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Concussione: è induzione indebita se il privato intende procurarsi un possibile vantaggio


Corte di Cassazione

La massima

Integra il delitto di induzione indebita a dare o promettere utilità e non quello di concussione, la condotta del componente di un collegio giudicante che prospetti al ricorrente l'esito sfavorevole del giudizio in caso di mancato pagamento di una somma di danaro, in quanto quest'ultimo, aderendo alla richiesta, non intende evitare un danno, bensì procurarsi un possibile vantaggio e si pone, pertanto, in posizione paritaria rispetto al proponente. (In motivazione la Corte ha precisato che non è configurabile il reato di concussione anche in considerazione del fatto che, essendo la decisione collegiale e quindi non rimessa alla volontà del solo soggetto che prospetta l'esito sfavorevole, la minaccia è connotata da obiettiva incertezza circa l'effettivo verificarsi - Cassazione penale , sez. VI , 29/11/2018 , n. 12203).



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La sentenza integrale

Cassazione penale sez. VI, 29/11/2018, (ud. 29/11/2018, dep. 19/03/2019), n.12203

RITENUTO IN FATTO

1. La Corte di appello di Napoli con sentenza del 12 marzo 2018, ridotta la pena applicata in quella di sei anni di reclusione, ha nel resto confermato la sentenza del Tribunale di Nola che aveva condannato L.G. per il reato di concussione, commesso in concorso con L.L., giudicato separatamente con il rito abbreviato.


2. Per la vicenda ritenuta dai giudici di merito, L.L., nella veste di intermediario, giudice tributario in quiescenza, in concorso con L.G., facendo abuso della qualità di pubblico ufficiale da quest'ultimo rivestita quale Presidente di collegio della Commissione Tributaria Regionale di Napoli, presso la quale pendeva un giudizio relativo a due società cooperative, Torre Appalti Generali e Italstrutture, patrocinate dal commercialista Dott. A.N., prospettavano a quest'ultimo il rigetto del ricorso se non avesse pagato il 5% dell'importo contestato, in tal modo costringendo l'indicato patrocinatore a promettere, per conto delle ricorrenti, la somma di quindicimila Euro e quindi a versarne una parte, pari a tremila Euro, nelle sue mani.


3. Ricorre in cassazione nell'interesse dell'imputato ed avverso l'indicata sentenza il difensore di fiducia, con cinque motivi di annullamento.


4. Con il primo motivo la difesa deduce inosservanza di norme processuali stabilite a pena di nullità e contraddittorietà e/o manifesta illogicità della motivazione della sentenza di appello e chiede a questa Corte di legittimità di dichiarare la nullità del decreto di giudizio immediato e di tutti gli atti ad esso conseguenti, ai sensi dell'art. 185 c.p.p., comma 4, per violazione del diritto di difesa di cui all'art. 178 c.p.p., lett. c), in relazione all'art. 268 c.p.p., art. 446 c.p.p., comma 1, e art. 458 c.p.p., comma 1.


La difesa insiste, in via subordinata, per l'annullamento della sentenza impugnata con rinvio al giudice di primo grado, previa restituzione dell'impugnante nei termini per la formulazione di richieste di riti alternativi (ex art. 623 c.p.p., lett. b), art. 604 c.p.p., comma 4, e art. 458 c.p.p., comma 1).


4.1. A sostegno delle indicate richieste, la ricorrente difesa espone.


Il 20 maggio 2015 era stato notificato all'imputato il decreto di giudizio immediato ed il difensore dell'imputato aveva richiesto nei quindici giorni dalla notifica del decreto i nastri magnetici contenenti i colloqui intercettati durante le indagini, che non risultavano depositati tra gli atti consultati, per poter procedere al loro ascolto.


Solo in data 6 giugno 2016 la cancelleria sollecitava il P.m. alla trasmissione dei supporti che pervenivano il successivo 8 giugno quando era ormai spirato il termine per avanzare richiesta di riti alternativi (art. 456 c.p.p., comma 2, e art. 458 c.p.p.).


Il mancato ascolto di quelle conversazioni, e segnatamente le nn. 649 e 650 del 23 novembre 2015, che risultavano solo richiamate nell'informativa di polizia e che costituivano il nucleo essenziale dell'accusa, aveva impedito una ponderata ed adeguata scelta difensiva in ordine all'eventuale opportunità di definire il processo con un rito alternativo.


Sarebbero state illegittime le motivazioni di rigetto del Tribunale, che, disattendendo anche la richiesta di rimessione in termini per la proposizione del rito alternativo, evidenziava che le conversazioni erano state comunque trascritte, anche se parzialmente, nell'informativa di p.g. e che la difesa ben avrebbe potuto avanzare richiesta di abbreviato condizionato all'acquisizione del supporto fonico.


La Corte di appello, pur riconoscendo l'esistenza di una nullità di ordine generale per compressione del diritto di difesa a previsione costituzionale da mancato esercizio della facoltà di chiedere i riti alternativi, aveva, nel rigettare l'eccezione difensiva, erroneamente rimarcato invece il difetto di una tempestiva istanza difensiva prima del decorso dei quindici giorni e tanto là dove invece siffatta richiesta, relativa a n. 4 supporti magnetici e datata 1 giugno 2016, era presente agli atti per essere stata acquisita dal tribunale all'udienza dibattimentale del 27 ottobre 2016.


3.2. Con il secondo motivo si fa valere il vizio di motivazione e la violazione di norme processuali in ordine alla ritenuta penale responsabilità oltre al travisamento delle prove dichiarative e documentali e del contenuto delle conversazioni oggetto di trascrizione peritale.


La Corte di appello, nella parte iniziale della motivazione, aveva attribuito rilievo al dato storico dell'intervenuta condanna di L.L. con sentenza che era però non ancora irrevocabile, e quindi non utilizzabile ex art. 238 bis c.p.p., al fine di rimarcare la non valutabilità della dichiarazione spontanea resa nel separato processo dal primo che aveva ammesso le sue responsabilità per poi avvalersi nel presente della facoltà di non rispondere, così sottraendosi al contraddittorio.


Per l'indicato passaggio, la Corte avvalendosi di elementi di prova non utilizzabili avrebbe espresso la propria intima convinzione circa la responsabilità dell'imputato.


I giudici di appello avrebbero altresì mancato di fare corretta applicazione delle regole di valutazione della prova logica ex art. 192 c.p.p., comma 2, non fornendo risposte puntuali alle deduzioni difensive.


La difesa aveva prospettato, nella natura indiziaria del processo, la necessità di un rigoroso vaglio delle prove acquisite per verificarne la compatibilità con le fattispecie di reato, contigue ed alternative, del millantato credito (art. 346 c.p.), del traffico di influenze illecite da ascriversi a L.L. (art. 346 bis c.p.) o di cui agli artt. 319 quater, 319 o 319 ter c.p..


Con riferimento alle dichiarazioni della parte civile, A.N., la Corte di merito non aveva dato conto delle ragioni per le quali aveva ritenuto provato il coinvolgimento di L.G. per una trattativa che era intercorsa tra il primo e L.L..


La Corte avrebbe travisato il contenuto del colloquio del 27 ottobre 2015 ritenendo, con il riprendere in modo acritico l'interpretazione che delle parole di L.L. aveva dato A., che il riferimento alla persona del Presidente L. dovesse intendersi come una velata ammissione e tanto là dove, invece, L.L. non confermando la supposizione dell'offeso, aveva precisato immediatamente: "Io (n. d.r.) mi chiamo L.".


In ogni caso anche a voler accedere a quanto viene ad essere indicato in ricorso quale personale intuizione di A., ben avrebbe potuto trattarsi di un espediente utilizzato da L.L. che, approfittando dell'omonimia, avrebbe lasciato credere al suo interlocutore che la sua intuizione fosse corretta.


Nel corso del colloquio, poco prima, A. aveva manifestato riserve sul giudice a latere, C., presente all'udienza del 20 ottobre 2015, in cui erano state discusse le cause dal primo patrocinate, esprimendo il proprio dissenso ad una proposta di accordo con lo stesso, per poi dichiarare il proprio gradimento verso il presidente L. a garanzia dell'affare ("se è L. mi sta bene... non ho problemi. Il dottor L. mi conosce bene").


I giudici di appello sarebbero incorsi in un ulteriore travisamento della conversazione ambientale del successivo 26 novembre 2015 omettendo di dare rilievo ai dubbi manifestati da A. fino all'arresto di L.L. sull'identità del suo concorrente morale.


La motivazione sarebbe stata inoltre manifestamente illogica nella parte in cui aveva ritenuto desumibile il coinvolgimento di L.G. da una non spiegabile conoscenza della procedura da parte di un soggetto estraneo alla stessa - e tale era L.L. - non solo perchè informato dell'oggetto, anche per l'appello incidentale, e del diverbio insorto in aula con il componente a latere della commissione tributaria, ma anche perchè in possesso dell'atto introduttivo dell'impugnazione con tanto di timbro della commissione, mostrato nel corso del colloquio con A..


Sul punto sarebbe stata ancora travisata la conversazione del 27 ottobre 2015 da cui sarebbe emerso come fosse stato A. a rendere edotto dei fatti di causa L.L., mostrando quest'ultimo di avere una conoscenza imprecisa del diverbio insorto in udienza e per lui attribuibile ad una esternazione del relatore e non dell'altro giudice a latere.


La Corte non avrebbe spiegato poi perchè l'atto introduttivo mostrato nel corso della conversazione sarebbe stato fornito da L.G. a L.L..


La relatrice, Dott.ssa F., all'udienza del 12 gennaio 2017 aveva dichiarato di aver preso con sè un fascicolo ignara del fatto che quelli relativi alla causa patrocinata da A. fossero tre e, quindi, non avendo la prima, di contro a quanto ritenuto dalla Corte di appello, portato con sè l'intero incartamento, non si sarebbe potuto escludere che una copia del ricorso introduttivo e della memoria difensiva potessero essere rimaste in cancelleria a disposizione di chiunque.


La Corte territoriale, con pedissequo rinvio alle motivazioni della sentenza di primo grado, aveva evidenziato i ripetuti colloqui telefonici intercorsi tra l'imputato e L.L. che si sarebbero intensificati nel periodo dell'illecita trattativa, senza tenere conto dei rilievi difensivi sull'esistenza di un rapporto lecito di colleganza, pure riconosciuto dal tribunale, mai negato da L.G. che aveva riferito di un coinvolgimento di L.L. in un'operazione commerciale intrapresa dal primo con corrispondenti francesi.


I giudici di appello avrebbero devalutato la carenza di contatti tra i due imputati nel periodo dal 28 ottobre al 6 novembre 2015 in cui sarebbe rientrata la pretesa conclusione dell'accordo anche quanto alla tempistica relativa al versamento della tangente e, ancora, quanto all'incontro del 22 novembre 2015 tra i due L. si era in modo immotivato attribuito rilievo al possesso da parte di L.L. della memoria difensiva depositata il 20 ottobre da A..


Che fosse stato L.L. a mostrare l'atto a L.G. avrebbe dimostrato che non era vero quanto sostenuto in sentenza sul fatto che un mese prima l'imputato avrebbe provveduto lui a dare a L.L. una copia del ricorso che poi questi avrebbe mostrato ad A., dimostrando invece che il secondo l'atto se lo sarebbe procurato autonomamente.


La motivazione resa dalla Corte di appello che gli atti di causa forniti da L.G. sarebbero stati due, il primo consistente nell'atto di appello utilizzato per il primo approccio con il denunziante ed il secondo, la memoria difensiva, per definire la trattativa concussiva, sarebbe stata manifestamente illogica non tenendo conto, neppure, che la trattativa si era definita in occasione dell'incontro tra L.L. e A. il 4 novembre 2015.


Deduce pertanto la difesa come solo all'incontro del 22 novembre 2015, per la prima volta, L.L. aveva interessato il Presidente L.G. della causa di A., non avendo altrimenti alcun senso il mostrare l'atto di un procedimento a colui che si assumeva averglielo fornito un mese prima. Non sarebbe stata teorica l'ipotesi che in quell'occasione L.G. si fosse schermito spiegando all'interlocutore il carattere collegiale della decisione; siffatta evidenza sarebbe stata sostenuta infatti dall'incertezza ancora mostrata da L.L. ad A. sul buon esito della causa fino a poco prima di essere arrestato.


La Corte di appello, e prima ancora il Tribunale, con motivazione contraddittoria e carente, avevano escluso la fondatezza dell'ipotesi alternativa della difesa sul carattere di mera raccomandazione della conversazione del 22 novembre 2015. Si era valorizzata infatti la vicinanza cronologica delle conversazioni telefoniche del successivo 23 novembre (n. 649 e n. 650 rispettivamente intercorse alle ore 19,24 ed alle ore 19,29) senza apprezzare quanto dedotto nell'atto di appello e cioè che il tenore della seconda, intercorsa tra i due L., dimostrava in modo inequivoco che i due si stavano riferendo alla trattativa con i francesi.


La frase "siamo ancora in tempo" avrebbe dovuto aver riguardo alla trattativa con i francesi e non alle sorti della causa non risultando verosimile che i due nel parlare della causa non si fossero soffermati sui tempi della decisione per valutare la fattività dell'operazione concussiva.


Sempre in alternativa ricostruzione dei contenuti del colloquio del 23 novembre in cui si faceva riferimento all'esistenza di documenti, la Corte avrebbe travisato la prova dichiarativa con l'escludere l'esistenza di documentazione nell'affare con i francesi di contro a quanto dichiarato al teste D., che in corso di escussione aveva appunto riferito di una documentazione che L.L. doveva dare.


La Corte di appello di contro a quanto evidenziato dalla difesa non aveva rilevato che la documentazione oggetto della conversazione del 23 novembre, la n. 650, tra i due L., relativa ad "una parte" non fosse quella a cui aveva fatto riferimento nella successiva telefonata del 24 novembre 2015, n. 784, nel parlare con L.L., A. che si dichiarava pronto a consegnare "tutti i documenti".


L'argomento utilizzato dalla Corte di appello che la prova del concorso di L.G. sarebbe stata rafforzata dal comportamento tenuto dopo l'arresto in flagranza di L.L. sarebbe stato manifestamente illogico là dove si era escluso che l'imputato dovesse preoccuparsi a tal punto "da perdere letteralmente la testa" ove quella ricevuta fosse stata una banale richiesta di raccomandazione. Lo stato d'animo dell'imputato sarebbe stato invece comprensibile per essere stato egli avvicinato non per una banale richiesta di raccomandazione, ma per una sua intercessione all'interno della commissione tributaria da lui presieduta.


La Corte territoriale avrebbe ritenuto in modo manifestamente illogico la restituzione del fascicolo alla cancelleria dopo l'arresto di L.L. da parte di L.G., sulla base delle dichiarazioni rese dal cancelliere Z. che aveva invece riferito di una "presumibile" restituzione il venerdì 27 novembre 2011, e tanto per avere egli rinvenuto detto fascicolo sulla sua scrivania il successivo lunedì 30 novembre.


La dichiarazione dell'imputato resa in occasione dell'interrogatorio di garanzia di avere rilasciato il fascicolo sulla scrivania del cancelliere in quanto non confermata in sede di esame dibattimentale, oggetto di lettura-contestazione, avrebbe dovuto utilizzarsi al solo fine di valutare la credibilità della fonte e non per ritenere confermata la circostanza, come invece fatto dai giudici di appello.


Il commesso addetto allo smistamento dei fascicoli tra le cancellerie aveva collocato la restituzione tra il 23 ed il 25 novembre, ma la Corte di appello aveva, in modo immotivato, ritenuto generica la dichiarazione.


La motivazione sarebbe stata del tutto carente poi nell'apprezzare l'incongruità del comportamento osservato dall'imputato che non si sarebbe consultato con gli altri componenti del collegio in ordine allo scioglimento della riserva.


La difesa aveva chiarito che l'imputato nell'indicato adempimento avrebbe, secondo prassi consolidata e per velocizzare l'iter della procedura, sostanzialmente "ratificato" quanto già deciso dal collegio, in cui relatore e giudice a latere già all'esito dell'udienza erano pronti a rigettare gli appelli, principale ed incidentale.


La Corte di merito sarebbe incorsa in travisamento della prova per invenzione là dove aveva ritenuto che L.G. avesse rifiutato di firmare il verbale di presa in carico dell'incartamento a fronte della contraria affermazione resa dal cancelliere.


3.3. Con il terzo motivo si denuncia l'inosservanza o erronea applicazione della legge penale in relazione al reato di cui all'art. 317 c.p., e vizio di motivazione per le sintomatiche figure di legge sulla qualificazione giuridica del fatto.


La motivazione resa sulla qualificazione del fatto sarebbe stata apparente in quanto meramente riproduttiva di quella del tribunale.


La difesa aveva segnalato nell'atto di appello che la trattativa intercorsa tra L.L. e A.N., priva del carattere concessivo, avrebbe dovuto ascriversi invece alla fattispecie di cui all'art. 319 quater c.p.p., secondo gli approdi raggiunti dalla Corte di legittimità nella sentenza a Sezioni Unite Maldera.


Dalla conversazione del 27 ottobre 2015 non sarebbe emerso un comportamento "costrittivo" da parte di L.L. che si era limitato a formulare una proposta liberamente accettata da A. perchè a lui gradita, come dallo stesso riferito durante l'esame dibattimentale.


La Corte reiterando la motivazione del giudice di primo grado ed omettendo di valutare le censure difensive svolte nel grado sarebbe altresì incorsa nel travisamento dei contenuti della conversazione del 27 ottobre.


La riqualificazione nella fattispecie di cui all'art. 319 quater c.p., avrebbe comportato la necessità di ascolto di A. con le garanzie del concorrente nel reato ex art. 319 quater c.p., comma 2, e quindi l'inutilizzabilità delle dichiarazioni da lui rese, oltre al diverso regime di valutazione sancito dall'art. 192 c.p.p., comma 3.


3.4. Con il quarto motivo si denuncia il vizio di motivazione e la violazione di legge in cui sarebbe incorsa la Corte di appello di Napoli in ordine ai criteri per determinare la pena ed al diniego delle attenuanti generiche.


3.5. Con il quinto motivo di ricorso si deduce il vizio di motivazione in ordine alle statuizioni civili. La Corte di appello si era limitata ad affermare che non appariva censurabile la decisione di primo grado e ciò nonostante fosse stata sollevata in appello la contraddittorietà della prima sentenza che dopo aver rilevato la mancanza di elementi per quantificare il danno aveva poi fissato lo stesso per un rilevante importo.


CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il primo motivo di ricorso è infondato.


L'intervenuta tardiva conoscenza da parte della difesa dell'imputato, per causa alla stessa non imputabile, dei contenuti di supporti magnetici relativi a due conversazioni intercettate - il cui difetto del fascicolo trasmesso dal P.m. alla cancelleria del G.i.p. con la richiesta di giudizio immediato ex art. 454 c.p.p., comma 2, avrebbe impedito, nel loro mancato ascolto, l'apprestamento di una ponderata ed adeguata scelta difensiva anche in ordine all'opportunità di definire il processo all'esito di giudizio abbreviato - non integra una nullità ex art. 178 c.p.p., comma 1, lett. c), per lesione del diritto di difesa.


L'infruttuoso decorso del termine di cui all'art. 456 c.p.p., comma 2, e art. 458 c.p.p., per causa non imputabile al patrocinatore dell'imputato non preclude allo stesso l'accesso ai riti alternativi ben potendo egli formulare al giudice, in esito alla sofferta situazione in fatto verificatasi, istanza di rimessione in termini.


Non avendo la difesa curato un siffatto adempimento, la censura è non fondatamente proposta in questa sede.


2. I motivi secondo e terzo si prestano a congiunta trattazione, contestandosi per gli stessi vizi dell'impugnata sentenza in punto di governo della prova e del correlato giudizio di penale responsabilità dell'imputato, nella dedotta non corretta qualificazione del fatto reato per mancanza di un puntuale e completo scrutinio della cornice di prova che, ove in siffatti termini condotto, avrebbe dovuto determinare i giudici di appello ad ascrivere la fattispecie contestata a differenti e contigue ipotesi di reato quali quelle definite dagli artt. 319 quater, 346 e 346 bis c.p..


I motivi sono, entrambi, non fondati, e restano negli esiti della loro complessiva valutazione in questa sede accomunati da una diversa qualificazione dei fatti ascritti che per un corretto e mancato, nelle conclusioni di merito, giudizio vanno diversamente ricondotti al reato di cui all'art. 319 quater c.p., nei termini di seguito precisati.


2.1. Nella valutazione degli indicati motivi, viene innanzitutto in considerazione il vizio del travisamento della prova da apprezzarsi, come tale, nei suoi esiti negativamente in ragione di un apprezzamento del dato indiziario che risulta operato in appello in modo convergente e sovrapponibile al giudizio sul punto espresso dal Tribunale di Nola.


Per affermazione di principio operata da questa Corte di legittimità dalla quale, nella sua persuasiva portata, non si ha ragione di discostarsi, il vizio di travisamento della prova può essere dedotto con il ricorso per cassazione, nel caso di cosiddetta "doppia conforme", sia nell'ipotesi in cui il giudice di appello, per rispondere alle critiche contenute nei motivi di gravame, abbia richiamato dati probatori non esaminati dal primo giudice, sia quando entrambi i giudici del merito siano incorsi nel medesimo travisamento delle risultanze probatorie acquisite in forma di tale macroscopica o manifesta evidenza da imporre, in termini inequivocabili, il riscontro della non corrispondenza delle motivazioni di entrambe le sentenze di merito rispetto al compendio probatorio acquisito nel contraddittorio delle parti (Sez. 2, n. 5336 del 09/01/2018, L., Rv. 272018).


Nessuna della richiamate ipotesi si riscontra nella fattispecie in esame, urtando con il disallineamento delle motivazioni adottate dai giudici di merito - estremo necessario ad integrare l'indicato vizio - l'analitico argomentare della sentenza di appello ed il suo raccordarsi, per strette rime, con la motivazione di primo grado.


Nella scrutinata prova rinvengono univoca e concordante composizione, nel formulato giudizio di colpevolezza dell'imputato, dati fattuali stretti in un unico raccordo logico debitamente svolto in sentenza per i singoli momenti di composizione.


La conversazione del 27 ottobre 2015 tra L.L. ed il commercialista A., vittima della contestata concussione, la cui ambigua declinazione, connotata dalla reticenza dal primo manifestata nel far nomi insieme alla frase "Io mi chiamo L.", permea quindi, nelle raggiunte conclusioni dei giudici di appello, ogni successivo suo trascinarsi segnato, nel sottolineato gioco dell'omonimia dei cognomi del colloquiante, L.L., e del Presidente della Commissione tributaria, dal velato richiamo alla persona di L.G..


La ricostruita esibizione della memoria difensiva depositata alla udienza del 20 ottobre 2015 dal commercialista A., ed a cui non aveva accesso nessuno, da parte di L.L. a L.G., nell'ingrandimento dei rilievi fotografici eseguiti nel corso di un servizio di osservazione e controllo di polizia sull'incontro intervenuto tra i primi in un parco cittadino il 22 novembre 2015.


I contatti telefonici intercorsi il giorno 23 novembre 2015 ed il loro reciproco e stretto raccordarsi tra L.L. e A. e quindi tra il primo e L.G., per un linguaggio criptico in cui il termine "documenti", indicati nei colloqui come quelli che A. darà a L. e di cui quest'ultimo riferisce a G. sottolineandone la "non completezza", viene dalla Corte di appello riferito ai "soldi", evidenza la cui obiettiva consistenza riceve riscontro, nel ragionamento svolto dai giudici di appello, quando il giorno dell'arresto di L.L., il 26 novembre, A. si presenterà con soli tre mila Euro sulla maggior somma pretesa (pp. 15 e ss. sentenza della Corte di appello e p. 17 sentenza del Tribunale).


Rientra ancora a definizione del quadro di colpevolezza la condotta tenuta da L.G. successivamente all'arresto di L.L., efficacemente descritta nell'impugnata sentenza come quella di colui che si trova a "perdere la testa".


Tra le altre evidenziate anomalie, di siffatta condotta viene attribuito valore alla circostanza che l'imputato si presenti presso gli uffici della Commissione tributaria il 1 dicembre 2015, per discutere con gli altri componenti del collegio non preavvertiti, e quindi non preparati - come dichiarato per sè dal giudice relatore F., sentito in dibattimento, e di contro ai precedenti diversi raggiunti accordi - la causa di A., riservata in decisione il precedente 20 ottobre 2015, arrivi con un dispositivo di rigetto già scritto che egli vuole firmare senza discutere con gli altri, al fine di "formalizzare" la decisione, desistendo da un siffatto proposito dopo aver appreso dal cancelliere che egli sta, in realtà, firmando la mera fotocopia del verbale di udienza, essendo stato il fascicolo sequestrato dalla procura di Nola.


Il tutto univocamente inteso per l'argomento - ritenuto espressivo di un quid plerumque accidit che si lascia apprezzare come rispondente a ragionevole regola dell'organizzazione del lavoro giudiziario e come tale non priva di una pur minima plausibilità, nei termini di scrutinabilità in cassazione delle massime di esperienza (arg. ex Sez. 1, n. 18118 del 11/02/2014, Marturana, Rv. 261992-01) -, dell'estraneità ad ogni prassi che ad abbozzare il dispositivo sia il presidente e non il relatore, senza consultare gli altri componenti del collegio, uno dei quali, per l'appunto, nella veste di relatore.


La condotta, debitamente segnalata in sentenza nella sua irragionevolezza non resta vinta, per il formulato giudizio, dalla lettura alternativa fornita dalla difesa, che vorrebbe l'imputato preoccupato per l'arresto di L. dopo essere stato destinatario di una sua richiesta di raccomandazione sulla causa, relegata, con ragionamento concludente della Corte di merito, che non si presta a censura di illegittimità per manifesta illogicità o contraddittorietà, ad irrilevanza e non conducenza.


L'alternativa versione difensiva sulla riferibilità dei contatti tra i due L. ad un affare, lecito, relativo all'acquisto da parte di clienti francesi di sportelli bancari in Italia, viene scrutinata e disattesa con consecuzione logica dai giudici di appello per un'apprezzata sua debolezza dimostrativa incapace di attaccare la tenuta logica del più articolato giudizio di merito esito dei singoli scrutinati episodi di composizione della prova, a fronte del quale ogni sindacato di questa Corte di legittimità è destinato ad arrestarsi in difetto di manifeste illogicità, di basi meramente congetturali prive di riferimenti individualizzanti o comunque sostenute da riferimenti palesemente inadeguati.


2.2. Per il terzo motivo di ricorso viene in considerazione la questione della qualificazione delle condotte ascritte.


Ritiene il Collegio che la sentenza impugnata debba essere annullata con riferimento alla ritenuta qualificazione concussiva della condotta accertata e tanto avuto riguardo all'oggetto alla pretesa.


Non soccorre nella fattispecie in esame il reato di cui all'art. 317 c.p., nel testo modificato dalla L. n. 190 del 2012, neppure per la ritenuta, nell'impugnata sentenza, l'ipotesi dell'abuso costrittivo del pubblico agente integrato da violenza o minaccia, esplicita o implicita, di un danno contra ius da cui deriva una grave limitazione della libertà di autodeterminazione del destinatario che, senza alcun vantaggio indebito per sè, viene posto di fronte all'alternativa di subire un danno o di evitarlo con la dazione o la promessa di una utilità indebita e quindi viene condotto all'azione dalla volontà di de damno vitando (in termini, tra le altre: Sez. 6, n. 9429 del 02/03/2016, Gaeta, Rv. 267277).


Depone in tal senso la natura della prestazione da rendersi dal pubblico ufficiale e segnatamente l'evidenza, consegnata al naturale atteggiarsi dell'attività giurisdizionale, e dei suoi esiti, per il quale la vittoria di un giudizio per sentenza favorevole è fatto incerto là dove la sua definizione consegua all'attività di un giudice collegiale ed il concussore si identifichi in uno solo dei suoi componenti.


Per gli indicati contenuti la volontà deviata di uno dei componenti dell'organo collegiale, anche ove questi rivesta la posizione di Presidente, non vale a segnare con certezza il risultato favorevole per il soggetto preteso concusso.


La decisione, infatti, governata negli esiti dal principio della maggioranza attribuisce al Presidente del collegio una forza che è equivalente a quella riconosciuta ad un qualsiasi suo altro componente.


La persona quindi che in adesione a proposta venuta da uno dei componenti del collegio giudicante, o per lui da un esterno intermediario, si determini a versare del denaro in vista del risultato a sè favorevole del giudizio, nella incertezza propria degli esiti di quest'ultimo e quindi dell'oggetto dell'intervenuto mercimonio, non può qualificarsi quale soggetto concusso, ma quale partecipe di una trattativa per induzione ai sensi dell'art. 319 quater c.p., connotata dalla posizione paritaria delle parti.


Colui che si determini a pagare in ragione di una trattativa che abbia ad oggetto l'esito favorevole di un giudizio non vuole evitare un danno che insieme all'esito favorevole non è certo nella sua oggettività, restando anche un siffatto evento definito dalle logiche incerte della camera di consiglio ove essa investa l'operatività di un organo collegiale.


Egli intende piuttosto costruire per sè una chance di successo che, se pure suscettibile di stima economica, o di un prezzo, non lo pone però in posizione di soggezione rispetto a chi faccia richiesta del denaro per la prestazione, ma gli attribuisce, invece, nella incertezza degli esiti, da declinarsi sia in positivo che in negativo, una posizione paritaria rispetto al proponente che lo accosta a colui che intenda per la prestazione resa conseguire un lucro, per una trattativa paritaria esito di induzione indebita ex art. 319 quater c.p..


La natura stessa della prestazione finale, che resta connotata da obiettiva incertezza ove l'organo giudicante sia a composizione collegiale, rende per ciò stesso equiordinate le posizioni di chi richieda la prestazione per incidere sulla decisione giurisdizionale minacciata come di sfavore ove non intervenga il pagamento e di chi della prima corrisponda il prezzo volendo quest'ultimo comunque, nella bidirezionale incertezza della prestazione finale, come tale non soggiogabile negli esiti al pagamento di una remunerazione, conseguire un vantaggio e non evitare un danno.


A., raggiunto dalla proposta, non incorre d'altra parte nella corruzione per induzione indebita nei termini di cui all'art. 319 quater c.p., comma 2, perchè egli non ne realizza la condotta tipica, dalla quale resta fuori interessando della vicenda, da subito, la p.g..


Dopo aver registrato la prima conversazione avuta con L.L. il 27 ottobre 2015 presso il bar (OMISSIS), A.N. denuncia i fatti già il successivo 2 novembre 2015 e da quel momento ogni suo successivo incontro o contatto telefonico con L.L. viene monitorato dalla polizia.


L'accordo si palesa, pertanto, per le inequivoche condotte assunte dall'indotto nell'immediatezza del suo contatto con il corruttore, come mancato, e tanto anche nei suoi contenuti di massima (arg. ex Sez. 6, n. 13048 del 25/02/2013, Ferrieri Caputi, Rv. 255605-01, in una fattispecie di corruzione in atti giudiziari), ferma la penale rilevanza della condotta assunta dall'intermediario.


3. La sentenza impugnata va pertanto annullata limitatamente alla ritenuta configurabilità della concussione e, riqualificato il fatto nel reato previsto dall'art. 319 quater c.p., il giudizio va rinviato ad altra sezione della Corte d'appello di Napoli per la sola rideterminazione della pena, nella premessa ratio del difetto di ogni automatismo - su cui pure questa Corte di legittimità avrebbe potuto inserire, ai sensi dell'art. 622 c.p.p., lett. l), una propria decisione di annullamento senza rinvio - tra il "minimo" della pena per la concussione di cui all'art. 317 c.p., nella specie applicata dai giudici di appello, ed il "minimo" del diverso reato di induzione indebita di cui all'art. 319 quater c.p..


Accompagnandosi all'operata riqualificazione del fatto una valutazione di minore gravità del fatto vi è invero spazio perchè il giudice di appello si pronunci, ancora, nella discrezionalità sua propria, sulla eventuale concedibilità delle attenuanti generiche, in quanto denegate nell'impugnata sentenza proprio in ragione dell'indicata gravità.


Su quest'ultima evidenza resta altresì assorbito l'ulteriore motivo di ricorso, il quinto, sulla quantificazione equitativa del danno in quanto argomentata, anch'essa, in sentenza dalla gravità delle ritenute condotte.


Nel resto, visto l'art. 624 c.p.p., va dichiarata l'irrevocabilità della sentenza con riferimento all'accertamento della responsabilità di L.G..


Il giudizio prosegue anche nei confronti della parte civile ed alla sua pretesa di liquidazione delle spese che, anche per questa fase, vanno rimesse al giudice del rinvio.


P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata limitatamente alla ritenuta configurabilità della concussione e, riqualificato il fatto nel reato previsto dall'art. 319 quater c.p., rinvia ad altra sezione della Corte d'appello di Napoli per la sola rideterminazione della pena.


Rigetta nel resto il ricorso.


Visto l'art. 624 c.p.p., dichiara l'irrevocabilità della sentenza con riferimento all'accertamento della responsabilità di L.G..


Così deciso in Roma, il 29 novembre 2018.


Depositato in Cancelleria il 19 marzo 2019



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