RITENUTO IN FATTO
1. La Corte di appello di Firenze, con la sentenza emessa il 26 ottobre 2023, confermava la sentenza del Tribunale di Firenze che aveva accertato la responsabilità penale di Ci.Eu., in relazione al delitto di bancarotta fraudolenta documentale e patrimoniale, con lo scopo di procurarsi un ingiusto profitto e di recare pregiudizio ai creditori, perché quale amministratore unico dal 18 maggio 2012 al 20 dicembre 2012 della Rada Diffusione Abbigliamento Srl, dichiarata fallita il 20 dicembre 2012, ometteva di consegnare al curatore, ad eccezione dell'ultimo bilancio depositato nell'anno 2010, la documentazione contabile, impedendo di localizzare i beni, oltre a non consentire di rintracciare le tre autovetture indicate nel capo di imputazione, di cui una concessa in leasing alla società ed altre due di proprietà della Rada, non presenti neppure presso il PRA.
1.1. All'esito del giudizio di merito, la Corte di appello di Firenze, sulla scorta dei motivi di appello proposti, ha ritenuto che: - a) il Ci. era stato amministratore unico per un periodo di oltre sette mesi, avendo preso il posto di Ra.Lu.; - b) l'imputato aveva evitato di mettersi in contatto con il curatore, nonostante i numerosi solleciti inviati dallo stesso; - e) il 29 giugno 2012, il commercialista Ma. aveva consegnato tutta la documentazione contabile in suo possesso a Ci.Eu. (per come emerso dalla ricevuta di consegna alla quale sono stati allegati il documento di identità e la tessera sanitaria del ricorrente); - d) nel verbale assembleare del 18 maggio 2012, il Ci. dichiarava che preso atto della situazione contabile in seguito ad ampio colloquio con l'amministratore uscente decide di accettare la carica fino a tempo indeterminato; - e) l'imputato non aveva mai disconosciuto la firma apposta alla ricevuta di consegna del 29 giugno 2012 della documentazione contabile: - f) la sottoscrizione apposta alla ricevuta non era difforme da quella apposta sul documento di identità esibito al commercialista per il ritiro della documentazione contabile, né dalla sottoscrizione del verbale di elezione di domicilio del 29 luglio 2014 né dalla sottoscrizione della dichiarazione di domicilio depositata il 19 gennaio 2018; - g) l'assunzione della qualità di amministratore unico da parte dell'imputato era riferita anche dal teste Se.Ma..
2. Avverso la sentenza di appello ha proposto ricorso per cassazione Ci.Eu. a mezzo del difensore di fiducia, avv. Cinzia Carradori, depositato il 9 marzo 2024, deducendo quattro distinti motivi di impugnazione, di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
3. Con il primo motivo del ricorso si eccepisce la violazione di legge per la mancata audizione del teste Fa., giacché il teste avrebbe potuto riferire in merito alla circostanza che la firma digitale dell'imputato era stata utilizzata da terzi a sua insaputa e senza il suo consenso.
4. Con il secondo motivo, il ricorso denuncia l'inosservanza ed erronea applicazione di legge con riferimento al mancato accertamento della disponibilità in capo all'imputato delle automobili mancanti.
In particolare, l'imputato evidenzia come il teste Se., ragioniere delle società fallita, aveva riferito che vi erano due automobili in leasing una Audi modello A6 in uso all'amministratore di fatto Am.Do. ed una Fiat modello Cubo, in uso all'amministratore formale Ra.Lu..
Analogamente, il ricorrente non aveva mai ricevuto le scritture contabili senza neppure avere ricevuto alcuna comunicazione dal curatore.
5. Con il terzo e quarto motivo censura la mancata concessione dell'attenuante di cui all'art. 219, comma terzo, L.F. oltre alla inosservanza dell'art. 133 c.d. pen. in relazione alla durata delle pene accessorie.
In particolare, il ricorrente si duole che la Corte di Appello ha omesso di pronunciarsi sulla richiesta di riduzione della pena.
Sotto altro aspetto, sostiene che i giudici di merito hanno determinato la durata delle pene accessorie fallimentari nel massimo edittale, senza supportare la decisione con alcuna motivazione. Al riguardo evidenzia che,a seguito della sentenza n. 222 del 2018 della Corte costituzionale, che ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 216, ultimo comma, legge fall., la durata delle pene accessorie previste per la bancarotta fraudolenta deve essere concretamente determinata e specificamente motivata dal giudice.
Rappresenta che successivamente alla pronuncia della sentenza di primo grado, era intervenuta la sentenza n. 222 del 2018 della Corte costituzionale, che aveva dichiarato l'incostituzionalità dell'art. 216, ultimo comma, legge fall., aggiungendo che la giurisprudenza di legittimità ha affermato il principio secondo il quale le pene accessorie in questione devono essere determinate, in base ai criteri di cui all'art. 133 cod. pen., dal giudice, che deve motivare sul punto in maniera autonoma e disgiunta dalla commisurazione della pena detentiva.
Tanto premesso, il ricorrente sostiene che la Corte di appello avrebbe palesemente violato i principi affermati dalla Corte costituzionale e dalla giurisprudenza di legittimità, omettendo qualsiasi effettiva motivazione in ordine alla determinazione delle pene accessorie.
6. Con ordinanza dell'I 1 marzo 2024 la Corte di Appello di Firenze dichiarava la inammissibilità del gravame perché il file contenente il ricorso per cassazione era privo di firma digitale, disponendo la esecutività della sentenza impugnata.
7. Ci.Eu. a mezzo del difensore di fiducia, avv. Cinzia Carradori, proponeva successivo ricorso depositato il 25 marzo 2024, deducendo gli stessi motivi di impugnazione, del precedente ricorso del 9 marzo 2024, oltre ad un ulteriore motivo relativo alla mancanza di motivazione sull'elemento oggettivo del reato.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. In via preliminare si precisa che oggetto di scrutinio sarà il ricorso depositato il 25 marzo 2024, contenente ritualmente la firma digitale, depositato prima della scadenza del termine per proporre tempestivamente nuovo ricorso.
Infatti, la Corte di Appello di Firenze ha deciso il 26 ottobre 2023, indicando in giorni novanta il termine per il deposito della sentenza (con scadenza il 24 febbraio 2024), con la conseguente applicabilità dell'art. 544, comma 1, lett. C, cod. proc. pen.
2. La sentenza impugnata deve essere annullata con rinvio, limitatamente alla durata delle pene accessorie fallimentari applicate per il reato di bancarotta fraudolenta documentale e patrimoniale, in quanto essa è stata determinata, in misura illegale, risultando fondato -esclusivamente in ordine a tale punto -il quarto motivo del ricorso.
3. Nel resto il ricorso è inammissibile, meramente reiterativo di questioni già affrontate in appello e decise con argomenti adeguati e congrui, rispetto ai quali non sono state avanzate critiche effettive da parte del ricorrente nell'atto d'impugnazione, che in definitiva non ha svolto un vero dialogo con la sentenza impugnata diretto a confrontarsi con essa.
4. Il primo motivo è inammissibile perché non tiene conto del consolidato orientamento di legittimità a mente del quale la revoca dell'ordinanza ammissiva di testi della difesa, resa in difetto di motivazione sulla superfluità della prova, produce una nullità di ordine generale che deve essere immediatamente dedotta dalla parte presente, ai sensi dell'art. 182, comma secondo, cod. proc. pen., con la conseguenza che, in caso contrario, essa è sanata (Sez. 5, n. 10860 del 14/03/2024; Sez. 6, n. 53823 del 05/10/2017, D.M., Rv. 27173201; nello stesso senso Sez. 2, n. 9761 del 10/02/2015, Rv. 26321001).
Nel caso di specie, dal verbale della udienza del 20 luglio 2018 (certamente apprezzabile in considerazione della natura processuale della eccezione sollevata) non risulta che sia stata immediata formalizzata la eccezione di nullità, cosicché rispetto a tale ordinanza è intervenuta la sanatoria.
Ad ogni modo, i giudici di appello con motivazione adeguata in quanto del tutto logica e puntuale, hanno evidenziato la superfluità dell'esame del Fa., attesa la estraneità dei rapporti tra la Dolce Vita (di cui il Fa. era titolare) e la Rada Srl
4. Inammissibile anche il secondo motivo.
Nel caso di specie, si è in presenza, in punto di responsabilità, di una "doppia conforme" di merito, ovvero di decisioni che, nei due gradi, sono pervenute - su questo aspetto - a conclusioni analoghe sulla scorta di una conforme valutazione delle medesime emergenze istruttorie, cosicché vige il principio per cui la sentenza di appello, nella sua struttura argomentativa, si salda con quella di primo grado sia quando operi attraverso ripetuti richiami a quest'ultima sia quando, per l'appunto, adotti gli stessi criteri utilizzati nella valutazione delle prove, con la conseguenza che le due sentenze possono essere lette in maniera congiunta e complessiva ben potendo integrarsi reciprocamente dando luogo ad un unico complessivo corpo decisionale (Sez. 2, n. 37295 del 12/06/2019, E., Rv. 277218; Sez. 3, n. 13926 del 01/12/2011, Valerio, Rv. 252615).
Entrambe le sentenze hanno dato adeguatamente conto delle ragioni che hanno indotto i giudici di merito a riconoscere in capo al ricorrente la qualifica di amministratore di diritto, non estraneo alla compagine societaria dichiarata fallita per come sostenuto.
Tale ricostruzione, in nessun modo censurabile sotto il profilo della completezza e della razionalità, è fondata su apprezzamenti di fatto non qualificabili in termini di contraddittorietà o di manifesta illogicità e perciò insindacabili in questa sede.
Infatti, la Corte fiorentina ha desunto il pieno coinvolgimento del ricorrente nella società fallita da una coorte di elementi: - a) il 29 giugno 2012, il commercialista Ma. aveva consegnato tutta la documentazione contabile in suo possesso a Ci.Eu. (per come emerso dalla ricevuta di consegna alla quale sono stati allegati il documento di identità, la tessera sanitaria del ricorrente); - b) nel verbale assembleare del 18 maggio 2012, sottoscritto con firma digitale, il Ci. dichiara che preso atto della situazione contabile in seguito ad ampio colloquio con l'amministratore uscente decide di accettare la carica fino a tempo indeterminato; - c) l'assunzione della qualità di amministratore unico da parte dell'imputato è riferita anche dal teste Se.; - d) l'imputato non ha mai disconosciuto la firma apposta alla ricevuta di consegna del 29 giugno 2012 della documentazione contabile: - e) la sottoscrizione apposta alla ricevuta non era difforme da quella apposta sul documento di identità esibito al commercialista per il ritiro della documentazione contabile, né dalla sottoscrizione del verbale di elezione di domicilio del 29 luglio 2014 né dalla sottoscrizione della dichiarazione di domicilio depositata il 19 gennaio 2018.
Va ricordato che, in tema di reati fallimentari, l'amministratore di diritto risponde del reato di bancarotta fraudolenta documentale per sottrazione o per omessa tenuta, delle scritture contabili anche se sia investito solo formalmente dell'amministrazione della società fallita, in quanto sussiste il diretto e personale obbligo dell'amministratore di diritto di tenere e conservare le predette scritture. Obbligo che discende, ex lege, dalla sola formale assunzione delle funzioni gestorie.
Infondato il motivo relativo al mancato accertamento della disponibilità in capo all'imputato delle automobili mancanti, giacché sulla scorta degli accertamenti compiuti dal giudice di merito gli automezzi non sono stati rinvenuti dal curatore sicché non vi è traccia della loro destinazione.
Invero, la mancata giustificazione, all'atto della dichiarazione di fallimenti, da parte dell'amministratore del mancato rinvenimento di beni societari costituisce indice presuntivo della loro dolosa distrazione.
Nel caso di specie, il mancato rinvenimento delle automobili specificate nel capo di imputazione unitamente alla assenza di giustificazione in ordine alla loro destinazione sono indici sintomatici della responsabilità del ricorrente che ha ricoperto la carica di amministratore unico della società dal 18 maggio 2012 al 20 dicembre 2012 (circostanza che assorbe anche l'ulteriore motivo relativo alla mancanza di motivazione sull'elemento oggettivo del reato, per come agitato nel ricorso del 25 marzo 2024).
Il ricorrente, invocando una rilettura di elementi probatori estranea al sindacato di legittimità, chiede a questa Corte di entrare nella valutazione dei fatti e di privilegiare, tra le diverse ricostruzioni, quella a lui più gradita, senza confrontarsi con quanto motivato dalla Corte territoriale al fine di confutare le censure difensive prospettate in sede di appello e con le emergenze probatorie determinanti per la formazione del convincimento dei giudici di merito.
Va, in proposito, ricordato che non è compito del giudice di legittimità stabilire se la decisione di merito proponga o meno la migliore ricostruzione dei fatti né condividerne la giustificazione, dovendo limitarsi a verificare se questa giustificazione sia, come nel caso di specie, compatibile con il senso comune e con i limiti di una plausibile opinabilità di apprezzamento.
La Corte di cassazione, che è giudice della motivazione e dell'osservanza della legge, non può, infatti, divenire giudice del contenuto della prova, non competendogli un controllo sul significato concreto di ciascun elemento probatorio, riservato al giudice di merito, essendo consentito alla Corte regolatrice esclusivamente l'apprezzamento della logicità della motivazione (vedi Sez. 6, n. 5465 del 04/11/2020, dep. 2021, F., Rv. 28060101; Sez. 2, n. 9106 del 12/02/2021, Caradonna Salvatore, Rv. 28074701).
Al riguardo si precisa che i giudici di appello con motivazione logica, fondata su una lettura complessiva e non atomistica del materiale probatorio, hanno precisato come il curatore nel corso della udienza del 19 gennaio 2018 aveva specificato di aver inviato numerose comunicazioni a tutti gli indirizzi risultanti dal registro delle imprese ed anagrafe comunale, senza aver mai ricevuto risposto dal ricorrente.
5. Con il terzo motivo di ricorso, il ricorrente prospetta questioni non consentite nel giudizio di legittimità e, comunque, manifestamente infondate, posto che la graduazione della pena rientra nella discrezionalità del giudice di merito, che, l'esercita in aderenza ai principi enunciati negli artt. 132 e 133 cod. pen., con la conseguenza che è inammissibile la doglianza che in cassazione miri a una nuova valutazione della sua congruità, ove la relativa determinazione non sia frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico e sia sorretta da sufficiente motivazione (Sez. 2, n. 5582 del 30/09/2013, Rv. 259142; Sez. 3, n. 1182 del 17/10/2007, Rv. 238851).
Invero, quanto al trattamento sanzionatorio, la Corte di Appello nel confermare integralmente la sentenza di primo grado ha fatto implicitamente proprio il trattamento sanzionatorio determinato dal giudice di prime cure che, in ossequio ai criteri di cui all'art. 133 cod. pen., ha riconosciuto le circostanze attenuanti generiche per adeguare la pena al caso concreto in ragione del non eccessivo valore dei beni sottratti alla garanzia dei creditori, commisurando la pena al minimo edittale.
Il motivo di ricorso - che contesta la mancata concessione della circostanza attenuante di cui all'art. 219, comma 3, L. Fall. - è del pari inammissibile siccome manifestamente infondato.
In tema di bancarotta semplice fallimentare, la circostanza attenuante del danno di speciale tenuità, prevista dall'art. 219, comma 3, L. Fall., è configurabile quando il danno arrecato ai creditori è particolarmente tenue o manchi del tutto e la valutazione rimessa al giudice non può prescindere dal considerare le dimensioni dell'impresa, il movimento degli affari e l'ammontare dell'attivo e del passivo (Sez. 5, n. 17351 del 02/03/2015, Pierini, Rv. 263676). Peraltro, ai fini della applicazione della suddetta circostanza attenuante, nella bancarotta documentale, "non rileva l'ammontare del passivo, ma la differenza che la mancanza dei libri o delle scritture contabili ha determinato nella quota complessiva dell'attivo da ripartire tra i creditori, avendo riguardo al momento della consumazione del reato" (Sez. 5, n. 44443 del 04/07/2012, Robbiano e altro, Rv. 253778).
Tuttavia, il dovere dimostrativo della pubblica accusa si limita alla prova del fatto reato ma non già alla dimostrazione della non esistenza dei presupposti di una circostanza attenuante; a questo riguardo, se non un vero e proprio dovere dimostrativo, incombe sulla parte che la invoca l'obbligo quantomeno di indicare gli elementi da cui trarre l'esistenza dei presupposti dell'attenuante, indicazione che, nel caso di specie,.non è stata fornita. D'altra parte, sarebbe paradossale riconoscere detta circostanza attenuante proprio laddove, per condotta imputabile all'imprenditore fallito, non si possa verificare la consistenza del danno, attuando così un'esegesi premiale proprio della condotta bancarottiera.
6. Con riferimento al quarto motivo va rilevato che: il giudice di primo grado, emettendo la sentenza il 20 luglio 2018, nel determinare le pene accessorie fallimentari, si era limitato a rinviare a quelle "di cui all'art. 216, ultimo comma, legge fall.)"; successivamente a tale pronuncia, il 5 dicembre 2018 era intervenuta la sentenza n. 222 della Corte costituzionale, che aveva dichiarato l'incostituzionalità di tale norma; la Corte di appello si è limitata a confermare le pene accessorie fallimentari applicate in primo grado.
La sentenza n. 222 del 2018 della Corte costituzionale ha dichiarato l'illegittimità costituzionale del R.D. 16 marzo 1942, n. 267, art. 216, u.c., (Disciplina del fallimento, del concordato preventivo e della liquidazione coatta amministrativa), nella parte in cui dispone: "la condanna per uno dei fatti previsti dal presente articolo importa per la durata di dieci anni l'inabilitazione all'esercizio di una impresa commerciale e l'incapacità per la stessa durata ad esercitare uffici direttivi presso qualsiasi impresa", anziché: "la condanna per uno dei fatti previsti dal presente articolo importa l'inabilitazione all'esercizio di una impresa commerciale e l'incapacità ad esercitare uffici direttivi presso qualsiasi impresa fino a dieci anni". Si verte in ipotesi di pena illegale rilevabile d'ufficio dal giudice di legittimità, in quanto, indipendentemente dal fatto che le pene concretamente irrogate rientrino nella cornice edittale della norma così come manipolata dal giudice delle leggi, il procedimento di commisurazione si è basato su una norma dichiarata incostituzionale (cfr. Sez. U, n. 33040 del 26/02/2015, Jazouli, Rv. 264205; Sez. U, n. 37107 del 26/02/2015, Marcon, Rv. 264857).
Dopo la pronuncia della Corte costituzionale, sono intervenute, a chiarirne la portata, le Sezioni unite, che, hanno affermato il principio in forza del quale le pene accessorie per le quali la legge indica un termine di durata non fissa devono essere determinate in concreto dal giudice in base ai criteri di cui all'art. 133 cod. pen. (Sez. U., n. 28910 del 28/02/2019, Suraci).
Pertanto, limitatamente alla durata delle pene accessorie di cui all'art. 216, u.c., L. Fall., la sentenza impugnata deve essere annullata con rinvio ad altra Sezione della Corte di appello di Firenze, che dovrà rideterminare detta durata sulla base degli ordinari criteri commisurativi dettati dall'art. 133 cod. pen.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata limitatamente alla durata delle pene accessorie fallimentari, con rinvio per nuovo giudizio sul punto ad altra sezione della Corte di appello di Firenze.
Dichiara inammissibile nel resto il ricorso.
Così deciso in Roma il 25 giugno 2024.
Depositata in Cancelleria il 23 agosto 2024.