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Risponde del reato di cui all'art. 2 legge sui reati tributari chi agisce come autore mediato


Risponde del reato di cui all'art. 2 legge sui reati tributari chi agisce come autore mediato

Cassazione penale , sez. III , 14/12/2022 , n. 17211

Integra il delitto di cui all' art. 2 d.lg. 10 marzo 2000, n. 74 , la condotta di chi, agendo quale autore mediato, onde evadere le imposte, predisponga fatture o altri documenti per operazioni inesistenti che traggano in errore il soggetto tenuto alla presentazione della dichiarazione fiscale, inducendolo ad inserire, in quest'ultima, elementi passivi fittizi. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto esente da censure la decisione con la quale era stato condannato l'amministratore di fatto di una società che aveva consapevolmente indicato, nelle scritture contabili, elementi passivi fittizi, inseriti nella dichiarazione presentata dall'amministratore giudiziario).


Cassazione penale sez. III, 14/12/2022, n.17211

RITENUTO IN FATTO

Con sentenza del 25 giugno 2021 la Corte di appello di Palermo ha confermato la sentenza con la quale, il precedente 14 gennaio 2020 il Gup del Tribunale di Palermo, in esito a giudizio celebrato nelle forme del rito abbreviato, aveva dichiarato, per quanto ora interessa, L.D., I.G. e A.G. colpevoli dei reati loro rispettivamente contestati, anche in concorso, e, riconosciute le circostanze attenuanti generiche in favore del solo L., li aveva condannati, applicata la diminuente per il rito speciale prescelto, alla pena di anni 3 e mesi 2 di reclusione il L. ed alla pena di anni 2 di reclusione ciascuno l' A. e l' I.; con la sentenza di primo grado stata, come detto integralmente confermata in sede di gravame, era stata altresì disposta la confisca, ove possibile in via diretta altrimenti per equivalente, del profitto conseguito attraverso la commissione degli illeciti, quantificato, per ciò che riguarda il L., nella somma di Euro 6.114.424,75, e nella somma di Euro 1.946.769,96 per ciò che riguarda A. e I.; il tutto oltre accessori, ivi compreso il risarcimento del danno patito dalla costituita parte civile, D.G.E., da liquidarsi in separato giudizio.


Avverso la predetta sentenza hanno interposto separati ricorsi i tre imputati sopra citati.


Mentre l' I. ha affidato le proprie doglianze a 2 motivi di impugnazione, l' A. ha formulato tre motivi di ricorso; il L., a sua volta ha articolato un solo motivo di impugnazione.

Commette reato chi per evadere le imposte agendo quale "autore mediato" predispone fatture o altri documenti per operazioni inesistenti

CONSIDERATO IN DIRITTO

Tutti i ricorsi proposti, per i motivi che saranno di seguito meglio illustrati, sono infondati e, pertanto, gli stessi devono essere rigettati.


Prendendo le mosse dal primo motivo di ricorso formulato dalla difesa dell' I. - il cui oggetto è costituito dalla ritenuta, e non rilevata in sede di gravame, contraddittorietà della sentenza del giudice di primo grado, il quale aveva attribuito un significativo rilievo, ai fini della affermazione della penale responsabilità dell' I., alle dichiarazioni rese dal correo L., sebbene questi abbia precisato che la illiceità delle condotte dell' I. (e dell' A.) non ridondava ai "fini IVA" - si osserva che si tratta di censura priva di pregio.


Deve, brevemente, chiarirsi che la condotta delittuosa di cui ora si tratta consiste nell'avere l'imputato I. (restando per il momento in disparte la figura dell' A., cui sono, d'altra parte attribuite le medesime condotte) stretto un pactum sceleris con il L. attraverso il quale il primo avrebbe direttamente conseguito un indebito vantaggio in danno della consocia D.G.E.; in sintesi i termini dell'accordo erano i seguenti: il L. emetteva nei confronti della società della quale l' I. (oltre all' A. e alla D.G.) era socio delle fatture per forniture il cui importo era superiore a quello effettivamente pattuito e tale differenza - che la società pagava ma che poi il L. restituiva, fra l'altro, all' I. ma non alla D.G. - era da costui indebitamente trattenuto.


Questo, in estrema sintesi, essendo, secondo la stessa difesa dell' I., il meccanismo posto in essere fra il medesimo I. ed il L., è di tutta evidenza che - quale che ne fosse lo scopo ultimo tramite esso, essendo le fatture relative ad operazioni inesistenti (quanto meno inesistenti parzialmente) regolarmente annotate nella contabilità della società ed utilizzate in sede di dichiarazione dei redditi, era realizzata una evasione fiscale, risultando in tal modo somme versate a titolo di Iva, suscettibili di essere, pertanto, portate a credito, superiori negli importi a quelle realmente corrisposte.


Ora, è ben vero, che il reato contestato all' I. è reato a dolo specifico, posto che lo stesso deve essere realizzato al fine di evadere le imposte, ma un tale fine - indubbiamente conseguito attraverso la annotazione come versate a titolo di IVA, e pertanto, portate a credito di imposta, di somme invece non versate - e, pertanto una tale caratteristica dell'atteggiamento della volontà dell'agente non è incompatibile con la esistenza anche di un altro scopo perseguito, dovendo, pertanto, concludersi che il dolo specifico non è necessariamente sinonimo di dolo esclusivo e, pertanto, la sua presenza non è inconciliabile con una declinazione del dolo indirizzata anche verso altre finalità (si veda, infatti, in tale senso: Corte di cassazione, Sezione III penale, 19 marzo 2021, n. 10763; idem Sezione III penale, 30 giugno 2015, n. 27112).


E', pertanto, evidente che, avendo valorizzato le dichiarazioni del L. - ovviamente in relazione alla descrizione dei fatti da lui compiuta e non certo quanto alla loro possibile qualificazione giuridica, non essendo sul punto significativa la opinione del coimputato, il quale avrebbe escluso la rilevanza della frode "ai fini IVA", trattandosi di valutazione di esclusiva spettanza giudiziaria - i giudici del merito non sono caduti in alcuna contraddizione, posto che il dato da loro non considerato, cioè la valutazione operata dal L. intorno alla integrazione del reato anche "ai fini IVA", è dato del tutto trascurabile nella economia del giudizio ora in esame.


Quanto al secondo motivo di ricorso - che riguarda la ritenuta violazione di legge per essere stato il ricorrente condannato al risarcire il danno patito dalla socia D.G. per effetto della condotta delittuosa, che avrebbe determinato l'insorgere di un rilevante debito tributario a carico della società di cui questa, come il ricorrente, era socia, tanto da determinarne la condizione di dissesto ed il successivo fallimento - si rileva che anche in questo caso si tratta di argomenti non accettabili.


Non e', infatti, argomento significativo sostenere, come fatto dal ricorrente, che, siccome il reato commesso avrebbe determinato un vantaggio fiscale in favore della società (essendo il danno riferito semmai all'Erario), il consocio non potrebbe essere legittimato alla costituzione di parte civile per il ristoro del danno non essendo questo su di lui ricadente; infatti, è agevole replicare che attraverso la condotta posta in essere dall' I. il vantaggio fiscale conseguito, apparentemente, dalla Società in questione, essendo illecito, è stato oggetto di recupero, maggiorato di accessori e sanzioni, sicché non può assolutamente escludersi dal novero dei soggetti danneggiati dalla condotta posta in essere dal prevenuto la platea dei soci della Società, essendo stata, in tal modo, frustrata la loro iniziativa economica; né ha una valenza dirimente l'affermare che di tale danno avrebbe dovuto rispondere l'amministratore della società attraverso l'esperimento della azione di responsabilità nei confronti di questo, atteso che le due azioni, quella di responsabilità nei confronti dell'amministratore e quella ordinaria volta a far valere la eventuale responsabilità civile di chi abbia cagionato un danno ingiusto ai soci della società commerciale, hanno presupposti diversi tali che le stesse non sono in rapporto di esclusività (sulla possibile coesistenza della azione di responsabilità della società verso l'amministratore per la violazione degli obblighi legali o statutari e del singolo socio per le condotte dolose o colpose dell'amministratore causative di danno diretto verso il socio attore si vedano: Corte di cassazione, Sezione I civile, 25 luglio 2007, n. 16416; Corte di cassazione, Sezione I civile, 13 dicembre 1995, n. 12772).


Passando a questo punto al ricorso proposto da A., si osserva che il primo dei 3 motivi di censura da lui proposti, oggetto di ulteriori illustrazioni con la memoria da lui predisposta in data 30 novembre 2022, ha il medesimo contenuto del primo motivo di impugnazione presentato dall' I., per cui, una volta ritenuta la sovrapponibilità della posizione dell'attuale ricorrente con quella del precedente, per esso valgono le medesime considerazioni, una volta sostituita logicamente la posizione del primo ricorrente con quella dell' A., già svolte in precedenza.


Il secondo motivo di impugnazione da quest'ultimo proposto presenta dei profili di autonomia rispetto a quelli precedentemente esaminati, per cui necessita di un'autonoma trattazione.


Con esso il ricorrente rileva che avrebbe sbagliato la Corte di merito nell'affermare la sua responsabilità quanto alla imputazione a lui contestata sub 24 del capo di imputazione, avente ad oggetto la violazione del D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 2 per avere indotto in errore l'amministratore giudiziario della Motoroil, società della quale era stato amministratore di fatto unitamente all' I., nella redazione delle dichiarazioni fiscali relative all'anno 2014, avendo indicato nelle scritture contabili elementi passivi di reddito fittizi; ciò in quanto l' A. non avrebbe sottoscritto le dichiarazioni in questione, posto che al momento della loro presentazione la amministrazione della predetta Società era già passata nelle mani dell'amministratore giudiziario, il quale aveva compiuto l'adempimento di cui sopra.


Anche in questo caso si tratta di rilievo non accoglibile.


Va, infatti, considerato che, sebbene in passato questa Corte abbia sostenuto che il reato di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti previsto e punito ai sensi del D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 2 sia integrato dalla registrazione in contabilità delle false fatture o dalla loro conservazione ai fini di prova, nonché dall'inserimento nella dichiarazione d'imposta dei corrispondenti elementi fittizi, condotte queste ultime tutte congiuntamente necessarie ai fini della punibilità (Corte di cassazione, Sezione III penale, 18 aprile 2012, n. 14855), una tale conformazione della condotta, che corrisponde alla ordinaria modalità di presentazione della fattispecie, non comporta necessariamente che la stessa non possa atteggiarsi sotto una diversa forma.


Infatti, il rilievo dianzi formulato dalla giurisprudenza di questa Corte non esclude che la alla fattispecie in questione si debba applicare, ricorrendone le condizioni, anche la previsione contenuta nell'art. 48 c.p., in base al quale risponde del reato commesso da un determinato soggetto chi abbia, fra l'altro con l'inganno, indotto quello in errore determinandolo a compiere un fatto che costituisce reato (in tale senso, in materia di reati tributari, si veda, infatti: Corte di cassazione, Sezione III penale, 2 marzo 2011, n. 8096).


Si intende, con ciò affermare che anche la ipotesi delittuosa ora in esame possa sottostare alla disciplina del cosiddetto "autore mediato", dovendo, pertanto, rispondere del delitto doloso colui che ha indotto, appunto attraverso la preordinazione di mezzi idonei a farlo cadere in errore, un soggetto a commettere un reato (sulla problematica in generale si veda: Corte di cassazione, Sezione V penale, 13 aprile 2006, n. 13249).


Nel caso di specie, per come appunto, indicato nel capo di imputazione contestato all' A. (oltre che all' I.) è ben chiarito che la condotta loro attribuita non è tanto la presentazione di mano propria della dichiarazione dei redditi mendace, quanto l'avvenuta predisposizione degli elementi, falsi, atti ad indurre il commissario giudiziale nominato per la Motoroil a redigere, essendo evidentemente egli obbligato alla presentazione della dichiarazione in questione, una dichiarazione fiscale che, essendo fondata su atti falsi consapevolmente predisposti anche dall' A., avrebbe determinato la evasione della imposte.


Non vi e', pertanto, nella avvenuta decisione di dichiarare la penale responsabilità dell' A. in relazione alla condotta da lui posta in essere alcuna violazione della tipicità del reato a lui contestato, ma semplicemente la piana applicazione delle regole previste dall'art. 48 c.p. in punto di responsabilità dell'"autore mediato" che abbia determinato a commettere il reato l'inconsapevole "autore immediato".


Passando al terzo motivo di ricorso, si segnala che esso ripete i propri contenuti dal secondo motivo del ricorso dell' I. in punto di risarcibilità del danno patito dalla costituita parte civile, sicché anche in relazione ad esso - non emergendo né profili di autonomia nelle argomentazioni svolte dall'attuale ricorrente né nella posizione sostanziale da questo ricoperta valgono le considerazioni svolte in ordine all'analoga lagnanza sviluppata dal precedente ricorrente.


Per ciò che attiene al ricorso proposto dall'imputato L., reo confesso rispetto ai reati tributari, va detto che lo stesso è sviluppato tramite un solo motivo di impugnazione, riguardante la pretesa irriferibilità al ricorrente dell'attributo di promotore/organizzatore della associazione per delinquere finalizzata alla commissione di delitti in materia fiscale.


Ritiene la difesa del L. che la circostanza che egli sia partecipe di tutti i reati fine non sia determinante al fine di attribuire a lui anche la qualifica di promotore organizzatore della associazione, anzi si precisa che la stessa Corte di appello, si sia limitata ad elencare le plurime condotte illecite a lui ascritte, senza, tuttavia, rilevare che nelle stesse egli non ha mai manifestato alcun potere autonomo di scelta o di direzione, non rivestendo, pertanto, nella associazione in questione alcun ruolo apicale.


I pur suggestivi rilievi della ricorrente difesa non colgono, tuttavia, nel segno.


Questa Corte ha, infatti, puntualizzato che nel reato di associazione per delinquere la qualifica di "capo" è appannaggio non solo di chi sia al vertice dell'organizzazione ma anche colui che abbia incarichi direttivi e risolutivi nella vita del gruppo criminale e nel suo esplicarsi quotidiano in relazione ai propositi delinquenziali realizzati (Corte di cassazione, Sezione IV penale, 13 luglio 2016, n. 29628), essendo stato, altresì, chiarito, sin da lungo tempo, che riveste la qualifica di organizzatore anche chi, pur eseguendo le direttive a lui impartitegli da chi abbia all'interno del sodalizio un ruolo sovraordinato, svolga comunque, con un margine di autonomia, compiti di coordinamento della azione degli altri associati e dell'uso delle risorse e delle struttura, ovvero di reperimento dei mezzi per lo svolgimento della vita associativa (Corte di cassazione, Sezione V penale, 17 ottobre 2011, n. 37370, ma già, nel medesimo senso: Corte di cassazione, Sezione VI penale, 11 febbraio 1994, n. 1793).


Nel caso che ora interessa la Corte di merito ha rilevato, con accertamento in fatto oramai non più sindacabile, che era il L. che teneva i contatti con i vari associati; egli era anche l'amministratore di più di una delle società che emettevano fatture per operazioni inesistenti, in tal modo fungendo da raccordo e collettore degli interessi dei vari soggetti che di tale attività si giovavano, provvedeva a ricercare nuove fonti di guadagno esplorando ulteriori ambiti ove svolgere l'attività delinquenziale, rivestendo, in sostanza una funzione che, indubbiamente, non può essere qualificata, alla luce degli indirizzi giurisprudenziali sopra riportati, in termini di mero gregariato.


Il fatto, richiamato in sede impugnatoria, che ad un certo punto il ricorrente sia stato estromesso dalla associazione non è fattore che escluda che sino a quel momento lo stesso abbia svolto compiti di carattere organizzativo tali da giustificare la ricorrenza della aggravante contestata.


Conclusivamente i ricorsi devono, per le ragioni che precedono, essere tutti rigettati ed i ricorrenti, visto l'art. 616 c.p.p., vanno condannati al pagamento delle spese processuali.


P.Q.M.

Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.


Così deciso in Roma, il 14 dicembre 2022.


Depositato in Cancelleria il 26 aprile 2023

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