Chi evade il fisco non truffa lo Stato (Cass. Pen. n. 29569/25)
- Avvocato Del Giudice

- 22 ago
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Aggiornamento: 27 ago

1. Il caso
La vicenda sottoposta alla Corte nasce a Reggio Calabria, dichiarazioni fiscali seriali, rimborsi indebitamente ottenuti, condotte inserite in un più ampio contesto associativo.
Il GIP aveva qualificato i fatti come truffa aggravata ai danni dello Stato (art. 640, co. 2, n. 1, c.p.), disponendo il sequestro preventivo delle somme.
Il Tribunale del riesame aveva invece riqualificato le condotte come dichiarazione infedele ex art. 4 d.lgs. 74/2000, escludendo la truffa.
Il pubblico ministero ricorreva, sostenendo che artifici e raggiri ulteriori (falsi CAF, IBAN fraudolenti, identità fittizie) non potessero essere assorbiti dalla fattispecie tributaria, e che la quota di profitto retrocessa all’associazione rappresentasse un vantaggio “diverso” dall’evasione.
2. La decisione della Cassazione
La Corte di cassazione, con la sentenza n. 29569/2025, in continuità con le Sezioni Unite Giordano, riafferma l’autonomia del diritto penale tributario rispetto al delitto di truffa aggravata ai danni dello Stato.
L’affermazione centrale è che la condotta fraudolenta diretta all’evasione fiscale si consuma interamente all’interno dell’ordinamento speciale delineato dal d.lgs. 74/2000.
Non vi è spazio per una “concorrenza” della truffa, salvo che l’agente persegua un profitto ulteriore e diverso rispetto al vantaggio fiscale.
Questa impostazione non è riducibile a un mero esercizio interpretativo, ma costituisce l’attuazione fedele della logica sottesa al d.lgs. 74/2000.
La riforma del 2000, infatti, ha segnato una cesura rispetto al modello antecedente, fondato sulla sovrapposizione tra norme comuni e norme tributarie: ha costruito un sistema speciale dotato di proprie soglie di punibilità, calibrate sulla gravità dell’offesa e sulla specificità del bene giuridico protetto.
La specialità, dunque, non è soltanto un criterio esegetico ex art. 15 c.p., ma un principio di politica criminale: garantisce che il disvalore delle condotte fiscali sia trattato entro un perimetro tipico e non disperso in fattispecie generiche.
In questa direzione, gli artifici funzionali alla dichiarazione infedele non assumono rilievo autonomo, costituiscono strumenti interni all’illecito tributario e non possono fungere da base per un’imputazione di truffa.
La Cassazione, inoltre, chiarisce che neppure la retrocessione di parte delle somme all’associazione criminale rappresenta un profitto distinto: è soltanto la modalità di ripartizione interna di un vantaggio unitario, già interamente assorbito nella fattispecie tributaria.
La coerenza sistematica della soluzione si misura soprattutto nella sua capacità di prevenire duplicazioni punitive.
Qualificare come truffa condotte già sussumibili nelle ipotesi tributarie equivarrebbe a neutralizzare la scelta legislativa di limitare la rilevanza penale alle ipotesi che superano determinate soglie quantitative.
Il rischio sarebbe quello di un ritorno a un modello onnivoro, nel quale ogni condotta fraudolenta ai danni dell’Erario verrebbe attratta nell’alveo della truffa aggravata, in contraddizione con la volontà di tipizzare il disvalore fiscale entro confini precisi.
3. La ratio
Il cuore della pronuncia sta nella riaffermazione del principio di specialità (art. 15 c.p.) come criterio dirimente:
il d.lgs. 74/2000 costituisce un settore chiuso, che tipizza la frode fiscale con soglie numeriche e fattispecie proprie;
la truffa aggravata non può diventare “clausola di riserva” per recuperare condotte che il legislatore ha volutamente escluso dal circuito penale generale;
negare la specialità significherebbe contraddire la ratio della riforma del 2000, ispirata a un modello di radicale alternatività rispetto al passato, quando l’evasione era punita con lo strumento generico della truffa.
4. La massima
In tema di rapporti tra delitti tributari e truffa aggravata ai danni dello Stato, qualsiasi condotta fraudolenta diretta all’evasione fiscale rientra esclusivamente nell’ambito applicativo delle fattispecie previste dal d.lgs. n. 74 del 2000, restando configurabile la truffa solo qualora dall’azione derivi un profitto ulteriore e diverso rispetto al vantaggio fiscale; gli artifici funzionali alla dichiarazione infedele non assumono autonoma rilevanza truffaldina, né la ripartizione del profitto tra i concorrenti integra un distinto disvalore penale.
La sentenza integrale
Cass. pen., sez. II, ud. 15 luglio 2025 (dep. 19 agosto 2025), n. 29569
Ritenuto in fatto
1. Con l'ordinanza impugnata il Tribunale di Reggio Calabria, in accoglimento della richiesta di riesame, ha annullato il decreto di sequestro preventivo emesso dal Giudice per le indagini preliminari del medesimo Tribunale il 13 febbraio 2025, ritenendo insussistenti sia il fumus del delitto di truffa aggravata, come riportato nell'incolpazione provvisoria, sia il periculum di occultamento o dispersione delle somme indebitamente percepite. Il Giudice per le indagini preliminari aveva disposto il sequestro preventivo ai sensi dell'art. 240 cod. pen. ritenendo sussistente a carico dell'indagato, il reato di cui agli artt. 110,640, commi 1 e 2, n. 1 cod. pen., perché, in concorso con A.A., T.R. e M.V. - questi ultimi partecipi di un'associazione per delinquere finalizzata alla commissione di una serie indeterminata di delitti di truffa aggravata ai danni dell'Agenzia delle entrate, di sostituzione di persona, di rivelazione di segreti di ufficio, di falsi contro la fede pubblica e di accessi abusivi a sistema informatico - mediante artifici e raggiri consistiti nell'indicare elementi fittizi e non veritieri, crediti in tutto o in parte inesistenti, nelle dichiarazioni fiscali presentate con modello 730, inducevano in errore l'Agenzia delle entrate in ordine alla sussistenza di crediti di imposta, così ottenendo dall'Erario rimborsi non dovuti. Secondo il Tribunale, l'indagine svolta in ordine ad oltre 900 dichiarazioni fiscali recanti “anomalie” aveva “permesso di accertare l'esistenza di una articolata associazione criminale diretta alla commissione di plurimi reati in danno dell'Agenzia delle entrate, che riusciva ad assicurare a soggetti compartecipi (o anche solo compiacenti) l'indebita percezione di rimborsi Irpef nel complesso di ingente portata, sebbene volto ad ottenere, ogni volta, “indebiti bonus fiscali e rimborsi Irpef … per un importo mai superiore a 3.990,00 euro ciascuno e, quindi, sotto la soglia di 4.000,00 euro, limite previsto per l'attivazione di procedure automatizzate di controllo in tema di dichiarazione dei redditi”. Il Tribunale ha, tuttavia, osservato che la condotta provvisoriamente ascritta agli indagati andava qualificata come delitto di “dichiarazione infedele” di cui all'art. 4 del d.lgs. n. 74 del 2000, alla stregua del principio di diritto espresso dalle S.U. nella sentenza n. 1235 del 28/10/2010, dep. 2011, Giordano, Rv. 248865-01. Andava invece escluso, nella fattispecie concreta, il delitto di cui all'art. 640 cod. pen., avendo gli indagati conseguito esclusivamente profitti di natura fiscale, senza conseguire un profitto ulteriore e diverso rispetto a quello dell'evasione. Considerato, poi, che il citato art. 4 prevede una soglia di punibilità nella specie non superata, conseguiva l'insussistenza del fumus del delitto in contestazione. Quand'anche, inoltre, volesse ipotizzarsi che la mera dichiarazione di dati falsi possa integrare una condotta fraudolenta, comunque si verserebbe nell'ipotesi prevista dall'art. 3 del d.lgs. del 2000 citato, ma anche tale delitto sarebbe insussistente per effetto del mancato superamento della soglia di punibilità prevista dalla norma incriminatrice.
Quanto al periculum, secondo il Tribunale, il decreto del Giudice per le indagini preliminari recava una motivazione solo apparente.
2. Avverso detta ordinanza propone ricorso il pubblico ministero, deducendo quanto segue:
2.1. Violazione dell'art. 640, comma secondo, cod. pen. e degli artt. 3 e 4 del d.lgs. n. 74/2000 poiché il Tribunale ha erroneamente riqualificato l'ipotesi di reato di truffa aggravata nella fattispecie di natura tributaria prevista dal decreto legislativo citato, escludendo la sussistenza della frode in contestazione e la stessa rilevanza penale della condotta accertata, per mancato raggiungimento della soglia di punibilità delle singole condotte, omettendo di valutare tutti gli ulteriori artifizi e raggiri che impediscono l'operatività del principio di specialità previsto dall'art. 15 cod. pen. e l'ipotizzato assorbimento del delitto di truffa dal delitto di dichiarazione fraudolenta.
Il Tribunale ha ritenuto che gli unici artifizi posti in essere dall'imputato fossero le attività dichiarative e che la natura del profitto fosse costituita esclusivamente dal beneficio fiscale, ma non ha considerato che alcuni coindagati rispondono anche di associazione a delinquere e hanno posto in essere anche altre condotte idonee a costituire gli artifizi e raggiri in cui consiste la truffa aggravata; inoltre ha omesso di valutare, in relazione al profitto, il profilo relativo all'indebita consegna di quota parte alla struttura associativa, terza rispetto al contribuente infedele, che non consente di perimetrare il fine della condotta alla sola evasione fiscale.
In particolare, il pubblico ministero evidenzia tutte quelle condotte realizzate tramite il sistema di elaborazione informatica, anche indicando identità di soggetti esistenti e completamente estranei; la creazione di false sedi di Caf; la ripartizione di compiti di procacciamento; la raccolta di dati identificativi e di credenziali di accesso idonei a indurre in errore l'ente pubblico sulla provenienza delle dichiarazioni; la raccolta di dati anagrafici e fiscali di soggetti persone fisiche iscritte all'anagrafe dell'Aire indicandoli come familiari carico; la costruzione di dati che avrebbero permesso il contenimento del rimborso sotto la soglia prevista per evitare l'attivazione delle procedure automatiche di controllo a campione; la fraudolenta indicazione di Iban e coordinate bancarie per il successivo accreditamento delle somme che inducevano in errore l'ente pubblico anche sull'identità dei beneficiari: un insieme di condotte di natura decettiva che costituiscono presupposto logico e fattuale dell'inserimento dei dati falsi nelle dichiarazioni.
2.2. Mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in ordine alla ritenuta assenza del periculum in mora poiché il tribunale ha ritenuto che il gip abbia fornito una motivazione apparente in ordine al pericolo di dispersione delle somme sottoposte a vincolo limitandosi ad affermare la confiscabilità del denaro in relazione al profitto. Di contro, osserva il ricorrente, il Giudice per le indagini preliminari ha ritenuto necessario anticipare gli effetti della confisca rilevando il pericolo che in assenza del vincolo si sarebbero aggravate e protratte le conseguenze del reato.
3. Con requisitoria scritta il Procuratore generale presso la Corte di cassazione ha chiesto annullarsi con rinvio l'ordinanza impugnata avendo, il tribunale del riesame cautelare reale, errato nella applicazione delle norme sul concorso apparente di norme; ed invero, ad avviso del Procuratore generale, la mancanza degli elementi degli artifici e raggiri nel delitto tributario di cui all'art. 4 d.lgs. 74/2000 deve portare ad escludere che tra l'art. 640 cod. pen. ed il citato art. 4 possa esservi rapporto di specialità, atteso che, il ricorso alle modalità fraudolente che caratterizza le modalità della truffa non è elemento costitutivo della condotta tipica del delitto tributario, la quale punisce la mera indicazione di elementi attivi o passivi inesistenti al fine di evadere le imposte sui redditi.
4. Con memoria difensiva del 02/07/2025, l'avv. Maria Grazia Salerno ha invocato la inammissibilità del ricorso, evidenziando che la Procura ricorrente deduce formalmente una violazione di legge ma nella sostanza chiede una rivalutazione non prospettabile in sede di legittimità ed invoca l'erroneità delle ragioni a sostegno della qualificazione giuridica delle condotte nel perimetro dell'art. 640 cod. pen. Seconda la difesa, il Tribunale aveva motivato in modo corretto in quanto i fatti integrano la norma speciale, poiché lo schema replicava il meccanismo tipico della frode tributaria di cui all'art. 4 d.lgs.74/2000 e tale frode avveniva senza la realizzazione di ulteriori artifizi o raggiri idonei a far sconfinare la condotta nel perimetro della truffa.
Il pubblico ministero si limita nel ricorso a fare generico richiamo a tutte le ulteriori condotte che impediscono l'operatività del principio di specialità di cui all'art. 15 cod. pen., ma sostanzialmente sembra volere affermare che il contesto associativo non può che essere prodromico al delitto di truffa, laddove invece il discrimine tra le due fattispecie, la truffa e i delitti tributari, non andava rintracciato nella realizzazione del reato tributario in forma individuale o concorsuale, ma nella sussistenza di ulteriori elementi rispetto ai raggiri propri della dichiarazione irregolare. Neppure ha pregio l'argomento secondo cui l'elemento che consentirebbe di qualificare le condotte nel paradigma della truffa consisterebbe nell'indebita consegna di quota parte alle associazione, perché l'indebita percezione è frutto della dichiarazione infedele del singolo contribuente e la quota versata è circostanza inidonea ad integrare il delitto di truffa, mentre è rimasta del tutto privo di riscontro il tema della consapevolezza in capo a C., singolo contribuente, di interloquire con un membro della associazione. Osserva inoltre il difensore che la genericità della impugnazione caratterizza anche il periculum in mora, avendo il Giudice per le indagini preliminari adottato una motivazione cumulativa.
Osserva inoltre il difensore che nel frattempo i reati contestati al capo 132 della rubrica sono comunque prescritti, collocandosi la condotta nell'ottobre 2017 ed essendo trascorsi sei anni senza che sia intervenuto alcuno degli atti interruttivi previsti dall'art. 160 cod. pen.; l'estinzione del reato, ancor prima dell'esercizio dell'azione penale ha delle ricadute in punto di legittimità del sequestro finalizzato alla confisca.
Considerato in diritto
1. Il ricorso non può trovare accoglimento.
1.1. Il primo motivo di ricorso è infondato e, attesane l'assorbenza, rende superfluo l'esame del secondo motivo e delle prospettazioni difensive in ordine alla prescrizione del reato contestato al C.S.C..
Nel caso di specie, il Tribunale ha reso articolata motivazione in ordine alle ragioni poste a sostegno della diversa qualificazione giuridica della condotta ascritta all'indagato e del conseguente annullamento e ha fatto corretta applicazione dei principi giurisprudenziali affermati in materia, richiamando quanto osservato dalle Sezioni unite di questa Corte che, seppur con riguardo alle differenti fattispecie di cui agli artt. 2 e 8 d.lgs. n. 74 del 2000, hanno ritenuto esistente un rapporto di specialità tra le norme incriminatrici tributarie e quella di truffa aggravata ai danni dello Stato, «in quanto qualsiasi condotta fraudolenta diretta alla evasione fiscale esaurisce il proprio disvalore penale all'interno del quadro delineato dalla normativa speciale, salvo che dalla condotta derivi un profitto ulteriore e diverso rispetto all'evasione fiscale, quale l'ottenimento di pubbliche erogazioni” (Sez. U, n. 1235 del 28/10/2010, dep. 2011, Giordano, Rv. 248865-01).
Ed infatti, con motivazione che rileva anche in relazione al rapporto tra il delitto di truffa aggravata e la fattispecie di dichiarazione infedele di cui all'art. 4 d.lgs. 74/2000, le Sezioni Unite hanno precisato che: ”La negazione del rapporto di specialità tra frode fiscale e truffa ai danni dell'Erario, si pone, inoltre, in contraddizione con la linea di politica criminale e con la ratio che ha ispirato il legislatore nella riforma di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000…… una scelta di radicale alternatività rispetto al pregresso modello di legislazione penale tributaria”.
L'affermazione della predetta pronuncia risulta pertanto di inequivocabile chiarezza nella misura in cui stabilisce che qualsiasi condotta di frode al fisco trova la sua risposta repressiva esclusivamente nella legislazione speciale tributaria, senza possibilità di “recupero” di fatti, peraltro nemmeno costituenti reato per omesso superamento delle soglie di punibilità, nell'alveo delle generali ipotesi di truffa aggravata in danno dello Stato.
Il principio affermato dalle Sezioni Unite con riferimento ai rapporti tra i reati di emissione ed utilizzazione di fatture per operazioni inesistenti e la fattispecie di truffa aggravata, va ribadito anche in caso di dichiarazione infedele ex art. 4 d.lgs. 74/2000, fatto meno grave rispetto alle indicate ipotesi di frode fiscale, poiché, anche in tal caso, l'ottenimento di rimborsi non dovuti a seguito della falsa rappresentazione di spese od altri oneri inesistenti, comporta esclusivamente un vantaggio fiscale per il contribuente, senza invece che sussistano ulteriori profitti diversi rispetto a tale operazione effettuata in danno dell'Agenzia delle Entrate.
Pertanto, anche nel rapporto tra dichiarazione infedele e truffa aggravata, sussiste l'identica ratio già individuata dalle Sezioni Unite che hanno sottolineato la “generale specialità delle previsioni penali tributarie in materia di frode fiscale, le quali, in quanto disciplinano condotte tipiche e si riferiscono ad un determinato settore di intervento della repressione penale, esauriscono la connessa pretesa punitiva dello Stato” (Sez. U, n. 1235/2011, cit.).
Nel rispetto di questa linea di demarcazione tra l'ambito applicativo delle fattispecie a connotazione truffaldina e le norme incriminatrici di carattere fiscale, deve osservarsi che, nel caso in esame, il profitto avuto di mira e conseguito dall'indagato coincide, infatti, con quello fiscale, costituito, ai sensi dell'art. 1, comma 1, lett. d) d.lgs. n. 74 del 2000, anche dal fine di ottenere un indebito rimborso o il riconoscimento di un inesistente credito di imposta, il cui perseguimento è posto come scopo della condotta tipica.
Né vale, in questa sede, al fine di superare l'obiezione costituita dall'assenza di un autonomo disvalore dell'ipotizzata truffa, fare riferimento all'ottenimento di un profitto ulteriore quale “prezzo del servizio illecito” reso, in quanto, a prescindere dalla considerazione che si tratta di profilo di merito dotato di novità e non sottoposto alla cognizione del Tribunale per il riesame, tale “vantaggio” nulla aggiungerebbe all'indebito rimborso, trattandosi di una ripartizione pro-quota tra i concorrenti di quell'unico profitto ricavato dalla condotta decettiva eziologicamente riferibile al reato tributario del singolo contribuente.
1.2. Analoghe considerazioni possono essere formulate a proposito della riconducibilità alla struttura associativa degli illeciti profitti derivanti dai reati fiscali, in quanto detta fattispecie di reato non risulta giustificare la domanda cautelare, posto che la somma sequestrata è specificamente riferita al profitto illecito della contestata truffa di cui ai capi 132 e 133 della rubrica provvisoria. Infine, va osservato come le modalità della condotta truffaldina, per come indicate nell'imputazione provvisoria, nulla aggiungano a quella decettiva, in quanto si richiamano quelle strumentali all'indicazione nelle dichiarazioni annuali degli elementi passivi inesistenti in forza dei quali si mira ad ottenere l'indebito rimborso da parte dell'Erario.
2. La qualità di parte pubblica del ricorrente lo esonera dal pagamento delle spese processuali conseguenti al rigetto del ricorso.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.




