top of page

Minaccia: va valutata con criterio medio e in relazione alle concrete circostanze del fatto (Cassazione penale n. 21684/19)


Reato di minaccia (art. 612 c.p.)

La massima

Ai fini dell'integrazione del delitto di cui all' art. 612 c.p. , che costituisce reato di pericolo, la minaccia va valutata con criterio medio ed in relazione alle concrete circostanze del fatto, sicchè non è necessario che il soggetto passivo si sia sentito effettivamente intimidito, essendo sufficiente che la condotta dell'agente sia potenzialmente idonea ad incidere sulla libertà morale della vittima, il cui eventuale atteggiamento minaccioso o provocatorio non influisce sulla sussistenza del reato, potendo eventualmente sostanziare una circostanza che ne diminuisca la gravità, come tale esterna alla fattispecie (Cassazione penale , sez. II , 12/02/2019 , n. 21684).

Fonte: Ced Cassazione Penale


Vuoi saperne di più sul reato di minaccia?

Vuoi consultare altre sentenze in tema di minaccia?



La sentenza integrale

RITENUTO IN FATTO

1. La Corte d'appello di Milano, con sentenza in data 11/04/2018, parzialmente riformando la sentenza pronunciata dal Tribunale di Como, in data 01/07/2015, nei confronti di B.S. e B.E., assolveva gli imputati dai delitti di ingiuria e di atti persecutori, confermando la condanna dei predetti in relazione ai reati di minaccia, lesioni e danneggiamento, rispettivamente contestati.


2. Propongono ricorso per cassazione le difese degli imputati.


3.1.1. Nell'interesse di B.S., la difesa deduce con un primo articolato motivo di ricorso la violazione di legge, ai sensi dell'art. 606 c.p.p., lett. B), in relazione agli artt. 521,522 e 517 c.p.p., relativamente alla ritenuta sussistenza della circostanza aggravante dell'esposizione alla pubblica fede della cosa danneggiata; la sentenza aveva ritenuto che nella descrizione del fatto oggetto di imputazione fosse contenuta la contestazione della circostanza aggravante dell'art. 635 c.p., comma 2, n. 1, mentre il tenore dell'imputazione non riportava alcuna descrizione della condizione della cosa, se non il generico riferimento all'essere la vettura parcheggiata.


3.1.2. Conseguentemente, il ricorrente deduce la violazione di legge, in riferimento all'art. 635 c.p., comma 2, n. 1, in relazione all'art. 625 c.p., n. 7, e vizio di motivazione, per l'affermata sussistenza della circostanza aggravante dell'esposizione del bene alla pubblica fede; la sentenza aveva affermato che il veicolo danneggiato era esposto alla pubblica fede, in quanto parcheggiato, senza però specificare nè il luogo ove il veicolo era parcheggiato, nè le condizioni del luogo, trattandosi di un'area privata pertinente all'edificio, ove si trovavano le abitazioni dell'imputato e della persona offesa, e circondato da una recinzione.


3.1.3. Infine, sempre in relazione al medesimo motivo, si deduce la violazione di legge ai sensi dell'art. 606 c.p.p., lett. B), in relazione all'art. 635 c.p., per avere omesso la sentenza di dichiarare l'intervenuta depenalizzazione del fatto contestato, per effetto delle modifiche introdotte dal D.Lgs. n. 7 del 2016, o comunque l'improcedibilità dell'azione penale per difetto di querela, atteso che dagli atti risultava che al momento della commissione del fatto la vettura non era di proprietà di B.W. e di C.D., che avevano sporto la querela, bensì della società Graphic Art. s.n.c.


3.2. Con il secondo motivo di ricorso si deduce, ai sensi dell'art. 606 c.p.p., lett. B) e E), la violazione di legge, in relazione all'art. 612 c.p. e vizio di motivazione, in riferimento all'affermazione di responsabilità per il delitto di minaccia, mancando la prova della idoneità minatoria delle frasi rivolte dall'imputato alla persona offesa, considerato anche il clima di conflittualità e reciproca aggressione esistente tra le famiglie degli imputati e delle persone offese. Il teste che aveva ascoltato il tenore delle minacce e le stesse persone offese avevano riferito di minacce rivolte singolarmente alle persone offese, mentre la contestazione riportava il contenuto delle minacce, che risultavano dirette ad entrambe le persone offese; comunque, non vi era prova che nella concitazione dell'episodio le asserite minacce fossero state percepite dalle persone offese; era indimostrata l'effettiva capacità delle minacce di arrecare timore, atteso il permanente stato di reciproca conflittualità tra l'imputato e la figlia B.E., d'un lato, e le persone offese, dall'altro, come attestavano precedenti giudizi penali svolti dinanzi ad altre autorità.


3.3. Con il terzo motivo di ricorso si deduce la violazione della legge penale e vizio di motivazione, ai sensi dell'art. 606 c.p.p., lett. B) e E), in relazione all'art. 131 bis c.p.; la Corte d'appello aveva completamente omesso di considerare l'applicabilità ai fatti contestati della causa di non punibilità ex art. 131 bis c.p..


3.4. Con il quarto motivo di ricorso si deduce la violazione della legge penale e vizio di motivazione, ai sensi dell'art. 606 c.p.p., lett. B) e E), in relazione all'art. 62 bis c.p., per avere la Corte omesso di motivare il diniego della prevalenza delle riconosciute circostanze attenuanti generiche sulle contestate aggravanti.


3.5. Con il quinto motivo di ricorso si deduce la violazione della legge penale e vizio di motivazione, ai sensi dell'art. 606 c.p.p., lett. B) e E), in relazione all'art. 175 c.p.; pur in presenza di specifico motivo di impugnazione, la Corte d'appello aveva omesso di motivare sul mancato riconoscimento del beneficio richiesto.


3.6. Con il sesto motivo di ricorso si deduce la violazione della legge penale e vizio di motivazione, ai sensi dell'art. 606 c.p.p., lett. B) e E), in relazione all'art. 539 c.p.p.; la sentenza, pur avendo ridimensionato le voci di risarcimento riconosciute in favore delle parti civili, aveva erroneamente determinato l'ammontare del danno risarcibile per le spese occorrenti per le riparazioni del veicolo, considerata la dimostrata titolarità della vettura in capo alla società Graphic Art.


4.1. Nell'interesse di B.E., la difesa deduce con il primo motivo di ricorso, ai sensi dell'art. 606 c.p.p., lett. B) e E), la violazione di legge in relazione all'art. 612 c.p. e vizio di motivazione, contestando sia l'attribuzione della condotta di minacce di cui al capo B) all'imputata, sia l'effettiva valenza intimidatoria delle minacce descritte, atteso il reciproco e costante rapporto di conflittualità tra gli imputati e la famiglia delle persone offese; inoltre, la frase riportata nella contestazione non era stata attribuita all'imputata da nessuno dei testi, comprese le persone offese; in ogni caso, l'atteggiamento conflittuale e la reciprocità delle iniziative aggressive e ingiuriose portavano ad escludere che le frasi avessero raggiunto l'effetto di intimorire le persone offese.


4.2. Con il secondo motivo di ricorso si deduce la violazione di legge, ai sensi dell'art. 606 c.p.p., lett. B), in relazione all'art. 612 c.p., artt. 336 e 337 c.p.p., difettando nel corpo della querela sporta nei confronti dell'imputata l'indicazione della frase che aveva poi costituito oggetto dell'imputazione.


4.3. Con il terzo motivo di ricorso si deduce la violazione della legge penale e vizio di motivazione, ai sensi dell'art. 606 c.p.p., lett. B) e E), in relazione all'art. 582 c.p.; la sentenza aveva fondato il giudizio di responsabilità sulle dichiarazioni dell'imputata mentre le dichiarazioni delle stesse persone offese avevano evidenziato come le lesioni fossero derivate dall'intervento posto in essere dalla C. per dividere l'imputata dal marito della testimone, riportando in quel contesto accidentalmente le lesioni.


4.4. Con il quarto motivo di ricorso si deduce la violazione della legge penale e vizio di motivazione, ai sensi dell'art. 606 c.p.p., lett. B) e E), in relazione all'art. 131 bis c.p.; la Corte d'appello aveva completamente omesso di considerare l'applicabilità ai fatti contestati della causa di non punibilità ex art. 131 bis c.p..


4.5. Con il quinto motivo di ricorso si deduce la violazione della legge penale e vizio di motivazione, ai sensi dell'art. 606 c.p.p., lett. B) e E), in relazione all'art. 175 c.p.; pur in presenza di specifico motivo di impugnazione, la Corte d'appello aveva omesso di motivare sul mancato riconoscimento del beneficio richiesto.


4.6. Con il sesto motivo di ricorso si deduce la violazione della legge penale e vizio di motivazione, ai sensi dell'art. 606 c.p.p., lett. B) e E), in relazione all'art. 539 c.p.p.; la sentenza doveva essere annullata in riferimento alla quantificazione della provvisionale operata dalla Corte d'appello, in misura evidentemente eccessiva alla luce della contestata sussistenza delle condotte di reato.


CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Entrambi i ricorsi sono parzialmente fondati, per le ragioni di seguito esposte.


2.1. Il primo motivo del ricorso proposto nell'interesse dell'imputato B.S. è fondato.


Il nucleo delle censure articolate con il motivo è rappresentato dalla critica rivolta alla sentenza d'appello, per avere ritenuto contestata e sussistente la circostanza aggravante dell'esposizione alla pubblica fede della vettura oggetto del delitto di danneggiamento. Lamenta il ricorrente l'assenza di indicazione specifica, nel corpo dell'imputazione, delle condizioni del bene danneggiato da cui dovrebbe discendere la sussistenza della circostanza aggravante, essendo inidonea a tale scopo la mera collocazione del veicolo, descritto come "regolarmente parcheggiato".


In ordine alle caratteristiche che devono ricorrere affinchè un bene debba considerarsi esposto alla pubblica fede, va ricordato che, in relazione al contenuto della circostanza aggravante di cui all'art. 625 c.p., comma 2, n. 7, richiamato dall'art. 635 c.p., comma 2, è stato affermato che "integra il reato di furto aggravato dall'esposizione alla pubblica fede della cosa la condotta di chi sottragga un'autovettura parcheggiata in luogo privato liberamente accessibile, atteso che la natura, privata o pubblica, del luogo di esposizione del bene è irrilevante ai fini della configurabilità della citata aggravante" (Sez. 4, n. 21285 del 08/05/2009, Bortolameolli, Rv. 243513), dovendosi considerare che "in tema di furto, la circostanza aggravante della esposizione alla pubblica fede è configurabile anche quando la cosa si trova in luogo privato, ma aperto al pubblico o comunque facilmente accessibile, ovvero in un cortile di casa di abitazione in diretta comunicazione con una pubblica via ovvero in parcheggio privato non custodito" (Sez. 2, n. 8798 del 17/01/1991, Crisafulli, Rv. 188119; Sez. 5, n. 3041 del 27/11/1986, dep. 1987, Di Benedetto, Rv. 175322). Da tale premessa discende la decisività, per l'accertamento della caratteristica dell'esposizione dalla pubblica fede, della situazione di impossibilità, per il titolare del diritto di proprietà sulla cosa oggetto dell'azione delittuosa, di esercitare una vigilanza continua sul bene.


Per tale ragione, d'un lato è stato affermato che non può ritenersi sufficiente la recinzione di un'area privata ove sia collocata la cosa oggetto dell'azione delittuosa, per escludere la circostanza aggravante ("In tema di furto, è configurabile l'aggravante della esposizione alla pubblica fede dei beni anche quando l'area in cui si trovano è recintata, nel caso in cui, per la particolare modalità di accesso, essa risulti priva di vigilanza continua": Sez. 5, n. 51098 del 21/09/2017, Scaturro, Rv. 271602).


Per altro verso, la collocazione e le caratteristiche dell'area in cui il bene si trovi (come nel caso sottoposto all'esame dei giudici di merito, nelle immediate vicinanze dell'abitazione, con la predisposizione di una recinzione e di un cancello) potrebbe rendere evidentemente possibile la vigilanza continua sui beni (autovetture) ivi custoditi; con la conseguenza di ritenere insussistente l'aggravante di cui si discute.


La verifica di tale circostanze risulta del tutto omessa dalla sentenza impugnata, che si è limitata a considerare la circostanza dell'essere la vettura danneggiata "regolarmente parcheggiata", senza dare conto di altri elementi valutativi utili per accertare la condizione di esposizione alla pubblica fede.


L'accoglimento del motivo di ricorso impone, pertanto, l'annullamento con rinvio della sentenza per nuova valutazione circa la sussistenza della circostanza aggravante (decisivo, altresì, per l'eventuale giudizio sulla persistente rilevanza penale del fatto, diversamente non previsto dalla legge come reato ai sensi dell'attuale formazione dell'art. 635 c.p.); inoltre, tale statuizione comporta l'assorbimento dell'ulteriore profilo afferente il dedotto difetto di querela, così come del quarto motivo di ricorso, poichè l'accertamento della sussistenza della circostanza aggravante costituisce condizione preliminare per la valutazione dell'eventuale giudizio di bilanciamento con le riconosciute attenuanti generiche, ovvero dell'incidenza delle medesime circostanze attenuanti sulla determinazione della pena.


2.2. Il secondo motivo del ricorso proposto nell'interesse di B.S. è inammissibile, perchè non consentito in quanto fondato solo su differenti valutazioni in fatto degli elementi di prova raccolti, oltre che manifestamente infondato.


Il ricorrente, infatti, censura la motivazione ritenendo sia che non vi sia corrispondenza tra il tenore dell'imputazione - che riferiva di minacce rivolte al plurale alle persone offese ("vi ammazzo") - e il risultato delle prove che aveva dato atto della pronuncia di frasi al singolare ("ti ammazzo"), peraltro in contesti fisici non esattamente specificati (taluni testi parlavano di minacce proferite mentre l'imputato avrebbe preso a calci la porta dell'abitazione delle vittime, altri do minacce contestuali al danneggiamento della vettura). Si tratta di valutazioni in fatto che, peraltro, non elidono il dato incontestabile del ripetuto uso di frasi dall'inequivoco tenore minaccioso, di certo percepite dalle vittime che furono in grado di riferirle nell'istruttoria. Nè risulta ammissibile la censura diretta a denunciare l'omessa considerazione del clima di elevata e reciproca conflittualità, che avrebbe privato di portata intimidatoria le minacce attribuite all'imputato; ancora una volta si tratta di giudizi valutativi che non possono formare oggetto do critica in sede di legittimità, oltre ad essere caratterizzati da evidente illogicità, atteso che l'ipotetico dato della reciproca conflittualità - rilevante in altri contesti e ad altri fini, quale quello dell'esclusione di differenti fattispecie di reato quale quella di cui all'art. 612 bis c.p., come argomentato dalla stessa sentenza impugnata - non esclude necessariamente che i destinatari di frasi e atteggiamenti minacciosi non percepiscano il contenuto minatorio delle espressioni loro rivolte, per il solo fatto che siano in grado di reagire a quelle minacce. E' noto, sin dalle più risalenti pronunce di legittimità (Sez. 5, n. 1479 del 13/01/1972, Meucci, Rv. 120443), che " sulla sussistenza del delitto di minaccia non influisce alcuno eventuale atteggiamento minaccioso e provocatorio del soggetto passivo, che eventualmente può sostanziare una circostanza, che diminuisca la gravità del reato, esterna perciò alla fattispecie: come nessuna rilevanza ha il turbamento più o meno intenso provato dalla persona offesa, che potrebbe anche non impressionarsi affatto non per la inidoneità dell'azione, ma perchè dotato di sufficiente coraggio"; si tratta infatti di reato di pericolo, rispetto al quale la minaccia va valutata con criterio medio ed in relazione alle concrete circostanze del fatto (Sez. 5, n. 644 del 06/11/2013, dep. 2014, B, Rv. 257951), sicchè non è necessario che il soggetto passivo si sia sentito effettivamente intimidito (Sez. 4, n. 8264 del 02/09/1985, Giannini, Rv. 170482), essendo semplicemente sufficiente che la condotta posta in essere dall'agente sia potenzialmente idonea ad incidere sulla libertà morale del soggetto passivo (Sez. 1, n. 44128 del 03/05/2016, Nino, Rv. 268289; Sez. 5, n. 46528 del 02/12/2008, Parlato, Rv. 242604).


La circostanza, non contestata, che le minacce riguardavano il pericolo di "essere ammazzati" attesta da sè il contenuto minatorio, obiettivamente sussistente nelle frasi utilizzate dal ricorrente.


3.1. Il primo motivo del ricorso proposto nell'interesse di B.E. è fondato.


La sentenza non ha fornito risposta alle censure che puntualmente avevano indicato nelle dichiarazioni delle persone offese elementi che riconducevano l'uso delle espressioni minacciose non all'imputata, ma al genitore, limitandosi a affermare la sussistenza del fatto di reato. Dal testo della decisione di primo grado, così come dai documenti allegati dalla ricorrente, risulta in modo chiaro che le uniche minacce rivolte alle persone offese, nel contesto del diverbio avvenuto nella data indicata nell'imputazione, furono quelle rivolte da B.S.; nessuna minaccia è stata attribuita, nè dai testi nel corso dell'istruttoria, nè dalle stesse persone offese nel corpo della querela (acquisita al fascicolo del dibattimento su concorde richiesta delle parti), all'imputata. L'assenza di elementi di prova che possano fondare una diversa ricostruzione dei fatti, alla stregua delle informazioni contenute nelle sentenze di merito, esclude la necessità di rinviare gli atti per un nuovo giudizio.


L'accoglimento del motivo di ricorso comporta evidentemente l'assorbimento dell'esame del secondo motivo di ricorso.


3.2. Il terzo motivo del ricorso proposto nell'interesse di B.E. è inammissibile, perchè manifestamente infondato; le lesioni sono state cagionate nel corso di una colluttazione, durante la quale l'imputata aveva realizzato condotte che erano dirette a colpire e procurare lesioni a B.W.; la circostanza che poi sia intervenuta altra persona (la C.) che ha subito le lesioni per effetto di quelle condotte, non esclude la responsabilità dell'imputata (ai sensi dell'art. 82 cod. pen.). Egualmente inammissibile il motivo nella parte in cui ritiene scriminato il fatto per la reciprocità delle offese e delle altre condotte aggressive, per l'evidente irrilevanza in fatto della reciprocità di condotte aggressive o minacciose rispetto al dato obiettivo delle lesioni cagionate.


4.1. Quanto ai motivi comuni ad entrambi i ricorsi va osservato quanto segue: il terzo motivo del ricorso proposto nell'interesse di B.S. e il quarto motivo del ricorso proposto nell'interesse di B.E. sono entrambi inammissibili, perchè non consentiti ai sensi dell'art. 606 c.p.p., comma 3, non avendo gli appellanti in sede di impugnazione formulato alcuna richiesta di riconoscimento della causa di non punibilità ex art. 131 bis c.p.; pur volendo ritenere che l'astratta applicabilità della causa di non punibilità era sorta per effetto dell'assoluzione pronunciata in grado di appello dalla più grave imputazione di cui all'art. 612 bis c.p., il carattere reiterato delle condotte minacciose posta in essere da B.S. e le modalità della condotta tenuta da B. Silvia,e diretta a cagionare le lesioni, escludevano la possibilità di ritenere tenue l'offesa da ciascuno recata alle vittime.


4.2. Anche il sesto motivo, proposto con entrambi i ricorsi, è inammissibile, perchè non consentito: è affermazione costante della Corte di legittimità quella secondo la quale "il provvedimento con il quale il giudice di merito, nel pronunciare condanna generica al risarcimento del danno, assegna alla parte civile una somma da imputarsi nella liquidazione definitiva non è impugnabile per cassazione, in quanto per sua natura insuscettibile di passare in giudicato e destinato ad essere travolto dall'effettiva liquidazione dell'integrale risarcimento" (Sez. 2, n. 49016 del 06/11/2014, Patricola, Rv. 261054; nello stesso senso Sez. 3, n. 18663 del 27/01/2015, D. G., Rv. 263486; Sez. 6, n. 50746 del 14/10/2014, P.C. e G, Rv. 261536), e ciò in quanto l'assegnazione della provvisionale costituisce provvedimento "per sua natura insuscettibile di passare in giudicato e destinato ad essere travolto dall'effettiva liquidazione dell'integrale risarcimento".


I motivi che i ricorrenti hanno svolto per censurare la misura del provvisionale (così intesa la statuizione della Corte d'appello che ha nuovamente fissato la misura dei danni già liquidati, determinandoli in riferimento alle distinte voci di danno indicate nella motivazione) non sono dunque ammissibili, anche con riferimento alla questione dell'erronea attribuzione della quota di risarcimento del danno a soggetto che non sia titolare del diritto di proprietà sulla cosa danneggiata (come dedotto dal ricorrente B.S.), trattandosi appunto di aspetto che concerne la fondatezza della pretesa risarcitoria, che dovrà formare oggetto della delibazione del giudice civile chiamato alla liquidazione definitiva del danno.


5. Il quinto motivo dei ricorsi proposti nell'interesse degli imputati è, invece, fondato; la stessa sentenza dà atto che con l'impugnazione proposta dagli odierni ricorrenti era stata richiesta la concessione del beneficio della non menzione dell'eventuale condanna, in ragione delle condizioni soggettive degli imputati; la sentenza ha completamente omesso di valutare il motivo, incorrendo nel vizio dedotto atteso l'obbligo del giudice investito della richiesta ex art. 175 c.p. di motivare le ragioni che ostano alla concessione del beneficio richiesto ("Nel caso in cui l'imputato abbia chiesto con specifico motivo d'appello la non menzione della condanna inflittagli dal giudice di primo grado ed il giudice d'appello non abbia preso in considerazione tale richiesta, omettendo qualsiasi pronuncia sul punto, la sentenza impugnata deve essere annullata in parte con rinvio": Sez. 3, n. 31349 del 09/03/2017, Diop, Rv. 270639).


6. In ragione delle statuizioni che precedono, la sentenza impugnata deve essere annullata, nei confronti del ricorrente B.S., limitatamente al giudizio sulla sussistenza dell'aggravante di cui all'art. 635 c.p., comma 2, in relazione all'imputazione di cui al capo D), e all'omessa pronuncia in ordine alla richiesta concessione del beneficio della non menzione; il giudice del rinvio procederà a nuovo giudizio su tali punti (esaminando in particolare, per ciò che attiene il profilo dell'ipotizzata circostanza aggravante, attraverso le prove acquisite, per la conformazione dei luoghi in cui era parcheggiata la vettura della persona offesa, per l'esistenza di ostacoli al libero accesso nell'area ove veniva parcheggiata la vettura, per la vicinanza dell'area a luoghi abitati e in quelli ove la persona offesa svolgeva la propria attività professionale, se sussisteva o no la possibilità di esercitare una costante vigilanza sul veicolo). Il giudice del rinvio regolerà, altresì, le spese sostenute dalla parte civile in questo grado all'esito della definizione del giudizio di rinvio.


7. La sentenza va, inoltre, annullata senza rinvio, nei confronti dell'imputata B.E., limitatamente al delitto di cui all'art. 612 c.p. contestato al capo B). Per ciò che attiene il profilo sanzionatorio, la Corte può procedere ai sensi dell'art. 620 c.p.p., lett. L) direttamente a determinare la pena da infliggere, conseguentemente, all'imputata (avendo il giudice del merito individuato l'aumento dovuto a titolo di continuazione per il reato satellite di cui all'art. 612 c.p.), così come a verificare la meritevolezza del beneficio della non menzione, sulla base degli elementi emergenti dalla sentenza di secondo grado, avuto riguardo all'incensuratezza dell'imputata ed alla prognosi favorevole già formulata con il riconoscimento della sospensione condizionale della pena, circostanze che consentono di riconoscere all'imputata il detto beneficio (nello stesso senso v. Sez. 5, n. 25625 del 25/02/2016, Candido, Rv. 267217).


Pertanto, va eliminata la pena di Euro 100 di multa corrispondente a quella determinata per il delitto di cui all'art. 612 c.p., dalla pena inflitta con la sentenza impugnata, concedendo all'imputata il beneficio della non menzione.


In ragione del contenuto della pronuncia di annullamento, l'imputata deve altresì essere condannata alla rifusione delle spese sostenute nel grado dalla costituita parte civile C.D. nella misura indicata in dispositivo.


P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di B.E., limitatamente al reato di cui all'art. 612 c.p. ed elimina la relativa pena di Euro 100 di multa.


Concede alla medesima il beneficio della non menzione.


Condanna B.E. alla rifusione delle spese nei confronti della parte civile C.D. che liquida in Euro 3510, oltre spese generali nella misura del 15%, CPA e IVA.


Annulla la sentenza impugnata nei confronti di B.S. limitatamente al reato di cui all'art. 635 c.p. e all'omessa pronuncia in punto di non menzione della condanna, con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Milano per nuovo giudizio sul punto.


Dichiara irrevocabile l'accertamento di responsabilità nei confronti di B.S. in ordine al delitto di cui all'art. 612 c.p..


Dichiara inammissibile nel resto il ricorso di B.S..


Spese al definitivo per la parte civile.


Così deciso in Roma, il 12 febbraio 2019.


Depositato in Cancelleria il 17 maggio 2019

Hai bisogno di assistenza legale?

Prenota ora la tua consulenza personalizzata e mirata.

 

Grazie

oppure

PHOTO-2024-04-18-17-28-09.jpg
bottom of page