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Effetti della nomina dei liquidatori: responsabilità penale degli amministratori fino all'iscrizione nel registro delle imprese (Corte appello Cagliari n. 1191/23)


Bancarotta fraudolenta

1. La massima

Nel caso di scioglimento e liquidazione di una società di capitali, la nomina dei liquidatori produce effetti dal momento in cui è stata iscritta nel registro delle imprese. Gli amministratori della società, fatta salva l'ipotesi in cui abbiano presentato le dimissioni in precedenza, rispondono penalmente delle condotte poste in essere fino a tale momento.

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2. La sentenza integrale

Corte appello Cagliari sez. I, 26/10/2023, (ud. 26/10/2023, dep. 26/10/2023), n.1191

Svolgimento del processo

LA SENTENZA IMPUGNATA

I fatti oggetto del processo - istruito mediante prova testimoniale e produzioni documentali - possono essere sintetizzati nei termini che seguono.

Gi.Ch. è stato rinviato a giudizio per rispondere delle accuse di avere, in qualità di amministratore unico dal 24 maggio al 14 luglio 2007 della società (…) S.r.l., avente a oggetto sociale l'installazione e la manutenzione di impianti elettrici industriali, dichiarata fallita con sentenza in data 16 febbraio 2011:

A) Dissipato i beni sociali, concedendo in affitto a tale società CO. S.r.l., verso un canone mensile di 500,00 euro, tutte le attrezzature necessarie per l'esercizio dell'attività d'impresa;

B) Sottratto i libri e le scritture contabili della società, al fine di procurarsi un ingiusto profitto o di recare pregiudizio ai creditori;

C) Causato dolosamente il dissesto della società stessa, attraverso l'abbandono delle commesse, il licenziamento dei dipendenti e la dissipazione di cui al capo A).

Il Tribunale ritiene in primo luogo che siano rimasti provati tutti gli estremi oggettivi e soggettivi della contestata dissipazione.

Difatti, è rimasto documentalmente provato che, nell'arco di tempo dal 24 maggio al 14 luglio del 2007:

1) La società (…) versasse in situazione d'insolvenza, resa manifesta dallo stato d'agitazione delle maestranze, che protestavano per il mancato pagamento dei salari; dagli ingenti debiti insoluti accumulati verso l'erario e gli istituti previdenziali e dalla revoca degli affidamenti bancari (v. le dichiarazioni dello stesso Ch., trascritte nel verbale dell'assemblea tenuta il 24 maggio 2007);

2) L'imputato rivestisse la carica di amministratore unico della società (v., ancora, il suddetto verbale, nonché quello dell'assemblea in data 14 luglio 2007);

3) Egli avesse:

- Avviato le procedure di licenziamento collettivo del personale dipendente, "data l'urgenza di provvedimenti risolutivi che precludono persino la stessa continuità dell'azienda" (v. la missiva a sua firma in data 30 maggio 2007);

- Affittato alla società CO. S.r.l. tutte le attrezzature (utensili e veicoli) indispensabili per l'esercizio dell'attività d'impresa verso un canone di euro 500,00 mensili (v. contratto in data 4 giugno 2007);

-Proposto alla società finanziaria con la quale aveva in corso i contratti di leasing, conclusi per la fornitura di parte dei beni aziendali, di trasferire i contratti stessi alla predetta CO. (v. missiva in data 27 giugno 2007);

- Ceduto a quest'ultima le commesse che aveva in corso (v., ancora, la missiva da ultimo richiamata).

Riassumendo: nella situazione di impossibilità, per la (…), di adempiere con normali mezzi di pagamento le proprie obbligazioni, Ch., nella veste di suo amministratore unico, aveva deciso di risolvere i rapporti di lavoro con la manodopera; aveva dato in affitto i beni aziendali; aveva ceduto le commesse; promosso una trattativa con la società finanziaria per organizzare la cessione dei contratti di leasing e, insomma, aveva, di fatto, reso incapace la (…) di proseguire l'attività sociale, così segnandone irreversibilmente il destino, e, soprattutto, aveva gravemente leso gli interessi dei creditori, i quali, all'atto del fallimento, infatti puntualmente sopraggiunto, non avrebbero potuto contare su quelle garanzie patrimoniali che egli, disattendendo il dovere giuridico di conservazione su di lui incombente, aveva invece ben pensato di disperdere, con la consapevolezza che la sua condotta avrebbe, per usare le parole di autorevole dottrina, "fatto sfuggire i beni sociali all'esecuzione concorsuale" e "leso l'ordinato svolgimento della procedura concorsuale".

E, invero, come risulta dallo stato passivo definitivo, l'importo dei crediti ammessi aveva raggiunto quasi il milione di euro (senza contare due avvisi d'accertamento emessi dall'Agenzia delle Entrate per circa un altro milione di euro), di fronte a un attivo di appena 1.750,00 euro (v. la ex art. 331. f.; cfr., altresì, la testimonianza resa dal curatore, il quale ha precisato che "l'attrezzatura locata non è stata rinvenuta").

Nè, in contrario, varrebbe obiettare che, secondo quanto ha riferito al dibattimento il testimone Sa.Ci., "i mezzi, gli strumenti locati alla CO. erano tutta roba ormai da buttare i mezzi erano distrutti", atteso che:

- Il teste, quale fratello dell'amministratore della CO., non può certo essere considerato pienamente attendibile, essendo portatore di un preciso interesse a ridimensionare la gravità del fatto, atteso che di esso il congiunto potrebbe essere chiamato a rispondere in sede civile e penale;

- Le attrezzature e i veicoli erano destinati alla concreta prosecuzione delle commesse, erano oggetto di contratti di leasing in corso ed erano stati ceduti verso un canone mensile, per cui è del tutto inverosimile che fossero privi di valore commerciale e funzionale;

- Comunque sia, la stima dei beni della fallita e la scelta della loro destinazione spettava esclusivamente alla curatela, onde la dissipazione dei beni stessi a opera dell'amministratore aveva per ciò solo determinato un vulnus alla regolarità della procedura concorsuale; leso gli interessi dei creditori e, perciò, aveva configurato gli estremi del delitto di bancarotta per cui si procede.

Per meglio apprezzare la consistenza del dolo in capo all'imputato, il Tribunale osserva ulteriormente che egli, come si apprende dalla relazione del curatore, aveva costituito la società (…) col chiaro obiettivo di farla subentrare in tutti i principali rapporti giuridici intrattenuti dalla società (…) S.r.l., la quale, essendo in stato di decozione, non era ormai più in grado di proseguire l'attività ed era prossima al fallimento, che, per l'appunto, sarebbe stato dichiarato di lì a poco.

Nel volgere di un breve lasso di tempo, invero, la (…) aveva assunto il personale specializzato che la (…) aveva messo in mobilità; era succeduta nei contratti di leasing e d'appalto che quest'ultima aveva in corso e, per completare l'opera, aveva acquistato dalla curatela, con moneta fallimentare, le sue attrezzature tecniche.

Abbandonando al loro destino la (…) e, soprattutto, i suoi creditori rimasti estranei alle operazioni suddette.

Esattamente come è successivamente accaduto, sempre a iniziativa di Ch., nei rapporti tra la CO. e la (…), dei quali in questa sede ci si occupa.

La CO., infatti, ha "ereditato" dalla (…) ormai in dissesto, tutti i fattori di produzione utilizzabili per la prosecuzione degli appalti in fase d'esecuzione, mentre la stessa (…), deprivata di ogni mezzo, è stata votata al fallimento, col suo carico di debiti milionari che sono rimasti insoddisfatti per mancanza di attivo.

Per tali ragioni, secondo il Tribunale, ricorrendo tutti i requisiti di legge, Ch. deve essere dichiarato colpevole del reato ascrittogli al capo A).

In esso deve ritenersi assorbito il delitto di cui al capo C): in fatto, perchè, a ben guardare, lo stato di dissesto preesisteva alla condotta di dissipazione e, in diritto, perché il reato di cui all'art. 223, secondo comma, n. 2, della I. fall., non si risolve nei singoli episodi di distrazione, occultamento, dissimulazione e via di seguito, ma postula, come indica l'impiego del termine "operazioni", una condotta - non ravvisabile nella vicenda in esame - di maggior complessità strutturale, cioè una pluralità di atti coordinati tra loro, aventi come finalità la creazione dello stato d'insolvenza (cfr. Cass., 25 settembre 2014, Pr. e altri).

All'imputato, tuttavia, in considerazione del rilievo che la sua determinazione ad agire maturò in una situazione economico-finanziaria già compromessa, da lui non creata, possono essere riconosciute le attenuanti generiche.

Pertanto, valutati anche gli altri criteri indicati nell'art. 133 del cod. pen., il Tribunale ritiene equa la pena di due anni di reclusione (p.b. a. 3 - 62 bis c.p).

Seguono, per legge, la condanna al pagamento delle spese processuali e l'applicazione delle pene accessorie specificate in dispositivo.

Ritiene, invece, il Tribunale che Ch. debba essere assolto dal reato di cui al capo B) per non aver commesso il fatto, in quanto non può escludersi che le scritture contabili fossero state sottratte dall'amministratore in carica al momento del fallimento, presso il quale, invero, come ha riferito il curatore, fu casualmente rinvenuta parte della relativa documentazione.

L'APPELLO

Ha proposto appello tempestivo il difensore dell'imputato, il quale chiede l'assoluzione dell'imputato perché il fatto non sussiste o con la formula che si riterrà più opportuna.

L'appellante in primis rileva come risulta pacifico che nel momento in cui il Ch. ha assunto la carica di amministratore, la società era fortemente indebitata a causa dei comportamenti spregiudicati dei precedenti amministratori. Inoltre, le maestranze erano in stato di agitazione per il mancato pagamento degli stipendi, essendo stati revocati alla società tutti i fidi.

Anche volendo, quindi, non avrebbe potuto ottemperare agli impegni contrattuali, ossia dare esecuzione alle commesse, le quali sono state revocate unilateralmente dalla committente.

In relazione all'accusa di aver dissipato i beni facenti parte del patrimonio sociale dando in locazione tutte le attrezzature della società per un canone di euro 500,00 a favore della CO. S.r.l.

E' pacifico, come emerso dalle dichiarazioni sia del curatore sia dal Ci., che le suddette attrezzature fossero ormai vecchie e di scarso valore. La locazione della suddetta attrezzatura non ha causato alcun depauperamento per la società, posto che non soltanto la stessa ha potuto beneficiare del canone concordato, ma ha avuto l'ulteriore vantaggio di liberarsi dei costi relativi ai canoni del leasing relativi ai suddetti beni il cui pagamento è stato accollato dalla stessa CO.

Inoltre, il mancato rinvenimento dell'attrezzatura locata, oltre a non essere sicuramente addebitabile al Ch., che non ne aveva più la disponibilità materiale a seguito della locazione della stessa, non ha causato alcun "depauperamento" della società, posto che, come ammesso dalla sentenza, si trattava di beni in leasing e pertanto non era di proprietà della PR.

Da quanto esposto, appare evidente che il Ch. non abbia causato il fallimento della società posto che la stessa si trovava già in avanzato stato di dissesto quando lo stesso ha assunto l'incarico di amministratore, né abbia compiuto atti diretti al suo depauperamento, posto che le commesse, già di per sé non redditizie, sono state "portate via" e comunque non vi era la materiale possibilità che le stesse venissero portate a termine, stante il mancato pagamento degli stipendi e le conseguenti agitazioni sindacali.

Non gli si può neanche contestare alcuna responsabilità per non aver tempestivamente richiesto il fallimento, poiché nel corso dei suoi 52 giorni di amministrazione lo stesso, con grande difficoltà stante l'assenza di libri contabili (a lui non addebitabile), è a mala pena riuscito a rendersi conto delle pessime condizioni economiche in cui versava la società ma, anche volendo, non avrebbe avuto il tempo materiale di presentare formale richiesta di fallimento poiché è stato destituito dal Ga. con delibera del 14/07/2007.


Motivi della decisione

L'appello è infondato, ma la sentenza impugnata va parzialmente riformata quanto alla durata delle pene accessorie fallimentari.

L'atto d'impugnazione concentra molta attenzione su aspetti estranei all'imputazione, quali l'abbandono delle commesse dell'Al. e dell'Eu. e le questioni connesse al leasing di diverse attrezzature, utili semplicemente per delineare meglio lo scenario in cui si svolsero i fatti. Ciò che rileva - e che la difesa non può disconoscere - è che Gi.Ch., nel brevissimo arco di tempo in cui fu amministratore unico della PR., compì due operazioni che, come osserva efficacemente la sentenza appellata, segnarono in modo irreversibile il destino della società.

Da un lato, Ch. diede in affitto alla CO., per la durata di due anni e mezzo, a un canone irrisorio, i beni aziendali di proprietà della PR.

Sul punto, è bene sottolineare che non si trattava degli stessi beni che la società utilizzava in leasing, ma di quelli dapprima presi in affitto e poi acquistati dal fallimento della (…) s.r.l.

Erano dunque beni di proprietà della PR., come si evince inequivocabilmente anche dagli allegati alla relazione del curatore. Ebbene, che il canone di appena 500 ero mensili (per un ricavo, a fine contratto, di 15.500 euro - v. ali. 16 alla relazione del curatore) fosse irrisorio, a fronte della quantità di materiali data in affitto, emerge non tanto da valutazioni circa la possibile inattendibilità del teste Ci. (che comunque, come opportunamente segnala il Tribunale, era legato all'amministratore della CO.), ma da alcuni dati documentali, non messi in discussione dalla difesa.

Anzitutto, appena due anni e mezzo prima la (…) aveva affittato quell'attrezzatura alla PR. a un prezzo assai superiore (12.000 euro per un solo anno di affitto, pari a un canone mensile di 1.000 euro - v. contratto del 20.12.2004, all. 9 alla relazione del curatore).

Ma, soprattutto, quando scoppiò la crisi fra Ch. e il nuovo amministratore Ga. e l'imputato fu rimosso dall'incarico, lo stesso Ga. cercò di vendere alla CO. le stesse attrezzature e indicò il prezzo di 175.000 euro (proposta contrattuale del 27.7.2007 - all. 19 alla relazione del curatore). Nel verbale di assemblea del 20.5.2008 (ali. 23 alla relazione del curatore) è documentato poi il confronto diretto tra Ga. e Ch. contestò specificamente a Ch. l'affitto "ad una cifra del tutto irrisoria" di "beni, attrezzature e materiali della (…) s.r.l. di un valore di oltre 200.000,00 euro". Nel replicare a Ga., Ch. disse che il valore delle attrezzature affittate alla CO. era "sicuramente inferiore al valore indicato dal Ga. ma si aggirerà grosso modo a circa 40.000,00 euro".

Dunque dalla documentazione acquisita dal curatore emerge in modo inconfutabile che le attrezzature affittate da Ch. alla CO. per un canone infimo - tanto da permettere alla PR. di ricavare da quella locazione appena 15.500 euro in due anni e mezzo - non erano qualificabili come "roba ormai da buttare" secondo la compiacente descrizione data dal teste Cicu. Lo stesso Ch., infatti, giunse a stimare quelle attrezzature a diverse decine migliaia di euro e, quand'anche la valutazione data da Ga., sia nella proposta di vendita alla CO. che nell'assemblea del 20.5.2008, dovesse essere ritenuta eccessiva e indice della sua volontà di aggravare le responsabilità di Ch., è evidente che si trattava di beni di valore non certo irrisorio. Nel cederli in affitto senza adeguata contropartita, Ch. Realizzò pertanto la dissipazione patrimoniale contestata, atteso che non solo privò la società del godimento di quei beni chiedendo un canone modestissimo, ma di fatto li sottrasse alla garanzia dei creditori, dato che in seguito, anche per le analoghe vicissitudini della società affittuaria, non fu più possibile recuperarli.

Dall'altro lato, anche la completa dismissione della forza lavoro - formata, come pacificamente emerge dagli atti processuali, da lavoratori di specializzazione e professionalità elevatissime - concretò un irrimediabile annullamento di ogni possibilità di recupero di posizioni sul mercato locale delle manutenzioni in favore delle multinazionali committenti.

Né si può obiettare che la situazione era ormai compromessa, perché, proprio in ragione di una situazione siffatta, che Ch. ben conosceva e che anzi fu dichiaratamente alla base della sua "presa del potere" nell'assemblea del 24.5.2007 (all. 12 alla relazione del curatore), egli si sarebbe dovuto astenere in modo rigoroso dal compiere azioni lesive del patrimonio sociale giungendo a portare quasi a zero la già ridotta garanzia per i creditori e anzi avrebbe dovuto valutare adeguatamente la possibilità di chiedere sin da allora il fallimento. Sebbene egli sia rimasto amministratore per meno di due mesi, non si tratta di un lasso temporale così esiguo da impedirgli di compiere tale passo che si palesava come urgente, posto che, come appena detto, egli conosceva bene la gravissima situazione della società fin dall'epoca dell'assemblea del 24.5.2007 (e, anzi, necessariamente da data antecedente, perché l'assemblea fu da lui convocata proprio nella consapevolezza di ciò che stava succedendo).

Infine, si impone d'ufficio una valutazione sulla durata delle pene accessorie fallimentari. Infatti, la sentenza impugnata e l'appello sono precedenti alla sentenza del 25.9.2018 n. 222 con la quale la Corte Costituzionale ha dichiarato incostituzionale l'art. 219, ultimo comma, L.F. nella parte in cui prescrive(va) l'applicazione, ai condannati per fatti di bancarotta fraudolenta, di pene accessorie nella misura fissa di dieci anni. Sulla scorta della giurisprudenza formatasi successivamente a tale sentenza che, in linea con quanto argomentato dalla Corte Costituzionale, ha ritenuto che anche ai fini della durata delle pene accessorie fallimentari in questione si debba tener conto dei criteri fissati dall'art. 133 c.p., la Corte valuta come adeguata al caso in esame (alla luce del brevissimo lasso di tempo in cui Ch. fu amministratore e della sua età ormai avanzata) una durata di quattro anni.


P.Q.M.

Visto l'art. 599 c.p.p., in parziale riforma della sentenza impugnata, ridetermina in quattro anni la durata delle pene accessorie fallimentari applicate a Gi.CH. e conferma nel resto. Motivazione contestuale.

Così deciso in Cagliari il 26 ottobre 2023.

Depositata in Cancelleria il 26 ottobre 2023.

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