Occultamento di scritture contabili: reato permanente fino alla chiusura del controllo fiscale (Cass. Pen. n. 33644/25)
- Avvocato Del Giudice

- 29 ott
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La massima
Integra il reato di occultamento di documenti contabili (art. 10 D.Lgs. 74/2000) anche la prolungata indisponibilità delle scritture agli organi verificatori, pur senza loro distruzione materiale, poiché l’obbligo di esibizione perdura fino alla conclusione del controllo fiscale.
La condotta ha natura permanente e la prescrizione decorre dalla conclusione dell’accertamento.
In caso di estinzione per prescrizione del reato più grave, il giudice d’appello può rideterminare la pena per il reato residuo, purché non superi la pena base già determinata in primo grado (art. 597 c.p.p.).
La sentenza integrale
Cassazione penale sez. III, 25/09/2025, (ud. 25/09/2025, dep. 13/10/2025), n.33644
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 15 novembre 2021, il Tribunale di Rovigo condannava Mu.Al. alla pena di anni due, mesi due di reclusione, in quanto ritenuto colpevole dei reati di cui agli artt. 5 e 10 D.Lgs. n. 74/2000, poiché, in qualità di legale rappresentante, dal 16/11/2009 al 20/05/2013, della Commerciale San Fidenzio Srl, esercente l'attività di "locazione immobiliare di beni propri", al fine di evadere le imposte sui redditi e sul valore aggiunto, non presentava le dichiarazioni per l'anno di imposta 2010 e distruggeva o comunque occultava la documentazione contabile della società, applicando nel minimo le pene accessorie di legge e disponendo la confisca di beni nella disponibilità dell'imputato sino alla concorrenza dell'imposta evasa.
Con sentenza del 14 ottobre 2024, la Corte di appello di Venezia, in parziale riforma della sentenza di primo grado, dichiarava l'estinzione del reato di cui all'art. 5 D.Lgs. n. 74 del 2000 per intervenuta prescrizione e rideterminava la pena per il residuo reato in un anno e otto mesi di reclusione, concedendo il beneficio della sospensione condizionale della pena e confermando nel resto la sentenza di primo grado.
2. Avverso la sentenza della Corte di appello di Venezia, Mu.Al., tramite il difensore, ha proposto ricorso per cassazione, sollevando tre motivi.
2.1. Con il primo motivo, il ricorrente lamenta, ai sensi dell'art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., violazione di legge e vizio di motivazione, avendo la sentenza impugnata illogicamente motivato sulla sussistenza degli elementi costitutivi della fattispecie di cui all'art. 10 D.Lgs. n. 74 del 2000.
Deduce il ricorrente che la Corte territoriale ha ritenuto che la documentazione contabile, da lui recuperata dalla commercialista della società, confermerebbe che detta documentazione sia stata sempre nella disponibilità dell'imputato e non sia stata consegnata all'amministratore subentrante al fine di impedire la ricostruzione dei ricavi della società, senza considerare che la mancata acquisizione della predetta documentazione ai sensi dell'art. 507 cod. proc. pen. e in sede di rinnovazione istruttoria non consente di accertare, oltre ogni ragionevole dubbio, che tale documentazione sia stata sempre nella disponibilità del ricorrente e non, invece, nella disponibilità della commercialista alla quale non era mai stata chiesta dall'amministratore subentrato al ricorrente.
2.2. Con il secondo motivo, il ricorrente lamenta, ai sensi dell'art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all'art. 597 cod. proc. pen., avendo la sentenza impugnata erroneamente applicato all'imputato una pena più grave per quantità, rispetto a quella decisa con la sentenza di primo grado.
In sintesi, la difesa deduce che, a fronte della sentenza di primo grado che aveva condannato l'imputato alla pena complessiva di due anni e due mesi di reclusione, muovendo da una pena base di un anno e otto mesi di reclusione con riferimento al reato di cui all'art. 5 D.Lgs. n. 74 del 2000, la rideterminazione della pena operata dalla Corte di appello in un anno e otto mesi di reclusione per il solo reato di cui all'art. 10 D.Lgs. n. 74 del 2000 viola il principio del divieto di reformatio in peius di cui all'art. 597, comma 3, cod. proc. pen.
2.3. Con il terzo motivo, il ricorrente lamenta, ai sensi dell'art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., violazione di legge in relazione all'art. 159 cod. pen., per l'intervenuta prescrizione del reato di cui all'art. 10 D.Lgs. n. 74 del 2000 già nel corso del giudizio di appello.
Osserva la difesa che il termine di prescrizione, nella specie pari a dieci anni decorrenti dalla consumazione del fatto, era maturato nel corso del giudizio di primo grado, non applicandosi l'aumento di pena introdotto con il D.L. n. 124 del 2019 in epoca successiva alla consumazione del reato.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è manifestamente infondato.
1. Iniziando dal primo motivo, diversamente da quanto rappresentato in ricorso, le sentenze di merito, le cui motivazioni costituiscono un unico corpo decisionale, ricorrendo un caso di "doppia conforme", nella ricostruzione degli avvicendamenti nella rappresentanza legale della Commerciale San Fidenzio Srl, hanno affermato, senza vizi logici, che, alla data del 20/05/2013, in cui era subentrato al ricorrente altro rappresentante legale, il Mu.Al. aveva riservato di produrre le scritture contabili, sostenendone di non esserne in possesso, poiché non consegnategli dagli amministratori che lo avevano preceduto, per poi sostenere di averle recuperate presso il commercialista e negli archivi, ma senza tuttavia effettuare alcuna produzione in giudizio (in tal senso pagina 5 della sentenza di primo grado e paragrafo 2.2 della sentenza di secondo grado).
A causa della mancata consegna della documentazione contabile, gli accertatori, per ricostruire il volume di affari e, quindi, la base imponibile sottratta a tassazione, avevano individuato le operazioni commerciali poste in essere dalla società e reperito la documentazione fiscale, interpellando i clienti e i fornitori della società stessa, conseguendone la piena integrazione del reato.
Costituisce, infatti, principio assolutamente consolidato in giurisprudenza, e che il Collegio condivide, quello secondo cui, in tema di reati tributari, l'impossibilità di ricostruire il reddito od il volume d'affari derivante dalla distruzione o dall'occultamento di documenti contabili non deve essere intesa in senso assoluto e sussiste anche quando è necessario procedere all'acquisizione presso terzi della documentazione mancante (cfr., tra le tantissime: Sez. 7, n. 56075 del 26/11/2018, Durante, non massimata; Sez. 3, n. 36624 del 18/07/2012, Pratesi, Rv. 253365; Sez. 3, n. 39711 del 04/06/2009, Acerbis, Rv. 244619).
Né può essere sostenuto, come fa il ricorrente, che la mancata acquisizione della documentazione fiscale da parte del giudice di primo grado ai sensi dell'art. 507 cod. proc. pen. e dalla Corte di appello in sede di rinnovazione istruttoria ex art. 603 cod. proc. pen. non consente di accertare, oltre ogni ragionevole dubbio, che tale documentazione sia stata sempre nella disponibilità del ricorrente e non, invece, nella disponibilità della commercialista alla quale non era mai stata chiesta dall'amministratore subentrato al ricorrente.
Invero, deve essere richiamata sul punto la concorde affermazione dei giudici di merito in relazione alla mancata consegna di detta documentazione anche durante lo svolgimento dei giudizi di primo e secondo grado, nonché la giurisprudenza di questa Corte secondo cui, in tema di reati tributari, integra l'occultamento dei documenti contabili, previsto dall'art. 10 D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, la condotta dell'amministratore che determini il loro mancato, prolungato rinvenimento nei luoghi riferibili alla società e accessibili agli organi verificatori, nella consapevolezza dell'accertamento in corso e della strumentalità della documentazione alla ricostruzione della contabilità della società (Sez. 3, n. 23921 del 14/12/2020, dep. 2021, Provasi, Rv. 281485, fattispecie nella quale la Corte ha ritenuto che la successiva rivelazione, da parte dell'amministratore, del luogo di custodia della documentazione in sede di interrogatorio conseguente alla notifica dell'avviso ex art. 415-bis cod. proc. pen. non escludesse l'avvenuta consumazione del reato; nello stesso senso Sez. 3, n. 44510 dell'11/09/2024, Presutti, non mass.).
Il principio richiamato è in linea con i consolidati orientamenti giurisprudenziali in ordine al reato previsto dall'art. 10 D.Lgs. n. 74 del 2000, secondo i quali, per un verso, l'occultamento di documenti contabili consiste anche nella "temporanea" indisponibilità della documentazione contabile da parte degli organi verificatori (cfr. Sez. 3, n. 46049 del 28/03/2018, Carestia, Rv. 274697; Sez. 3, n. 14461 del 25/05/2016, dep. 2017, Quaglia, Rv. 269898), e, sotto altro profilo, l'obbligo di esibizione dei documenti contabili perdura finché dura il controllo da parte degli organi verificatori (v. Sez. 3, n. 40317 del 23/09/2021, Narcisi, Rv. 282340; Sez. 3, n. 4871 del 17/01/2006, Festa, Rv. 234053).
Del resto, il giudice di primo grado ha chiarito che il ricorrente era stato coinvolto nell'accertamento fiscale ed era stato destinatario di richiesta di documentazione sia pure con riferimento alla società "Parco Commerciale San Fidenzio" di cui era amministratore; società quest'ultima alla quale, all'esito di una scissione intervenuta nel 2007, era stato conferito l'immobile costituente il centro commerciale, mentre "Commerciale San Fidenzio" era rimasta proprietaria delle licenze commerciali delle attività inserite nel centro commerciale stesso.
In presenza di un apparato argomentativo sufficiente e non irrazionale, non vi è dunque spazio per l'accoglimento delle generiche obiezioni difensive.
Di qui la manifesta infondatezza delle doglianze sollevate sul punto.
2. Alla medesima conclusione di manifesta infondatezza deve pervenirsi rispetto al secondo motivo.
In proposito, occorre premettere che il divieto di reformatio in peius della sentenza impugnata dal solo imputato non riguarda unicamente l'entità complessiva della pena, ma tutti gli elementi autonomi che concorrono alla sua determinazione (Sez. 4, n. 34342 del 24/06/2021, Bovati, Rv. 281829 - 02; Sez. 2, n. 41933 del 03/04/2017, Brajdic, Rv. 271182; Sez. U, n. 40910 del 27/09/2005, William Morales, Rv. 232066).
Ai fini che qui interessano, l'insegnamento di legittimità è nel senso che l'eventuale proscioglimento dal reato per il quale è stata determinata la pena base comporta una nuova determinazione per il reato residuo. E non è possibile ritenere che, in sede di appello, l'ambito di tale determinazione sia limitato alla quantità già stabilita per tale reato dal giudice di primo grado, quale aumento ai sensi dell'art. 81 c.p. perché, con l'annullamento parziale, è venuta meno la stessa ragione di riconoscimento del vincolo, che giustifica il cumulo giuridico. In tal caso, la norma di cui all'art. 597, comma 3, c.p.p., per cui il giudice d'appello non può applicare una pena più grave, per specie o quantità, di quella già irrogata, va letta nel senso che, ferme le previsioni edittali relative al reato residuo, non può superarsi specie e quantità di pena già determinata quale base dal giudice di grado precedente, in relazione all'altro reato ritenuto più grave (Sez. 4, n. 9176 del 31/01/2024, Rv. 285873; nello stesso senso, Sez. 4, n. 12334 del 28/02/2024, Terminiello; Sez. 4, n. 13806 del 07/03/2023, Clemente, Rv. 284601; Sez. 2, n. 5502 del 22/10/2013, dep. 2014, Cavani, Rv. 258253). In altri termini, quando venga in rilievo l'esercizio di un nuovo potere discrezionale di determinazione della pena base per un reato diverso da quello ritenuto nella sentenza appellata, la valutazione del giudice è libera, ben potendo fissare una nuova pena base in misura superiore al minimo edittale, pur se quella precedente – sebbene più elevata – fosse parametrata a tale limite, con il solo limite di non superare la pena base per il reato ritenuto in primo grado ovvero con l'obbligo di ridurre la pena qualora il reato ritenuto in appello sia meno grave (Sez. U, n. 16208 del 27/03/2014, C., Rv. 258653; Sez. 5, n. 14991 del 12/01/2012, Strisciuglio, Rv. 252326).
Sulla base dei principi esposti, è manifestamente infondata la doglianza mossa in ricorso, dal momento che, a seguito della dichiarazione di estinzione del reato di cui all'art. 5 D.Lgs. n. 74 del 2000, ritenuto più grave dal giudice di primo grado, la Corte territoriale ha rideterminato la pena del reato residuo di cui all'art. 10 D.Lgs. n. 74 del 2000 in un anno e otto mesi di reclusione. In tal modo, la Corte di merito ha operato conformemente ai principi affermati, non avendo superato la pena di un anno e otto mesi di reclusione, determinata quale base dal Tribunale di Rovigo in relazione al reato di cui all'art. 5 D.Lgs. n. 74 del 2000, ritenuto in precedenza più grave.
3. Il terzo motivo di ricorso è anch'esso manifestamente infondato.
È insegnamento della giurisprudenza della Corte di legittimità che "La condotta del reato di cui all'art. 10 D.Lgs. n. 74 del 2000 (già previsto dall'art. 4, comma primo, lett. b) L. n. 516 del 1982) consiste nella distruzione o nell'occultamento delle scritture contabili o dei documenti di cui è obbligatoria la conservazione, in modo da non consentire la ricostruzione dei redditi o del volume di affari. A differenza della distruzione che realizza un'ipotesi di reato istantaneo, che si consuma al momento della soppressione della documentazione, l'occultamento - che consiste nella temporanea o definitiva indisponibilità della documentazione da parte degli organi verificatori - costituisce un reato permanente che si consuma nel momento dell'ispezione, e cioè nel momento in cui gli agenti chiedono di esaminare detta documentazione" (Sez. 3, n. 13716 del 07/03/2006, Cesarini, Rv. 234239). In altri termini, la condotta antigiuridica di occultamento perdura finché esiste in favore dell'amministrazione il potere di controllare l'ammontare dei redditi o del volume degli affari (Sez. 3, n. 46049 del 28/03/2018, Carestia, Rv. 274697).
La diversa struttura del reato ha delle ricadute ai fini della decorrenza del relativo termine prescrizionale: in un caso, ove si tratti di reato istantaneo, la prescrizione inizia a decorrere dal momento in cui si è conclusa l'attività di distruzione delle scritture; mentre, nel caso di reato permanente, perdurando l'obbligo di esibizione finché dura il controllo da parte degli organi verificatori, la prescrizione inizierà a decorrere solo a partire dalla conclusione dell'accertamento tributario (Sez. 3, n. 11469 del 07/03/2025, Barrasso, Rv. 287669; Sez. 3, n. 40317 del 23/09/2021, Narcisi, Rv. 282340), momento in cui possono essere considerati esauriti gli effetti dell'illecito, essendo l'occultamento divenuto definitivo e non più eliminabile da parte degli organi dell'accertamento tributario.
Pertanto, nel caso di specie, vertendosi in materia di occultamento dei documenti contabili, condotta indicata prioritariamente nel capo di incolpazione (Sez. 3, n. 14461 del 25/05/2016, dep. 2017, Quaglia, Rv. 269898), ed essendosi il procedimento di accertamento tributario concluso il 14/03/2016 (v. capo di incolpazione), il termine decennale massimo di prescrizione, decorrente dalla conclusione dell'accertamento e considerando anche le sospensioni intervenute nel corso del processo ed elencate nella sentenza di primo grado (v. pagina 1) per complessivi 518 giorni, non è ad oggi decorso.
4. In conclusione, stante la manifesta infondatezza delle doglianze formulate, il ricorso proposto nell'interesse del ricorrente deve essere dichiarato inammissibile, con conseguente onere per il ricorrente, ai sensi dell'art. 616 cod. proc. pen., di sostenere le spese del procedimento e, in assenza di profili idonei ad escludere la colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al versamento, in favore della Cassa delle ammende, di una somma che appare equo determinare in Euro tremila, esercitando la facoltà introdotta dall'art. 1, comma 64, L. n. 103 del 2017, di aumentare oltre il massimo la sanzione prevista dall'art. 616 cod. proc. pen. in caso di inammissibilità del ricorso, considerate le ragioni dell'inammissibilità stessa come sopra indicate.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 25 settembre 2025.
Depositato in Cancelleria il 13 ottobre 2025.




