RITENUTO IN FATTO
1. Con la sentenza sopra indicata la Corte di appello di Milano riformava parzialmente la pronuncia di primo grado, riducendo la pena inflitta alla R., e confermava nel resto la medesima pronuncia del 18 settembre 2018 con la quale il Giudice dell'udienza preliminare del Tribunale di Milano, all'esito di giudizio abbreviato, aveva condannato, tra gli altri, T.G.N., G.T.V., R.S.A. e G.F.R. in relazione ai reati loro rispettivamente ascritti di cui agli artt. 99,81 cpv. e 110 c.p., art. 61 c.p., n. 9; D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 4, e art. 80, comma 1, lett. g), (capi A), C), ed E); artt. 99,81 cpv., 319 e 321 c.p. (capi B), D), e F).
Rilevava la Corte territoriale come le emergenze processuali avessero provato che il T., assistente capo della polizia penitenziaria in servizio presso l'Istituto penitenziario per i minorenni "Beccaria" di Milano, in più occasioni, tra il febbraio e l'aprile del 2017, aveva introdotto in tale struttura sostanze stupefacenti del tipo hashish o marijuana, che a lui erano state date in alcune circostanze da G.T.V. in altre dalla R.: droghe che, in violazione dei propri doveri di ufficio, egli aveva consegnato ad alcuni detenuti, tra i quali G.F.R., ricevendo ogni volta in cambio somme di denaro variabili tra 20 e 80 Euro.
2. Avverso tale sentenza ha presentato ricorso il T., con atto sottoscritto dal suo difensore, il quale, ha dedotto i seguenti tre motivi.
2.1. Violazione di legge e vizio di motivazione, per avere la Corte distrettuale erroneamente disatteso la richiesta difensiva di riconoscimento delle attenuanti generiche con giudizio di prevalenza sulle contestate aggravanti, nonostante l'imputato fosse incensurato e in precarie condizioni personali, avesse ammesso gli addebiti e tenuto nei riguardi dei detenuti un comportamento ispirato ad umanità e mai a scopo di lucro.
2.2. Violazione di legge e vizio di motivazione, per avere la Corte di merito ingiustificatamente negato il riconoscimento dell'ipotesi attenuata prevista dall'art. 73, comma 5, D.P.R. cit., benchè i quantitativi di droga singolarmente ceduti fossero stati di modesta entità ponderale, non essendo, a tal fine, rilevante la continuatività nel tempo delle sue iniziative illecite.
2.3. Violazione di legge e vizio di motivazione, per avere la Corte lombarda ingiustificatamente negato all'imputato il riconoscimento della circostanza attenuante del fatto di particolare tenuità di cui all'art. 323-bis c.p., contraddittoriamente asserendo che il prevenuto aveva "svenduto le sue funzioni" per ottenere vantaggi di ridotta entità.
3. Avverso la sentenza hanno proposto ricorso anche i due G. - con distinti atti, sottoscritti dal loro comune difensore, aventi contenuto in gran parte analogo - i quali hanno dedotto i motivi così sintetizzabili.
3.1. Violazione di legge, in relazione al D.P.R. cit., art. 73, comma 5, e carenza di motivazione (primo punto del ricorso di T.V.), per avere la Corte periferica immotivatamente negato il riconoscimento del fatto di lieve entità, benchè la condotta del prevenuto fosse stata unica, avesse avuto ad oggetto un modesto quantitativo di hashish e somme di denaro limitate, e fosse stata tenuta in un contesto qualificato dalla rudimentalità dei mezzi, come dimostrato dal fatto che la droga non era neppure consegnata al fratello F.R..
3.2. Violazione di legge, in relazione all'art. 323-bis c.p., e carenza di motivazione (secondo punto di entrambi i ricorsi), per avere la Corte di merito ingiustificatamente negato il riconoscimento dell'attenuante del fatto di particolare tenuità, nonostante le condotte tenute fossero state numericamente ridotte, concentrate in un arco temporale limitato e sorrette dallo scopo di "dare sollievo" ad un detenuto.
3.3. Violazione di legge, in relazione all'art. 99 c.p., e carenza di motivazione (terzo punto di entrambi i ricorsi), per avere la Corte di appello omesso di formulare un reale giudizio di pericolosità nei riguardi dei due imputati, indicati solamente come gravati da precedenti, eppure destinatari degli effetti del riconoscimento della recidiva loro contestata.
3.4. Violazione di legge, in relazione agli artt. 133 e 69 c.p., e carenza di motivazione (quarto punto del ricorso di T.V. e quinto punto del ricorso di F.R.), per avere la Corte distrettuale immotivatamente disatteso le richieste difensive di riduzione delle pene inflitte in primo grado, soprattutto per la misura degli aumenti operati per la continuazione, e di riconoscimento delle attenuanti generiche con prevalenza sulle contestate aggravanti: ciò senza considerare il comportamento processuale collaborativo dei due imputati, il fatto che T.V. si fosse impegnato per iscritto "a riparare ai propri comportamenti e ad agire secondo i canoni di solidarietà e del vivere civile" e che F.R. avesse avuto nella vicenda un ruolo minimale.
3.5. Violazione di legge, in relazione agli artt. 110,319 e 321 c.p. (primo punto del ricorso di F.R.), e carenza di motivazione, per avere la Corte di secondo grado omesso di spiegare quale fosse stato il contributo concorsuale del predetto nel raggiungimento e nella esecuzione dell'accordo corruttivo.
3.6. Violazione di legge, in relazione all'art. 114 c.p., e carenza di motivazione (quarto punto del ricorso di F.R.), per avere la Corte territoriale omesso di considerare che il prevenuto aveva avuto un ruolo secondario, essendo stato egli solo il destinatario degli invii della sostanza, che talora egli non aveva neppure materialmente ricevuto.
4. Contro la stessa sentenza ha proposto ricorso anche la R., con atto sottoscritto dal suo difensore, la quale ha dedotto i seguenti tre motivi.
4.1. Violazione di legge, in relazione agli artt. 319 e 321 c.p., e vizio di motivazione, per contraddittorietà, illogicità e travisamento della prova, per avere la Corte di appello erroneamente confermato la condanna per il reato di corruzione ascrittole al capo D), benchè le intercettazioni avessero dimostrato che del versamento del denaro al pubblico ufficiale si era occupato il coimputato M.O., e che a lei era stato contestato un concorso in forma molto indeterminata, non potendo ella essere qualificata come intermediaria tra corrotto e corruttore, non avendo ricevuto alcuna utilità.
4.2. Violazione di legge, in relazione all'art. 73, comma 5, D.P.R. cit., e vizio di motivazione, per contraddittorietà e illogicità, per avere la Corte territoriale ingiustificatamente negato alla prevenuta la qualificazione dei fatti in termini di lieve entità, nonostante fosse stato provato un suo ruolo secondario nella vicenda, che la droga ceduta era stata di modesta quantità e che ella era stata protagonista di appena quattro episodi di cessione.
4.3. Violazione di legge, in relazione all'art. 323-bis c.p., e vizio di motivazione, per contraddittorietà e illogicità, per avere la Corte di merito negato l'attenuante del fatto di particolare tenuità con la stessa motivazione valorizzata per negare l'applicabilità della norma del citato art. 73, comma 5, senza considerare il ruolo secondario della prevenuta, che era stato ben diverso da quello che nella vicenda avevano avuto gli altri imputati.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Ritiene la Corte che il ricorso presentato nell'interesse del T. sia inammissibile.
1.1. Il primo motivo del ricorso è stato formulato per fare valere ragioni diverse da quelle consentite dalla legge.
Il ricorrente ha preteso che in questa sede si proceda ad una rinnovata valutazione delle modalità mediante le quali il giudice di merito aveva esercitato il potere discrezionale a lui concesso dall'ordinamento ai fini del giudizio di bilanciamento tra le riconosciute circostanze attenuanti e le contestate aggravanti: esercizio che deve essere motivato nei soli limiti atti a far emergere in misura sufficiente il pensiero del giudice in ordine all'adeguamento della pena concreta alla gravità effettiva del reato ed alla personalità del reo.
Nella specie, del tutto legittimamente la Corte di merito aveva ritenuto ostativo al riconoscimento della prevalenza delle attenuanti generiche sulle plurime accertate aggravanti, la oggettiva gravità dei fatti e l'intensità del dolo manifestato dall'imputato: trattandosi di parametri considerati dall'art. 133 c.p., applicabile anche ai fini dell'art. 69 c.p., apprezzati come assorbenti o prevalenti su quelli di segno opposto, quali quello del formale stato di incensuratezza e del comportamento processuale collaborativo, peraltro già considerati dal giudice di primo grado ai fini della concessione delle attenuanti generiche (in senso conforme v., tra le diverse, Sez. 2, n. 3610 del 15/01/2014, Manzari, Rv. 260415).
1.2. Il secondo motivo del ricorso è manifestamente infondato.
Costituisce ius receptum nella giurisprudenza di legittimità il principio secondo il quale in materia di sostanze stupefacenti, ai fini del riconoscimento della fattispecie del fatto di lieve entità, di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5, e della conseguente determinazione della pena da infliggere in concreto in misura proporzionale all'offesa, il giudice, al fine di consentire alla Corte di cassazione il sindacato che le è proprio, deve fornire un'adeguata valutazione complessiva del fatto, considerando in particolare mezzi, modalità e circostanze dell'azione, oltre alla qualità e quantità della sostanza, perchè solo in questo modo è possibile formulare un concreto giudizio sulla lieve offensività del reato (così, tra le tante, Sez. 6, n. 38606 del 08/02/2018, Sefar, Rv. 273823).
Di tale principio la Corte di appello di Milano ha fatto corretta applicazione, sottolineando come non potesse considerarsi di lieve entità la condotta reiterata nel tempo che, nell'ambito di una prassi consolidata e cronologicamente prolungata, aveva visto come principale "punto di riferimento" proprio il T.: il quale, violando i doveri di assistente in servizio presso un istituto penitenziario minorile, si era prestato, sulla base di altrettanti accordi corruttivi, dunque a fini di lucro, a detenere, a trasportare all'interno di quell'istituto e a cedere sostanze stupefacenti di diversa natura a detenuti minorenni, che a tale struttura erano stati destinati per essere avviati un ben diverso percorso di crescita e di rieducazione.
Ciò senza che potesse condurre a differenti conclusioni la circostanza che in ciascuna di quelle occasioni l'ingresso in carcere avesse riguardato ridotti quantitativi di hashish o di marijuana, in quanto tale particolare era risultato coessenziale alla riuscita di ognuna di quelle iniziative illecite, posto che, oltre a presupporre l'ingresso clandestino delle sostanze in carcere, avevano visto come beneficiari soggetti che, ovviamente sottoposti a periodiche perquisizione, non avrebbero potuto conservare per lungo tempo le droghe che dovevano, invece, consumare in brevi lassi cronologici.
1.3. Anche il terzo motivo dell'atto di impugnazione del T. è del tutto privo di pregio.
E' espressione di un consolidato orientamento interpretativo, desumibile dalle decisioni di questa Corte, il principio secondo il quale in tema di reati contro la pubblica amministrazione, l'attenuante speciale prevista dall'art. 323-bis c.p. per i fatti di particolare tenuità, diversamente da quella comune di cui all'art. 62 c.p., comma 1, n. 4, ricorre quando il reato, valutato nella sua globalità, presenti una gravità contenuta: dovendosi a tal fine considerare non soltanto l'entità del danno economico o del lucro conseguito, ma ogni caratteristica della condotta, dell'atteggiamento soggettivo dell'agente e dell'evento da questi determinato (così, ex multis, Sez. 6, n. 8295 del 09/11/2018, dep. 2019, Santimone, Rv. 275091).
Di tale criterio ermeneutico la Corte periferica ha fatto buon governo, osservando come fosse irrilevante la sola entità delle somme di denaro che, quale prezzo del pactum sceleris, erano state ogni volta consegnate al T.: dovendosi al contrario considerare, per un verso, che questi, con un chiaro scopo di lucro, aveva asservito a quel fine scabroso la sua funzione, che istituzionalmente avrebbe dovuto perseguire la salvaguardia della salute di giovani detenuti che erano stati affidati a quella struttura; per altro verso, la circostanza che quella ben avviata attività delittuosa, che avrebbe potuto potenzialmente coinvolgere anche altri minori ospiti del medesimo istituto, era stata interrotta di certo non per una qualche forma di ravvedimento dei protagonisti, bensì per l'avvio delle penetranti indagini che erano state svolte dalle forze dell'ordine.
2. Anche i ricorsi presentati nell'interesse dei due G. sono inammissibili.
2.1. Il primo motivo dedotto dal solo T.V. e il secondo motivo comune ad entrambi gli atti di impugnazione, sono manifestamente infondati per le ragioni già esposte nei punti 1.2. e 1.3. con riferimento alla posizione del coimputato T., valide anche i due G. (apparendo del tutto irrilevanti gli ulteriori aspetti posti in luce dal loro difensore) e che, perciò, devono intendersi qui integralmente trascritte.
2.2. Il terzo motivo, anch'esso comune ai due ricorsi, è inammissibile perchè generico.
E' ben noto come non superi il vaglio preliminare di ammissibilità il motivo del ricorso per cassazione che risulti privo del requisito di specificità, in quanto deve sostanziarsi nella puntuale formulazione delle censure che la parte intende muovere in relazione ad uno o più punti determinati della decisione e nell'indicazione degli elementi che sono alla base delle censure medesime, al fine di consentire al giudice dell'impugnazione di individuare i rilievi mossi ed esercitare il proprio sindacato (così, tra le tante, Sez. 3, n. 5020 del 17/12/2009, Valentini, Rv. 245907).
Nel caso di specie, a fronte di una apparato argomentativo più che congruo, con il quale la Corte di appello aveva sottolineato come non vi fossero ragioni per porre in discussione il risultato della valutazione prognostica circa la pericolosità dei due G. - basata sui loro accertati plurimi, recenti e gravi precedenti penali - i ricorrenti si sono doluti, con una qual certa indeterminatezza, della mancata riformulazione di quel giudizio di pericolosità: laddove con l'atto di appello essi si erano limitati a sostenere che la recidiva non fosse configurabile nei termini contestati, formulando una doglianza alla quale i giudici di secondo grado avevano risposto in maniera adeguata, evidenziando come la recidiva fosse stata correttamente contestata ed accertata giusta il tenore dei loro certificati del casellario giudiziario.
2.3. Il quarto motivo, sostanzialmente comune ai due ricorsi, è manifestamente infondato.
Richiamate in questa sede le regole di giudizio già delineate nel punto 1.1., va rilevato come non siano affatto condivisibili le doglianze concernenti il bilanciamento tra circostanze e le scelte di dosimetria della pena, considerato che le decisioni adottate al riguardo dai giudici di merito (peraltro caratterizzate da un tendenziale contenimento delle pene, determinate in misura sempre prossima ai limiti edittali minimi) sono state espressamente motivate con riferimento alla obiettiva gravità dei fatti accertati e alla pessima personalità degli imputati: essendo pacifico in giurisprudenza che per giustificare l'esercizio di quei poteri discrezionali è sufficiente che il giudice prenda in considerazione anche uno solo degli elementi indicati dall'art. 133 c.p..
2.4. Non colgono nel segno il quinto e il sesto dei motivi sopra elencati, formulati nel ricorso del solo G.F.R., il quale - per vero con censure formulate in termini alquanto generici - ha sostenuto di non poter rispondere di un reato, quello di corruzione, che aveva visto come concorrenti necessari il T. ed i familiari in libertà, che con il primo avevano raggiunto, di volta in volta, l'accordo corruttivo: intesa rispetto al quale egli era professato estraneo, in quanto asseritamente mero destinatario-beneficiario dello stupefacente inviatogli dal fratello; avendo, dunque, tenuto una condotta che, al più, si sarebbe dovuta qualificare come di minima importanza.
Al riguardo, la Corte distrettuale, con motivazione completa e priva di lacune o segni di manifesta illogicità, aveva chiarito come, a fronte di un addebito di concorso in base al quale il pubblico ufficiale corrotto e i familiari di volta in volta corruttori erano stati chiamati a rispondere di quel reato, il G.F.R. dovesse considerarsi responsabile del medesimo illecito a titolo di concorso. Dalle captazioni ambientali eseguite durante le indagini, infatti, era risultato da un lato come il predetto, unitamente ad altro compagno di detenzione, avesse sollecitato e incoraggiato la definizione di quelle intese corruttive rivolgendo al T. specifiche richieste di introduzione anche di altri oggetti non consentiti all'interno dell'istituto ("...però devi farci uscire... un favore a noi... martedì devi fare un telefono, adesso ti sei messo apposto..."); e, da altro lato, come le singole operazioni fossero state concordate da entrambi i germani G., posto che durante le visite in carcere T.V. aveva informato il fratello detenuto di aver consegnato al T. (" P.") "quegli ottanta Euro", oltre "a cinquanta Euro" ad altro soggetto.
Elementi di conoscenza che - aveva, dal punto di vista logico, correttamente puntualizzato la Corte distrettuale - avevano contributo a qualificare in termini di oggettiva gravità le condotte di entrambi i fratelli e, dunque, a giustificare il diniego del riconoscimento dell'attenuante del contributo di minima importanza di uno dei due G..
3. Anche il ricorso presentato nell'interesse della imputata R. è inammissibile.
3.1. Il primo motivo è stato dedotto per fare valere ragioni diverse da quelle consentite dalla legge.
La sentenza impugnata ricostruisce in fatto la vicenda con motivazione esaustiva, immune da vizi logici e strettamente ancorata alle emergenze processuali e, in particolare, alla documentazione acquisita e agli esiti delle disposte intercettazioni: sicchè può ritenersi definitivamente acclarato che il concorso della R. nella commissione del reato di corruzione era stato dimostrato dal fatto che ella non solo si era preoccupata, assieme ad Bu.Al., di recuperare la droga da consegnare ogni volta all'assistente T. affinchè la portasse in carcere ai rispettivi fidanzati detenuti ( M.O. e P.N.); ma aveva anche raccolto, pure ricevendone parte dall'amica Bu., i soldi che, assieme ai suoi, aveva consegnato al T. per remunerarlo.
Anche nei casi in cui, in base all'accordo corruttivo, il denaro era stato materialmente consegnato al T. direttamente dal M., la R. ne era stata messa direttamente a conoscenza, fornendo preventivamente la propria disponibilità per la realizzazione di quel proposito delittuoso, con un ruolo di certo determinante in ragione dello stato di reclusione in cui si trovava il suo ragazzo.
I rilievi formulati al riguardo dalla ricorrente si muovono, dunque, nella prospettiva di accreditare una diversa lettura delle risultanze istruttorie e si risolvono in non consentite censure in fatto all'iter argomentativo seguito dalla sentenza di merito, nella quale, peraltro, vi è puntuale risposta a detti rilievi, in tutto sovrapponibili a quelli già sottoposti all'attenzione della Corte territoriale.
Nell'atto di impugnazione, lungi dal proporre un reale "travisamento delle prove", vale a dire una incompatibilità tra l'apparato motivazionale del provvedimento impugnato ed il contenuto degli atti del procedimento, è stata avanzata una ipotesi di "travisamento dei fatti" oggetto di analisi, sollecitando un'inammissibile rivalutazione dell'intero materiale d'indagine: discorso, questo, valido anche per l'interpretazione delle frasi usato dai soggetti interessati a quelle conversazioni intercettate, che è questione di fatto, rimessa all'apprezzamento del giudice di merito, che si sottrae al giudizio di legittimità se - come nella fattispecie è accaduto - la valutazione risulta logica in rapporto alle massime di esperienza utilizzate (Sez. 6, n. 17619 del 08/01/2008, Gionta, Rv. 239724).
Nè è riconoscibile la lamentata violazione della norma incriminatrice oggetto dell'imputazione, in quanto la soluzione privilegiata dai giudici di merito risulta conforme all'impostazione interpretativa che, in materia, questa Corte ha formulato: chiarendo come sia configurabile il concorso eventuale nel delitto di corruzione - reato a concorso necessario ed a struttura bilaterale - nell'ipotesi in cui quella del terzo, lungi dal concretizzarsi in una mera opera esecutiva, si sia risolta in un'attività di intermediazione finalizzata a realizzare una indispensabile funzione di connessione tra gli autori necessari. Intermediazione nella fattispecie consistita nell'avere la R. assunto stabilmente una funzione di collegamento tra il pubblico ufficiale e il fidanzato, in quel periodo detenuto in carcere (in questo senso, tra le diverse, Sez. 6, n. 24535 del 10/04/2015, Mogliani, Rv. 264124).
Discorso, questo, che è logicamente ineccepibile, senza che abbia rilevanza alcuna la circostanza che la R. non avesse percepito personalmente denaro o altra utilità per effetto della realizzazione di ciascuna di quelle intese corruttive, avendo ella agito non nell'interesse dell'agente pubblico corrotto, cui ella aveva consegnato ogni volta le somme di denaro, bensì nell'interesse esclusivo del privato corruttore.
3.2. Il secondo e il terzo motivo del ricorso sono manifestamente infondati per le ragioni innanzi tratteggiate nei punti 1.2. e 1.3., nell'esame di analoghe doglianze proposte da altro imputato, al cui contenuto è sufficiente far rinvio.
E' appena il caso di aggiungere come completa e convincente appaia la motivazione della sentenza gravata nella parte in cui è stato posto in risalto il ruolo tutt'altro che secondario avuto dalla R. nella vicenda de qua, avendo la stessa operato come indispensabile "punto di riferimento" in ciascuna di quelle operazioni illecite, svolto il fondamentale ruolo di materiale acquisizione della disponibilità delle sostanze stupefacenti poi consegnate al T., nonchè di raccolta e consegna del denaro allo stesso pubblico ufficiale quale corrispettivo per l'atto contrario ai doveri dell'ufficio da lui realizzato.
4. Segue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese del procedimento e di ciascuno a quella di una somma in favore della Cassa delle Ammende, che si stima equo fissare nella misura indicata in dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e ciascuno della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma, il 18 settembre 2020.
Depositato in Cancelleria il 25 settembre 2020