Le ultime sentenze:
Indice:
1. Premessa: la colpa
2. Il delitto di lesioni personali colpose (art. 590 c.p.)
3. Il delitto di omicidio colposo (art. 589 c.p.)
1. Premessa: la colpa
L’art. 43 c.p. definisce colposo (o “contro l’intenzione”) il delitto quando l’evento, anche se preveduto, non è voluto dall’agente e si verifica a causa di negligenza o imprudenza o imperizia, ovvero per inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline.
In base alla definizione contenuta nell’art. 43 c.p., è possibile distinguere tra dolo e colpa: la colpa, a differenza del dolo, presuppone l’assenza di volontà del fatto tipico.
Il dolo consiste nella rappresentazione (che equivale alla previsione) e nella volontà del fatto tipico (il fatto che costituisce il reato).
La colpa, invece, pur avendo in comune con il dolo la componente rappresentativa, presuppone che il soggetto agisca senza volere il fatto.
Il soggetto in colpa, in altri termini, si rappresenta la possibilità che il reato si realizzi, ma non agisce con l’intenzione di realizzarlo.
La colpa, a differenza del dolo, costituisce un eccezionale criterio di imputazione del fatto. Il delitto colposo, infatti, sussiste solo nelle ipotesi espressamente previste dalla legge (così, ad esempio, per l’omicidio, punito sia a titolo di dolo dall’art. 575 c.p., sia a titolo di colpa dall’art. 589 c.p.).
L’art. 43 c.p. individua gli elementi che caratterizzano la colpa – la negligenza, l’imprudenza o l’imperizia e l’inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline – introducendo la distinzione tra colpa generica e colpa specifica.
La colpa generica coincide con la negligenza, l’imprudenza o l’imperizia, mentre la colpa specifica consiste nella violazione di regole normative poste a salvaguardia di interessi ritenuti meritevoli di tutela.
È bene precisare che non ogni violazione di regole contenute in fonti normative costituisce colpa specifica. La colpa sussiste solo se la regola violata ha una finalità cautelare e preventiva e, quindi, solo se è prescritta al fine di prevenire uno specifico fatto lesivo.
Non è sufficiente una condotta negligente, imprudente o imperita, o la violazione di una regola cautelare – tali elementi costituiscono la componente oggettiva della colpa – poiché, affinché la colpa sussista, occorre verificare che ci sia anche la sua componente soggettiva.
La componente soggettiva della colpa consiste nel giudizio di prevedibilità- evitabilità dell’evento: la colpa sussiste se risulta che l’evento lesivo verificatosi fosse stato previsto dal soggetto agente (prevedibilità dell’evento) e se l’osservanza della condotta doverosa avrebbe evitato la verificazione dell’evento lesivo (evitabilità dell’evento).
In particolare, devono sussistere due requisiti:
il soggetto agente deve riconoscere preventivamente il pericolo che si verifichi il fatto che la condotta doverosa mira ad evitare;
la regola di condotta violata deve costituire il cd. comportamento alternativo lecito che, ove tenuto, avrebbe evitato la verificazione del fatto.
L’accertamento di tali requisiti consente di muovere al soggetto agente un giudizio di rimproverabilità soggettiva in linea con il principio di colpevolezza.
Tale giudizio va condotto tenendo conto di quello che avrebbe potuto prevedere ed evitare un agente modello, diverso da quello reale: considerate tutte le ipotesi di colpa professionale, che derivano dalle molteplici attività socialmente utili ma pericolose, non sarebbe possibile effettuare il giudizio alla luce di un unico agente modello.
Ne consegue che l’agente modello muterà a seconda del tipo di attività nell’ambito della quale viene in rilievo la colpa (il medico modello, l’avvocato modello, il datore di lavoro modello…).
In sintesi, la colpa sussiste se vengono accertati i seguenti elementi:
la violazione di una regola di condotta (contenuta in una fonte normativa o derivante dal dovere di diligenza, prudenza e perizia);
la prevedibilità e l’evitabilità dell’evento;
la verificazione dell’evento che la regola di condotta mira a prevenire ed evitare.
Sul piano della previsione dell’evento è possibile distinguere tra colpa cosciente ed incosciente.
La colpa si definisce incosciente quando l’evento lesivo non è concretamente previsto dal soggetto agente, mentre si definisce cosciente quando il soggetto agente ha agito prevedendo l’evento come conseguenza della propria condotta.
È piuttosto controversa la distinzione tra colpa cosciente e dolo eventuale: a partire dalla sentenza della Corte di Cassazione a Sezioni unite n. 38343 del 18 settembre 2014, la differenza consiste nell’intensità dell’accettazione del rischio che si verifichi l’evento lesivo. Il soggetto è in colpa (cosciente) quando, se avesse previsto come conseguenza certa della propria condotta l’evento incriminato, si sarebbe astenuto dall’azione o dall’omissione, mentre è in dolo (eventuale) il
soggetto che, in quella stessa condizione, avrebbe agito ugualmente.
L’art. 590 c.p. punisce il delitto di lesioni personali a titolo di colpa.
La norma, al comma 1, prevede la fattispecie base: “chiunque cagiona ad altri per colpa una lesione personale è punito con la reclusione fino a tre mesi o con la multa fino a euro 309”.
È una fattispecie a forma libera di evento: ciò vuol dire che è punita qualunque condotta, in qualsiasi modo realizzata, che provochi l’evento delle lesioni alla vittima.
La giurisprudenza precisa che, ai fini dell’integrazione del delitto di lesioni personali, soprattutto se colpose, non è necessaria una condotta caratterizzata da violenza fisica, ma è sufficiente qualunque mezzo idoneo a cagionare una lesione, da cui derivi una malattia.
Il bene protetto dalla norma incriminatrice, quindi, è l’integrità fisica.
La disposizione, al comma 2, prevede un aumento di pena nel caso in cui le lesioni provocate siano gravi o gravissime.
Tale comma introduce la distinzione tra lesioni lievi, gravi o gravissime, a seconda dell’entità del danno cagionato alla vittima.
La lesione si considera lieve quando la malattia provocata ha una durata non superiore ai 20 giorni.
La lesione personale è grave, se dal fatto deriva una malattia (o un’incapacità di attendere alle proprie ordinarie occupazioni) per un tempo superiore ai 40 giorni o se dal fatto deriva una malattia che mette in pericolo la vita della vittima.
È gravissima, invece, la lesione che comporta una malattia certamente o probabilmente cronica e, quindi, incurabile (come, ad esempio, l’AIDS).
La lesione – lieve, grave o gravissima – deve conseguire, ai fini dell’integrazione del delitto di cui all’art. 590 c.p., ad una condotta colposa.
È solo l’elemento soggettivo a segnare la differenza tra il reato punito dall’art. 590 c.p. e quello punito dall’art. 582 c.p.: l’uno a titolo di colpa e l’altro a titolo di dolo.
La circostanza che nell’art. 590 c.p. non compaia il riferimento alla “malattia nel corpo e nella mente”, che deve derivare dalla lesione personale provocata, non vuol dire che non sia necessario tale accertamento (espressamente richiesto, invece, dalla norma di cui all’art. 582 c.p.).
È necessario, affinché il reato di lesioni personali colpose possa dirsi integrato, che la lesione sia stata fonte di una conseguenza pregiudizievole sul piano psico-fisico della vittima.
La giurisprudenza, infatti, ritiene che la fattispecie di lesioni personali (sia quelle colpose sia quelle dolose) sia distinta da quella di percosse di cui all’art. 581 c.p. esclusivamente da quest’elemento: sussiste il più grave reato di lesioni solo se la vittima sviluppi un’alterazione delle proprie capacità a causa delle lesioni.
Secondo un risalente orientamento giurisprudenziale la malattia consisteva in qualsiasi alterazione anatomica dell’organismo: in altri termini, in base a quest’impostazione, il delitto di lesioni sussisteva solo se la vittima di lesioni avesse sviluppato un’alterazione anatomica e funzionale. Tendevano, quindi, ad essere esclusi dalla nozione di malattia, ad esempio, i disturbi psichici, che non fossero conseguenza di una menomazione anche fisica.
Nella giurisprudenza attuale, invece, prevale una nozione più ampia (cd. funzionalistica) di malattia: il delitto di lesioni di cui agli artt. 582 e 590 c.p. sussiste se le lesioni, inferte colposamente o dolosamente, inneschino un processo patologico, di qualunque tipo, che può accompagnarsi anche, ma non necessariamente, ad un’alterazione anatomica.
Su tali presupposti, la giurisprudenza ritiene, ad esempio, che possa costituire malattia anche una crisi ipertensiva, purché comporti una significativa limitazione delle funzioni del soggetto, derivante dalle lesioni inferte alla vittima.
In base all’attuale quadro giurisprudenziale, pertanto, l’alterazione o la menomazione di natura anatomica non è più un elemento necessario, ai fini della sussistenza di una malattia.
Si pensi al caso di chi, consapevole della propria sieropositività, intrattenga rapporti sessuali non protetti, contagiando il proprio partner.
Ad avviso della dottrina tale vicenda risulta di difficile inquadramento sotto il profilo soggettivo. La
condotta, oggettivamente, coincide con quella descritta da entrambi le norme incriminatrici, strutturalmente identiche sotto il profilo oggettivo (artt. 582 e 590 c.p.).
L’unica differenza, che comporta anche un diverso trattamento sanzionatorio, è nell’elemento soggettivo.
Se il soggetto agente agisce con colpa (cosciente) realizza il delitto di lesioni personali gravissime colpose (590 c.p.), mentre se agisce con dolo (eventuale) risponde del (più grave) delitto di lesioni personali gravissime dolose (582 c.p.).
La giurisprudenza tende a ricondurre, sotto il profilo soggettivo, tale condotta al dolo eventuale e, quindi, a ritenere integrato il delitto previsto dall’art. 582 c.p.
(Cass., Sez. V, 21 maggio 2019, n. 34139).
Il delitto di lesioni personali colpose di cui all’art. 582 c.p. è punito a titolo di colpa.
Ciò vuole dire che il soggetto deve realizzare una condotta, che provochi lesioni personali, negligente, imperita o imprudente o tenuta in violazione delle regole normative.
Integra, ad esempio, il reato di lesioni personali colpose la condotta del chirurgo estetico che, successivamente all’intervento di mastoplastica additiva, ometta di sottoporre la paziente ai dovuti controlli post-operatori, sottovalutando i fastidi dalla stessa lamentati, e determinando l’insorgenza di una grave infiammazione delle mammelle (Cass., 28 ottobre 2004, n. 3448).
Il delitto di omicidio, analogamente a quello di lesioni, viene punito sia a titolo di colpa sia a titolo di dolo da due distinte norme incriminatrici (art. 589 e 575 c.p.).
L’art. 589 c.p. prevede che “chiunque cagiona per colpa la morte di una persona è punito con la reclusione da sei mesi a cinque anni”.
La norma incriminatrice prevede una serie di circostanze aggravanti speciali del delitto nel caso in cui:
Il fatto sia commesso con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro;
Il fatto sia commesso nell'esercizio abusivo di una professione per la quale è arte sanitaria (circostanza richiesta una speciale abilitazione dello Stato o di un'aggravante introdotta dalla l. n. 3/2018).
Il co. 3 dell’art. 589 c.p. che, in origine, prevedeva anche una circostanza aggravante speciale per l’ipotesi in cui il fatto fosse stato commesso con la violazione delle norme sulla circolazione stradale da un soggetto sotto effetto di sostanze alcoliche o stupefacenti, è stato abrogato dalla l. n. 41/2016 che ha introdotto, contestualmente, un’autonoma figura di reato all’art. 589-bis c.p.
L’ultimo comma dell’art. 589 c.p. punisce, invece, l’omicidio colposo plurimo, configurabile nel caso di morte di più persone o di morte di una sola persona e di lesioni ad una o più persone.
Il criterio di imputazione previsto dal legislatore impone di verificare la sussistenza della colpa in capo al soggetto agente e, quindi, di ogni elemento di essa costitutivo:
negligenza, imprudenza, imperizia o violazione di regole normative;
prevedibilità-evitabilità dell’evento;
concretizzazione del rischio che la regola normativa o di condotta mirava a prevenire.
Tale accertamento è necessario sotto il profilo soggettivo.
Sotto il profilo oggettivo, benché l’art. 589 c.p. descriva una fattispecie d’evento a forma libera, va accertato il nesso di causalità tra la condotta e l’evento.
Si pensi al caso in cui il dipendente di un’impresa petrolchimica, sottoposto quotidianamente all’inalazione di sostanze tossiche, contragga una malattia tumorale che lo conduce alla morte.
Il delitto di omicidio colposo, previsto dall’art. 589 c.p., sussiste solo qualora si riesca ad accertare in giudizio che l’evento morte, preceduto dall’insorgenza della malattia, sia dipeso dalla mancata somministrazione da parte del datore di lavoro di specifiche e idonee cautele volte ad evitarlo (come, ad esempio, la mancata adozione di specifici dispositivi di auto-protezione nei luoghi di lavoro esposti a quel tipo di rischi). In altri termini, deve essere esclusa la derivazione della malattia
(e, infine, della morte) del dipendente da qualsiasi altra causa alternativa.
Il nesso di causalità tra condotta ed evento sussiste, quindi, solo se risulta che, eliminando idealmente la condotta del soggetto agente, viene meno anche l’evento lesivo: ciò vuol dire che l’evento lesivo è conseguenza della condotta (o, più tecnicamente, che la condotta è condicio sine qua non dell’evento).
Ne consegue che il delitto di omicidio colposo di cui all’art. 589 c.p. può dirsi integrato solo a condizione che, sotto il profilo oggettivo, venga accertata la sussistenza del nesso causale tra la condotta del soggetto agente e la morte della vittima e, sotto il profilo soggettivo, della colpa.