La massima
In tema di reati tributari, la procedura di concordato preventivo scrimina il reato di omesso versamento di ritenute di cui all' art. 10-bis d.lg. 10 marzo 2000, n. 74 , riguardante gli obblighi scaduti tra la presentazione dell'istanza di ammissione al concordato, sia esso in bianco che con deposito del piano, e l'adozione del relativo decreto, solo ove sia intervenuto un provvedimento del tribunale che abbia vietato, o comunque non autorizzato, come invece richiesto dall'interessato, il pagamento dei suddetti debiti, essendo in tal caso configurabile la scriminante dell'adempimento di un dovere imposto da un ordine legittimo dell'autorità di cui all' art. 51 c.p. (Cassazione penale , sez. III , 02/12/2021 , n. 9248).
Fonte: Ced Cassazione Penale
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La sentenza integrale
Cassazione penale , sez. III , 02/12/2021 , n. 9248
RITENUTO IN FATTO
1. Con ordinanza del 29 luglio 2021, il Tribunale di Benevento, in sede di riesame, ha annullato il decreto di sequestro preventivo emesso dal GIP del Tribunale di Benevento l'8 luglio 2021, in relazione al reato di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 10-ter, contestato all'indagato perché, in qualità di amministratore unico della società "S. s.r.l." (già "B. s.r.l."), non versava l'imposta sul valore aggiunto dovuta per l'anno 2017, per un importo pari ad Euro 521.440,72. Il sequestro era finalizzato alla confisca diretta delle somme di denaro nella disponibilità della società coinvolta e, in via subordinata, alla confisca per equivalente dei beni propri dell'indagato, sempre fino alla concorrenza complessiva dell'imposta evasa.
Per quanto qui rileva, la vicenda può essere sintetizzata nei seguenti termini: la società - divenuta da poco "S. s.r.l." - ha presentato in data 24 aprile 2018 ricorso per l'ammissione alla procedura di concordato preventivo, con riserva di deposito del piano; con decreto del 2 maggio 2018 il Tribunale di Benevento, sezione Fallimentare, ha concesso un termine per il deposito della documentazione statuendo, in via provvisoria, che per i pagamenti di importo superiore ad Euro 50.000,00 sarebbe stata necessaria l'autorizzazione dell'autorità giudiziaria, previa comunicazione ai commissari giudiziali nominati; nel frattempo, in data 27 luglio 2018, la società ha presentato telematicamente il modello IVA 2018 concernente l'imposta dovuta per l'anno 2017, pari ad Euro 521.440,00, il cui termine per adempiere scadeva il 27 dicembre 2018; la domanda di concordato corredata dal piano, comprendente proposta di transazione fiscale, è stata depositata il 29 novembre 2018 e il Tribunale Fallimentare, in data 26 giugno 2019, ha adottato il provvedimento di ammissione alla procedura concorsuale, evidenziando la fattibilità giuridica (e non anche economica) del piano e l'opportunità di ammettere la società alla procedura nonostante il dissesto, per via del promesso apporto di finanza esterna. Il Tribunale ha accolto la richiesta di riesame, aderendo all'orientamento minoritario di legittimità secondo cui la semplice presentazione della domanda di concordato preventivo preclude l'adempimento delle obbligazioni tributarie.
2. Avverso l'ordinanza il Procuratore della Repubblica di Benevento ha proposto ricorso per cassazione, chiedendone l'annullamento e deducendo, con un unico motivo di doglianza, la violazione del D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 10-ter, art. 51 c.p., il R.D. n. 267 del 1942, artt. 167 e 168.
A parere del ricorrente il Tribunale del riesame, nell'annullare il provvedimento del GIP, avrebbe errato nel considerare insussistente il fumus commissi delicti del reato contestato per operatività della scriminante di cui all'art. 51 c.p., poiché avrebbe erroneamente ritenuto che il dovere da adempiere fosse imposto dalle norme giuridiche di cui alla L.Fall., artt. 167 e 168 e, dunque, che l'omesso versamento dell'imposta dovuta non fosse contra ius in quanto legittimato dall'avvenuta ammissione alla procedura concorsuale. L'interpretazione non condivisa dal ricorrente sarebbe il frutto dell'adesione ad un orientamento minoritario di legittimità, da ultimo espresso dalla sentenza Sez. 3, n. 36320 del 2019, Rv. 277687, secondo cui l'obbligo di non procedere al pagamento del debito fiscale deriverebbe già dalla legge, non essendo necessario alcun provvedimento specifico del Tribunale fallimentare coinvolto, come invece affermato dall'orientamento maggioritario di legittimità. In accordo con tale ultima ricostruzione, non assumerebbe alcun rilievo la mera presentazione della domanda di ammissione al concordato preventivo, poiché essa non impedisce il pagamento dei debiti tributari che vengono a scadere successivamente alla sua presentazione, ma prima dell'adozione di provvedimenti da parte del tribunale, essendo configurabile la causa di giustificazione prevista dall'art. 51 c.p., solo se i provvedimenti che impongono il dovere di non adempiere all'obbligo tributario siano intervenuti prima della scadenza di tale obbligo e, dunque, non siano successivi alla consumazione del reato (in tal senso, Sez. 3, n. 13628 del 2020, Rv. 279421). In particolare, secondo il ricorrente, dalla L.Fall., art. 161, comma 7, non emergerebbe - neppure se letto in maniera sistematica con gli artt. 167, 168 e 189 della medesima normativa - un dovere del debitore che ha presentato la domanda di concordato di non pagare i propri debiti. Se ciò si ritenesse sufficiente si creerebbe un sistema in cui basterebbe presentare anche superficialmente una domanda di concordato preventivo prima della scadenza del termine per il pagamento dell'obbligazione tributaria penalmente rilevante per non incorrere nella responsabilità penale, così incentivando la perpetrazione di tali reati nonché eludendo qualsiasi sanzione.
3. Con memoria pervenuta nella cancelleria di questa Corte, in data 11 ottobre 2021, il difensore di D.R. ha chiesto il rigetto del ricorso ovvero, nel caso di accoglimento, l'annullamento con rinvio onde consentire al Tribunale di esaminare ulteriori questioni attinenti alla sequestrabilità delle somme ritenute non nella disponibilità dell'indagato.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è fondato.
Nell'unica censura devoluta in questa sede, il pubblico ministero ha sostenuto che nessun effetto inibitorio rispetto al pagamento dei debiti fiscali potesse derivare dalla semplice domanda di concordato preventivo, cosicché sarebbe sussistente il fumus commissi delicti in presenza di omissione del versamento dei debiti tributari alla scadenza, non essendo vietato il loro adempimento dalla mera presentazione del ricorso per concordato.
1.1. Si rende, dunque, necessaria una preliminare riflessione sulla questione relativa ai rapporti tra il reato tributario in contestazione e la procedura di concordato preventivo, in relazione alla quale si registra un primo orientamento, secondo cui la procedura di concordato preventivo scrimina i reati di omesso versamento, in relazione a obblighi scaduti tra la presentazione dell'istanza di ammissione al concordato - sia esso "in bianco" che con deposito del piano - e l'adozione del relativo decreto, solo ove sia intervenuto un provvedimento del Tribunale che abbia vietato, o comunque non autorizzato, come invece richiesto dall'interessato, il pagamento dei suddetti debiti, essendo in tal caso configurabile la scriminante dell'adempimento di un dovere imposto da un ordine legittimo dell'autorità di cui all'art. 51 c.p.. Per contro, in mancanza di dette condizioni, il mero decreto di ammissione al concordato non vale a scriminare "retroattivamente" gli omessi versamenti relativi a debiti scaduti anteriormente. Tale indirizzo interpretativo si pone in linea con gli enunciati della giurisprudenza largamente maggioritaria, secondo cui la procedura di concordato preventivo non inibisce - in linea di principio - il pagamento dei debiti tributari il cui termine di scadenza è successivo al deposito della domanda (ex multis, Sez. 3, n. 13628 del 20/02/2020, Rv. 279421; Sez. 3, n. 2860 del 30/10/2018, dep. 22/01/2019, Rv. 274822). In particolare, si è affermato che il pagamento del debito trova fondamento nella previsione normativa di cui alla L.Fall., art. 161, comma 7 e L.Fall., art. 167, come osservato dalla Cassazione civile, la quale afferma che non è tout court vietato il compimento di atti straordinari (tra cui il pagamento del debito tributario), i quali, se compiuti senza autorizzazione giudiziale, non comportano la revoca della procedura (Sez. 1, n. 11958 del 16/05/2018 Rv. 648456, che richiama Cass. 14887/2017, 7066/2016, 3324/2016, successivamente ribadito da Sez. 1, n. 16808 del 21/06/2019 Rv. 654280). Un argomento a sostegno di questa ricostruzione può essere desunto da Corte Cost., ord. n. 256 del 2017, che chiarisce - ove ve ne fosse la necessità - che il soggetto in concordato è la società e non l'imputato, e l'impossibilità di provvedere al pagamento a causa dei vincoli derivanti dal concordato preventivo riguarda solo la società e non anche l'imputato, che e', invece, l'autore del reato. Ne consegue che trova applicazione, anche in relazione alla questione del rapporto fra crisi e concordato, il principio - già richiamato - secondo cui spetta all'imprenditore in crisi, che sa di avere un debito fiscale che verrà a scadenza certa, ponderare la migliore soluzione della crisi di impresa e valutare in tale ambito anche le conseguenze penali della sua eventuale omissione del pagamento del debito. Un ulteriore argomento a favore di tale ricostruzione interpretativa è rappresentato dal fatto che il pagamento dell'IVA - che peraltro è un credito privilegiato ai sensi del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 62, - dopo la presentazione della domanda di concordato preventivo non può neanche dirsi diretto a frodare le ragioni dei creditori, in quanto impedisce l'ulteriore depauperamento per i creditori che può derivare dall'imposizione di sanzioni e interessi.
Cionondimeno, il Collegio non ignora il diverso orientamento minoritario fatto proprio dal giudice del riesame nell'ordinanza impugnata - per il quale, nel caso di ammissione al concordato preventivo, non è configurabile il fumus del reato di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 10-bis, per l'omesso versamento di ritenute dovute o certificate in relazione agli obblighi scaduti successivamente alla presentazione dell'istanza di ammissione al concordato, in quanto gli effetti di tale ammissione decorrono dalla data della presentazione della relativa domanda (Sez. 3, n. 36320 del 02/04/2019, Rv. 277687). Si afferma, in particolare, che se il debitore è stato ammesso, prima della scadenza del debito tributario, alla procedura di concordato preventivo con pagamento dilazionato e/o parziale dell'imposta, l'inadempimento è scriminato dall'art. 51 c.p.. L'assunto si basa sull'interpretazione della L.Fall., art. 168, comma 1, in verità non riferito espressamente alla condotta che deve tenere il debitore, ma agli "Effetti della presentazione del ricorso", a tenore del quale, "dalla data della pubblicazione del ricorso nel registro delle imprese e fino al momento in cui il decreto di omologazione del concordato preventivo diventa definitivo, i creditori per titolo o causa anteriore non possono, sotto pena di nullità, iniziare o proseguire azioni esecutive e cautelari sul patrimonio del debitore".
Tutto ciò premesso, tra le due soluzioni proposte appare preferibile la prima, che incontra il favore della maggioranza della giurisprudenza di legittimità, perché più coerente con il dato, difficilmente controvertibile, rappresentato dalla specialità dell'obbligazione tributaria, il cui inadempimento è addirittura assistito, a certe condizioni, da sanzione penale, a differenza di quanto accade per la generalità delle altre obbligazioni. Nell'interferenza fra diritto penale e diritto delle procedure concorsuali, il legislatore ha, dunque, inteso dare spazio all'effettività della tutela penale, anche a scapito della par condicio creditorum, dovendosi considerare che, diversamente opinando, il profitto da omesso versamento - consistente in un risparmio di spesa corrispondente all'entità del tributo non versato - andrebbe di fatto ad incrementare il patrimonio del contribuente. In altre parole, la configurabilità dei reati di omesso versamento anche nel caso in cui il termine rilevante ai fini penali venga a scadere dopo la presentazione della domanda di concordato risponde all'esigenza di garantire in modo particolarmente pregnante il credito erariale, rispetto al quale l'ordinamento appronta anche lo strumento della confisca, la quale svolge una funzione che, vista dal lato dello Stato, ha un carattere sostanzialmente ripristinatorio. La soluzione qui criticata rischierebbe, come sottolineato altresì dal ricorrente, di consentire l'utilizzazione strumentale della domanda di presentazione di concordato preventivo al solo scopo di evitare la responsabilità penale per inadempimento fiscale, quasi giungendo a configurarla come una condizione meramente potestativa di non punibilità.
1.2. Dovendosi ribadire, dunque, la direttrice interpretativa maggioritaria, va rilevato che l'ordinanza impugnata si pone con questa in contrasto, nella parte in cui ritiene che il reato di omesso versamento provvisoriamente contestato all'indagato - per l'inadempimento riferito ad una scadenza rilevante a fini penali maturata dopo la domanda di concordato - debba ritenersi scriminato, essendo stato commesso nell'adempimento del dovere di non compiere atti lesivi della par condicio in pendenza della procedura concordataria.
2. Ne consegue che il provvedimento deve essere annullato, con rinvio al Tribunale di Benevento, perché proceda a nuovo esame, uniformandosi ai principi di diritto sopra enunciati.
P.Q.M.
Annulla l'ordinanza impugnata con rinvio per nuovo esame al Tribunale di Benevento.
Così deciso in Roma, il 2 dicembre 2021.
Depositato in Cancelleria il 18 marzo 2022