RITENUTO IN FATTO
1.Con la sentenza impugnata il GIP del Tribunale di Marsala ha applicato a S., ai sensi dell'art. 444 cod. proc.pen., la pena di anni due e mesi 8 di reclusione,
in relazione a plurimi reati di bancarotta impropria distrattiva di cui all'art. 223 comma 1
legge Fall ( di cui ai capi 1,3 e 4) ed al reato di cui all'art. 223 comma 2 della medesima
legge ( capo 2), previo riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche equivalenti
alle circostanze aggravanti, e "ritenuto il vincolo della continuazione" rispetto al reato
contestato al capo 2), per il quale non era stata contestata la circostanza aggravante di
cui all'art. 219, comma 2, n. 1) legge Fall.
2. Avverso la sentenza ha proposto ricorso l'imputata, per il tramite del suo
difensore, deducendo vizi di violazione di legge e di motivazione in relazione all'art. 111,
comma 6, della Cost. e all'art. 219, comma 1 e 2, n. 1, R.D. n. 267 del 1942.
La difesa - dopo avere considerato che l'art. 219, comma 1 e 2, L.F. rappresenta,
sotto il profilo funzionale, un'aggravante, mentre, sotto quello strutturale, un'ipotesi
particolare di continuazione- lamenta che il Tribunale abbia ritenuto" congrua e conforme
al diritto la pena in concreto irrogata".
3. Il ricorso è stato trattato senza intervento delle parti, ai sensi dell'art. 23, comma 8,
d.l. n. 137 del 2020, disciplina prorogata sino al 31 dicembre 2022 per effetto dell'art. 7,
comma 1, d.l. n. 105 del 2021, e successivamente fino al 30 giugno 2024 ai sensi dell'art.
11, comma 7, del d.l. 30 dicembre 2023, n. 215, convertito in legge 23 febbraio 2024,
n. 18.
4.11 Procuratore generale con requisitoria scritta ha chiesto il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN DIRITTO
1. Il ricorso è infondato.
1.1. La richiesta di applicazione di pena patteggiata costituisce un negozio
giuridico processuale recettizio con il quale l'imputato rinuncia a far valere nullità e vizi
dell'accordo al di fuori di quelli espressamente previsti dall'art. 448, comma 2 bis,
cod.proc.pen.
La noma suddetta, introdotta dalla legge 23 giugno 2017, n. 103, in vigore dal 3 agosto
2017, stabilisce che il ricorso per cassazione contro la sentenza di patteggiamento è
possibile solo per motivi attinenti all'espressione della volontà dell'imputato, al difetto di
correlazione tra la richiesta e la sentenza, all'erronea qualificazione giuridica del fatto e
all'illegalità della pena o della misura di sicurezza. Come già chiarito da questa Corte, la
disciplina persegue, nel suo complesso, finalità deflattive, meglio assicurate da un
procedimento che assicuri un più rapido passaggio in giudicato del provvedimento
impugnato, proprio in considerazione delle sue peculiarità (Sez. 5, n. 28604 del
04/06/2018, Imran, Rv. 273169 - 01).
1.2.Nella fattispecie in esame, la ricorrente lamenta l'eccessività della pena (
definendola non congrua) dolendosi che la c.d. continuazione fallimentare di cui all'art.
219, comma 2, n. 1 L.F. sia stata considerata circostanza aggravante, ed assoggettata,
in quanto tale, al bilanciamento con le riconosciute circostanze attenuanti. La doglianza
è manifestamente infondata in quanto la qualificazione, in termini di aggravante, della
ricorrenza di plurimi fatti di bancarotta risulta aderente agli insegnamenti di questa Corte
(Sez. U. n. 21039 del 27/01/2011, Rv. 249666 — 01). Le Sezioni Unite chiamate a
pronunciarsi sulla reale portata della previsione unificante dell'art. 219, comma 2, n. 1
legge Fall.- se cioè integri, sotto il profilo strutturale e al di là di quello funzionale, una
effettiva circostanza aggravante, così come si evincerebbe dalla rubrica della norma, o
piuttosto una peculiare disciplina del concorso di reati alla stregua del principio del cumulo
giuridico in luogo di quello generale del cumulo materiale- hanno rilevato che,
un'interpretazione corretta e aderente alla logica del sistema, impone di considerare
«che i plurimi fatti di bancarotta nell'ambito del medesimo dissesto fallimentare, pur
unificati normativamente nella previsione dell'art. 219, comma 2, n. 1, legge fall.,
rimangono naturalisticamente apprezzabili, se riconducibili a distinte azioni criminose, e
sono da considerare e da trattare come fatti autonomi, ciascuno dei quali costituisce un
autonomo illecito penale» e che l'art. 219, comma secondo, n. 1, legge fall. postula
l'unificazione quoad poenam di fatti-reato autonomi e non sovrapponibili tra loro, facendo
ricorso alla categoria teorica della circostanza aggravante. Mentre, dunque, in termini
strutturali, si tratta di un'ipotesi speciale di continuazione, in sede applicativa prevale
l'aspetto formale del dato normativo. Anche successivamente la giurisprudenza di
codesta Corte (v. Sez. 5, n. 48361 del 17/09/2018, Rv. 274182) ha affermato che la
configurazione formale della cosiddetta continuazione fallimentare, prevista dall'art. 219,
comma secondo, n.1, legge fall., come circostanza aggravante, ne comporta
l'assoggettabilità al giudizio di bilanciamento con le eventuali attenuanti.
1.3. La censura relativa ad una asserita "non conformità a diritto" della pena
finale applicata non è scrutinabile in questa sede. Invero, se pure anche in tema di
applicazione della pena su richiesta, l'apprezzamento sulla congruità o meno della pena
proposta non può essere espressione di un giudizio arbitrario, svincolato da qualsivoglia
parametro, non solo di legittimità, ma anche di ragionevolezza, dovendo tenere conto
delle finalità della pena di cui all'art. 27 Cost., rispetto all'oggettiva entità del fatto in
contestazione ed alla personalità dell'imputato, secondo i parametri dell'art. 133 cod.
pen. (Sez. 5, Sentenza n. 3779 del 24/11/2020, dep. 2021, Rv. 280417), tuttavia la
doglianza è genericamente formulata senza addurre alcun motivo specifico di incongruità.
1.4.Non appare, altresì, configurabile alcun profilo di illegalità della pena,
peraltro non denunciato nel motivo di ricorso. È pur vero che l'impugnata sentenza -
avendo considerato, nel recepire l'accordo delle parti sul punto, la cd. 'continuazione
fallimentare' quale aggravante, sottoposta a giudizio di bilanciamento, soltanto in
relazione alle fattispecie criminose ricondotte alle previsioni di cui agli artt. 223, comma
1, e con esclusione dell'ipotesi di cui all'art. 223, comma 2, della medesima legge,
contestata al capo 2, rispetto alla quale è stato riconosciuto il vincolo della continuazione
non risulta allineata rispetto all'approdo ermeneutico di questa Corte secondo il quale «
In tema di reati fallimentari, è applicabile la circostanza aggravante comune della
pluralità di fatti di bancarotta di cui all'art. 219, comma secondo, n. 1 I. fall. all'ipotesi
della bancarotta fraudolenta impropria, sia alla previsione di cui all'art. 223, comma
primo, che prevedendo lo stesso trattamento sanzionatorio stabilito per la bancarotta
propria implica l'applicabilità del relativo regime sanzionatorio nella sua interezza,
comprensivo, pertanto, del regime dell'aggravante in questione; sia all'ipotesi di cui
all'art. 223, comma secondo, riguardo a cui la previsione della applicabilità della pena
prevista dal primo comma dell'art. 216, deve intendersi comprensiva dell'intero
trattamento sanzionatorio previsto per la bancarotta propria, e dunque anche del regime
dell'aggravante» (Sez. 5, n 8829 del 18/12/2009, dep. 2010, Rv. 246155 - 01; conf.Sez.
5, n. 17690 del 18/02/2010 Rv. 247320; Sez. 5, n. 2903 del 22/03/2013, Rv. 258446,
Sez. 5, n. 10791 del 25/01/2012; Sez. 5, n. 18695 del 21/01/2013, Rv. 255839; Sez. 5,
n. 38978 del 16/07/2013, Rv. 257762). Tuttavia, non appare configurabile, a tale
proposito, alcun profilo di illegalità della pena in quanto, secondo gli insegnamenti delle
Sezioni unite di questa Corte, la pena può definirsi "illegale" solo quando non corrisponde,
per specie ovvero per quantità, sia in difetto che in eccesso, a quella astrattamente
prevista per la fattispecie incriminatrice in questione, così collocandosi al di fuori del
sistema sanzionatorio delineato dal codice penale ( (sentenze n. 33040 del 26/02/2015,
Jazouli, Rv. 264205; n. 40986 del 19/07/2018, P., Rv. 273934; n. 21368 del 26/09/2019,
dep. 2020, Savin, Rv. 279348); mentre non rientra nell'ambito della categoria
dell'illegalità della pena la sanzione che risulti conclusivamente legittima, pur essendo
stata determinata seguendo un percorso argomentativo viziato. Tali affermazioni sono
valide anche in riferimento alla pena "patteggiata", che viene applicata in attuazione di
un accordo che si forma non tanto sulle operazioni di computo attraverso le quali la pena
indicata viene determinata, bensì sul risultato finale delle predette operazioni, ovvero
sulla pena della quale si chiede conclusivamente l'applicazione (Sez. U, n.
877 del 14/07/2022, dep. 2023, Sacchettino, Rv. 283886 - 01). Dalla natura negoziale
dell'accordo sulla pena e dall'individuazione del relativo oggetto (il "risultato finale")
discende una evidente ricaduta sul piano della sindacabilità, in riferimento alla
determinazione della pena stessa, della sentenza di "patteggiamento": la generale
irrilevanza degli errori relativi ai vari "passaggi" attraverso i quali si giunge al "risultato
finale", a meno che essi non comportino l'applicazione di una pena illegale, nel senso
sopra delineato.
2.In conclusione il ricorso deve essere rigettato con condanna del ricorrente al
pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma in data 11/09/2024