La massima
Cassazione penale sez. un., 25/10/2018, n.20808
La valorizzazione dei precedenti penali dell'imputato per la negazione delle attenuanti generiche non implica il riconoscimento della recidiva in assenza di aumento della pena a tale titolo o di giudizio di comparazione tra le circostanze concorrenti eterogenee; in tal caso la recidiva non rileva ai fini del calcolo dei termini di prescrizione del reato.
SOMMARIO:
6. La decisione
1. Il quesito sottoposto alle Sezioni unite
Le Sezioni Unite della Corte di cassazione sono state chiamate a pronunciarsi sulla questione volta a stabilire se la recidiva contestata nei confronti dell’imputato e implicitamente riconosciuta dal giudice di merito il quale, senza aumentare la pena, l’abbia valorizzata per negare il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, rilevi ai fini del calcolo del tempo necessario per la prescrizione del reato.
La trattazione del ricorso era stata rimessa al supremo consesso con ordinanza n. 30042 del 21/06/2018, dalla Terza sezione penale che aveva rilevato l’esistenza di un contrasto giurisprudenziale proprio in merito alla questione della rilevanza, agli effetti del computo del termine di prescrizione, della recidiva contestata ma sulla quale non sia intervenuta una esplicita valutazione del giudice.
Nell’ordinanza di rimessione venivano infatti richiamati alcuni arresti relativi a fattispecie nelle quali i giudici di merito, pur non applicando l’aumento per la recidiva contestata dal pubblico ministero, avevano comunque negato le circostanze attenuanti generiche dando conto dell’esistenza di precedenti penali gravanti sull’imputato.
In tali casi, le sezioni semplici avevano a volte ritenuto che la recidiva fosse stata implicitamente riconosciuta e fosse dunque rilevante anche ai fini del calcolo del tempo necessario a prescrivere il reato, mentre altre volte avevano escluso tale rilevanza.
La divergenza tra tali epiloghi decisori si poneva, pertanto, a fondamento della rimessione alle Sezioni unite.
2. Le ragioni della questione controversa
Per meglio comprendere le ragioni fondanti il contrasto sviluppatosi tra le Sezioni semplici occorre rammentare che la recidiva di cui all’art. 99 cod. pen., oltre a determinare quale effetto diretto quello dell’aggravamento della pena, produce anche una pluralità di effetti indiretti che escludono o restringono l’applicazione di una serie di istituti favorevoli al reo.
L’istituto in esame, infatti, è stato ampiamente riformato ad opera della legge 5 dicembre 2005, n. 251, con la quale si è determinato un inasprimento del trattamento per i recidivi, realizzato mediante la introduzione una serie di automatismi sanzionatori fondati su presunzioni assolute di maggiore pericolosità, con corrispondente compressione degli spazi di discrezionalità del giudice.
Tali automatismi hanno interessato diversi istituti quali: il giudizio di bilanciamento tra circostanze ex art. 69 cod. pen., con il divieto di prevalenza delle attenuanti sulla recidiva reiterata di cui al comma quarto dell’art. 99 cod. pen.; il reato continuato e il concorso formale di reati ex art. 81 cod. pen., imponendo una misura minima dell’aumento di pena (art. 81, comma quarto, cod. pen.); le circostanze attenuanti generiche ex art. 62-bis cod. pen., con limitazioni alla loro applicazione. Per quanto riguarda in particolare il computo dei termini di prescrizione, sia l’art. 157 cod. pen. che l’art. 161 cod. pen. prevedono che la qualifica di recidivo reiterato, in quanto circostanza ad effetto speciale, determina un innalzamento dei tempi di maturazione della causa estintiva. In particolare, l’art. 157 prevede, per le circostanze ad effetto speciale, una specifica deroga al generale principio di neutralizzazione degli effetti delle circostanze sia aggravanti che attenuanti, ne consegue dunque che, come qualsiasi altra circostanza aggravante ad effetto speciale, anche la recidiva reiterata influisce sul tempo necessario a prescrivere dovendosi tener conto dell’aumento massimo di pena previsto per l’aggravante (art. 157, comma secondo, cod. pen.). L’art. 161 cod. pen., invece, ricollega alla condizione di recidivo (o di delinquente abituale o professionale) i diversi e più lunghi tempi di prescrizione derivanti dall’interruzione del tempo necessario all’estinzione del reato. Ebbene, in merito alle ricadute della recidiva in termini di prescrizione del reato, nella giurisprudenza di legittimità già in passato si era posto il problema volto a chiarire se gli effetti indiretti dell’istituto si producano sulla base della sola contestazione oppure se sia comunque necessaria una dichiarazione del giudice in ordine alla sua sussistenza.
Su tale questione la giurisprudenza, anche a seguito dei numerosi interventi in materia da parte della Corte costituzionale e delle Sezioni unite della Corte di cassazione, che hanno definitivamente riconosciuto la natura discrezionale della recidiva pluriaggravata e reiterata di cui ai commi terzo e quarto dell’art. 99 cod. pen., con l’esclusione di ogni forma di automatismo sanzionatorio, era ormai orientata nel senso che, mentre prima della sentenza di merito la più severa disciplina dei tempi di prescrizione opera sulla base della mera contestazione della recidiva, una volta intervenuta la decisione che non abbia ravvisato una relazione qualificata fra i precedenti dell’imputato e il fatto a lui addebitato (recidiva ritenuta ma non applicata) la circostanza perde il suo rilievo ai fini del computo del tempo necessario a prescrivere il reato (Sez. 6, n. 43771 del 07/10/2010, Karmaoui, Rv. 248714; Sez. 2, n. 18595 del 08/04/2009, Pancaglio, Rv. 244158).
In tali pronunce si era, infatti, osservato che, essendosi definitivamente chiarito che la recidiva deriva non automaticamente dal certificato penale, bensì da una valutazione del giudice riguardante la situazione esistente al momento in cui il nuovo fatto-reato è stato commesso e che, conseguentemente, ove il giudice escluda la circostanza aggravante, “rimangono esclusi ... l’aumento della pena base e tutti gli ulteriori effetti commisurativi connessi all’aggravante”, (a cominciare da quelli incidenti sul giudizio di valenza di cui all’art. 69 cod. pen. e sull’aumento per la continuazione, di cui all’art. 81, comma quarto, cod. pen. nonché in tema di patteggiamento allargato), non c’è ragione per non applicare tale conclusione anche al calcolo del tempo necessario alla maturazione della prescrizione (art. 157 c.p., comma secondo, e art. 161 c.p., comma secondo che, a ben vedere, costituisce anch’esso un effetto commisurativo della pena.”
Pertanto, si era concluso che, se la circostanza aggravante inerente alla persona del colpevole non deriva automaticamente dal certificato penale o dal contenuto di precedenti provvedimenti di condanna, bensì da una concreta valutazione del giudice riguardante la situazione esistente al momento in cui il nuovo fatto-reato è stato commesso, non v’è alcuna ragione di “far pesare” nel calcolo dei termini prescrizionali la contestazione della circostanza da parte del pubblico ministero sulla base della mera iscrizione di precedenti penali nel certificato del casellario giudiziale, anziché la concreta valutazione causa cognita operata dal giudice.
Con specifico rilievo rispetto al quesito oggetto della decisione delle Sezioni unite, deve poi segnalarsi come si fosse più volte affermato che la recidiva reiterata, essendo una circostanza aggravante ad effetto speciale, rileva ai fini della determinazione del termine di prescrizione, anche qualora nel giudizio di comparazione con le circostanze attenuanti sia stata considerata equivalente (Sez. 6, n. 39849 del 16/9/2015, Palombella, Rv. 264483; in precedenza conformi Sez. 2, n. 35805 del 18/6/2013, Romano, Rv. 257298; Sez. 1, n. 26786 del 18/6/2009, Favuzza, Rv. 244656; Sez. 5, n. 37550 del 26/6/2008, Locatelli, Rv. 241945). Successivamente poi Sez. 2, n. 2731 del 2/12/2015 – dep. 2016-, Conti, Rv. 265729, aveva sottolineato che il giudizio di equivalenza tra recidiva e circostanze attenuanti generiche comporta l’applicazione della recidiva, rilevante ai fini del computo del termine di prescrizione, in quanto la circostanza aggravante deve ritenersi, oltre che riconosciuta, applicata, non solo quando esplica il suo effetto tipico di aggravamento della pena, ma anche quando produca, nel bilanciamento tra circostanze aggravanti e attenuanti di cui all’art. 69 cod. pen. un altro degli effetti che le sono propri, cioè quello di paralizzare un’attenuante, impedendo a questa di svolgere la sua funzione di concreto alleviamento della pena da irrogare.
Non può dunque dubitarsi che già prima della rimessione alle Sezioni unite fosse un principio ormai consolidato quello per cui l’applicazione della recidiva implica certamente un elemento ulteriore rispetto al semplice riconoscimento conseguente alla formale contestazione, essendo necessaria una valutazione in concreto che determini l’inasprimento della pena o la confluenza dell’aggravante nel giudizio di comparazione ex art. 69 cod. pen.
In tale panorama giurisprudenziale, pertanto, la questione sottoposta all’esame delle Sezioni unite si è posta quale ulteriore passaggio rispetto agli approdi raggiunti dalla giurisprudenza di legittimità, ponendosi l’ulteriore esigenza di valutare e chiarire se possa ritenersi che il giudice abbia effettivamente proceduto all’accertamento della recidiva mediante una concreta valutazione della esistenza di una relazione qualificata tra i precedenti del reo ed il nuovo reato anche allorquando la risposta motivazionale sul punto non sia esplicita ma rinvenibile esclusivamente nella valorizzazione dei precedenti penali ai fini della esclusione delle circostanze attenuanti generiche, in relazione a fattispecie nelle quali peraltro il mancato aumento della pena principale e l’assenza di un giudizio di bilanciamento potrebbe orientare l’interprete verso una soluzione di segno opposto.