RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 24 novembre 2020 il Giudice dell'udienza preliminare del Tribunale di Busto Arstizio, a seguito di giudizio abbreviato, per quanto di interesse, ha condannato alla pena di giustizia oltre pene accessorie gli odierni ricorrenti.
In particolare:
- Ce.Fe., quale consulente fiscale e amministratore di fatto della società MISTER CLEAN Srl, dichiarata fallita con sentenza del Tribunale di Busto Arstizio in data 21 novembre 2018, in relazione ai reati di bancarotta fraudolenta documentale (capo 1) e di indebita compensazione di crediti IVA inesistenti (capi da 2 a 15);
- Ce.So., quale soggetto incaricato di gestire l'avvicendamento di amministratori, di redigere il bilancio e le dichiarazioni IVA relative alla medesima società, in relazione ai reati di indebita compensazione di crediti IVA inesistenti (capi 2, 3, 4, 7, 8, 9, 11, 12);
- Za.Lu., quale amministratore di fatto della società FRAMI Srl, società proprietaria del 100% delle quote della società Puliservizi Srl, a sua volta proprietaria del 100% delle quote della società MISTER CLEAN Srl, nonché in qualità di intermediario della commercializzazione dei crediti in relazione ai reati di indebita compensazione di crediti IVA inesistenti (capi 2, 5, 6).
Le condotte contestate hanno ad oggetto la rilevazione di società ormai prossime alla decozione - grazie all'attività di consulente fiscale di Ce.Fe. della società Mister Clean Srl - delle quali si procedeva ad alterare i bilanci e le dichiarazioni IVA, creando in tal modo crediti d'imposta inesistenti da compensare, successivamente, con debiti nei confronti dell'Erario o di altri enti pubblici vantati da soggetti terzi, ricorrendo al meccanismo dell'accollo d'imposta, ovvero della cessione dei crediti.
La ulteriore condotta contestata all'imputato Ce.Fe. è quella di bancarotta fraudolenta documentale della società Mister Clean Srl, nella sua qualità di consulente fiscale ed amministratore di fatto dal marzo al novembre 2018.
1.1. La Corte di appello di Milano con sentenza del 21 settembre 2023 ha:
- parzialmente riformato la decisione nei confronti di Ce.Fe. riconoscendo il vincolo della continuazione tra i fatti di cui alla sentenza impugnata e i fatti di cui ad una precedente sentenza divenuta irrevocabile;
- confermato nel resto la sentenza di primo grado.
2. Avverso tale decisione hanno proposto ricorso gli imputati, con distinti atti sottoscritti dai rispettivi difensori di fiducia articolando i motivi di censura di seguito enunciati nei limiti di cui all'art. 173, comma primo, disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Ce.Fe. ha dedotto - con atto sottoscritto dal difensore di fiducia, avv. CLAUDIO MARELLI - i seguenti motivi di ricorso avuto riguardo unicamente alla condotta di bancarotta fraudolenta documentale di cui al capo 1).
2.1.1 Con il primo motivo il ricorrente denunzia violazione di legge e vizio di motivazione quanto all'elemento materiale della bancarotta documentale per insussistenza della qualità di amministratore di fatto e per l'errata applicazione della disciplina del concorrente extraneus.
La Corte di appello di Milano ha riconosciuto colpevole Ce.Fe. perché, nella sua qualità di amministratore di fatto e di consulente fiscale, non avrebbe proceduto alla regolare tenuta dei libri e delle scritture contabili dal 31 marzo 2018 al 21 novembre 2018, data del fallimento.
2.1.2. La sentenza impugnata ha in tal modo disatteso il principio affermato costantemente da questa Corte in plurime pronunzie (Sez. 5 n. 2714/19; n. 15988/19; n. 49499/18) secondo cui la nozione di amministratore di fatto postula l'esercizio in modo continuativo e significativo dei poteri tipici inerenti alla qualifica o alla funzione, richiedendo altresì l'esercizio di un'apprezzabile attività gestoria, svolta in modo non episodico od occasionale.
La Corte territoriale non ha in alcun modo indicato le attività di natura gestoria poste in essere dal ricorrente valorizzando unicamente la condotta dell'alterazione e della falsificazione delle dichiarazioni in materia di Iva per creare in capo alla società fallita crediti inesistenti da commercializzare al fine di indebite compensazioni da parte di soggetti terzi, senza considerare che per tale condotta l'imputato è già stato condannato al capo 2), capo già coperto dal giudicato non essendo stato nei confronti dello stesso proposto appello.
2.1.3. La Corte ha altresì omesso di valutare le doglianze difensive a sostegno della insussistenza di tale qualifica ed in particolare:
- la relazione ex art.33 del curatore fallimentare che evidenzia come la società Mister Clean Srl sia stata amministrata sino al maggio 2018 da De.En. che si è avvalso del consulente fiscale Ne.; la società si trovava in stato di insolvenza sin dall'anno 2011 con patrimonio netto negativo nell'esercizio 2012;
- in data 22 maggio 2018 De.En. ha ceduto la totalità delle quote sociali alla società Puliservizi Srl, partecipata a sua volta interamente dalla società FRAMI Srl, riconducibile al coimputato Za.Lu. e a Sc.Li. Conseguentemente questi ultimi avrebbero dovuto essere considerati amministratori di fatto dal momento che Za.Lu. nel corso dell'interrogatorio dinanzi al PM lo ha ammesso; i contratti di accollo tributario sono stati rinvenuti in sede di perquisizione presso la sede della società FRAMI; la trasmissione dei modelli F24 per procedere alle compensazioni è stata realizzata da professionisti di fiducia della società FRAMI e non da Ce.Fe. che, se avesse realmente amministrato la società Mister Clean, vi avrebbe sicuramente provveduto personalmente, in quanto attività economicamente vantaggiosa; la società FRAMI ha aperto numerosi conti correnti per gestire i flussi finanziari provenienti dalla commercializzazione dei crediti e i prospetti sono stati rinvenuti nella disponibilità di Za.Lu.;
- le dichiarazioni eteroaccusatorie rese dal coimputato Be., amministratore di diritto della società dal marzo 2018 alla data del fallimento, sono prive di riscontro; né può assumere rilievo la circostanza che Ce.Fe. lo abbia accompagnato in sede di audizione dinanzi al curatore, risultando del tutto fisiologico l'affiancamento in quella sede del consulente fiscale della società.
2.1.4. Esclusa la qualifica di amministratore di fatto in capo a Ce.Fe., non può configurarsi la bancarotta fraudolenta documentale nella sua materialità.
Né può la condotta contestata attribuirsi a Cenone in quanto extraneus nella sua veste di consulente fiscale della società. Anche sul punto la difesa richiama le indicazioni di questa Corte (Sez. 5 n. 49499/18) secondo cui il concorso non è ravvisabile qualora, in assenza di previo accordo con l'amministratore, il professionista di fiducia abbia posto successivamente al manifestarsi dello stato di insolvenza condotte volte a ritardare la dichiarazione di fallimento.
La Corte territoriale, non potendo individuare il momento in cui i libri e le scritture contabili sono state soppresse e/o occultate, ha attribuito il ruolo di concorrente a Ce.Fe. in ragione del periodo temporale in cui assisteva, quale consulente fiscale, l'amministratore di diritto Be..
Le condotte attribuite a Ce.Fe. - consistite nell'avere messo in contatto la vecchia e nuova compagine sociale della Mister Clean e nell'avere creato crediti inesistenti - sono neutre rispetto al contestato concorso nel delitto di bancarotta.
2.2. Con il secondo motivo il ricorrente denunzia violazione di legge e vizio di motivazione quanto all'elemento materiale della bancarotta documentale per insussistenza del nesso di causalità tra l'omessa e/o irregolare tenuta delle scritture contabili e la dichiarazione di fallimento.
La censura, già contenuta nell'atto di appello, non ha trovato risposta alcuna nella sentenza impugnata.
La società si trovava in stato di insolvenza sin dall'anno 2011 con patrimonio netto negativo nell'esercizio 2012. Conseguentemente l'asserita omessa tenuta delle scritture, successiva al manifestarsi dello stato di insolvenza, non ha spiegato alcuna efficacia causale rispetto alla dichiarazione di fallimento della società, riconducibile unicamente al coimputato De.En.
Non osservando l'ulteriore principio fissato da questa Corte (Sez.5 n. 14042/14), la sentenza impugnata non ha in alcun modo verificato se la condotta attribuita al ricorrente sia legata da un nesso causale con la dichiarazione di fallimento.
3. Ce.So. ha dedotto con atto sottoscritto dal difensore di fiducia, avv. GIANLUCA TOGNOZZI, i seguenti motivi di ricorso.
3.1 Con il primo motivo denunzia violazione di legge e vizio di motivazione quanto alla qualificazione giuridica della condotta in relazione alla natura dei crediti oggetto di compensazione.
L'imputata è stata chiamata a rispondere del reato previsto dall'art. 10 quater comma secondo D.Lgs. 74/00 per avere utilizzato in compensazione crediti IVA inesistenti, costituiti in capo alle società richiamate e frutto di una creazione estemporanea.
3.1.1. La qualifica dei crediti quali inesistenti ha condotto alla applicazione della fattispecie delittuosa più grave prevista all'art. 10 quater comma secondo della norma incriminatrice.
In realtà le sentenze di merito hanno acriticamente recepito l'ipotesi accusatoria che ha configurato i crediti quali inesistenti, non confrontandosi con la distinzione tra crediti "inesistenti" e crediti "non spettanti" sulla quale si sono recentemente pronunziate le Sezioni unite civili (S.U. civ. n. 34419 dell'11 dicembre 2023).
L'art. 13 comma quinto D.Lgs. n.4 71/97 precisa che il credito è inesistente quando manca in tutto o in parte il presupposto costitutivo e tale inesistenza non sia riscontrabile con i controlli automatizzati.
In assenza di uno dei due requisiti, il credito non può qualificarsi inesistente: pur inesistente in fatto, non è valutabile come tale, e dovendosi condurre sul piano formale ai crediti esistenti, la sua indebita compensazione rivela ai fini penalistici quale credito "non spettante" ex art. 74 quater comma primo D.Lgs. 74/00.
Se si volesse superare la unica distinzione tra crediti esistenti/inesistenti si creerebbe una terza fattispecie rappresentata dal credito inesistente la cui inesistenza è riscontrabile in sede di controllo automatizzato, fattispecie priva di una specifica disciplina.
3.1.2. Sotto il profilo penalistico, le sentenze di questa Corte (Sez. 3 n. 41229/2018; n. 3367/2014) si sono sempre espresse distinguendo crediti inesistenti e crediti non spettanti.
Inoltre, la prospettiva unitaria e sistematica è rinvenibile in una recente sentenza della Terza sezione penale di questa Corte (Sez. 3 n. 7615 del 3 marzo 2022) che ha affermato che la nozione di credito inesistente deve essere tratta dall'art. 13 comma quinto D.Lgs. n. 471 del 1997 come novellato nel 2015: il credito è inesistente quando manca in tutto o in parte il presupposto costitutivo e tale inesistenza non sia riscontrabile con i controlli automatizzati.
3.1.3. Va poi ribadito, secondo la difesa, che la condizione del mancato riscontro formale ha valore oggettivo: non assume rilievo che materialmente l'inesistenza del credito sia stata rilevata a seguito di un accertamento di natura sostanziale. È sufficiente che in sede di controllo formale, non fosse possibile riscontrarne la mancanza ancorché in concreto tale verifica non sia stata operata.
Nel caso in esame i crediti oggetto di compensazione, ancorché oggettivamente inesistenti, sono stati rilevati come tali da parte dell'Agenzia delle Entrate attraverso i controlli previsti dal D.P.R. n. 600/73.
Dunque, la qualificazione operata risulta errata dovendo la condotta ricondursi alla fattispecie meno grave di cui all'art. 10 quater comma primo della più volte citata disciplina speciale, dovendosi i crediti del caso in esame ricondurre alla categoria dei crediti "non spettanti" e non a quella dei crediti "inesistenti" in base alla definizione di cui all'art. 13 comma quinto D.Lgs. n. 471 del 1997.
3.2. Con il secondo motivo la ricorrente deduce violazione di legge e vizio di motivazione in punto di quantificazione della pena e di omessa motivazione in relazione agli aumenti operati a seguito del riconoscimento del vincolo della continuazione.
La sentenza impugnata - nel rispondere allo specifico motivo di appello con il quale si lamentava un indifferenziato e non motivato aumento per i singoli capi in continuazione a fronte di condotte di reato differenti per importi e modalità - ha ravvisato la legittimità di siffatti aumenti con motivazione di stile. Non ha poi fornito alcuna motivazione quanto alla individuazione della pena base per il reato più grave fissata nel doppio del limite edittale.
3.3. Con il terzo motivo la ricorrente deduce violazione di legge e vizio di motivazione quanto ai criteri adottati per la determinazione della durata delle pene.
In relazione alle pene accessorie non determinate in maniera fissa nella durata, questa Corte richiede una motivazione in base ai criteri di cui all'art. 133 cod. pen., non essendo sufficiente il richiamo alla pena principale ex art. 37 cod. pen. (S.U. n. 28910 del 28/02/2019, Suraci).
Nel caso di specie la sentenza impugnata non ha fornito alcuna motivazione autonoma sul punto.
4. Za.Lu. ha dedotto con atto sottoscritto dal difensore di fiducia, avv. MARIA SARDELLI, un unico motivo di ricorso.
4.1 Con l'unico motivo denunzia vizio di motivazione della sentenza impugnata quanto al giudizio di penale responsabilità.
La Corte territoriale, dopo avere riproposto una sintesi delle censure contenute nell'atto di appello che non solo criticavano le ragioni della condanna, ma introducevano nuovi argomenti in diritto, ha in pochissime pagine ribadito l'assunto accusatorio senza alcun confronto critico con i temi introdotti dalla difesa, utilizzando espressioni assertive.
Né in tal caso può avere rilievo la tecnica motivazionale del rinvio per relationem alla sentenza di primo grado perché anche in tal caso è necessaria una valutazione autonoma, soprattutto, come nell'ipotesi in esame, di molteplici e articolate censure.
4.2. La Corte territoriale non ha indicato gli elementi probatori a sostegno:
- della qualità di amministratore di fatto dell'imputato della società FRAMI Srl;
- della esistenza di rapporti tra l'imputato e l'ideatore del meccanismo illecito, Ce.Fe.;
- della consapevolezza dell'imputato della inesistenza dei crediti compensati.
4.2.1. Quanto alla qualifica di amministratore di fatto, la sentenza impugnata ha, anche in questo caso, disatteso i principi fissati da questa Corte secondo cui la nozione di amministratore di fatto postula l'esercizio in modo continuativo e significativo dei poteri tipici inerenti alla qualifica o alla funzione, richiedendo altresì l'esercizio di un'apprezzabile attività gestoria, svolta in modo non episodico od occasionale.
Né la sentenza impugnata ha fornito risposta alla tesi alternativa proposta secondo cui la compagna dell'imputato nonché amministratrice di diritto della società, Sc.Li., in quanto avvocato, si occupava in prima persona della sottoscrizione dei contratti, escludendo dalla gestione delle operazioni di accollo Za.Lu.
4.2.2. Quanto ai rapporti con Ce.Fe. e Ce.So., rispettivamente ideatore e braccio destro del progetto criminoso, la sentenza impugnata, non potendo rinvenire elementi di prova circa la esistenza di consolidati rapporti tra gli stessi e il ricorrente, ha colmato siffatta lacuna operando un improprio salto logico e rinvenendo il collegamento nella figura del commercialista Zi..
4.2.3. Quanto alla consapevolezza della insussistenza/falsità dei crediti, la sentenza impugnata ha ritenuto che Za.Lu. non potesse ignorarne la inesistenza in virtù dell'anomalo crescente volume di affari rispetto alle annualità precedenti, senza tuttavia confrontarsi con le dichiarazioni del ricorrente che ha sempre rappresentato che siffatte incombenze erano riservate ai professionisti incaricati.
Del resto, l'imputato non ha mai negato la commercializzazione dei crediti, come risulta dal file Excel rinvenuto nel suo computer, quanto piuttosto la conoscenza della fittizietà degli stessi.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso presentato nell'interesse di Ce.Fe. risulta nel complesso infondato.
I ricorsi presentati nell'interesse di Ce.So. e di Za.Lu. sono inammissibili.
1. Il primo motivo del ricorso presentato nell'interesse di Ce.Fe. risulta infondato.
1.1. La Corte territoriale, con motivazione non manifestamente illogica, né contraddittoria ha evidenziato che (p. 50 e ss.):
- l'imputato si è inserito nella gestione aziendale della società fallita "in maniera preponderante" rispetto agli amministratori di diritto susseguitisi nella carica ed in particolare De.En., dal 10 giugno 2009 al 30 marzo 2018, e Be., dal 31 marzo 2018 alla data del fallimento;
- l'imputato è stato "incontrovertibilmente ritenuto colpevole quale ideatore ed organizzatore di un sistema di indebite compensazioni IVA nella incontestata qualità di amministratore di fatto" di plurime società in capo alle quali erano creati crediti di imposta inesistenti da portare in compensazione con debiti verso l'Erario ed enti pubblici, con l'ausilio della società Eurogest Sas di Ce.Fe., esercente attività di elaborazione e registrazione di dati, deputata anche alla trasmissione di modelli F24 per le compensazioni;
- il ruolo di amministratore di fatto è stato essenzialmente ricostruito sulla base delle dichiarazioni etero accusatorie rese da Be., nominato amministratore di diritto sebbene privo di specifiche competenze nel settore di operatività dell'ente;
- le dichiarazioni etero accusatorie sono risultate riscontrate dalle conversazioni intercorse attraverso l'applicativo Whatsapp in relazione alle pratiche trattate e alla determinazione delle retribuzioni da corrispondere all'amministratore di diritto; da ulteriori conversazioni telematiche intercorse con il coimputato Sc. (nei confronti del quale si è proceduto separatamente), nonché tra quest'ultimo e Ce.So. quanto alla predisposizione del bilancio e delle dichiarazioni IVA per l'anno 2018; dalla presenza del ricorrente all'audizione dinanzi al curatore unitamente all'amministratore di diritto Be. con il quale avevano riferito che la documentazione contabile era in possesso del precedente consulente fiscale Ne. (senza considerare che quest'ultimo ha cessato di operare nel 2017 consegnando la documentazione contabile sino a quella data);
- la società, posta in uno stato di "abbandono contabile" quando ormai risultava inoperativa in relazione al proprio oggetto sociale, è stata utilizzata quale luogo di compensazione illecita di debiti e crediti, questi ultimi inesistenti.
1.2. Il ricorrente ha richiamato plurime pronunzie di questa Corte che delineano le caratteristiche dell'amministratore di fatto individuandole nell'esercizio in modo continuativo e significativo dei poteri tipici inerenti alla qualifica o alla funzione, laddove la sentenza impugnata avrebbe valorizzato unicamente la condotta dell'alterazione e della falsificazione delle dichiarazioni in materia di Iva.
Va, tuttavia, sul punto osservato che la sentenza impugnata ha operato buon governo delle indicazioni di questa Corte secondo cui in tema di reati fallimentari, la prova della posizione di amministratore di fatto di una società "schermo" - priva di una reale autonomia e costituita per essere utilizzata come "cartiera" in un meccanismo fiscalmente fraudolento volto ad evadere il versamento dell'IVA - si traduce in quella del ruolo di ideatore ed organizzatore del suddetto sistema fraudolento, atteso che non è ipotizzabile l'accertamento di elementi sintomatici di un inserimento organico all'interno di un ente solo formalmente operante. (Sez. 5, n. 31823 del 06/10/2020, Lucamarini, Rv. 279829 - 02; Sez. 3, n. 20052 del 14/04/2022, Palmieri Rv. 283202).
I criteri richiamati dal ricorrente elaborati dalla giurisprudenza di questa Corte per l'individuazione della figura dell'amministratore di fatto nell'ambito di società e imprese che operano nel contesto economico, non possono pertanto ritenersi automaticamente trasferibili ed applicabili in un contesto nel quale la società assume il ruolo di "schermo" per l'autore materiale del reato, come nel caso della società c.d. cartiera, priva di una reale autonomia e costituita per essere utilizzata come "cartiera" in un meccanismo fiscalmente fraudolento volto ad evadere le imposte.
2. Il secondo motivo risulta generico nonché manifestamente infondato.
2.1. In primo luogo, come più volte evidenziato dalla giurisprudenza di questa Corte, è inammissibile, per difetto di specificità, il ricorso per cassazione fondato su una caotica esposizione delle doglianze, dal tenore confuso e scarsamente perspicuo, che renda particolarmente disagevole la lettura e che esuli dal percorso di una ragionata censura della motivazione del provvedimento impugnato. (Sez. 2, n. 7801 del 19/11/2013, dep.2014, Hussien Rv. 259063).
2.2. Il motivo risulta altresì manifestamente infondato nella misura in cui non si confronta con la giurisprudenza di questa Corte che ha chiarito che i reati di bancarotta fraudolenta patrimoniale e documentale (artt. 216 e 223, comma primo, L.F.) e quello di bancarotta impropria di cui all' art. 223 comma secondo, n. 2, L.F. hanno ambiti diversi:
- il primo postula il compimento di atti di distrazione o dissipazione di beni societari ovvero di occultamento, distruzione o tenuta di libri e scritture contabili in modo da non consentire la ricostruzione delle vicende societarie, atti tali da creare pericolo per le ragioni creditorie, a prescindere dalla circostanza che abbiano prodotto il fallimento, essendo sufficiente che questo sia effettivamente intervenuto;
- il secondo concerne, invece, condotte dolose che non costituiscono distrazione o dissipazione di attività - né si risolvono in un pregiudizio per le verifiche concernenti il patrimonio sociale da operarsi tramite le scritture contabili - ma che devono porsi in nesso eziologico con il fallimento. (Sez. 5, n. 533 del 14/10/2016, dep. 2017, Zaccaria, Rv. 269019; S.U., n. 22474 del 31/03/2016, Passarelli, Rv. 266804 - 01).
Nel caso di specie, in ragione della condotta contestata di bancarotta fraudolenta documentale, non rileva la sussistenza di un nesso eziologico tra la condotta e la dichiarazione di fallimento.
3. Il ricorso di Ce.So. è inammissibile.
3.1. Il primo motivo risulta inedito nonché manifestamente infondato.
Quanto al primo profilo - la novità - secondo questa Corte la questione sulla qualificazione giuridica del fatto rientra tra quelle su cui la Corte di cassazione può decidere ex art. 609 cod. proc. pen. e, pertanto, può essere dedotta per la prima volta in sede di giudizio di legittimità purché l'impugnazione non sia inammissibile e per la sua soluzione non siano necessari accertamenti di fatto (Sez. 2, n. 17235 del 17/01/2018, Tucci, Rv. 272651).
La questione prospettata dalla ricorrente relativa alla distinzione tra crediti Iva inesistenti o non spettanti è stata per la prima volta dedotta con il ricorso per cassazione ai fini di una diversa qualificazione giuridica della fattispecie incriminatrice oggetto di contestazione.
Si tratta, tuttavia, come emerge dallo stesso ricorso, di una questione che, per come prospettata, presuppone accertamenti in fatto che non possono essere oggetto di valutazione e sindacato in questa sede.
La difesa della ricorrente, sullo specifico punto, si sofferma sull'accertamento della inesistenza del credito e sulle modalità con le quali l'Agenzia delle Entrate ha proceduto alle verifiche ai sensi del D.P.R. 600/1974, nonché ai successivi accertamenti posti in essere dalla Polizia giudiziaria, operando un rinvio preliminare a questioni di fatto ostative alla deducibilità del motivo per la prima volta con il ricorso per cassazione.
3.2. Il motivo appare inoltre anche manifestamente infondato non confrontandosi con la recente giurisprudenza di questa Corte che ha espressamente affrontato la questione stabilendo che in tema di indebita compensazione, non assume rilievo ai fini penali la definizione di "crediti inesistenti" contenuta nell'art. 13 D.Lgs. 18 dicembre 1997 n. 471, escludendolo il mancato richiamo di tale disposizione nella norma incriminatrice di cui all'art. 10-quater, comma 2, D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74. (Sez. 3, n. 6 del 14/11/2023, dep.2024, Lo Iacono, Rv. 285731).
3.2. Il secondo motivo risulta manifestamente infondato non confrontandosi con la motivazione della sentenza impugnata.
Contrariamente a quanto affermato nel ricorso la Corte territoriale:
ha motivato quanto al discostamento di pena dal minimo sanzionatorio previsto per il più grave reato sub 2) valorizzando (p. 60) "... la eccezionalità dell'odierna vicenda, che si è caratterizzata per una sistematica e spregiudicata attività di indebita compensazione per importi multimilionari..." nonché l'assenza da parte dell'imputata di comportamenti riparatori o risarcitori; ha motivato quanto al confermato aumento per le ulteriori contestazioni a seguito del riconosciuto vincolo della continuazione, condividendo - con motivazione immune da vizi - le argomentazioni del giudice di primo grado avuto riguardo agli aumenti di pena estremamente modesti (3 mesi per ciascun capo di imputazione) a fronte dell'impiego di crediti inesistenti per importi estremamente rilevanti anche milionari e richiamando la giurisprudenza prevalente di questa Corte secondo cui nel reato continuato, non sussiste obbligo di specifica motivazione per ogni singolo aumento, essendo sufficiente indicare le ragioni a sostegno della quantificazione della pena-base, vieppiù quando non è possibile dubitare del rispetto del limite legale del triplo della pena base ex art. 81, comma primo, cod. pen., in considerazione della misura contenuta degli aumenti di pena irrogati, e ì reati posti in continuazione siano integrati da condotte criminose seriali ed omogenee. (Sez. 5, n. 32511 del 14/10/2020, Radosavljevic, Rv. 279770).
3.3. Il terzo motivo risulta inedito.
Nell'atto di appello, pur avendo la difesa dell'imputata lamentato l'eccessività del trattamento sanzionatorio nei termini indicati nel precedente paragrafo, nulla aveva dedotto in punto di pene accessorie, non essendovi peraltro profili di illegalità delle stesse rilevabili di ufficio.
4. Il ricorso di Za.Lu. è inammissibile.
L'unico motivo risulta manifestamente infondato esulando, dai poteri della Corte di cassazione quello di una "rilettura" degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali. (S.U. n. 6402 del 30/04/1997, Dessimone, Rv. 207944).
4.1. La sentenza ha risposto con motivazione non manifestamente illogica, né contraddittoria alle plurime censure contenute nell'atto di appello.
In particolare, la Corte territoriale ha evidenziato come le dichiarazioni fornite dall'imputato in sede di interrogatorio, sia pure in chiave difensiva, disvelino non solo il ruolo operativo di Za.Lu. all'interno della società FRAMI Srl, ma anche la piena consapevolezza della inesistenza dei crediti IVA posti in compensazione.
4.1.1. Quanto alla qualità di amministratore di fatto della società FRAMI Srl, nel corso dell'interrogatorio l'imputato ha descritto non solo l'operatività della società FRAMI, ma anche il ruolo attivo in essa esercitato per la commercializzazione di crediti, attività nata da un'idea comune con il commercialista Zi. professionista della società.
4.1.2. Quanto ai rapporti con la società Mister Clean Srl, la sentenza impugnata, pur richiamando le dichiarazioni dell'imputato nella parte in cui negava una conoscenza personale con Ce.So. e Ce.Fe. ha, con argomenti logici, individuato i meccanismi con cui Za.Lu. lavorava con la società fallita; la circostanza che si servisse dei professionisti della FRAMI non escludeva la sua partecipazione all'attività illecita.
4.1.3. Quanto alla consapevolezza dell'imputato della inesistenza dei crediti compensati, la sentenza impugnata ha valorizzato plurimi elementi univocamente rivelatori di siffatta consapevolezza:
- la visione dei bilanci e le pregresse dichiarazioni IVA delle società incorporate in FRAMI Srl consentiva di rilevare immediatamente "... l'anomalia della esplosione del volume di affari..." rispetto alle annualità precedenti per attività peraltro incompatibili con le strutture aziendali e gli organici;
- l'apertura da parte della società FRAMI Srl di una serie di conti correnti per gestire l'improvviso e significativo flusso finanziario proveniente dalla commercializzazione delle indebite compensazioni;
- il file excel riepilogativo rinvenuto nella casella di posta elettronica dell'imputato (cd. saldo Bologna) rivelava la significativa discrepanza tra le percentuali di rimborso pagate dalle società accollate (19-24%) e quelle indicate nei contratti di accollo (70-80%). Un tale divario non può essere giustificato da eventuali spese notarili, né dalle risultanze documentali è emerso che la percentuale del 20% fosse stata pattuita quale acconto.
5.Al rigetto del ricorso presentato nell'interesse di Ce.Fe. consegue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali.
6. Alla inammissibilità dei ricorsi di Ce.So. e Za.Lu. consegue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
Consegue per questi ultimi, a norma dell'art. 616 cod. proc. pen., l'onere del versamento di una somma, in favore della Cassa delle ammende, determinata, in considerazione delle ragioni di inammissibilità dei ricorsi stessi, nella misura di Euro tremila.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso di Ce.Fe. e condanna detto ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Dichiara inammissibili i ricorsi di Ce.So. e Za.Lu. e condanna detti ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma in data 10 giugno 2024
Depositato in Cancelleria il 10 luglio 2024.