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Uso di fatture per operazioni inesistenti: il reato previsto dall'art. 2 D.Lgs. n. 74/2000


Uso di fatture false

Indice:



  1. La condotta punita dall’art. 2 D.Lgs. 74/2000: natura e soglie di tipicità

L’articolo 2 del Decreto Legislativo n. 74 del 2000 individua e sanziona una specifica ipotesi di dichiarazione fraudolenta: quella realizzata mediante l’indicazione di elementi passivi fittizi, utilizzando fatture o altri documenti per operazioni inesistenti.

Si tratta di una fattispecie criminosa costruita per reprimere condotte elusive che, pur avendo apparenza formale di legittimità, celano una sostanza economicamente e fiscalmente mendace.

La condotta tipica consiste in tre momenti essenziali:

  1. l’indicazione nella dichiarazione annuale dei redditi o dell’IVA di componenti negativi del reddito non veritieri;

  2. l’utilizzo strumentale di fatture o documenti attestanti operazioni mai avvenute o avvenute in modo diverso da quanto formalmente rappresentato;

  3. il fine specifico di evadere le imposte.


  • Il concetto di "elementi passivi fittizi"

Per "elementi passivi fittizi" si intendono costi, spese o componenti negativi del reddito che non trovano riscontro in un’effettiva operazione economica.

La fittizietà può derivare dalla completa inesistenza dell’operazione (falsità oggettiva), oppure dalla sola apparenza del soggetto contraente (falsità soggettiva).

Si tratta, in sostanza, di dati che, pur figurando nei documenti contabili e dichiarativi, non rappresentano alcuna realtà economica concreta. L’obiettivo perseguito è sempre lo stesso: ridurre indebitamente la base imponibile e, conseguentemente, l’imposta dovuta.


  • Le due forme della falsità: oggettiva e soggettiva

La giurisprudenza ha costantemente chiarito che l’inesistenza dell’operazione può presentarsi in due forme distinte:

  1. Oggettivamente inesistente è l’operazione che non è mai stata posta in essere: nessuna prestazione è stata eseguita, nessun bene è stato consegnato. Le fatture emesse sono dunque interamente inventate. In questa ipotesi, la falsità riguarda il contenuto stesso del documento.

  2. Soggettivamente inesistente è l’operazione che, pur avendo avuto luogo, non è stata realizzata dal soggetto indicato in fattura, ma da un soggetto terzo. È il caso tipico delle cosiddette “frodi carosello” o dell’utilizzo di società cartiere – soggetti fittizi o prestanome che fungono da meri intermediari documentali per schermare il reale fornitore o cliente.

“Il reato è integrato, con riguardo all’evasione delle imposte sui redditi, dalla sola inesistenza oggettiva delle prestazioni, mentre l’inesistenza soggettiva rileva ai fini IVA”.(Cass. pen., sez. III, 24/01/2019, n. 16768)

  • La soglia di tipicità e la presentazione della dichiarazione

Elemento dirimente per la consumazione del reato è la presentazione della dichiarazione fiscale che recepisce gli elementi passivi fittizi.

La mera annotazione in contabilità di una fattura falsa, ancorché rilevante sul piano probatorio o tributario, non è di per sé sufficiente a integrare la fattispecie penale.

È con il deposito della dichiarazione presso l’Agenzia delle Entrate che si consuma il delitto: ciò determina non solo la perfezione della fattispecie, ma anche il dies a quo per la decorrenza del termine di prescrizione.

“Il delitto si considera consumato nel luogo in cui il contribuente ha il domicilio fiscale, coincidente con quello del titolare dell’impresa, e al momento della presentazione della dichiarazione contenente i costi fittizi” (Cass. pen., sez. III, 30/01/2019, n. 17702).

  1. Reato di mera condotta e natura istantanea: l’autosufficienza dell’atto fraudolento

La fattispecie di cui all’art. 2 del D.lgs. 74/2000 si connota per due caratteristiche dogmaticamente rilevanti: la natura di reato di mera condotta e quella di reato istantaneo.

Queste due qualificazioni esprimono la volontà del legislatore di colpire la pericolosità intrinseca dell’atto fraudolento, senza subordinare la punibilità al verificarsi di ulteriori eventi lesivi o alla realizzazione del vantaggio economico illecito.


2.1 Reato di mera condotta: la sufficienza della dichiarazione infedele

Un reato si qualifica come “di mera condotta” quando è sufficiente la realizzazione della condotta tipica descritta dalla norma incriminatrice, senza che sia necessario il verificarsi di un evento lesivo ulteriore.

Nel caso dell’art. 2, il legislatore non richiede, ai fini della configurabilità del delitto, né:

  • il danno economico concreto all’Erario;

  • né il conseguimento effettivo del vantaggio fiscale;

  • né la liquidazione o accertamento dell’imposta evasa.

“Il reato si configura con l’indicazione nella dichiarazione fiscale di costi fittizi mediante l’utilizzo di fatture per operazioni inesistenti, a nulla rilevando se l’Amministrazione finanziaria abbia effettivamente subìto un pregiudizio patrimoniale” Cass. pen., sez. III, 19/05/2016, n. 7941.

Il reato, dunque, si consuma indipendentemente dalla produzione di effetti nel mondo esterno. Il solo fatto di aver fatto risultare falsamente in dichiarazione l’esistenza di costi non veri basta a integrare l’illecito penale.


2.2 Natura istantanea: il momento consumativo coincide con la presentazione della dichiarazione

Il reato si perfeziona in un preciso momento temporale, ovvero con la presentazione della dichiarazione infedele, a prescindere da ulteriori sviluppi. Da quel momento, si considerano realizzati tutti gli elementi costitutivi del reato.

“La dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture per operazioni inesistenti si consuma con la presentazione della dichiarazione fiscale infedele, momento da cui inizia a decorrere il termine di prescrizione” (Cass. pen., sez. III, 30/01/2019, n. 17702).

Questa impostazione ha conseguenze di rilievo:

a) stabilisce con precisione il dies a quo della prescrizione (fondamentale per verificare l’estinzione del reato);

b) esclude che il reato possa essere ritenuto permanente o continuato sulla base della successiva utilizzazione delle fatture in più dichiarazioni;

c) identifica in modo univoco il momento del fatto storico, fondamentale per le regole in tema di successione di leggi nel tempo.


2.3 Impossibilità di invocare la “mancanza di danno” come esimente

La giurisprudenza è unanime nel ritenere irrilevante l’eventuale mancanza di danno erariale o la circostanza che la dichiarazione non abbia prodotto effetti concreti. Persino il successivo accertamento di regolarità fiscale non esclude la punibilità, qualora si accerti l’inserimento fraudolento iniziale.

“L’illecito penale si perfeziona con l’inserimento in dichiarazione dei dati falsi, senza necessità che l’Amministrazione venga effettivamente indotta in errore o subisca un danno. La condotta è in sé sufficiente a costituire reato” (Cass. pen., sez. III, 23/11/2018, n. 10801).

  1. L’elemento soggettivo: dolo specifico come motore della frode fiscale

Il delitto di cui all’art. 2 D.lgs. 74/2000 richiede, per la sua configurabilità, un preciso atteggiamento psicologico del soggetto agente, che non può ridursi alla mera consapevolezza della falsità del documento utilizzato.

Al contrario, è necessario che il contribuente operi con intenzionalità finalistica, ovvero allo scopo di evadere le imposte sui redditi o sull’IVA.

La presenza del dolo specifico costituisce quindi requisito essenziale della fattispecie, quale elemento differenziante rispetto ad altre ipotesi penal-tributarie di minore gravità (ad esempio, l’infedeltà dichiarativa colposa o il semplice omesso versamento).


3.1 Il dolo specifico nel diritto penale tributario

In termini generali, il dolo specifico implica la volontà di realizzare la condotta tipica (inserire elementi passivi fittizi in dichiarazione) guidata da uno scopo ulteriore, che nel caso dell’art. 2 è costituito dal fine di evadere le imposte.

Non rileva, quindi, il dolo generico, inteso come semplice volontà dell’azione con coscienza dell’illecito. La norma penale esige un intento qualificato, che si traduce in un fine di frode, diretto a sottrarre risorse all’Erario o ad acquisire vantaggi indebiti.

“Ai fini della sussistenza di tale reato, è richiesto il dolo specifico, integrato dal fine di evadere le imposte, comprensivo del fine di conseguire un indebito rimborso o il riconoscimento di un inesistente credito d'imposta” (Tribunale di Nola, 9 gennaio 2020, n. 39).

3.2 La prova del dolo specifico: ricostruzione ex ante dell’intenzione fraudolenta

In sede processuale, la prova del dolo specifico non può mai fondarsi su mere presunzioni.

Deve emergere, da un insieme coerente di indizi gravi, precisi e concordanti, la volontà fraudolenta, la progettualità, la coscienza della fittizietà dell’operazione e la finalità evasiva.

Tale prova può essere ricavata da:

  • la sistematica falsificazione delle scritture contabili;

  • l’utilizzo di società cartiere o interposte fittizie;

  • la quantità e ripetitività delle operazioni inesistenti;

  • le modalità di registrazione contabile incongruenti;

  • il confronto tra i soggetti reali e quelli documentali;

  • la corrispondenza tra i costi fittizi e la riduzione dell’imponibile.

“Il dolo specifico richiesto per il delitto di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture per operazioni inesistenti, rappresentato dalla finalità evasiva, è compatibile con il dolo eventuale, ravvisabile nell’accettazione del rischio che l’inserimento di tali documenti possa comportare l’evasione d’imposta” (Cass. pen., sez. III, 19/06/2018, n. 52411).

3.3 Dolo specifico e responsabilità professionale: l’ipotesi del commercialista compiacente

Interessante è la questione della responsabilità del consulente fiscale (es. commercialista), che predisponga o suggerisca l’utilizzo di fatture false. In tali ipotesi, la giurisprudenza richiede la prova che anche il professionista abbia agito con dolo specifico, ossia con la consapevolezza del fine di evasione perseguito dal cliente e con adesione volontaria al programma criminoso.

“Risponde del reato di dichiarazione fraudolenta anche il soggetto che, d’intesa con l’autore della dichiarazione, fornisce le fatture false o le predispone all’uopo, essendo a conoscenza della loro funzione evasiva” (Cass. pen., sez. III, 30/11/2016, n. 14815).

3.4 Dolo specifico e tentativo di ravvedimento: irrilevanza ai fini della sussistenza del dolo

Non è sufficiente, ai fini dell’esclusione del dolo specifico, il successivo pagamento del debito tributario. La regolarizzazione potrà rilevare al massimo sotto il profilo della non punibilità ex art. 13 D.lgs. 74/2000, ma non incide sulla sussistenza dell’elemento soggettivo al momento del fatto.

“L’eventuale pagamento dell’imposta dopo la dichiarazione infedele non esclude l’iniziale finalità evasiva che ha ispirato l’utilizzo delle fatture false” (Cass. pen., sez. III, 25/10/2018, n. 6360).

🔎 Box operativo – Indici sintomatici del dolo specifico nel reato ex art. 2 D.lgs. 74/2000

Indicatore indiziario

Descrizione

Richiami giurisprudenziali

Ripetitività della condotta

Inserimento sistematico e reiterato di fatture false in più dichiarazioni

Indice di programmazione dolosa e non di errore isolato (Cass. pen., sez. III, 53318/2018)

Utilizzo di “cartiere”

Impiego di società prive di struttura operativa, spesso intestate a prestanome

Chiara volontà di dissimulare l’identità reale dei soggetti e trarre vantaggi fiscali indebiti (Cass. pen., sez. III, 17702/2019)

Importo rilevante delle fatture

Presenza di costi fittizi di importo elevato, sproporzionati rispetto al volume d’affari

Rafforza la consapevolezza della falsità e l’intenzione evasiva (Cass. pen., sez. III, 29977/2019)

Mancanza di documentazione probatoria

Assenza di documenti giustificativi a supporto dell’operazione (contratti, DDT, bonifici)

L’assenza sistematica di supporti contabili conferma la volontà di simulazione (Cass. pen., sez. III, 7941/2016)

Soggetto privo di capacità operativa

Fornitore formalmente indicato privo di sede, dipendenti, mezzi o struttura idonea

Elemento oggettivo della falsità soggettiva, conosciuta dal contribuente (Cass. pen., sez. III, 34534/2017)

Contiguità soggettiva tra emittente e destinatario

Rapporti personali o societari tra le due parti (es. familiari, soci occulti, precedenti cointeressenze)

Indizio di complicità e frode concertata (Cass. pen., sez. III, 14815/2016)

Omissioni contabili ricorrenti

Mancata annotazione di ricavi a fronte di costi fittizi

Disegno evasivo complessivo e doloso (Cass. pen., sez. III, 46956/2018)

Fatture emesse dopo la chiusura del fornitore

Documenti datati dopo la cessazione dell’attività della società emittente

Prova evidente della consapevolezza della falsità (Cass. pen., sez. III, 37848/2017)


  1. Le sanzioni previste dal reato ex art. 2 D.lgs. 74/2000

L’art. 2 del D.lgs. 74/2000 prevede un quadro sanzionatorio particolarmente severo, frutto di una precisa scelta politica e normativa: contrastare in modo incisivo le frodi documentali finalizzate all’evasione tributaria, soprattutto nei casi in cui le modalità fraudolente risultino organizzate, seriali e professionali.

Tale scelta si riflette nell’entità della pena edittale, nonché nella disciplina delle attenuanti, che mira a differenziare le situazioni più gravi da quelle di minore impatto erariale o da condotte meno sofisticate.


4.1 Pena base: reclusione da 4 a 8 anni

La cornice edittale ordinaria del delitto di dichiarazione fraudolenta mediante utilizzo di fatture false è stata significativamente inasprita dal D.lgs. n. 124/2019, convertito con modificazioni dalla L. n. 157/2019.

Prima della riforma, la pena era compresa tra 1 anno e 6 mesi e 6 anni. Dopo il 2019, la pena base è stata elevata a un minimo di 4 e un massimo di 8 anni di reclusione.


Ratio della riforma del 2019: contrastare con maggiore efficacia l’evasione di tipo sistematico e consentire l’applicazione di misure cautelari personali (custodia cautelare in carcere o domiciliari) anche nella fase delle indagini preliminari, grazie al superamento del limite edittale minimo di 3 anni richiesto ex art. 280 c.p.p.

4.2 Circostanza attenuante ad effetto speciale: art. 2, comma 2-bis

Con lo stesso intervento del 2019 è stato introdotto anche l’art. 2, comma 2-bis, che prevede una circostanza attenuante speciale per i casi di minore gravità, caratterizzati da una minore entità degli elementi passivi fittizi.

Testo vigente del comma 2-bis:“Se l’ammontare degli elementi passivi fittizi è inferiore a euro centomila, si applica la reclusione da un anno e sei mesi a sei anni”.

Questa attenuante opera ope legis, cioè obbligatoriamente, ogniqualvolta il valore degli elementi passivi fittizi non supera la soglia di € 100.000. Si tratta di una soglia oggettiva, da valutarsi in relazione all’intero importo dei costi fittizi inseriti nella dichiarazione.


4.3 La circostanza di cui al comma 3 (abrogata)

Il testo originario dell’art. 2 prevedeva, al comma 3, un’ulteriore attenuazione della pena nei casi di elementi passivi fittizi inferiori a 154.937,07 euro, con sanzione da sei mesi a due anni di reclusione.

Tale previsione è stata abrogata con l’entrata in vigore del D.lgs. 124/2019, a conferma dell’orientamento di inasprimento generale delle sanzioni per i reati tributari. L’unica attenuante oggettiva attualmente applicabile resta quella prevista dal comma 2-bis (sotto € 100.000).


  1. Fatture oggettivamente e soggettivamente inesistenti

La distinzione tra operazioni oggettivamente e soggettivamente inesistenti rileva non solo sul piano della qualificazione giuridica della condotta, ma anche ai fini della valutazione dell’elemento soggettivo, della deducibilità fiscale e, non da ultimo, della strategia difensiva da assumere.

L’art. 2 D.lgs. 74/2000 si applica ad entrambe le ipotesi, purché vi sia l’intento di evadere le imposte attraverso l’inserimento in dichiarazione di elementi passivi fittizi veicolati da fatture false.


5.1 Fatture oggettivamente inesistenti

Una fattura è oggettivamente inesistente quando documenta un’operazione che non è mai stata compiuta nella realtà economica.

La falsità riguarda il contenuto materiale del documento, che attesta una fornitura di beni o una prestazione di servizi mai effettuata, come ad esempio:

  • fatture per consulenze mai erogate;

  • fatture per la cessione di beni mai consegnati;

  • fatture emesse da una società cessata o inattiva al momento dell’asserita operazione.

In queste ipotesi, nessun rapporto economico o giuridico è intercorso tra le parti, né esiste una controprestazione reale. La fattura è un mero artificio contabile, privo di qualsiasi aggancio alla realtà.

“Il reato è integrato, con riguardo alle imposte sui redditi, dalla sola inesistenza oggettiva delle prestazioni, ove si ha diversità, totale o parziale, tra costi indicati e costi sostenuti” (Cass. pen., sez. III, 24/01/2019, n. 16768).

5.2 Fatture soggettivamente inesistenti

La fattura soggettivamente inesistente documenta un’operazione che è stata effettivamente compiuta, ma con soggetti diversi da quelli indicati nel documento.

La falsità riguarda dunque la riconducibilità soggettiva dell’operazione: chi figura come cedente/prestatore o cessionario/committente non è colui che ha realmente eseguito o ricevuto la prestazione.

Esempi:

  • Utilizzo di un prestanome come emittente della fattura;

  • Interposizione di una società cartiera per dissimulare il reale fornitore;

  • Schemi a “triangolazione” o “missing trader”, in cui il soggetto interposto non ha alcuna funzione economica reale.

“I costi relativi a operazioni soggettivamente inesistenti non sono mai deducibili, e la loro indicazione in dichiarazione configura un intento evasivo” (Cass. pen., sez. III, 12/02/2019, n. 29977).


5.3 Prova dell’inesistenza e onere della difesa

L’accertamento dell’inesistenza – oggettiva o soggettiva – è spesso il fulcro dell’istruttoria penale e tributaria.

In caso di accusa di fattura soggettivamente inesistente, l’onere probatorio si inverte parzialmente: una volta accertata la fittizietà dell’intestazione, è il contribuente a dover provare la realtà sostanziale dell’operazione.

È onere del soggetto utilizzatore "dimostrare la corrispondenza tra il dato documentale e l’effettiva operazione economica” (Cass. pen., sez. III, 21/04/2017, n. 34534)


4. Rilevanza per l’elemento soggettivo e per la graduazione della pena

Le fatture oggettivamente false sono generalmente associate a un dolo più marcato, trattandosi di operazioni del tutto fittizie, le fatture soggettivamente inesistenti, invece, talvolta vengono utilizzate da soggetti convinti della regolarità formale dell’operazione.

Ciò può dare spazio, in concreto, a una valutazione più sfumata del dolo specifico, o a tesi difensive sulla non punibilità per mancanza di consapevolezza.

Tuttavia, la giurisprudenza di legittimità è costante nell’affermare che anche le operazioni soggettivamente inesistenti sono penalmente rilevanti, purché sussista l’intento di evasione.


4.5 Differenze sintetiche (schema a confronto)

Aspetto

Oggettivamente inesistenti

Soggettivamente inesistenti

Operazione

Mai avvenuta nella realtà economica

Avvenuta, ma tra soggetti diversi da quelli indicati

Falsità

Del contenuto (beni/servizi mai scambiati)

Dell’intestazione (soggetto economico fittizio)

Esempio

Fattura per consulenza mai prestata

Fattura emessa da cartiera per operazione realmente svolta da terzo

Conseguenze fiscali

Costi indeducibili, IVA indetraibile

Idem

Prova difensiva

Difficile da fornire (non c'è alcuna operazione)

Necessaria dimostrazione dell’effettività dell’operazione

Profili di dolo

Generalmente più evidenti

Più controversi, soprattutto se il soggetto è in buona fede


  1. Ipotesi di non punibilità: il ravvedimento operoso penale tra prevenzione e deflazione del contenzioso

Il legislatore ha previsto – accanto a sanzioni severe e allargate ipotesi di confisca – anche una clausola di non punibilità per i soggetti che decidano di regolarizzare spontaneamente la propria posizione fiscale.

Si tratta di un istituto fondamentale, disciplinato dall’art. 13 del D.lgs. 74/2000, che opera come ravvedimento operoso in senso penalistico, e che riflette una logica premiale: il contribuente che, prima di essere scoperto, provveda integralmente al pagamento di quanto dovuto, non è punibile penalmente.


⚖️ La norma: art. 13, comma 1 D.lgs. 74/2000

“I reati [...] non sono punibili se i debiti tributari, comprese sanzioni e interessi, sono stati estinti mediante integrale pagamento degli importi dovuti a seguito di ravvedimento operoso, presentazione della dichiarazione omessa o degli atti di rettifica o di adesione, prima che l’autore del reato abbia avuto formale conoscenza dell’inizio di attività di accertamento amministrativo o procedimenti penali”.

6.1 Ambito di applicazione

L’ipotesi di non punibilità si applica anche al reato di cui all’art. 2, benché si tratti di una delle ipotesi più gravi previste dal D.lgs. 74/2000. La norma non distingue tra reati formali (come l’omessa dichiarazione) e reati fraudolenti (come quello mediante uso di fatture false), né richiede soglie quantitative: ciò che rileva è la tempestività del comportamento riparatorio.


“La collaborazione volontaria del contribuente, conclusa con il pagamento di imposte, sanzioni e interessi, determina il venir meno del profitto del reato e legittima la non punibilità, se intervenuta prima della conoscenza dell’accertamento”. (Cass. pen., sez. III, 23/11/2018, n. 10801)

6.2 Requisiti della non punibilità

Perché la causa di non punibilità possa operare, è necessario che ricorrano cumulativamente i seguenti presupposti:

Requisito

Descrizione

Pagamento integrale

Devono essere versate tutte le imposte evase, le sanzioni amministrative e gli interessi maturati.

Spontaneità della regolarizzazione

Il pagamento deve avvenire prima che l’autore abbia ricevuto formale notizia:


– di accessi, ispezioni o verifiche;


– dell’avvio di attività di accertamento;


– della pendenza di un procedimento penale.

Utilizzo di strumenti previsti dalla normativa tributaria

Il pagamento può avvenire tramite:


ravvedimento operoso (art. 13 D.Lgs. 472/1997);


– adesione all’accertamento o definizione agevolata;


– versamento diretto in autotutela.

Non è sufficiente un parziale pagamento o un accordo di rateizzazione non onorato: l’estinzione del debito deve essere completa ed effettiva.


6.3 Limiti temporali e formali: il momento della “formale conoscenza”

La non punibilità è preclusa se il contribuente ha già avuto “formale conoscenza” di una delle seguenti attività:

  • Accessi o ispezioni fiscali presso la sede aziendale o legale;

  • Notifica di atti di accertamento tributario;

  • Notifica di un invito a comparire in sede penale o tributaria;

  • Informazione di garanzia;

  • Perquisizione o sequestro;

  • Avviso di conclusione delle indagini.


“Il beneficio della non punibilità è subordinato alla condizione che la regolarizzazione intervenga prima dell’avvio di attività amministrative o procedimenti penali, conosciuti formalmente dall’imputato” (Cass. pen., sez. III, 19/01/2017, n. 24307).

6.4 Effetti giuridici

Se i requisiti sono rispettati, il fatto non è punibile. Ne conseguono:

  • Archiviazione del procedimento penale (o sentenza di non luogo a procedere);

  • Non applicabilità delle misure cautelari e del sequestro;

  • Esclusione della confisca penale, in quanto il profitto del reato è venuto meno;

  • Nessuna sanzione ex D.lgs. 231/2001 nei confronti dell’ente.


“La procedura di regolarizzazione estingue il debito e fa venir meno la natura illecita del profitto, precludendo la confisca e il sequestro finalizzati ad essa” (Cass. pen., sez. III, 23/11/2018, n. 10801)

6.5 Finalità e ratio dell’istituto

La previsione della non punibilità si muove in un’ottica deflattiva, volta a:

  • Incentivare l’adempimento spontaneo da parte del contribuente;

  • Recuperare con rapidità le risorse sottratte all’Erario;

  • Alleggerire il carico della giustizia penale tributaria;

  • Premiare i comportamenti collaborativi e tempestivi.

Si tratta, in definitiva, di una forma di giustizia penale tributaria "riparatoria", che ricalca modelli presenti in altri ordinamenti (si pensi alla “voluntary disclosure”) e che risponde a una logica di efficienza fiscale più che di retribuzione del reato.


  1. Rapporti con altri reati e disciplina del D.lgs. 231/2001: tra specialità e responsabilità collettiva

Il reato di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o documenti per operazioni inesistenti, di cui all’art. 2 del D.lgs. 74/2000, non vive in isolamento nel sistema penal-tributario. Esso si colloca all’interno di una costellazione di fattispecie che, pur condividendo lo stesso fine illecito (l’evasione), differiscono per le modalità fraudolente utilizzate.

Contemporaneamente, la condotta illecita può coinvolgere — oltre al soggetto fisico — anche l’ente collettivo nel cui interesse o vantaggio il reato è stato commesso, rendendo applicabile la disciplina della responsabilità amministrativa degli enti ex D.lgs. 231/2001.


7.1 Il rapporto con l’art. 3 D.lgs. 74/2000: specialità reciproca

L’art. 3 del D.lgs. 74/2000 incrimina la dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici, ossia:

chi, al fine di evadere le imposte, mediante l’uso di mezzi fraudolenti idonei a ostacolare l’accertamento o ad indurre in errore l’amministrazione finanziaria, indica elementi attivi inferiori a quelli effettivi o elementi passivi fittizi”.

A differenza dell’art. 2, l’art. 3 non richiede l’impiego di fatture o documenti falsi, ma consente la punibilità di altre forme di frode contabile, come:

  • Sovrafatturazioni;

  • Doppia contabilità;

  • Fittizie valutazioni di magazzino;

  • Interposizione di soggetti tramite operazioni simulate.


“Sussiste specialità reciproca tra l’art. 2 e l’art. 3 D.lgs. 74/2000: il primo richiede l’utilizzo di documentazione falsa (fatture), il secondo l’impiego di altri mezzi fraudolenti. La scelta normativa non ammette sovrapposizioni” (Cass. pen., sez. III, 25/10/2018, n. 6360:).

🔄 Criterio di distinzione:

Lo “strumento fraudolento” impiegato:
  • Art. 2: fatture/documenti relativi a operazioni inesistenti;

  • Art. 3: artifici contabili o simulazioni prive di supporto documentale tipico.

In caso di concorso apparente di norme, il giudice applica la fattispecie speciale a norma dell’art. 15 c.p., escludendo la cumulabilità delle due imputazioni.


7.2 Ulteriori rapporti con altri reati tributari

Reato correlato

Elemento distintivo

Compatibilità con l’art. 2

Art. 4 – Dichiarazione infedele

Manca l’elemento della fraudolenza, punibile anche in assenza di artifici

Esclusa in caso di frode documentale

Art. 8 – Emissione di fatture false

Colpisce l’emittente delle fatture, non l’utilizzatore

Compatibile: spesso concorso tra chi emette (art. 8) e chi utilizza (art. 2)

Art. 11 – Sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte

Comportamento successivo all’accertamento, volto a eludere la riscossione

Cumulabile, ma con condotta separata nel tempo

7.3 La responsabilità dell’ente ex D.lgs. 231/2001

L’art. 25-quinquiesdecies del D.lgs. 231/2001 include espressamente tra i reati presupposto anche quello di cui all’art. 2 D.lgs. 74/2000. Ne consegue che, se la dichiarazione fraudolenta mediante fatture false è commessa nell’interesse o a vantaggio dell’ente, può derivarne la responsabilità amministrativa della persona giuridica.


Condizioni per la responsabilità dell’ente:

  1. Il reato deve essere commesso da un soggetto apicale o sottoposto (art. 5 D.lgs. 231/2001);

  2. Deve sussistere un interesse o vantaggio dell’ente (anche potenziale o solo perseguito);

  3. L’ente non deve aver adottato modelli di organizzazione e gestione idonei a prevenire il reato.

“La dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture false può fondare la responsabilità dell’ente se finalizzata a migliorare il risultato d’impresa o a ottenere benefici economici” (Cass. pen., sez. V, 14/07/2017, n. 43976)

7.4 Sanzioni previste per l’ente

Le sanzioni pecuniarie sono parametrate alle “quote”, la cui entità viene determinata dal giudice in base a:

  • Grado di responsabilità dell’ente;

  • Entità del danno o del profitto;

  • Adozione o meno di modelli 231.

Importo degli elementi passivi fittizi

Sanzione pecuniaria massima

≥ € 100.000

Fino a 500 quote

< € 100.000

Fino a 400 quote

Il valore della singola quota può variare da € 258 a € 1.549, secondo quanto stabilito dal giudice (art. 10 D.lgs. 231/2001).


7.5 Confisca e sequestro per sproporzione

In caso di reato ex art. 2, è altresì prevista la confisca obbligatoria del profitto, diretta o per equivalente. Se gli elementi passivi fittizi superano € 200.000, il giudice può disporre anche il sequestro per sproporzione: beni possono essere sequestrati anche oltre l’importo dell’evasione, se ritenuti sproporzionati rispetto al reddito dichiarato.


“La confisca per sproporzione ha natura autonoma rispetto alla confisca del profitto e mira a colpire l’arricchimento illecito anche potenziale” (Cass. pen., sez. III, 20/07/2018, n. 53318)

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