La massima
Cassazione penale sez. un., 25/10/2018, n.20808
La valorizzazione dei precedenti penali dell'imputato per la negazione delle attenuanti generiche non implica il riconoscimento della recidiva in assenza di aumento della pena a tale titolo o di giudizio di comparazione tra le circostanze concorrenti eterogenee; in tal caso la recidiva non rileva ai fini del calcolo dei termini di prescrizione del reato.
SOMMARIO:
6. La decisione
3. L’orientamento che esclude la rilevanza della recidiva ai fini del calcolo del tempo necessario a prescrivere il reato.
Sulla specifica questione sottoposta al vaglio delle Sezioni unite, come rilevato dalla Sezione rimettente, si registravano in primo luogo alcune pronunce di legittimità che avevano ritenuto la recidiva non rilevante ai fini del calcolo del tempo necessario a prescrivere il reato.
Per le argomentazioni sviluppate viene in rilievo Sez. 6, n. 54043, del 16/11/2017, S., Rv. 271714, secondo la quale in tema di prescrizione del reato, quando il giudice abbia escluso, anche implicitamente, la circostanza aggravante della recidiva, non ritenendola in concreto espressione di una maggiore colpevolezza o pericolosità sociale dell’imputato, la predetta circostanza deve ritenersi ininfluente anche ai fini del computo del tempo necessario a prescrivere il reato.
La pronuncia atteneva ad un caso in cui il giudice, pur non avendo sviluppato alcuna argomentazione sulla concreta attitudine dimostrativa dei precedenti penali dell’imputato ai fini del giudizio di pericolosità e non avendo applicato alcun aumento di pena per la recidiva, aveva negato la concessione delle circostanze attenuanti generiche in ragione dei precedenti penali dell’imputato. Secondo la Sesta sezione, infatti, alla luce dei plurimi interventi della Corte costituzionale e delle Sezioni unite sul tema, poteva ritenersi principio consolidato quello del rifiuto di ogni forma di automatismo nel riconoscimento e nell’applicazione della recidiva, principio che opera non solo sul piano dell’aumento della sanzione ma anche su quello concernente gli effetti secondari o indiretti della recidiva, tra i quali la individuazione dei termini di prescrizione. Conseguentemente, il collegio precisava che, mentre il giudizio di equivalenza tra recidiva e circostanze attenuanti generiche comporta l’applicazione della recidiva, secondo pacifica e ricorrente affermazione della giurisprudenza, viceversa, una volta intervenuta la decisione che non abbia ravvisato una relazione qualificata fra i precedenti dell’imputato e il fatto a lui addebitato, a prescindere dalla mancata formale esclusione della recidiva, la circostanza perde il suo rilievo ai fini del computo del tempo necessario a prescrivere il reato.
Pertanto, “se è vero che l’applicazione della recidiva non può farsi discendere automaticamente dal certificato penale o dal contenuto di precedenti provvedimenti di condanna emessi nei confronti di una persona, men che mai può ritenersi che, attraverso il diniego delle circostanze attenuanti per effetto della esistenza dei precedenti penali, la recidiva può dirsi implicitamente riconosciuta dal giudice così rilevando, come circostanza aggravante speciale, ai fini del calcolo dei termini di prescrizione, ragionamento che introduce, surrettiziamente, proprio quel meccanismo automatico che una coerente interpretazione dei meccanismi sanzionatori del moderno diritto penale – incentrato sulla funzione rieducativa della risposta sanzionatoria vuole evitare collegando ragionevolmente le valutazioni del giudice, in tema di trattamento punitivo, alla situazione esistente al momento in cui il nuovo fatto-reato è stato commesso piuttosto che ad un mero status personale”.
Conclusivamente, in applicazione del principio, la Corte, rilevando che il giudice non aveva svolto alcuna considerazione sulla concreta attitudine dimostrativa dei precedenti penali dell’imputato ai fini del giudizio di pericolosità e non aveva applicato alcun aumento di pena, limitandosi ad una valutazione di per sé ancorata allo specifico fatto di reato e rientrante nei criteri direttivi fissati in via generale dall’art. 133, comma secondo, n. 2 cod. pen., ai fini della determinazione della pena e per nulla proiettata al giudizio prognostico sulla probabilità di commissione di nuovi reati, che presiede alla valutazione della rilevanza della capacità criminale ai fini della recidiva, aveva escluso che potesse ritenersi un riconoscimento implicito della recidiva e pertanto i conseguenti effetti in tema di prescrizione.
Sempre in relazione ad un caso in cui, a fronte del mancato aumento di pena per la recidiva contestata, i precedenti penali dell’imputato erano stati considerati nel giudizio di cognizione come motivo di esclusione delle circostanze attenuanti generiche, l’indicato principio era stato affermato da Sez. 2, n. 48293 del 26/11/2015, Carbone, Rv. 265382, nella quale si era ulteriormente argomentato che l’esclusione implicita della recidiva risultante dalla mancata applicazione dell’aumento di pena non può ritenersi inconciliabile con la valorizzazione dei precedenti penali ai fini del diniego delle attenuanti generiche venendo in considerazione due distinti tipi di valutazione in quanto “la valutazione relativa alla concessione delle attenuanti generiche è di per sé ancorata (anche “storicamente”) allo specifico fatto di reato e rientra nei criteri direttivi fissati in via generale dall’art. 133 cod. pen. (vedi il comma secondo, nr. 2), per la determinazione della pena; non nel giudizio prognostico sulla probabilità di commissione di nuovi reati, che presiede alla valutazione della rilevanza della recidiva.
Del resto, la differenza tra i due piani di valutazione sarebbe altresì rivelata anche dall’ovvia possibilità di considerare i precedenti penali del reo agli effetti dell’art. 133 cod. pen., anche in mancanza della contestazione della recidiva”. In precedenza, l’assenza di contraddizione alcuna tra la mancata applicazione della recidiva e la valutazione dell’esistenza di precedenti penali specifici ai fini del diniego della concessione delle circostanze attenuanti generiche e dei benefici di legge era stata evidenziata anche da Sez. 6, n. 38780 del 17/06/2014, Morabito, Rv. 260460, nella quale si era precisato che trattasi di profili di valutazione del tutto distinti, in quanto, mentre la recidiva “si basa su una valutazione in termini di maggior spessore criminale dell’imputato, la concessione delle attenuanti generiche e dei benefici di legge è correlata alla presenza di indici positivi di personalità dell’imputato, che legittimano un giudizio prognostico in termini di astensione dalla commissione di ulteriori reati. Ne deriva che la reiterazione di condotte criminose specifiche ben può essere presa in considerazione, quale elemento negativo della personalità dell’imputato, ai fini del diniego delle attenuanti generiche, nonché quale elemento che fonda un giudizio prognostico sfavorevole, nell’ottica delineata dall’art. 164 cod. pen., anche qualora si ritenga che tale dato, sulla base di un giudizio complessivo in ordine al fatto – reato e alla personalità dell’imputato, non denoti, in quest’ultimo, uno spessore criminologico di tale rilievo da giustificare l’aumento di pena, a norma dell’art. 99 cod. pen.”.
In termini analoghi si era anche escluso che fosse ravvisabile il vizio di contraddittorietà di motivazione nel caso di diniego delle circostanze attenuanti generiche per i precedenti penali dell’imputato e di contemporaneo giudizio di equivalenza tra una circostanza attenuante e la recidiva, trattandosi di due ben distinte valutazioni non necessariamente collegate ad identici presupposti (Sez. 2, n. 106 del 04/11/2009, dep. 2010, Marotta, Rv. 246045). Nella scia di tale orientamento si erano poi poste anche Sez. 6, n. 16109 del 31/03/2016, Capacci, non mass.; Sez. 2, n. 46297, del 13/07/2016, D’Onofrio, non mass. e Sez. 4, n. 45833 del 19/07/2017, Lucchetti, non mass. che, pur ribadendo il principio, ne aveva escluso l’applicazione nel caso oggetto del giudizio avendo i giudici del merito dato esplicitamente conto di avere considerato la contestata recidiva anche per negare all’imputato le circostanze attenuanti generiche.
4. L’orientamento che afferma la rilevanza della recidiva ai fini del calcolo del tempo necessario a prescrivere il reato.
In contrasto con l’esposto indirizzo ermeneutico altre pronunce della giurisprudenza di legittimità avevano invece ritenuto che, in casi quali quello esaminato deve ritenersi che la recidiva influisca sul calcolo dei termini di maturazione della causa estintiva del reato.
In questo senso si era espressa dapprima Sez. 2, n. 35805 del 18/6/2013, Romano, Rv. 257298, affermando il principio per cui “la recidiva ritenuta dal giudice di merito e applicata per escludere la concessione delle circostanze attenuanti generiche, in quanto circostanza aggravante ad effetto speciale, rileva ai fini della prescrizione anche nel caso in cui non si sia proceduto in sentenza al relativo aumento di pena”.
Dopo alcuni anni, il principio elaborato dalla sentenza “Romano” era stato recepito e ribadito da Sez. 5, n. 38287 del 06/04/2016, Politi, Rv. 267862, nella quale si era precisato che, nel caso esaminato, la recidiva contestata all’imputato non poteva ritenersi esclusa dal primo giudice che aveva, nel complessivo trattamento sanzionatorio, citato e valutato la presenza, nel certificato penale dell’imputato, dei numerosi precedenti, considerandoli pertanto dimostrativi di una sua maggiore pericolosità e di rilievo sulla quantificazione della pena.
Da ultimo, nel solco di tale orientamento si era posta Sez. 5, n. 34137 del 11/05/2017, Briji, Rv. 270678, che aveva affermato il principio per cui la recidiva contestata e accertata nei confronti dell’imputato e solo implicitamente riconosciuta dal giudice di merito che, pur non ritenendo di aumentare la pena a tale titolo, abbia specificamente valorizzato, per negare il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, i precedenti penali dell’imputato, rileva ai fini del calcolo del tempo necessario ai fini della prescrizione del reato.
In motivazione si considerava che solo la recidiva contestata ma non valutata in alcun modo ai fini dell’applicazione del trattamento sanzionatorio, può ritenersi ininfluente sui termini prescrizionali.
In relazione all’orientamento in esame assumevano altresì rilievo ulteriori arresti più risalenti che, seppure riferiti a fattispecie del tutto dissimili, avevano comunque affermato il principio per cui affinché la recidiva reiterata possa determinare i suoi effetti di circostanza aggravante ad effetto speciale è sufficiente che essa sia stata validamente contestata in un giudizio di cognizione e che non sia stata esclusa dal giudice, essendo poi irrilevante che essa non abbia avuto concreta efficacia nella determinazione della pena, in esito ad un giudizio di bilanciamento delle circostanze, ovvero per non essere stato applicato lo specifico aumento di pena (Sez. 1, n. 26786 del 18/06/2009, Favuzza, Rv. 244656 e Sez. 5, n. 37550 del 26/06/2008, Locatelli, Rv. 241945).