RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza impugnata la Corte d'Appello di Messina ha confermato la sentenza di primo grado di condanna alla pena di giustizia nei confronti degli imputati C.M. e F.C., il primo amministratore di fatto della società (OMISSIS), la seconda legale rappresentante di (OMISSIS) srl in liquidazione, rispettivamente per il delitto di bancarotta fraudolenta documentale, consistita nel tenere le scritture contabili in modo da non rendere possibile la ricostruzione dei movimenti del patrimonio aziendale ed il movimento degli affari, e per il delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale per distrazione di risorse finanziarie. Epoca dei due fallimenti: Aprile 2011.
1. Ha presentato ricorso l'imputato C. tramite difensore di fiducia che, con il primo motivo, ha lamentato la manifesta illogicità di motivazione. La Corte avrebbe confermato la responsabilità del giudicabile senza tener conto del breve periodo, dal 2009 al 2011, data del fallimento, nel quale questi si era ingerito nella gestione societaria, essendo per gli anni precedenti, dal 2005 al 2009 estraneo all'amministrazione della società.
1.1 Per altro verso era rimasta senza adeguata risposta la richiesta della difesa di riqualificare il fatto come bancarotta semplice.
2. Nel secondo motivo ci si é doluti della motivazione mancante ed illogica quanto alla richiesta di attendere la determinazione della Corte Costituzionale sulla durata prefissata per legge delle pene accessorie fallimentari. La Corte territoriale non avrebbe giustificato il mantenimento delle pene accessorie nella misura di dieci anni.
3. Tramite il terzo motivo é stato dedotto il vizio di manifesta illogicità, quanto al trattamento sanzionatorio anche in relazione al diniego delle circostanze attenuanti generiche.
4. Ha presentato ricorso l'imputata F., tramite il medesimo difensore fiduciario che, con il primo motivo, ha lamentato la mancanza ed illogicità di motivazione riguardo alla richiesta di assoluzione ex art. 530 cpv c.p.p. dal reato di bancarotta per distrazione e per il rigetto dell'istanza ex art. 603 c.p.p. volta ad accedere alla documentazione allegata alla relazione della Polizia Giudiziaria. La contestazione elevata nei confronti della ricorrente era riferita a uscite dai conti correnti societari e per versamenti ai soci di risorse finanziarie senza documentazione giustificativa; la Corte d'appello aveva ritenuto superflua la richiesta istruttoria, valutando che il materiale probatorio fosse completo e tuttavia aveva confermato l'affermazione di responsabilità di F., poiché l'imputata non aveva esibito alcuna fattura per prestazioni ricevute. 3.1 Ha sostenuto, pertanto, la ricorrente, che il vuoto documentale era stato lesivo per la conoscenza effettiva delle modalità distrattive sia per la difesa che per il Giudice.
5. Nel secondo e terzo motivo sono state riproposte le doglianze di cui al secondo e terzo motivo del ricorso C..
Con requisitoria scritta a norma del D.L. 17 marzo 2020, n. 18, art. 83, comma 12-ter, convertito, con modificazioni, con la L. 24 aprile 2020, n. 27, il Sostituto Procuratore generale della Repubblica presso questa Corte di cassazione, dr Giordano, ha concluso per l'inammissibilità dei ricorsi.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I ricorsi sono inammissibili.
Ricorso C..
1. Il primo motivo di ricorso, avente ad oggetto la qualità di amministratore di fatto attribuita all'imputato pecca all'evidenza di genericità estrinseca, in quanto non ha relazione con la motivazione che intenderebbe censurare, essendo la critica incentrata solo sul tema del breve periodo nel quale il giudicabile si era ingerito nella gestione della società, cioé nel biennio dal 2009 al 2011, epoca della dichiarazione di fallimento; la difesa non si accorge di aver in tal modo ammesso lo svolgimento di funzioni di amministrazione se pure - a suo dire - per un tempo che considera limitato.
Per altro verso la tesi difensiva non si confronta con la motivazione, che ha posto in luce adeguatamente gli elementi per i quali l'attuale ricorrente é stato ritenuto amministratore di fatto, riferendosi alle attività da egli svolte di procacciare clienti, di selezionare e gestire il personale da delocalizzare presso le sedi dei clienti; si sono, inoltre, razionalmente valorizzati elementi di prova inequivocabilmente conducenti verso la soluzione adottata dai Giudici del merito, quali il conferimento della delega per operare sui conti correnti societari e la procura per agire in ordine alle sorti della società, fin dal 2006; infine, si é sottolineato che i dipendenti della società avevano sempre avuto a che fare nei rapporti di lavoro con l'imputato, non avendo mai conosciuto la defunta L., come emerso da una sentenza del Tribunale del lavoro acquisita nel corso del giudizio.
Sulla base dei suindicati plurimi elementi la Corte territoriale ha coerentemente opinato che l'imputato avesse rivestito la qualifica di amministratore di fatto della fallita, ponendo in luce lo svolgimento in modo non occasionale ma continuativo delle relative funzioni gestorie.
1.1 La pronunzia é , quindi, coerente con il consolidato orientamento espresso da questa Corte regolatrice, che, nel definire la nozione di amministratore di fatto, ha più volte chiarito come in proposito occorra aver riguardo alla presenza di elementi sintomatici dell'inserimento organico dell'agente con funzioni direttive in qualsiasi fase della sequenza organizzativa, produttiva o commerciale dell'attività della società, quali sono i rapporti con i dipendenti, i fornitori o i clienti ovvero in qualunque settore gestionale di detta attività, sia esso aziendale, produttivo, amministrativo, contrattuale o disciplinare e che il relativo accertamento costituisce oggetto di una valutazione di fatto insindacabile in sede di legittimità, ove sostenuta da congrua e logica motivazione. Ex multis: Sez. 5, Sentenza n. 8479 del 28/11/2016 Ud. (dep. 22/02/2017) Rv. 269101, Sez. 5, Sentenza. 35346 del 20/06/2013 Ud. (dep. 22/08/2013) Rv. 256534.
2. Quanto alla specifica censura attinente la fattispecie di bancarotta documentale, unico addebito di cui il giudicabile deve rispondere, deve, in primis, precisarsi che nella fase del merito é stata ritenuta l'ipotesi di bancarotta documentale per irregolare tenuta della documentazione contabile, ad integrare la quale la giurisprudenza di questa Corte regolatrice ritiene necessario e sufficiente l'elemento psicologico del dolo generico, bastando ad integrarla la consapevolezza che la lacunosa o confusa o in parte omessa tenuta delle scritture contabili possa impedire la ricostruzione dei movimenti finanziari e patrimoniali della società.
Sez. 5, Sentenza n. 26613 del 22/02/2019 Ud. (dep. 17/06/2019) Rv. 276910.
Si tratta di uno degli elementi di differenziazione tra le ipotesi di bancarotta semplice e bancarotta fraudolenta documentale, come più volte chiarito dalla giurisprudenza di legittimità, per la quale l'elemento soggettivo della bancarotta semplice L.Fall., ex art. 217, comma 2, può essere indifferentemente costituito dal dolo o dalla colpa, ravvisabili quando l'agente ometta, con coscienza e volontà o per semplice negligenza, di tenere le scritture contabili, mentre per la bancarotta fraudolenta documentale, L.Fall., ex art. 216, comma 1, n. 2), l'elemento psicologico deve essere individuato esclusivamente nel dolo generico, costituito dalla coscienza e volontà dell'irregolare tenuta delle scritture, con la consapevolezza che ciò renda impossibile la ricostruzione delle vicende del patrimonio dell'impresa. Sez. 5 Sentenza n. 2900 del 02/10/2018 Ud. (dep. 22/01/2019) Rv. 274630.
Un secondo e diverso profilo di distinzione tra le due fattispecie incriminatrici é dato dall'evento dell'impedimento della ricostruzione del volume d'affari o del patrimonio del fallito, che caratterizza l'ipotesi di bancarotta fraudolenta documentale per irregolare tenuta delle scritture contabili e che non é requisito necessario a perfezionare la diversa fattispecie di bancarotta semplice descritta dalla L.Fall., art. 217, comma 2, Sez. 5, Sentenza n. 32051 del 24/06/2014 Ud. (dep. 21/07/2014) Rv. 260774.
2.1 La Corte sicula ha fatto buon governo del suindicato sistema di principi, avendo logicamente desunto il dolo generico dalle complessive modalità della condotta accertata ed in tal senso si é sottolineata anche l'acquisizione proveniente dalle indagini, secondo la quale il giudicabile era un evasore totale, non avendo presentato dichiarazioni dei redditi per gli anni di imposta dal 2006 al 2009, né aveva esibito libri, registri e scritture contabili; se ne é coerentemente ricavata, quindi, la consapevolezza che la frammentarietà delle scritture contabili, infine consegnate agli investigatori, impedisse, come in realtà verificatosi, la ricostruzione dei movimenti patrimoniali e finanziari della società.
3. Il secondo motivo del ricorso riguardo la mancata giustificazione della durata delle pene accessorie mantenute nella misura di dieci anni, é anch'esso inammissibile, in quanto la Corte territoriale ha preso atto della pronunzia 222/2018 della Corte Costituzionale ed ha inteso modulare le pene accessorie fallimentari tramite i criteri indicati nell'art. 133 c.p., correttamente seguendo i principi fissati dal più autorevole Collegio di questa Corte nella sentenza Sez. U -, Sentenza n. 28910 del 28/02/2019 Ud. (dep. 03/07/2019) Rv. 276286, Suraci. E' ormai noto, invero che la durata delle pene accessorie per le quali la legge stabilisce, in misura non fissa, un limite di durata minimo ed uno massimo, ovvero uno soltanto di essi, deve essere determinata in concreto dal giudice in base ai criteri di cui all'art. 133 c.p. e non rapportata, invece, alla durata della pena principale inflitta ex art. 37 c.p..
La Corte d'appello nel fissare le pene accessorie in dieci anni ha fatto riferimento ai precedenti specifici gravanti sull'imputato e la determinazione appare esattamente resa ai sensi degli artt. 132 e 133 c.p. ed adeguatamente, se pur sinteticamente motivata, essendo pertanto insindacabile in questa sede. Così in un caso analogo a questo oggetto dell'attuale giudizio, in presenza di pene accessorie definite nella misura del massimo edittale: Sez. 5, Sentenza n. 7034 del 24/01/2020 Ud. (dep. 21/02/2020) Rv. 278856.
4.11 terzo motivo di ricorso sul trattamento sanzionatorio é inammissibile, avendo svolto censure generiche circa l'entità del trattamento sanzionatorio principale, definito eccessivo ed ingiustificato, anche in relazione al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti ex art. 62 bis c.p. Ignora la difesa che sul punto i Giudici del merito hanno correttamente valorizzato le complessive e gravi modalità dell'azione, i motivi della perpetrazione degli illeciti ed i precedenti specifici di entrambi gli imputati.
Ricorso F..
5. Con il primo motivo di ricorso, unico dotato di autonomia rispetto alle doglianze proposte nella precedente impugnazione, si vuole affermare l'incompletezza della documentazione acquisita nel corso del processo e l'insufficienza delle prove a fondare la conferma della responsabilità dell'imputata riguardo al delitto di bancarotta fraudolenta distrattiva di risorse finanziarie della società; allo scopo si ripete l'argomento della mancata rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale già proposto in grado di appello.
Nel caso in esame i Giudici del merito hanno ritenuto plausibilmente che gli elementi acquisiti alla loro cognizione fossero sufficienti a decidere, avendo posto rilievo il dato probatorio per il quale le uscite di denaro avvenute tra il 2005 ed il 2007 verso il fornitore (OMISSIS) srl con causa pagamento fatture, erano in toto prive di giustificazione, non essendo state reperite le fatture di riferimento dagli organi fallimentari, fatture che neppure l'imputata aveva prodotto in giudizio. La giustificazione appare razionalmente resa ed adeguatamente motivata e la sua tenuta logico-argomentativa non é incrinata dalla generica affermazione della ricorrente circa l'ipotizzato deficit di conoscenza documentale, che sia la difesa sia il Giudice avrebbero patito.
5. La scelta della Corte d'appello é , altresì, coerente con i principi sul punto affermati da questa Corte secondo i quali la rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale, prevista dall'art. 603 c.p.p., comma 1, é subordinata alla verifica dell'incompletezza dell'indagine dibattimentale ed alla conseguente constatazione del giudice di non poter decidere allo stato degli atti senza una rinnovazione istruttoria; tale accertamento é rimesso alla valutazione del giudice di merito, incensurabile in sede di legittimità se correttamente motivata, come nel caso in esame. Sez. 6, Sentenza n. 48093 del 10/10/2018 Ud. (dep. 22/10/2018) Rv. 274230.
5.2 Per quanto riguarda la seconda parte della condotta distrattiva contestata all'imputata, relativa alla cosiddetta restituzione finanziamento soci, la motivazione ha evidenziato come dal giudizio fosse emerso che l'erogazione di liquidità da parte dei soci era contabilizzata come finanziamento esclusivamente per evitare l'esposizione a rischio di impresa che sarebbe derivata dalla appropriata contabilizzazione come conferimento al capitale. In ogni caso é stato correttamente opinato che, in ragione del principio di postergazione ex art. 2467 c.c., comma 1, il rimborso dei finanziamenti non avrebbe potuto essere effettuato se non dopo il soddisfacimento degli altri creditori, cosa pacificamente non avvenuta.
Anche in tal caso la soluzione adottata dai Giudici del merito é in linea con i principi stabiliti in proposito da questa Corte, che ha ritenuto integrato il reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale per distrazione a carico dell'amministratore di una società che proceda al rimborso di finanziamenti erogati dai soci, in violazione della regola della postergazione, di cui all'art. 2467 c.c., o di versamenti effettuati in conto capitale, in quanto le somme versate devono essere destinate al perseguimento dell'oggetto sociale e possono essere restituite solo quando tutti gli altri creditori siano stati soddisfatti.
Sez. 5, Sentenza n. 50188 del 10/05/2017 Cc. (dep. 03/11/2017) Rv. 271775.
6. Il secondo ed il terzo motivo di ricorso sono in sostanza identici ai corrispondenti motivi presentati dal comune difensore di fiducia nell'interesse di C. e, pertanto, si rimanda agli apprezzamenti già svolti in proposito.
Alla luce delle considerazioni e dei principi che precedono i ricorsi devono essere dichiarati inammissibili e ciascun ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna ciascun ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma, il 9 dicembre 2020.
Depositato in Cancelleria il 24 marzo 2021