top of page

Corruzione: sulla consumazione del reato

Corruzione

Cassazione penale sez. VI, 07/10/2020, n.29549

In tema di corruzione, il compimento dell'atto da parte del pubblico ufficiale non appartiene alla struttura del reato e non assume rilievo ai fini della determinazione del momento consumativo, sicché, ove vi sia un solo accordo corruttivo che preveda una pluralità di atti da compiere, si configura un unico reato rispetto al quale gli atti posti in essere dal pubblico ufficiale costituiscono momenti esecutivi, che non danno luogo a continuazione, essendo quest'ultima ipotizzabile solo nel caso di pluralità di accordi corruttivi. (Fattispecie relativa a ripetute dazioni di danaro in favore di un agente di polizia penitenziaria, per remunerarlo delle periodiche consegne di beni non consentiti che egli operava in favore di alcuni detenuti, sulla base dell'intesa raggiunta con uno di essi).

Corruzione sistematica: messa a libro paga del funzionario pubblico come corruzione impropria

Corruzione: lo stabile asservimento del pubblico ufficiale ad interessi personali di terzi integra il reato di cui all'art. 318 c.p.

Corruzione propria: non è determinante che il fatto contrario ai doveri d'ufficio sia ricompreso nell'ambito delle specifiche mansioni del pubblico ufficiale

Corruzione per un atto contrario ai doveri di ufficio: condannato rappresentante farmaceutico che aveva corrisposto denaro ad un primario ospedaliero

Corruzione propria: sulla configurabilità del reato nei confronti di un parlamentare

Corruzione: non rileva il solo fatto che l'attività del pubblico ufficiale presenti margini più o meno ampi di discrezionalità

Corruzione in atti giudiziari: configurazione se il denaro è stato ricevuto per atto già compiuto

Corruzione: il compimento dell'atto da parte del pubblico ufficiale non fa parte della struttura del reato e non assume rilievo per la determinazione del momento consumativo

Corruzione propria: non occorre individuare esattamente l'atto contrario ai doveri d'ufficio

Corruzione: sulla applicabilità della confisca obbligatoria di cui all'art. 2641 c.c.

Corruzione propria: quando rileva lo stabile asservimento del pubblico ufficiale

Corruzione impropria: il nuovo art. 318 c.p. copre l'area della vendita della funzione in quelle situazioni in cui non sia noto il finalismo del suo mercimonio

Hai bisogno di assistenza legale?

Prenota ora la tua consulenza personalizzata e mirata.

 

Grazie

oppure

PHOTO-2024-04-18-17-28-09.jpg

La sentenza integrale

RITENUTO IN FATTO 1. Con la sentenza sopra indicata la Corte di appello di Napoli confermava la pronuncia di primo grado del 29 gennaio 2019 con la quale il Giudice dell'udienza preliminare del Tribunale della stessa città aveva condannato, all'esito di giudizio abbreviato, D.S.O. in relazione al reato di cui agli artt. 81,110,319 e 321 c.p., per avere, in più occasioni, fino a tutto il mese di gennaio del 2016, quale agente della polizia penitenziaria in servizio nel centro penitenziario di (OMISSIS), accettato da R.L., ivi detenuto, e poi ricevuto da altri soggetti che avevano operato per conto del R., la somma di 1.500 Euro mensili e di 500 Euro ad ordinazione, per compiere atti contrari ai doveri del suo ufficio consistiti nella consegna ai detenuti indicati dallo stesso R. di generi vari il cui ingresso all'interno del carcere non era consentito. Rilevava la Corte di appello come le attendibili dichiarazioni di vari collaboratori di giustizia e della madre del R., riscontrate anche dal rinvenimento di quei generi vietati nelle celle dei detenuti, avessero comprovato la responsabilità dell'imputato in ordine al reato contestatogli; e come il prevenuto non fosse meritevole del riconoscimento delle attenuanti generiche e di quella del lucro di speciale tenuità. 2. Avverso tale sentenza ha presentato ricorso il D.S., con atto sottoscritto dal suo difensore, il quale ha dedotto i motivi così sintetizzabili. 2.1. Vizio di motivazione, per avere la Corte territoriale erroneamente proceduto ad una valutazione frammentaria del materiale indiziario, senza considerare che gli accusatori dell'imputato avevano tutti riferito notizie apprese de relato da un'unica fonte (il R., che aveva negato di aver riferito alcunchè ai dichiaranti) e senza operare quella verifica graduale della attendibilità soggettiva, intrinseca ed estrinseca di quelle propalazioni. 2.2. Violazione di legge, in relazione all'art. 63 c.p.p., e vizio di motivazione, per avere la Corte distrettuale ingiustificatamente disatteso l'eccezione difensiva di inutilizzabilità delle dichiarazioni della P., sentita come teste quando emergevano già concreti elementi di reità in ordine al suo ruolo di corruttrice. 2.3. Violazione di legge, in relazione all'art. 521 c.p.p., per avere la Corte napoletana violato il principio di correlazione tra accusa e decisione, posto che a fronte di una contestazione molto precisa, ha poi condannato l'imputato sulla base di riferimenti fattuali generici e indefiniti, soprattutto in relazione alla pluralità di episodi corruttivi. 2.4. Violazione di legge, in relazione agli artt. 81 e 319 c.p., e vizio di motivazione, per avere la Corte campana omessi di chiarire quali fossero i plurimi episodi di corruzione dei quali il D.S. avrebbe dovuto rispondere, non essendo stata provata la pluralità di pattuizioni corruttive, non potendosi escludere che l'accordo illecito fosse stato unico. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Ritiene la Corte che il ricorso presentato nell'interesse di D.S.O. vada accolto, sia pur nei limiti e con gli effetti di seguito precisati. 2. Il primo motivo del ricorso è inammissibile per la genericità del suo contenuto. Il ricorrente si è doluto in maniera alquanto generica dei risultati della valutazione compiuta dalla Corte di merito in ordine alla attendibilità elle dichiarazioni accusatorie su cui la decisione di condanna era stata basata, ma ha omesso di confrontarsi con gli argomenti utilizzati dai giudici di appello i quali avevano operato un rinvio al contenuto della sentenza di primo grado, nella quale è presente una analitica e circostanziata analisi del contenuto delle dichiarazioni dei sei collaboratori che avevano accusato il D.S.: prima pronuncia nella quale era stato adeguatamente spiegato in quale specifico contesto fosse sorta la collaborazione dei predetti dichiaranti, tutti già dichiarati credibili in altri processi penali per le precise deposizioni rese in ordine alle vicende dei clan camorristici dei quali essi avevano ammesso di aver fatto parte; come le loro indicazioni dovessero considerarsi molto puntuali circostanziate, anche per i riferimenti a dettagli soggettivi della vita personale e familiare dell'accusato, dunque intrinsecamente attendibili: non essendo neppure sovrapponibili tra loro e potendosi escludere che fossero state il frutto di una concordata iniziativa calunniatrice, essendo pure irrilevante che la fonte delle loro conoscenza fosse in parte comune; e come le accuse fossero risultate riscontrate ab estrinseco dagli esiti dei riconoscimenti fotografici dell'accusato, degli accertamenti in ordine ai periodi e alla tipologia dei servizi prestati dal D.S. in quel carcere, nonchè dalla testimonianza di P.R., che aveva confessato di aver consegnato proprio all'imputato una somma di denaro ed un pacco di generi alimentari da far pervenire al figlio recluso. Non è, dunque, riconoscibile alcun vizio di motivazione, apparendo la motivazione delle decisioni dei giudici di merito immune da incongruenze e da fratture argomentative nella valutazione degli elementi di prova. 3. Il secondo e il terzo motivo del ricorso sono inammissibili, perchè, al di là della formale enunciazione, essi riguardano asserite violazioni di legge non dedotte con l'atto di appello. L'art. 606 c.p.p., comma 3, prevede, infatti, espressamente come causa speciale di inammissibilità la deduzione con il ricorso per cassazione di questioni non prospettate nei motivi di appello: situazione, questa, con la quale si è inteso evitare il rischio di un annullamento, in sede di cassazione, del provvedimento impugnato, in relazione ad un punto intenzionalmente sottratto alla cognizione del giudice di appello. 4. Il quarto e ultimo motivo del ricorso è, invece fondato. A fronte delle specifiche doglianze a suo tempo formulate dalla difesa con l'atto di appello, la Corte territoriale ha risposto con un'affermazione generica e apodittica, sostenendo che la prova della esistenza del contestato vincolo della continuazione tra più episodi corruttivi fosse stato dimostrato dall'accertata sussistenza di più accordi corruttivi, remunerati dal corruttore per ciascun episodio (v. pag. 7 sentenza gravata). Al contrario, dalla lettura della motivazione della sentenza del Giudice dell'udienza preliminare del Tribunale di Napoli si evince agevolmente che il R. aveva "stipendiato mensilmente il poliziotto" per consentire l'ingresso in carcere di generi non consentiti in suo favore o di suoi compagni (pag. 19) e che "l'agente di polizia penitenziaria (era) a disposizione di R.L." (pag. 23): giudice del primo grado che, nello stabilire il trattamento sanzionatorio, aveva sì operato un aumento sulla pena base "in relazione agli ulteriori episodi di corruzione commessi" (pag. 46), dopo però aver espressamente affermato che "nel periodo considerato" il R. aveva "concluso un vero e proprio accordo illecito" con il D.S. "per effetto del quale quest'ultimo si (era) adoperato per anni al fine di introdurre illegalmente nel reparto ove prestava servizio generi non consentiti, dietro promessa e/o versamento, di volta in volta, di somme di denaro" - pagg. 41-42). Deve, dunque, ritenersi violata la norma dell'art. 319 c.p. che, secondo il pacifico insegnamento di questa Corte di cassazione, va interpretato nel senso che in tema di delitto di corruzione il compimento dell'atto da parte del pubblico ufficiale non fa parte della struttura del reato e non assume rilievo per la determinazione del momento consumativo, sicchè se l'accettazione della promessa e la ricezione dell'utilità sono unitarie, nel senso che sono riconducibili alla stessa fonte, anche se in funzione di una pluralità di atti da compiere, il reato rimane unico e la plurima attività pubblica posta eventualmente in essere dal pubblico ufficiale corrotto non dà luogo alla continuazione del reato, che è legata soltanto alla pluralità delle pattuizioni (così, tra le altre, Sez. 6, n. 33435 del 04/05/2006, Battistella, Rv. 234358). La sentenza impugnata va, dunque, annullata senza rinvio limitatamente al riconoscimento della continuazione tra più episodi di corruzione propria, continuazione che va esclusa, con conseguente rideterminazione della pena finale inflitta nella misura indicata come "pena base" dal primo giudice. Alla cancelleria vanno demandati gli adempimenti comunicativi previsti dalla legge. P.Q.M. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente al riconoscimento della continuazione che esclude, e ridetermina la pena in anni quattro di reclusione. Manda alla cancelleria di eseguire le comunicazioni di cui all'art. 154 ter disp. att. c.p.p.. Così deciso in Roma, il 7 ottobre 2020. Depositato in Cancelleria il 23 ottobre 2020
bottom of page