricevuto dallo Sc.An. la somma di Euro 1.160.000,00, obbligandosi a restituire detto importo. La scrittura era stata allegata al ricorso (all. 1) in osservanza del principio di autosufficienza. Si trattava di una fotocopia della carta di identità del La.Gi. in calce alla quale è apposta una scrittura sottoscritta dal solo La.Gi. in cui quest'ultimo dava atto di avere ricevuto la somma di Euro 1.160.000,00 e si impegnava a restituire la medesima somma; in calce alla scrittura firmata dal La.Gi. vi è altra scrittura firmata dal Castellacci, che dava atto di avere ricevuto ulteriori Euro 150.000,00, ma non assumeva alcuna obbligazione personale. Secondo la Corte di legittimità era illogico dare credito a detta scrittura per affermare il dolo in capo allo Sc.An. e tuttavia omettere di tenere conto che dalla stessa emergeva la consegna in contanti di somme sostanzialmente corrispondenti all'investimento in titoli attuato dai coniugi Sc. tramite la EGP s.a.


Risultava quindi il travisamento per omissione della scrittura nella parte in cui da essa emergeva la consegna in contanti delle somme che la Corte di appello, per arrivare ad affermare la inesistenza dei titoli, assumeva non essere mai state versate alla predetta società. Era, invece, considerato infondato il motivo di ricorso laddove si sosteneva che la registrazione, effettuata dal La.Gi., di una conversazione tra il predetto e lo Sc.An. fosse inutilizzabile. In tema di prove, la registrazione fonografica di conversazioni o comunicazioni realizzata, anche clandestinamente, da chi vi abbia partecipato o sia stato comunque autorizzato ad assistervi non è riconducibile alla nozione di intercettazione ma costituisce prova documentale, a condizione che l'autore abbia effettivamente e continuativamente partecipato o assistito alla conversazione registrata (Sez. 5, n. 13810 del 11/02/2019, Megna, Rv. 275237). Nel resto, laddove si lamentava l'omessa motivazione in ordine ai rilievi formulati dalla difesa del ricorrente per affermare l'inattendibilità della registrazione, risultante dalla sovrapposizione di due distinte conversazioni, e delle dichiarazioni rese dal La.Gi. in occasione della conversazione registrata, nonché laddove si lamentava l'illogicità della motivazione per avere escluso la esistenza dei titoli in capo alla EGP s.a. alla data della cessione del "leasehold" sulla base delle risultanze della contabilità della EGP s.a. in epoca successiva o di quanto rilevato dalla CONSOB, si trattava di questioni che, a seguito della fondatezza degli altri argomenti addotti a sostegno dell'illogicità della motivazione, risultavano assorbiti.


2.1. Al contrario veniva ritenuto infondato il terzo motivo di ricorso; nel caso di specie, la circostanza che la Bon Retir Srl avesse ricevuto il pagamento della somma di 1.900.000,00 sterline dalla Stalvant Real Estate s.a. era irrilevante. In tema di bancarotta fraudolenta patrimoniale, l'elemento oggettivo è costituito dal distacco - con qualsiasi forma e con qualsiasi modalità esso avvenga - del bene dal patrimonio dell'imprenditore, con conseguente possibilità di depauperazione patrimoniale nei confronti dei creditori. Anche il recupero o la possibilità di recupero del bene è ininfluente sulla sussistenza del detto elemento materiale, in quanto la fattispecie si perfeziona al momento del distacco del bene dal patrimonio, anche se il reato viene ad esistenza giuridica con la dichiarazione di fallimento (Sez. 5, n. 4739 del 23/03/1999, Olivieri Rv. 213120; Sez. 5, n. 6869 del 27/01/1999, Iannacione, Rv. 213599). Nel caso di specie, quindi, poiché la condotta distrattiva doveva ritenersi realizzata già nel momento in cui il La.Gi.


aveva ceduto il "leasehold" alla Giavellotto 19 ltd., ai fini della sussistenza del reato, non rilevava che la Bon Retir avesse o meno ricevuto dalla Stalvant Real Estate s.a. il prezzo della cessione delle quote di partecipazione alla Giavellotto ltd. e che l'ipoteca fosse stata o meno cancellata. Anche il quinto motivo di ricorso era considerato parzialmente fondato nella parte in cui si evidenziava che dalla sussistenza di una comunanza di interessi tra il La.Gi. ed il Castellacci, resa evidente, secondo il ragionamento dei giudici del merito, dalla ricognizione di debito sopra indicata, non poteva automaticamente farsi discendere la conoscenza da parte dello Sc.An. della esistenza di una società di fatto e della partecipazione del La.Gi. ad essa. La ricognizione di debito era circostanza di fatto il cui valore probatorio non era univoco, potendo essa trovare giustificazione anche in rapporti economici di altro tipo tra il La.Gi. ed il Ca.Gi.


2.2. Pertanto, affermare che lo Sc.An. fosse a conoscenza della ricognizione di debito del Ca.Gi. non equivaleva, per ciò stesso, ad affermare che lo Sc.An. conoscesse la natura dei rapporti dai quali traeva origine la comunanza di interessi e sapesse dell'esistenza della società di fatto. La conoscenza, da parte dello Sc.An., della comunanza di interessi tra il La.Gi. ed il Ca.Gi., per avere quest'ultimo operato la ricognizione di debito, valeva ad integrare solo un indizio della conoscenza, in capo all'odierno ricorrente, della esistenza della società di fatto. In tema di valutazione probatoria, la differenza tra prova e indizio è costituita dal fatto che mentre la prima, in quanto si ricollega direttamente al fatto storico oggetto di accertamento, è idonea ad attribuire carattere di certezza allo stesso, l'indizio, isolatamente considerato, fornisce solo una traccia indicativa di un percorso logico argomentativo, suscettibile di avere diversi possibili scenari, e, come tale, non può mai essere qualificato in termini di certezza con riferimento al fatto da provare (Sez. 5, n. 16397 del 21/02/2014, Maggi, Rv. 259551).


2.3. Nel caso di specie, poiché l'affermazione, da parte della Corte di appello, che era provato che lo Sc.An. fosse a conoscenza della esistenza della società di fatto tra il La.Gi. ed altri soggetti si basava su un mero indizio, a supporto del quale non venivano indicati ulteriori elementi di prova, risultava fondata la censura del ricorrente nella parte in cui si doleva della illogicità della motivazione, che non spiegava perché la versione dei fatti da essa indicata risulti provata oltre ogni ragionevole dubbio. Il motivo di ricorso era invece inammissibile laddove il ricorrente lamentava mancanza di motivazione in ordine alla conoscenza, da parte sua, dello stato di insolvenza del La.Gi. Con l'atto di appello il ricorrente aveva sostenuto che non era possibile affermare il suo concorso nel delitto di bancarotta fraudolenta perché non era dimostrato che al momento della cessione del "leasehold" egli fosse a conoscenza dell'insolvenza del La.Gi., poi dichiarato fallito. A tal fine il ricorrente aveva invocato l'orientamento giurisprudenziale secondo il quale nel reato di bancarotta fraudolenta per distrazione lo stato di insolvenza che determina il fallimento costituisce elemento essenziale del reato, in qualità di evento dello stesso e pertanto deve porsi in rapporto causale con la condotta dell'agente e deve essere, altresì, sorretto dall'elemento soggettivo del dolo (Sez. 5, n. 47502 del 24/09/2012, Corvetta, Rv. 253493). Al riguardo la Corte di cassazione osservava che l'elemento soggettivo del delitto di bancarotta fraudolenta per distrazione è costituito dal dolo generico, per la cui sussistenza non è necessaria la consapevolezza dello stato di insolvenza del soggetto poi dichiarato fallito, né lo scopo di recare pregiudizio ai creditori, essendo sufficiente la consapevole volontà di dare al patrimonio sociale una destinazione diversa da quella di garanzia delle obbligazioni contratte (Sez. U, n. 22474 del 31/03/2016, Passarelli, Rv. 266805). In particolare, in tema di concorso nel delitto di bancarotta fraudolenta per distrazione, il dolo del concorrente "extraneus" nel reato proprio dell'amministratore consiste nella volontarietà della propria condotta di apporto a quella dell'"intraneus", con la consapevolezza che essa determina un depauperamento del patrimonio sociale ai danni dei creditori, non essendo, invece, richiesta la specifica conoscenza del dissesto della società, la quale può rilevare sul piano probatorio, quale indice significativo della rappresentazione della pericolosità della condotta per gli interessi dei creditori (Sez. 5, n. 38731 del 17/05/2017, Bolzoni, Rv. 271123).


2.4. Il sesto motivo del ricorso veniva dichiarato inammissibile; al contrario il settimo motivo era dichiarato fondato. Con l'atto di appello il ricorrente aveva sostenuto che in ogni caso il delitto di bancarotta andava più correttamente qualificato quale delitto di bancarotta preferenziale ai sensi dell'art. 216, terzo comma, R.D. n. 267 del 1942. La Corte territoriale aveva rigettato il motivo di gravame asserendo che non ricorreva una bancarotta preferenziale perché lo Sc.An. era creditore della EGP e non della società di fatto dichiarata fallita. Al contrario, secondo la Corte di legittimità, doveva osservarsi che allo Sc.An. si contestava di avere concorso con il La.Gi. nella distrazione di un suo bene personale e non alla distrazione di un bene appartenente alla società irregolare. Orbene, in caso di fallimento di una società di persone irregolare, il fallimento deve essere esteso ai soci illimitatamente responsabili ai sensi dell'art. 147 I. fall.; le procedure fallimentari della società e dei singoli soci rimangono tuttavia distinte, secondo quanto espressamente previsto dall'art. 148 R.D. cit.


Pertanto, laddove il socio illimitatamente responsabile distragga un suo bene personale, egli sarà responsabile del delitto di bancarotta fraudolenta in relazione al proprio fallimento. Ai fini della configurabilità, in capo al socio illimitatamente responsabile di una società in nome collettivo dichiarata fallita, del reato di bancarotta fraudolenta per distrazione dei beni del suo patrimonio personale è necessario che il fallimento sia stato esteso nei suoi confronti ai sensi dell'art. 147 R.D. cit. (Sez. 5, n. 13091 del 26/01/2016, Costantino, Rv. 266383) ed il reato deve considerarsi consumato alla data della dichiarazione di fallimento del socio, laddove essa sia diversa da quella della dichiarazione di fallimento della società (Sez. 5, n. 31610 del 22/03/2016, Chiarini, Rv. 267852). Difatti, nel capo di imputazione si indicava il "leasehold" quale "bene riconducibile alla persona fisica di La.Gi." e, ai fini della consumazione del reato, si faceva riferimento alla data di dichiarazione di fallimento dei soci illimitatamente responsabili, tra i quali lo stesso La.Gi. Pertanto, al fine di verificare se la cessione del diritto immobiliare integrava una bancarotta preferenziale occorreva valutare se lo Sc.An. vantasse un credito nei confronti del La.Gi. e se quest'ultimo, al momento della cessione, fosse o meno insolvente. Infine, il primo, il quarto, l'ottavo ed il nono motivo del ricorso di Sc.An. restavano assorbiti.


2.6. Anche il ricorso di De.Li. veniva ritenuto fondato con particolare riferimento al secondo motivo; la Corte di cassazione evidenziava che, nella sentenza di appello, non era stato indicato un contributo materiale apportato dal De.Li. alla distrazione del "leasehold". Nel caso di specie la condotta distrattiva si era realizzata con la cessione del "leasehold" da parte del La.Gi., avvenuta nel gennaio 2011, e conseguentemente non rilevavano le condotte tenute dal De.Li. successivamente alla cessione. Risultavano fondati anche il primo ed il terzo motivo di ricorso, con i quali il De.Li. censurava la sentenza di secondo grado laddove aveva ritenuto sussistente in capo allo stesso il dolo del delitto di bancarotta fraudolenta; anche il quinto motivo di ricorso del De.Li. era ritenuto fondato per le medesime ragioni per le quali era stato accolto il settimo motivo del ricorso dello Sc.An.


2.7. Per tali ragioni, quindi, la Corte di cassazione annullava la sentenza impugnata e rinviava per nuovo esame ad altra Sezione della Corte di appello di Roma.


3. Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte di appello di Roma, giudicando in sede di rinvio, ha dichiarato non doversi procedere nei confronti di Sc.An. per il reato di cui all'art. 261, comma 3, I. fall. (bancarotta preferenziale), così qualificato il fatto originariamente contestato, perché estinto per intervenuta prescrizione, ha assolto De.Li. dal medesimo reato per non avere commesso il fatto, ha rigettato l'appello della parte civile Ba.Sa. e ha confermato, nel resto, la gravata sentenza.


4. Avverso tale sentenza Sc.An., per mezzo dell'avv. Filippo Dinacci, ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi, di seguito riprodotti nei limiti di cui all'art. 173 disp. att. cod. proc. pen., insistendo per l'annullamento del provvedimento impugnato.


4.1. Con il primo motivo egli lamenta, ai sensi dell'art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., il vizio di motivazione, in parte illogica ed in parte omessa in cui sarebbe incorsa la Corte del rinvio nel considerare provato che l'imputato avesse conoscenza della società di fatto fallita sulla base di indizi non gravi e nemmeno precisi e concordanti, in violazione di quanto statuito con la sentenza rescindente, mediante travisamento (per omissione) del risultato probatorio ed in violazione del canone del ragionevole dubbio.


4.2. Con il secondo motivo il ricorrente deduce, ai sensi dell'art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., il vizio di omessa motivazione per avere la Corte del rinvio affermato la effettiva conoscenza, da parte sua, dello stato di insolvenza di La.Gi. in violazione di quanto indicato nella sentenza di annullamento e senza fornire una adeguata spiegazione sul punto.


4.3. Con il terzo motivo Sc.An. censura, ai sensi dell'art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., la violazione degli artt. 185 cod. pen., 2043 cod. civ., 216, comma 3, I. fall. ed il relativo vizio di motivazione per avere riconosciuto il diritto al risarcimento del danno in favore della parte civile costituita. Al riguardo egli osserva che Ba.Sa. non vantava un credito nei confronti del La.Gi., ma bensì nei riguardi della Dharma Holdings perché possessore di titoli azionari di tale società con riferimento ai quali aveva ottenuto due assegni emessi da La.Gi. per l'importo di Euro 716.000,00 (poi protestati per mancanza di provvista); pertanto, la parte civile non poteva vantare alcun credito nei confronti del La.Gi. essendo creditore della sopra indicata società, di talché il risarcimento del danno in suo favore è avvenuto - a parere dell'imputato - in violazione di legge. Se invece si dovesse ritenere il Ba.Sa. creditore diretto del La.Gi., la sua condotta è pienamente sovrapponibile sul piano oggettivo a quella contestata all'odierno ricorrente.


4.4. Con atto del 6 gennaio 2025 l'imputato ha nominato come difensore di fiducia l'avv. MASSIMILIANO MAROTTA.


5. Il Sostituto Procuratore generale LUCA TAMPIERI ha depositato memoria con la quale ha chiesto l'annullamento con rinvio della sentenza impugnata perché la Corte del rinvio non avrebbe chiarito in maniera specifica e rafforzata, rispetto alla motivazione ritenuta insufficiente, le ragioni per le quali ha ritenuto dimostrato che l'imputato fosse a conoscenza della esistenza di una società di fatto.


6. All'esito della discussione le parti hanno concluso nei termini sopra indicati.


CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso (i cui motivi sono in parte inammissibili ed in parte infondati) deve essere nel complesso respinto.


2. Preliminarmente, va ribadito che è stata accertata, ormai irrevocabilmente, l'esistenza - tra La.Gi., Ca.Gi., Ra.Ra. e To.Ro. - di una società irregolare funzionale alla direzione dell'attività di raccolta e gestione del risparmio solo formalmente imputata a tre società, tutte identificate con l'acronimo E.I.M., iscritte nel Regno Unito, in Inghilterra ed in Irlanda. Questa società irregolare era stata dichiarata fallita dal Tribunale di Roma con sentenza del 8 novembre 2011, confermata dalla Corte di appello di Roma del 10 settembre 2012; conseguentemente erano stati dichiarati i fallimenti dei singoli soci in proprio.


2.1. Deve poi ricordarsi che, secondo il costante insegnamento di questa Corte, in sede di legittimità non è consentita una "rilettura" degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali (per tutte: Sez. Un., 30/4-2/7/1997, n. 6402, Dessimone, Rv. 207944; Sez. 4, n. 4842 del 02/12/2003, dep. 2004, Elia, Rv. 229369). Da ciò consegue che sono inammissibili i motivi che tendono ad ottenere una ulteriore rivalutazione dei fatti mediante criteri di giudizio diversi da quelli adottati dal giudice di merito, nel caso in cui questi, con motivazione esente da vizi logici e giuridici, abbia esplicitato le ragioni del suo convincimento.


2.2. Le modifiche, introdotte con la legge n. 46 del 20 febbraio 2006, che hanno riconosciuto la possibilità di deduzione del vizio di motivazione anche con il riferimento ad atti processuali specificamente indicati nei motivi di impugnazione, non ha infatti mutato la natura del giudizio di cassazione, che rimane pur sempre un giudizio di legittimità, di talché gli atti eventualmente indicati, che devono essere specificamente allegati per soddisfare il requisito di autosufficienza del ricorso, devono contenere elementi processualmente acquisiti, di natura certa ed obiettivamente incontrovertibili, che possano essere considerati decisivi in rapporto esclusivo alla motivazione del provvedimento impugnato e nell'ambito di una valutazione unitaria, e devono pertanto essere tali da inficiare la struttura logica del provvedimento stesso. È quindi preclusa la possibilità di una nuova valutazione delle risultanze acquisite, da contrapporre a quella effettuata dal giudice di merito, attraverso una diversa lettura, sia pure anch'essa logica, dei dati processuali o una diversa ricostruzione storica dei fatti o un diverso giudizio di rilevanza o attendibilità delle fonti di prova. La modifica dell'art. 606 lett. e) cod. proc. pen., per effetto della legge n. 46 del 2006, non consente alla Corte di cassazione di sovrapporre la propria valutazione a quella già effettuata dai giudici di merito mentre comporta che la rispondenza delle dette valutazioni alle acquisizioni processuali può essere dedotta nella specie del cosiddetto travisamento della prova, a condizione che siano indicati in maniera specifica e puntuale gli atti rilevanti e sempre che la contraddittorietà della motivazione rispetto ad essi sia percepibile "ictu oculi", dovendo il sindacato di legittimità al riguardo essere limitato ai rilievi di macroscopica evidenza, senza che siano apprezzabili le minime incongruenze. (Sez. 4, n. 20245 del 28/04/2006, Francia, Rv. 234099).


2.3. Devono, pertanto, ritenersi inammissibili anche i ricorsi fondati su motivi che ripropongono le stesse ragioni già discusse e ritenute infondate dal giudice del gravame, dovendosi gli stessi considerarsi non specifici. La mancanza di specificità del motivo, invero, deve essere apprezzata non solo per la sua genericità, come indeterminatezza, ma anche per la mancanza di correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell'impugnazione, questa non potendo ignorare le esplicitazioni del giudice censurato senza cadere nel vizio di aspecificità conducente, a mente dell'art. 591 comma 1 lett. c), all'inammissibilità (Sez. 4, n. 5191 del 29/03/2000, Barone, Rv. 216473; Sez. 1, n. 39598 del 30/09/2004, Burzotta, Rv. 230634; Sez. 4, n. 34270 del 03/07/2007, Scicchitano, Rv. 236945; Sez. 3, n. 35492 del 06/07/2007, Tasca, Rv. 237596).


3. Con riferimento ai primi due motivi (che possono essere trattati


congiuntamente per la loro connessione) deve anzitutto ricordarsi, in generale (e in disparte quanto rilevato infra sub 3.4) che, in tema di concorso nel reato di bancarotta preferenziale, il dolo dell'"extraneus" nel reato proprio dell'amministratore consiste nella volontarietà della propria condotta di sostegno a quella dell'"intraneus", con la consapevolezza che essa determina la preferenza nel soddisfacimento di uno dei creditori rispetto agli altri, non essendo, invece, richiesta la specifica conoscenza del dissesto della società (tra le altre: Sez. 5, n. 27141 del 27/03/2018, Rv. 273481-01). Deve aggiungersi che, su un piano generale, la fattispecie incriminatrice in oggetto non richiede una consapevolezza dello stato di insolvenza in senso tecnico né nell'agente, né, correlativamente, nel creditore favorito; invero, il fine preferenziale di quest'ultimo 'a danno dei creditori', presuppone che sia nota l'esistenza di una situazione patrimoniale in ragione del quale il soddisfacimento del destinatario del pagamento sia incompatibile con il rispetto della c.d. "ar condicio creditorum".


3.1. Orbene, la Corte del rinvio, al contrario di quanto sostenuto dal ricorrente, ha spiegato - con motivazione adeguata ed esente da vizi logici - le ragioni per le quali ha ritenuto Sc.An. responsabile del delitto di bancarotta preferenziale, desumendole da più elementi tra loro concordanti.


In particolare, è stato dato rilievo - oltre che alla sopra richiamata ricognizione di debito sottoscritta sia dal La.Gi. che dal Ca.Gi. - alle dichiarazioni rese, nell'interrogatorio di garanzia, dall'imputato, il quale aveva precisato di avere originariamente investito la propria liquidità presso il Castellacci, il quale dopo le richieste dello Sc.An. in ordine al relativo andamento, gli aveva fatto il nome di La.Gi. come la persona a cui doveva rivolgersi, incontrando le sue rimostranze avendo ricordato al Ca.Gi. che era stato lui ad avere garantito personalmente l'investimento, perché altrimenti non avrebbe affidato i propri soldi a persone a lui sconosciute.


3.2. Inoltre, la sentenza impugnata ha richiamato una missiva (presente nella documentazione del De.Li., mai disconosciuta dagli interessati e non contestata con l'impugnazione) inviata all'imputato con la quale veniva riconosciuta la responsabilità solidale del La.Gi. e del Castellacci per gli investimenti effettuati dallo Sc.An. nella EGP; al riguardo la Corte territoriale ha osservato, in modo non contraddittorio, che il relativo contenuto e gli effetti di natura giuridica non potevano sfuggire ad un esperto avvocato civilista quale l'odierno ricorrente, tenuto anche conto che nella più volte richiamata ricognizione di debito, la sottoscrizione del Ca.Gi. a titolo di ricevuta della ulteriore somma di Euro 150.000,00 era stata preceduta dalla frase "fermo restando quanto sopra" (vale a dire la ricognizione di debito sottoscritta da La.Gi.) implicava necessariamente la contitolarità anche in capo al Ca.Gi. di poteri e posizioni fattuali a conferma della comunanza di interessi tra i due soci di fatto.


3.3. La Corte di appello ha poi dato coerente rilievo a quanto dichiarato (secondo il racconto del Ba.Sa.) dallo Sc.An., in occasione di un incontro riguardante le iniziative che i creditori intendevano porre in essere a fronte della ormai pacifica insolvenza del La.Gi., secondo il quale se lui "doveva affondare" avrebbe trascinato 'tutti' a fondo a partire dal La.Gi., a conferma della sua conoscenza che il responsabile non era solo il predetto. Nell'ambito del procedimento penale a carico del La.Gi., poi, l'odierno ricorrente aveva confermato che il predetto gli era stato presentato dal Castellacci come soggetto in grado di consentire di ottenere il cd. "scudo fiscale" per il proprio patrimonio esterno e che il La.Gi., a sua volta, gli aveva presentato Ra.Ra. (altra socia di fatto) come responsabile della EGP, la quale (assieme al fratello An.) si era anche dichiarata disponibile a ricostruire i flussi finanziari della Dharma Holding in vista della costituzione di un comitato degli investitori e creditori.


In sostanza, secondo la Corte del rinvio, la ricorrente contiguità operativa tra La.Gi., Ca.Gi. ed i fratelli Ra. costituisce un ulteriore elemento a conferma della esistenza di un unico centro di interessi, nonostante la presenza delle diverse compagini societarie costituite dal La.Gi. per gestire l'attività di natura finanziaria, che non poteva sfuggire ad un soggetto dotato di conoscenze giuridiche come l'imputato.


3.4. Quanto poi alla conoscenza dello stato di insolvenza della società di fatto da parte dell'odierno ricorrente, essa è stata riconosciuta pacifica e trova, comunque, conferma nei suoi tentativi di rientrare degli investimenti da lui effettuati e nella conoscenza della presenza di numerosi altri creditori da soddisfare; la Corte di appello ha poi precisato che l'imputato (per la sua professione) era a conoscenza che l'attribuzione, da parte della Banca d'Italia, del codice ISIN agli strumenti finanziari riveste unicamente funzione di individuazione dello stesso strumento e che, pertanto, detto codice non garantiva i suoi investimenti.


3.5. La Corte del rinvio, infine, ha dato risalto, in modo non illogico, al silenzio serbato dallo Sc.An., nel corso delle s.i.t. sulla vicenda relativa al La.Gi., sull'acquisto del "leasehold", nonostante egli fosse stato sentito dagli investigatori il giorno prima della convocazione dell'assemblea della Bon Retir fissata proprio al fine della conclusione di detta operazione.


Pertanto, sulla base di tali elementi complessivamente valutati, l'acquisto in oggetto è stato considerato intenzionalmente concluso dallo Sc.An. e dal La.Gi. per garantire, in via prioritaria e privilegiata, il credito dell'odierno ricorrente con un bene personale del socio illimitatamente responsabile, che inevitabilmente sarebbe stato oggetto di esecuzione da parte della massa dei creditori poco dopo.


3.6. Ne consegue che i primi due motivi sono inammissibili in quanto con essi l'imputato - pur lamentando il vizio di motivazione - sollecita a questa Corte una differente valutazione degli elementi processuali, rispetto a quella coerentemente svolta dal giudice a quo per ritenere dimostrata la sua responsabilità per il delitto di bancarotta preferenziale nel rispetto delle indicazioni contenute nella sentenza rescindente.


4. Il terzo motivo è infondato; invero, stante l'accertata esistenza della società di fatto sopra indicata la parte civile vanta un credito nei confronti dei singoli soci illimitatamente responsabili e, quindi, anche del La.Gi. con la conseguenza che la bancarotta preferenziale per cui si procede ha causato un pregiudizio nei suoi riguardi avendo leso la "par condicio" tra i vari creditori. Va poi esclusa la dedotta assimilazione della condotta della parte civile a quella dell'imputato per due ragioni; anzitutto, il Ba.Sa. non ha ottenuto il pagamento degli assegni (al contrario dell'imputato che aveva ottenuto il trasferimento del "leasehold") e non risulta che egli, all'epoca, fosse a conoscenza della società di fatto a differenza di quanto accertato nei confronti del ricorrente.


5. Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali ai sensi dell'art. 616 cod. proc. pen.


P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.


Così deciso in Roma, il 24 gennaio 2025.


Depositata in Cancelleria il 7 febbraio 2025.

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