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Minaccia: che cos'è e quando si configura il reato previsto dall'art. 612 del codice penale


Il reato di minaccia

Art. 612 del codice penale - Minaccia

Chiunque minaccia ad altri un ingiusto danno è punito, a querela della persona offesa [120], con la multa fino a euro 1.032. Se la minaccia è grave, o è fatta in uno dei modi indicati nell'articolo 339, la pena è della reclusione fino a un anno [e si procede d'ufficio].
Si procede d'ufficio se la minaccia è fatta in uno dei modi indicati nell'articolo 339, ovvero se la minaccia è grave e ricorrono circostanze aggravanti ad effetto speciale diverse dalla recidiva, ovvero se la persona offesa è incapace, per età o per infermità.

Procedibilità: il reato di minaccia è procedibile a querela di parte; è procedibile d'ufficio solo nell'ipotesi descritta dal terzo comma.

Prescrizione: il reato di minaccia si prescrive in 6 anni.

Competenza: per il reato di minaccia è competente ilgiudice di pace, nell'ipotesi descritta dal primo comma); il tribunale in composizione monocratica se ricorrono aggravanti ex art. 4, terzo comma, d.lg. n. 274 del 2000 e nell'ipotesi descritta da secondo comma.

Arresto: per il reato di minaccia non è consentito l'arresto

Fermo: per il reato di minaccia non è consentito il fermo

Custodia cautelare in carcere: per il reato di minaccia non è consentita la custodia cautelare in carcere

 

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Indice:

1. Che cos'è e come è punito il reato di minaccia?

2. Introduzione

3. Quando si configura il reato di minaccia?

4. L'elemento soggettivo della minaccia

5. La minaccia aggravata: quando si configura?

6. I rapporti con gli altri reati



1. Che cos'è e come è punito il reato di minaccia?

La minaccia è un reato previsto dall'art. 612 del codice penale e punisce chiunque minacci ad altri un ingiusto danno.

Il reato di minaccia è punito:

a) con la multa fino a euro 1.032, nel caso di minaccia lieve;

b) con la reclusione fino a un anno, se la minaccia è grave o è commessa nel corso di manifestazioni in luogo pubblico o aperto al pubblico ovvero con armi, o da persona travisata, o da più persone riunite, o con scritto anonimo, o in modo simbolico, o valendosi della forza intimidatrice derivante da segrete associazioni, esistenti o supposte.


2. Introduzione

Il delitto di minaccia è un reato a forma libera, potendo essere realizzato con le più diverse modalità e, quindi, sia con parole che con gesti o altri atti espressivi.

La Suprema Corte ha, al riguardo, in più occasioni affermato il principio secondo cui affinché sia integrata la fattispecie de qua è necessario che la condotta dell'agente sia potenzialmente idonea ad incidere sulla libertà morale del soggetto passivo.

Ad avviso della giurisprudenza di legittimità, infatti, "elemento essenziale del reato di minaccia è la limitazione della libertà psichica mediante la prospettazione del pericolo che un male ingiusto possa essere cagionato, dal colpevole, alla parte offesa. Se è vero che non è necessario che uno stato di intimidazione si verifichi concretamente nella vittima, bastando la sola attitudine ad intimorire, è indispensabile, però, che il male ingiusto possa essere dedotto dalla situazione contingente" (così Cassazione penale, Sez. V, 30 settembre 2014, n. 51246 in parte motiva; cfr. anche Cassazione penale, Sez. I, 3 maggio 2016, n. 44128).

Trattandosi di reato di pericolo, il reato di minaccia previsto dall'art. 61 c.p. si consuma nel momento in cui l'azione intimidatoria idonea sia portata a conoscenza del soggetto passivo (Cass. Pen. 733/1988).


3. Quando si configura il reato di minaccia?

Il reato di minaccia è un reato formale di pericolo, finalizzato a tutelare la sfera psicologica del soggetto passivo, per la cui integrazione non è dunque richiesto che il bene tutelato sia realmente leso. E' invece necessario che "il male prospettato possa incutere timore nel soggetto passivo, menomandone la sfera della libertà morale" (v. Cass., Sez. 5, Sentenza n. 8264 del 29/05/1992 Ud. (dep. 23/07/1992) Rv. 191433).

È dunque sufficiente, ad integrare l'elemento materiale del suddetto reato, qualsiasi comportamento purché idoneo ad incutere timore, ovvero a suscitare in altri la preoccupazione di soffrire di un male ingiusto, così da incidere, diminuendola, sulla libertà morale del destinatario.

Ebbene, la valutazione dell'idoneità della concreta minaccia a turbare o diminuire la libertà psichica e morale del soggetto passivo va effettuata, secondo la giurisprudenza in materia, "avendo di mira un criterio di medialità che rispecchi le reazioni dell'uomo comune" (v. Cass. Sez. 5, Sentenza n. 8264 del 29/05/1992 Ud. (dep. 23/07/1992) Rv. 191433).

La condotta prevista dalla norma incriminatrice non necessariamente deve esprimersi con la parola, ben potendo trovare attuazione mediante gesti di inequivocabile significato oggettivo (quale è il puntare una pistola all'indirizzo della vittima).

Sul punto, peraltro, la giurisprudenza ha avuto modo di precisare che l'idoneità della minaccia va valutata ex ante, a nulla rilevando il fatto che in concreto i destinatari non siano stati intimiditi e che il male minacciato non si sia realizzato. (Cass. Sez. VI, 16.4.2008).

Il reato di minaccia è un reato di condotta, non di evento, qualora si verifichi una alterazione delle abitudini di vita delle persone offese, risulterebbe integrato il ben più grave delitto di atti persecutori di cui all'art. 612-bis c.p..

Si riportano, di seguito, alcune massime della Corte di cassazione sul tema:


Integra il delitto di cui all' art. 612 c.p. l'espressione, rivolta all'indirizzo di una persona, comunque non finisce qui, la quale, pur non avendo in sé una connotazione univocamente minacciosa, può intendersi come prospettazione di un'ulteriore attività aggressiva illegittima ove valutata nel contesto e nel momento in cui è stata proferita, avuto riguardo ai toni e alla cornice di riferimento, non rilevando che il soggetto passivo si sia sentito effettivamente intimidito. (Nella specie, la frase era stata pronunziata dall'imputato mentre si allontanava, dopo aver aggredito e causato lesioni alla persona offesa - Cassazione penale , sez. V , 16/12/2019 , n. 9392).





4. L'elemento soggettivo della minaccia

In ordine all'elemento soggettivo, nel delitto di minaccia il dolo consiste nella cosciente volontà di minacciare ad altri un ingiusto danno ed è diretto a provocare la intimidazione del soggetto passivo, senza che sia necessario che in tale volontà sia compreso il proposito di tradurre in atto il male minacciato. Infatti, oggetto del delitto è unicamente l'azione intimidatrice. (Cfr. Cass. Sez. 1, Sentenza n. 7382 del 11/06/1985).

Analizziamo due sentenze della Suprema Corte di cassazione:

L'elemento soggettivo del reato di minaccia si caratterizza per il dolo generico consistente nella cosciente volontà di minacciare un male ingiusto, indipendentemente dal fine avuto di mira (Cassazione penale sez. V, 24/10/2013, n.50573).


5. La minaccia aggravata: quando si configura?

La minaccia si considera aggravata se è commessa:

  • nel corso di manifestazioni in luogo pubblico o aperto al pubblico;

  • con armi

  • da persona travisata (a volto coperto);

  • da più persone riunite;

  • con scritto anonimo;

  • in modo simbolico;

  • valendosi della forza intimidatrice derivante da segrete associazioni, esistenti o supposte;

  • mediante il lancio o l'utilizzo di corpi contundenti o altri oggetti atti ad offendere, compresi gli artifici pirotecnici, in modo da creare pericolo alle persone.

Analizziamo, sul punto, alcune massime della Suprema Corte di cassazione sul tema:


Nel delitto di minaccia, per la configurabilità dell'aggravante delle più persone riunite è sufficiente che il soggetto passivo percepisca la simultanea presenza, sia pure ideale, di più persone. (Fattispecie in cui l'intimidazione, consistita nel posizionamento in luogo pubblico di un ordigno esplosivo non attivato, è stata percepita come proveniente da più persone aventi la medesima matrice ideologica essendosi appreso, da notizie di cronaca, che in quegli stessi giorni il medesimo gruppo aveva commesso analoghi fatti in altre città italiane - Cassazione penale , sez. V , 06/04/2023 , n. 19374).


6. I rapporti con gli altri reati

Sussiste la minaccia quando vi è la prospettazione di un male futuro ed ingiusto la cui verificazione dipende dalla volontà del'agente.

Essa può anche consistere nella prospettazione dell'esercizio da parte dell'agente di una facoltà legittima, quando di tale facoltà l'agente minacci di far uso per un fine diverso da quello al cui soddisfacimento essa è tipicamente preordinata.

La Suprema Corte ha precisato che il reato di minaccia è un reato formale di pericolo, per la cui integrazione non è richiesto che il bene tutelato sia realmente leso, bastando che il male prospettato possa incutere timore nel soggetto passivo, menomandone la sfera della libertà morale (Cass. pen., Sez. V, 29/05/1992, M., Riv. Pen., 1993, 442).

Il reato di minaccia si distingue da quello di violenza privata.

Se è vero che la minaccia quando è diretta a costringere il soggetto passivo a fare, tollerare od omettere qualche cosa, integra gli estremi del reato di cui all'art. 610 c.p. e che il criterio distintivo tra il delitto di violenza privata e quello di minaccia non risiede nella materialità del fatto che può essere identico in ciascuna delle due fattispecie, bensì nell'elemento intenzionale, ed infatti mentre per la sussistenza della minaccia è sufficiente che l'agente eserciti genericamente un'azione intimidatoria - trattandosi di reato formale con evento di pericolo immanente nella stessa azione - la violenza privata, invece, presenta sotto il profilo soggettivo un quid pluris essendo la minaccia diretta a costringere taluno a fare, tollerare od omettere qualcosa, con evento di danno costituito dall'essersi altrui volontà estrinsecata in un comportamento coartante (Cass. pen., 31/01/1991, N., Riv. Pen. 1991, 478).

Si riportano, sul punto, alcune massime della Suprema Corte di cassazione:

Il delitto di violenza privata si distingue da quello di minaccia per la coartata attuazione da parte del soggetto passivo di un contegno (commissivo od omissivo) che egli non avrebbe assunto, ovvero per la coartata sopportazione di una altrui condotta che egli non avrebbe tollerato. Ne consegue che i due reati, sebbene promossi da un comune atteggiamento minatorio, concorrono tra loro nel caso in cui le rispettive condotte antigiuridiche - che danno luogo a eventi giuridici di diversa natura e valenza - si articolino in un tempo significativo, ripetendosi nel tempo, scindendo i rispettivi momenti di manifestazione esteriore e i rispettivi esiti coartanti. (In motivazione la Corte ha evidenziato che, diversamente, qualora la condotta si sviluppi senza soluzione di continuità, dipanandosi in un tempo concentrato e con una dinamica fattuale unitaria, la fattispecie criminosa da ritenersi integrata è unicamente quella del reato di violenza privata, nella quale rimane assorbita la condotta di minaccia - Cassazione penale sez. V, 15/02/2023, n.19347).







 


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