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Reati fallimentari

Bancarotta fraudolenta patrimoniale: ai fini del concorso dell'extraneus non è necessaria la conoscenza specifica dello stato di insolvenza della società

Bancarotta fraudolenta patrimoniale: ai fini del concorso dell'extraneus non è necessaria la conoscenza specifica dello stato di insolvenza della società

Cassazione penale sez. V, 26/01/2016, n.12414

In tema di concorso nel delitto di bancarotta fraudolenta per distrazione, il dolo del concorrente "extraneus" nel reato proprio dell'amministratore consiste nella volontarietà della propria condotta di apporto a quella dell'"intraneus", con la consapevolezza che essa determina un depauperamento del patrimonio sociale ai danni dei creditori, non essendo, invece, richiesta la specifica conoscenza del dissesto della società.

Norme di riferimento

La sentenza integrale

RITENUTO IN FATTO 1. M.D., V.F. e N., G. A., rispondono, a seguito di doppia conforme sulla responsabilità, del reato di bancarotta per distrazione in relazione al fallimento della società Athenia Immobiliare srl, di cui era amministratore il primo, per aver sottratto alla garanzia dei creditori beni immobili della società trasferendoli, attraverso le società Aromia sas (di cui era socio accomandatario V. N.) e Compagnia Edile sas (di cui era socio accomandatario lo stesso M.), alla società D'Andrea & D'Andrea a r.l., di cui era amministratrice V.F., operazione compiuta sotto la regia del G. nella qualità di consulente di tutte le società, nonchè di amministratore di fatto sia della Aromia che della Andrea & D'Andrea. 2. M. risponde anche della distrazione della somma complessiva di Euro 464.000 pari ad acconti ricevuti dai promissari acquirenti e non contabilizzati. 3. La condotta ascritta in concorso ha ad oggetto due distinti compendi immobiliari: a) il primo costituito da un suolo edificatorio con sovrastante edificio in corso di costruzione, sito alla Via (OMISSIS), che risultava venduto dalla Athenia alla Aromia, e poi da questa alla D'Andrea & D'Andrea; b) il secondo avente ad oggetto due appartamenti, quattro garage, tre mansarde ed un; 4. ripostiglio siti nel fabbricato al civico (OMISSIS), venduto dalla Athenia alla Compagnia Edile, e da questa alla D'Andrea & D'Andrea. Secondo l'ipotesi di accusa i suddetti beni erano stati alienati con atti simulati per corrispettivi inferiori al loro effettivo valore di mercato, per sottrarli ai creditori. 5. Tutti gli imputati ricorrono per cassazione tramite i difensori. 6. Il ricorso nell'interesse del M. è articolato in quattro motivi. 7. Con il primo si deducono erronea applicazione della norma incriminatrice riguardo alla sussistenza degli elementi costitutivi del reato; vizio di motivazione conseguente al travisamento delle dichiarazioni rese dal M. al curatore fallimentare e in sede di interrogatorio ex art. 294 c.p.p.; violazione di legge e vizio di motivazione per omessa valutazione della testimonianza del progettista e direttore dei lavori S. L.. 8. Quanto alla ritenuta fittizietà delle alienazioni, la simulazione era stata desunta dall'anomalia delle cessioni ad intermediari prima che al destinatario finale, dalla circostanza che il prezzo fosse rimasto lo stesso nelle successive vendite, dal fatto che Aromia sas avesse come oggetto sociale l'attività di pelletteria e che Compagnia Edile sas fosse da tempo inattiva, dalla costituzione della D'Andrea & D'Andrea, con capitale sociale irrisorio, al preciso scopo dell'acquisto degli immobili della fallenda, e dalle dichiarazioni del M. al curatore, ritenute confessorie. 9. Per contro, secondo il ricorrente, anche ammessa la fittizietà delle vendite intermedie, il trasferimento finale degli immobili alla D'Andrea & D'Andrea srl era stato reale in quanto corrispondente alla volontà del M. e dei V. di far approdare quegli immobili ad una società terza in grado di curare l'ultimazione e poi la commercializzazione delle unità abitative, non risultando che M. intendesse continuare a gestire il progetto in prima persona per ricavarne un utile sottraendosi al rischio di dover far fronte con quei beni alle pretese dei creditori diversi dall'istituto di credito che aveva garanzia reale sugli immobili. 10. Intento, quest'ultimo, che la corte di merito aveva desunto dall'interpretazione travisante delle dichiarazioni rese dal M. al curatore ed in sede di interrogatorio, ritenute ammissive dell'accordo simulatorio, mentre questi aveva dichiarato che il suo scopo era stato di evitare l'aggressione sui beni della Banca delle Marche rispettando gli impegni assunti con i clienti, senza guadagnare nulla ma uscendo dignitosamente dall'operazione, mentre il commento che, se V. ci avesse guadagnato e gli avesse regalato qualcosa, lui non avrebbe certo rifiutato, era più che altro una boutade, ingiustificatamente sopravvalutata in sentenza. 11. Inoltre era stata trascurata, sempre sotto il profilo dell'effettività dell'operazione, la deposizione dell'arch. S. il quale aveva riferito di aver cessato i rapporti con M. una volta trasferita la proprietà del complesso in costruzione. 12. In secondo luogo era illogico l'assunto circa la coscienza e volontà del M. di porre in essere atti concretamente idonei a ledere le aspettative dei creditori, essendo privo di idoneità lesiva l'effetto da lui perseguito di impedire l'esecuzione sui beni della Banca delle Marche, posto che quest'ultima godeva di garanzia reale sugli immobili dalla quale non aveva liberato la fallenda, con la conseguenza di vedersi duplicata la garanzia reale del proprio credito. 13.Con il secondo motivo si deducono erronea applicazione della norma incriminatrice e vizio di motivazione in ordine al valore dei beni compravenduti e alla loro idoneità a soddisfare i creditori diversi da Banca delle Marche. Infatti, benchè questa corte, con sentenza 39560/2007 emessa nella sede cautelare relativa alla stessa vicenda, avesse sottolineato la necessità di accertare se, per il loro valore eccedente l'importo del residuo debito bancario, gli immobili avrebbero ragionevolmente ed in concreto consentito l'acquisizione di risorse utili anche agli altri creditori una volta soddisfatto quello ipotecario (pena, diversamente, l'inconfigurabilità della bancarotta per distrazione), la corte di appello aveva invece ritenuto di superare tale argomento ritenendo sufficiente il carattere simulato dell'operazione. Così disattendendo la richiesta di perizia sul valore di mercato degli immobili, senza tener conto del fatto che nel processo il valore di mercato del compendio immobiliare era stato determinato in misura superiore di meno di un quarto (L.Fall., art. 67, n. 1) al prezzo indicato nel rogito, trattandosi quindi di atto paradossalmente ritenuto distrattivo benchè non assoggettabile a revocatoria fallimentare. 14. Il terzo motivo attacca con le stesse censure la distrazione di somme di denaro ascritta al solo M. essendo stato dimostrato attraverso prove testimoniali che gran parte di tali acconti erano stati fatturati e contabilizzati all'atto della stipula dei rogiti di vendita e poi riversati nelle casse della società, mentre la mancata contabilizzazione della parte restante non autorizzava la conclusione della distrazione (art. 2709 c.c.), tanto più che dette somme non erano state rinvenute nel possesso dell'imputato il quale aveva tenuto sempre un sobrio stile di vita. 15. Il quarto motivo denuncia vizio di motivazione sul giudizio di equivalenza delle generiche all'aggravante dei più fatti di bancarotta e sul trattamento sanzionatorio (pari ad anni tre e mesi sei di reclusione). 16. V.F. e N., padre e figlia, deducono due doglianze. 17. La prima di violazione di legge e vizio di motivazione sulla sussistenza del dolo dei concorrenti estranei, tema non analizzato in sentenza se non per affermare che basta la consapevolezza di porre in essere una condotta che riduce la consistenza patrimoniale dell'impresa, mentre, secondo i ricorrenti, il soggetto agente deve anche prevedere e accettare il rischio del futuro dissesto. 18. Nella specie, invece, il V. ed il M., che si conoscevano da bambini, si erano rivisti soltanto in occasione dell'operazione immobiliare per la quale il primo si era rivolto al G., suo consulente, nell'intento di diversificare la propria attività di pelletteria, ragione per la quale dopo l'acquisto del compendio immobiliare della fallenda, aveva deciso di costituire la D'Andrea e D'Andrea per l'esercizio dell'attività immobiliare affidandone l'amministrazione alla figlia. 19. Sul tema del dolo la difesa V. ritorna nella memoria depositata 12-1-2016 per rettificare in parte il tiro osservando che non è necessario che l'extraneus sia consapevole del dissesto della società, occorrendo tuttavia che sia consapevole di arrecare con la propria condotta un danno ai creditori, mentre la sentenza impugnata aveva trascurato che l'accollo del mutuo da parte della D'Andrea & D'Andrea srl aumentava la garanzia del creditore ipotecario Banca delle Marche. 20. Il secondo motivo del ricorso comune ai due V. eccepisce, con articolate argomentazioni, l'utilizzabilità delle dichiarazioni del M. al curatore trasfuse nella relazione di questi. 21. Il 12-1-2016 la difesa V. ha, come sopra ricordato, depositato memoria nella quale rievoca la cronologia delle cessioni dei beni immobili della poi fallita, sottolineando che la differenza di prezzo in più rispetto all'accollo dei mutui, e l'IVA, erano state versate dalle acquirenti ricevendone quietanza dalla venditrice, mentre il fatto che il prezzo fosse rimasto invariato nel successivo trasferimento alla D'Andrea & D'Andrea era dovuto al rapporto di parentela tra V.F. e N.. 22. La sentenza impugnata inoltre non aveva supplito alla gracilità del compendio probatorio, già evidenziata da questa corte in sede cautelare con sentenza 39560/2007, relativamente al fatto che soltanto se il valore reale degli immobili eccedente l'importo del residuo debito bancario fosse stato molto superiore a quello pattuito, essi avrebbero ragionevolmente ed in concreto consentito l'acquisizione di risorse utili anche agli altri creditori una volta soddisfatto quello ipotecario, essendo altrimenti non configurabile la distrazione. Mentre gli immobili erano l'uno uno "scheletro" allo stato grezzo, l'altro privo dei requisiti minimi di abitabilità. 23. La memoria reitera infine la questione dell'inutilizzabilità delle dichiarazioni del M. al curatore trasfuse nelle relazione osservando incidentalmente che il 19-12-2006 lo stesso era già iscritto nel registro degli indagati della Procura di Teramo. 24. Il ricorso nell'interesse del G., dopo aver ricostruito l'intera vicenda ricordando il contenuto delle sentenze di merito e quello dell'atto di appello, si affida ad un unico articolato motivo che denuncia violazione ed errata applicazione della L.Fall., art. 223 e artt. 42 e 43 c.p., e correlato vizio di motivazione sul dolo specifico del reato. 25. In sostanza la corte avrebbe trascritto le considerazioni della sentenza di primo grado in ordine al ruolo di consulente dell'imputato di tutte le società interessate all'operazione immobiliare e di accompagnatore del M. ai colloqui con i curatori, senza tener conto di quelle di segno contrario contenute nell'appello e basate soprattutto sul rilievo che il consulente delle società era il commercialista Dr. Ma. di cui G. era un semplice collaboratore addetto alla contabilità, come riferito dallo stesso Ma. in un fax indirizzato agli organi della procedura fallimentare. Con la conseguenza che l'imputato non aveva avuto alcun ruolo nè nei rapporti tra gli organi della fallita ed il curatore, come dichiarato da quest'ultimo, nè nell'amministrazione della fallita, nè nel dissesto di questa, attribuito dal curatore e dal creditore D.M. al solo M.. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Tutti i ricorsi sono da disattendere. 2. Muovendo da quello nell'interesse del M., si osserva che il primo, articolato motivo è carente di fondamento. 3. La censura di erronea applicazione della norma incriminatrice quanto alla sussistenza degli elementi costitutivi del reato, pur correttamente accompagnata dall'enumerazione dei molti elementi valorizzati dai giudici di merito a sostegno della fittizietà delle alienazioni degli immobili, tende poi a neutralizzarne la portata accusatoria osservando che la simulazione delle vendite intermedie non escluderebbe l'effettività di quelle all'acquirente finale D'Andrea & D'Andrea. 4. Non viene però spiegato perchè, se il fine fosse stato quello, lecito, di rimettere a terzi l'ultimazione degli immobili consentendo di onorare gli impegni assunti con i promissari acquirenti, la cessione alla D'Andrea & D'Andrea, peraltro costituita ad hoc con capitale sociale irrisorio, avrebbe dovuto tortuosamente avvenire, per di più a prezzi invariati, tramite due diverse società intermedie, l'una, sempre riferibile al M. - Compagnia Edile sas - da tempo inattiva, l'altra del V. - Aromia sas - esercente attività di pelletteria. 5. Nè va trascurato che il dichiarato fine di sottrarre quei beni all'aggressione della creditrice ipotecaria Banca delle Marche collide con il diritto di seguito che caratterizza la garanzia reale, così che il vero scopo del M., quello di sottrarsi al rischio di far fronte con gli immobili, o meglio con la parte del loro prezzo eccedente il debito ipotecario, alle pretese dei creditori diversi dall'istituto di credito, si ricava, oltre che dalle dichiarazioni del M. stesso al curatore (logicamente interpretate, senza profili travisanti, dalla corte territoriale nel senso del suo intento di ricavare un utile dall'operazione, mentre la tesi della boutade sostenuta nel ricorso è priva di ogni logica anche in considerazione della sede in cui le dichiarazioni, tra l'altro riportate solo per stralci, furono rese), dall'obiettività dell'operazione che avrebbe potuto consentire il perseguimento soltanto della seconda (sottrazione degli immobili alla garanzia degli altri creditori), non già della prima finalità (sottrazione al creditore ipotecario), come del resto ammesso dallo stesso ricorrente che ha sottolineato come il diritto della banca creditrice ipotecaria non fosse stato inciso dagli atti dispositivi degli immobili, ma anzi, a suo dire, rafforzato. 6. Irrilevante, poi, a sostegno dell'effettività dell'operazione, il richiamo alla deposizione dell'arch. S., progettista e direttore dei lavori del complesso in costruzione, posto che questi, a seguito della cessione, non avrebbe potuto avere rapporti formali, per l'espletamento della sua attività, che con l'amministratrice della società acquirente. 7. Il profilo dell'illogicità, di cui sempre al primo motivo, dell'assunto circa la coscienza e volontà del M. di porre in essere atti concretamente idonei a ledere le aspettative dei creditori (non essendo neppure potenzialmente lesivo del bene giuridico tutelato l'effetto di impedire l'esecuzione sui beni da parte della Banca delle Marche, che non aveva liberato la venditrice dalla garanzia reale sugli immobili), si collega con la censura, di cui al secondo motivo, di erronea applicazione della norma incriminatrice e di vizio di motivazione in ordine all'idoneità dei beni compravenduti, in ragione del loro valore, a soddisfare i creditori diversi da Banca delle Marche. 8. Tali censure sono infondate. 9. Risulta infatti evidenziata nelle sentenze di merito, da un lato, la presenza di altri creditori (tra l'altro sottintesa dalla censura da ultimo ricordata), e cioè fornitori (tra i quali tale D.M. ricordato nel ricorso G.) ed erario, dall'altro, e a prescindere dalla congruità del prezzo della compravendita al valore di mercato dei beni e all'assoggettabilità dell'atto a revocatoria fallimentare, l'esistenza di un surplus di prezzo rispetto all'accollo del debito ipotecario, del cui versamento nel ricorso si richiamano le quietanze, ritenute però fittizie in sentenza sia perchè relative a pagamenti che sarebbero effettuati prima delle vendite, sia perchè non indicative delle modalità di pagamento, sia, ancora, perchè non contabilizzate nè dalla venditrice nè dalle acquirenti, risultando anzi dalla contabilità della prima un credito per tale titolo. 10. Fittizietà che non manca di arricchire di un ulteriore tassello la ricostruzione delle vendite in chiave simulata. 11. E' stata così soddisfatta la necessità di accertare, secondo il dettato espresso da questa corte nella sede cautelare inerente alla stessa vicenda, che il valore degli immobili, anche nella misura del prezzo di vendita, fosse eccedente l'importo del residuo debito bancario, sicchè essi avrebbero ragionevolmente ed in concreto consentito l'acquisizione di risorse utili anche agli altri creditori una volta soddisfatto quello ipotecario, in tal modo configurandosi lesione delle aspettative dei creditori diversi dalla banca mutuante. 12. Del resto la bancarotta per distrazione è reato di pericolo non essendo quindi necessaria, per la sua sussistenza, la prova che la condotta abbia causato un effettivo pregiudizio ai creditori (Sez. 5^, n. 3229 del 14/12/2012 - dep. 22/01/2013, Rossetto e altri, Rv. 253933), e il suo elemento soggettivo richiede solo la consapevole volontà di dare al patrimonio sociale una destinazione diversa rispetto alla finalità dell'impresa e di compiere atti che cagionino, o possano cagionare, danno ai creditori. (Sez. 5^, n. 35093 del 04/06/2014 - dep. 07/08/2014, P.G. in proc. Sistro, Rv. 261446). 13. Del pari infondato, se non addirittura manifestamente tale, il terzo motivo di ricorso. 14. In sostanza il ricorrente contesta la distrazione di somme di denaro sul rilievo che, per una parte di esse, alcuni acquirenti degli immobili avrebbero dichiarato che gli acconti versati erano stati compresi nelle fatture della vendita, con conseguente deduzione della contabilizzazione all'atto della stipula dei rogiti e successivo versamento nelle casse della società, mentre la mancata contabilizzazione della parte restante degli acconti non autorizzerebbe la conclusione della distrazione. 15. Il primo assunto è assertivo laddove, richiamando un'attività successiva alla cessione degli immobili alla D'Andrea & D'Andrea, conclude, deduttivamente ma inverosimilmente, per il versamento degli acconti nelle casse della Athenia, trascurando l'assunto del giudice di secondo grado secondo cui, a fronte della prova documentale dell'incasso degli acconti stessi (preliminari confermati dai promissari acquirenti), i relativi importi non erano riportati in contabilità sotto la voce "acconti di clienti". 16. Il secondo assunto è erroneo laddove, per la parte di acconti di cui si riconosce la mancata contabilizzazione, non considera l'onere dell'imputato, non adempiuto, di provare la destinazione di beni che, certamente presenti nel patrimonio della società prima del fallimento, non erano stati poi rinvenuti dal curatore. Nè può avere alcun rilievo lo stile di vita dell'imputato, asseritamente sobrio, da cui si pretenderebbe desumere che le predette somme non erano entrate nel suo possesso. 17. Il quarto motivo, afferente a vizio di motivazione sul giudizio di equivalenza delle generiche all'aggravante dei più fatti di bancarotta e sul trattamento sanzionatorio, è privo di fondamento non avendo la corte territoriale mancato, dopo l'indicazione degli elementi a supporto del riconoscimento delle attenuanti generiche, di compararli con la pluralità delle condotte e con il ruolo del M. di principale artefice dell'operazione fraudolenta posta in essere nel suo interesse, così giustificando il giudizio di comparazione e la dosimetria della pena. 18. Il primo motivo del ricorso comune ai V. padre e figlia è infondato. 19. La sentenza, con argomenti esenti da violazione di legge e vizio di motivazione, ha ravvisato la sussistenza del dolo dei concorrenti estranei ritenendo a tale scopo sufficiente, in linea con la più recente giurisprudenza di legittimità, la loro consapevolezza di contribuire alla riduzione della consistenza patrimoniale dell'impresa, mentre la necessità, sostenuta dai ricorrenti, che l'extraneus debba anche prevedere e accettare il rischio del futuro dissesto, si trova affermata da un indirizzo giurisprudenziale risalente di questa corte (Cass. Sez. 5^, n. 41333 del 27/10/2006 - dep. 18/12/2006, Tisi e altro, Rv. 235766), ridimensionato dall'orientamento successivo secondo il quale il dolo del concorrente extraneus nel reato proprio dell'amministratore consiste nella volontarietà della propria condotta di apporto a quella dell'intraneus, con la consapevolezza che essa determina un depauperamento del patrimonio sociale ai danni dei creditori, non essendo, invece, richiesta la specifica conoscenza del dissesto della società (Sez. 5^, n. 16579 del 24/03/2010 - dep. 29/04/2010, Fiume e altro, Rv. 246879). 20. Con la conseguenza, tratta in tale pronuncia, che ogni atto distrattivo assume rilievo ai sensi della L.Fall., art. 216, in caso di fallimento, indipendentemente dalla rappresentazione di quest'ultimo, il quale non costituisce l'evento del reato che, invece, coincide con la lesione dell'interesse patrimoniale della massa, per cui, se la conoscenza dello stato di decozione costituisce dato significativo della consapevolezza del terzo di arrecare danno ai creditori, ciò non significa che tale consapevolezza non possa ricavarsi da fattori diversi, quali la natura fittizia o l'entità dell'operazione che incide negativamente sul patrimonio della società. 21. E nella specie la doppia operazione di cessione degli immobili è stata, con ragionevoli considerazioni in fatto, ritenuta simulata valorizzando una serie di elementi convergenti quali a) la fittizietà, già sopra ricordata, delle quietanze emesse per la differenza di prezzo rispetto al debito ipotecario, b) la circostanza che la Compagnia Edile, inattiva da molti anni, fosse riferibile allo stesso M., e che la Aromia del V. esercitasse attività di pelletteria, rientrando nel suo oggetto sociale la possibilità di effettuare acquisti immobiliari solo se strumentali a tale attività (il che nella specie non era), c) il fatto che l'acquirente finale fosse stata costituita ad hoc con capitale irrisorio, inidoneo ad effettuare i due onerosi acquisti e al pagamento dell'eccedenza di prezzo rispetto all'accollo del mutuo, d) il mantenimento dello stesso prezzo nelle successive cessioni (considerazione non incisa dal rilievo dei ricorrenti che i beni erano passati dal padre alla figlia giacchè, come puntualmente osservato in sentenza, questo non valeva per il trasferimento da Compagnia Edile a D'Andrea & D'Andrea e, comunque, il passaggio da Aromia a quest'ultima società non era tra persone fisiche ma tra società che avevano anche altri soci), e) l'ammissione del M. che l'operazione era finalizzata ad impedire l'aggressione sui beni, anche se, inverosimilmente, da parte del creditore ipotecario Banca Marche, nei cui confronti quell'obiettivo non era realizzabile. 22. Trascurando tali elementi, la difesa V. ritorna sul tema del dolo del concorrente estraneo nella memoria (depositata, tardivamente, il 12-1-2016), nella quale, dopo aver mostrato di condividere la giurisprudenza più recente, assume tuttavia che la sentenza impugnata aveva trascurato che l'accollo del mutuo da parte della D'Andrea & D'Andrea, lungi dall'arrecare un danno ai creditori, aveva aumentato la garanzia del creditore ipotecario Banca delle Marche, obliterando, però, che la fittizietà dell'operazione danneggiava, come sopra osservato, gli altri creditori della Athenia. 23. La circostanza poi che il V. ed il M. si conoscessero fin da bambini non fa che amplificare la consapevolezza da parte del primo - e, di riflesso, della figlia, delle vicissitudini della Athenia il cui stato di decozione era denunciato dall'impossibilità del M. di portare a termine i lavori di costruzione, mentre il desiderio del V. di diversificare la propria attività di pelletteria attraverso la società D'Andrea & D'Andrea, peraltro priva di risorse, affidata alla gestione della figlia, è oggetto di mera asserzione, inidonea a scalfire il motivato epilogo decisorio della simulazione dell'intera operazione. 24. Il secondo motivo del ricorso comune ai due V., benchè ampiamente argomentato, sostiene una tesi che, come puntualmente ricordato in sentenza, non trova alcun avallo nella giurisprudenza di questa corte, la quale, al contrario, è consolidata, e da tale indirizzo non si ravvisano ragioni per discostarsi, nel senso dell'utilizzabilità delle dichiarazioni rese dal fallito al curatore, non soggette alla disciplina di cui all'art. 63 c.p.p., comma 2, in quanto il curatore non appartiene alle categorie indicate da detta norma e la sua attività non può considerarsi ispettiva o di vigilanza ai sensi e per gli effetti di cui all'art. 220 disp. coord. c.p.p., (Sez. 5^, n. 46422 del 25/09/2013 - dep. 21/11/2013, Besana e altro, Rv. 257584; Sez. 5^, n. 13285 del 18/01/2013 - dep. 21/03/2013, Pastorello, Rv. 255062; Sez. 5^, n. 36593 del 18/04/2008 - dep. 24/09/2008, Mangano e altri, Rv. 242020). 25. Nè risulta, essendo oggetto di pura affermazione della difesa dei ricorrenti nella memoria, che M., ammesso pure che tale circostanza possa avere una qualche rilevanza, fosse già iscritto nel registro degli indagati quando aveva reso dichiarazioni al curatore. 26. Anche il ricorso nell'interesse del G. merita nel complesso rigetto. 26. La deduzione dei vizi sull'elemento psicologico del reato è infondata muovendo dall'erronea qualificazione di quello della bancarotta fraudolenta patrimoniale come dolo specifico in assoluto contrasto con il consolidato orientamento di legittimità, richiamato in sentenza, secondo il quale si tratta di dolo generico essendo, pertanto, sufficiente che la condotta di colui che pone in essere l'attività distrattiva, o vi concorre, sia assistita dalla consapevolezza che le operazioni che si compiono sul patrimonio sociale siano idonee a cagionare un danno ai creditori, senza che sia necessaria l'intenzione di causarlo (ex multis Sez. 5^, n. 51715 del 05/11/2014 - dep. 11/12/2014, Rebuffo, Rv. 261739). 27. Il ricorso pretende poi, con inammissibili incursioni nel fatto, di ridiscutere il ruolo dell'imputato di consulente di tutte le società interessate all'operazione immobiliare, e, quindi, di regista della stessa, avvalorato da quello di accompagnatore del M. ai colloqui con il curatore, assumendo che consulente delle società sarebbe stato non lui, ma il commercialista Dr. Ma. di cui egli era un semplice collaboratore addetto alla contabilità. 28. Trascura però che lo stesso Ma., secondo quanto evidenziato in sentenza, aveva indicato il G. "come la persona che tutto sapeva delle vicende societarie" con la conseguenza che l'eventuale esistenza di un rapporto formale delle società con il Ma. stesso non esclude affatto che fosse il collaboratore di questi, l'imputato per l'appunto, a prestare di fatto consulenza alle società coinvolte e a tenere i rapporti tra gli organi della fallita ed il curatore, considerato anche che, come da sentenza, dopo i fatti G. divenne amministratore della Aromia. 29 Al rigetto dei ricorsi segue il carico delle spese del procedimento per ciascuno dei ricorrenti. P.Q.M. Rigetta i ricorsi e condanna ciascun ricorrente al pagamento delle spese processuali. Così deciso in Roma, il 26 gennaio 2016. Depositato in Cancelleria il 23 marzo 2016
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