RITENUTO IN FATTO
1. Con la sentenza impugnata, la Corte d'appello di Roma, in riforma della decisione di primo grado del 22.12.2021, ha rideterminato la pena inflitta nei confronti di Mo.Lu. in mesi 4 di reclusione, in relazione al reato di lesioni semplici con prognosi di un giorno (esclusa l'aggravante contestata e la recidiva), come indicato al capo B, unica imputazione residua (i delitti di atti persecutori e tentata estorsione continuata - capi A e C - sono stati esclusi sin dal primo grado), commesso ai danni di Cu.Om., una donna che aveva intrattenuto con l'imputato rapporti per via della sua attività di prostituta e nei confronti della quale il primo nutriva rivendicazioni che lo avevano portato ad aggredirla con calci il 2.8.2020.
2. Avverso la sentenza d'appello predetta ha proposto ricorso l'imputato, tramite il difensore di fiducia, deducendo quattro motivi di censura.
2.1. Con il primo motivo si denuncia violazione di legge e vizio di motivazione relativamente alla mancata applicazione della sanzione di inutilizzabilità, ai sensi dell'art. 526, comma 1 -bis cod. pen., delle dichiarazioni rese in fase di indagini dalla persona offesa, poi divenuta irreperibile, e sulle quali si è fondata la sentenza di condanna senza esaminarla in dibattimento nel contraddittorio con la difesa, da cui, anzi, la persona offesa-testimone si è sempre sottratta.
2.2. Il secondo argomento di censura eccepisce contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione della sentenza impugnata in relazione alla valutazione della gravità indiziaria ed alla sussistenza di un affidabile quadro di prova per affermare la colpevolezza del ricorrente. La difesa evidenzia l'incoerenza motivazionale delle sentenze di merito che, da un lato, hanno ritenuto che le dichiarazioni cartolari acquisite in atti fossero di contenuto scarno ed inidoneo a sostenere la condanna quanto ai due reati in relazione ai quali è stata, infatti, emessa sentenza di assoluzione, e, dall'altro, hanno condannato il ricorrente sulla base delle medesime dichiarazioni, valutate questa volta attendibili, solo perché accompagnate e sostenute da un certificato medico che, invece, non corrispondeva al tenore delle lesioni denunciate dalla vittima, poiché riferiva soltanto di una lievissima contusione e non di ematomi o ecchimosi, come ci si sarebbe atteso da un'aggressione che viene descritta condotta attraverso calci violenti.
2.3. La terza ragione di denuncia si duole della mancata riqualificazione del reato nella meno grave ipotesi di percosse prevista dall'art. 581 cod. pen., non essendosi riscontrate dal punto di vista medico, nel referto di pronto soccorso, ecchimosi o ematomi ma soltanto una contusione con un lieve rossore, tale da non poter essere considerata una "malattia" idonea a configurare la fattispecie di lesioni.
2.4. Infine, il quarto motivo di ricorso denuncia violazione di legge e manifesta illogicità della motivazione con riguardo all'art. 163 cod. pen. ed al diniego del beneficio della sospensione condizionale della pena, nonostante l'esclusione della recidiva ed il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, valutato l'unico precedente penale non preclusivo a tale ultima favorevole disposizione. Il ricorrente rappresenta la circostanza che si tratta di precedente risalente ed isolato, sottolineando anche come vi sarebbe stata necessità di operare una valutazione favorevole alla prognosi richiesta per la sospensione condizionale per l'età dell'imputato - 63 anni - e l'entità del reato commesso e della pena riportata.
3. Il Sostituto Procuratore Generale, Perla Lori, ha chiesto l'inammissibilità del ricorso, reiterativo di argomenti già superati dalla sentenza impugnata.
3.1. Il difensore del ricorrente ha depositato memoria in vista dell'udienza in cui, opponendosi alle conclusioni del PG, ribadisce le principali ragioni di ricorso, chiedendone l'accoglimento.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è infondato e tuttavia la sentenza va annullata limitatamente al trattamento sanzionatorio, divenuto illegale.
2. Il primo motivo è privo di pregio e deve essere rigettato.
2.1. Secondo la giurisprudenza di legittimità consolidata, le dichiarazioni predibattimentali acquisite ai sensi dell'art. 512 cod. proc. pen. possono costituire, conformemente all'interpretazione espressa dalla Grande Camera della Corte EDU con le sentenze 15 dicembre 2011, Al Khawaja e Tahery c/ Regno Unito e 15 dicembre 2015, Schatschaachwili c/ Germania, la base "esclusiva e determinante" dell'accertamento di responsabilità, purché rese in presenza di "adeguate garanzie procedurali", individuabili nell'accurato vaglio di credibilità dei contenuti accusatori, effettuato anche attraverso lo scrutinio delle modalità di raccolta, e nella compatibilità della dichiarazione con i dati di contesto (Sez. 2, n. 19864 del 17/4/2019, Mellone, Rv. 276531; Sez. 2, n. 15492 del 5/2/2020, C., Rv. 279148).
Sicuramente, ai fini della lettura e della utilizzabilità delle dichiarazioni predibattimentali rese da testimoni divenuti successivamente irreperibili, non è sufficiente l'infruttuoso espletamento delle ricerche previste dall'art. 159 cod. proc. pen., ma è necessario che il giudice compia tutti gli accertamenti sulla causa dell'irreperibilità, attraverso rigorose e accurate verifiche (Sez. 1, n. 14243 del 26/11/2015, dep. 2016, N, Rv. 266601; Sez. U, n. 27918 del 25/11/2010, dep. 2011, D. F., Rv. 250199).
Una volta, però, che il presupposto della imprevedibilità dell'irreperibilità in fase investigativa sia accertato, vale il principio di utilizzabilità delle dichiarazioni cartolari, anche come prova esclusiva e determinante, se accompagnate da adeguate garanzie procedurali, quali possono essere, come accaduto nel caso di specie:
a) la certificazione medica del tutto coerente con le dichiarazioni accusatorie, quanto alle circostanze di tempo e luogo ed alla tipologia di lesioni acclarate;
b) la testimonianza dibattimentale di una teste appartenente alla polizia giudiziaria, intervenuta a seguito dell'aggressione subita dalla persona offesa dichiarante, poi divenuta irreperibile, la quale aveva subito raccontato all'agente del dolore alla gamba per essere stata colpita dall'imputato, indicato immediatamente come l'autore della condotta di reato; inoltre, proprio in quel contesto di primo intervento, la polizia giudiziaria aveva chiamato l'ambulanza che aveva poi trasportato la vittima in ospedale, ove i medici, dopo averla visitata, avevano formulato la diagnosi riportata nel referto medico;
c) un'ulteriore testimonianza del titolare di un bar frequentato da vittima e imputato, che ha confermato l'aggressività di quest'ultimo nei confronti della persona offesa ed i rapporti critici tra i due.
2.2. La prevedibilità dell'irreperibilità è stata, peraltro, già esclusa dalla sentenza impugnata in modo ampiamente argomentato, avuto riguardo al fatto che la persona offesa fosse, all'epoca delle indagini, persona residente in Italia e della quale, all'esito della sua audizione, non vi erano elementi concreti per ritenere che si sarebbe allontanata dall'Italia nè per fondare un collegamento con il paese d'origine, che avrebbe potuto giustificare ricerche anche ivi, successivamente all'accertamento della sua irreperibilità. Il ricorso non si confronta effettivamente né specificamente con tali ragioni della sentenza d'appello, rivelando, sotto tale profilo, aspetti di genericità ed apoditticità delle censure, che si registrano anche con riguardo all'altro argomento agitato, vale a dire la scelta volontaria di sottrarsi al contraddittorio da parte della persona offesa-dichiarante. Ed infatti, anche sotto tale secondo aspetto, il ricorso sconta evidenti lacune di formulazione, poiché si limita a sostenere l'illegittimità delle acquisizioni ed utilizzazioni delle dichiarazioni ex artt. 512 e 526, comma 1 -bis, cod. proc. pen., evocando un irragionevole automatismo tra la mancata presentazione al processo della testimone-vittima e la scelta volontaria di sottrarsi al contraddittorio. In tal modo, il ricorso non si confronta con la giurisprudenza di questa Corte regolatrice, secondo cui è necessario che sia accertata la volontarietà dell'assenza del teste determinata da una qualsiasi libera scelta, ma anche non vi siano elementi esterni che escludano una sua libera determinazione (Sez. U, n. 27918 del 25/11/2010, dep. 2011, D. F., Rv. 250198). Tale secondo aspetto doveva essere tenuto in considerazione, quantomeno nelle prospettazioni difensive, per non incorrere nel vizio di genericità del motivo, mentre, invece, nel caso di specie, la difesa si è limitata ad invocare una sorta di automatismo tra l'assenza in dibattimento del teste e l'attribuibilità di essa alla sua scelta volontaria.
2. Il secondo motivo di ricorso è inammissibile perché rivalutativo e formulato secondo direttrici di censura "in fatto", non consentite in sede di legittimità, volte - in estrema sintesi - a sostenere tout court l'inidoneità del referto medico ospedaliero a configurare un riscontro dei contenuti delle dichiarazioni della persona offesa acquisite ed utilizzate. Si è, invece, già rappresentato, nell'esposizione del paragrafo precedente, che la sentenza impugnata ha ben ricostruito le ragioni, plurime e basate su elementi concreti, per le quali ha ritenuto il certificato medico acquisito coerente con il sostegno ai contenuti di dettaglio delle dichiarazioni cartolari utilizzate per fondare l'affermazione di responsabilità del ricorrente.
3. Anche il terzo motivo è infondato.
Il ricorrente sostiene che la fattispecie andava riqualificata nella meno grave ipotesi di reato (percosse) prevista dall'art. 581 cod. pen., non essendosi riscontrate dal punto di vista medico, nel referto di pronto soccorso, ecchimosi o ematomi ma soltanto una contusione con un lieve rossore, tale da non poter essere considerata una "malattia" idonea a configurare la fattispecie di lesioni.
La doglianza non tiene conto della giurisprudenza di questa Corte regolatrice, che si è più volte occupata, nel corso degli anni, della distinzione tra i reati di lesioni e percosse, indicando i criteri distintivi e i caratteri di tipicità essenziali di ciascuno.
Ebbene, i reati di percosse e di lesioni personali volontarie hanno in comune l'elemento soggettivo, che consiste nella volontà di colpire taluno con violenza fisica, mentre differiscono nelle conseguenze della condotta, atteso che le lesioni superano la mera ed eventuale sensazione dolorosa tipica delle percosse, determinando un'alterazione delle normali funzioni fisiologiche dell'organismo, che richiede un processo terapeutico e specifiche cure mediche (Sez. 2, n. 22534 del 21/9/2019, Arredondo, Rv. 275422).
Più specificamente, il reato di percosse è caratterizzato da una condizione negativa, vale a dire che la violenza non abbia cagionato, al di fuori di una eventuale sensazione dolorosa, effetti patologici costituenti malattia e cioè non si siano prodotte alterazioni organiche o funzionali sia pure di modesta entità; pertanto, nel caso in cui, a seguito delle percosse subite, la vittima riporta un trauma contusivo, che determini una alterazione delle normali funzioni fisiologiche dell'organismo della parte lesa, da richiedere un processo terapeutico con specifici mezzi dì cura e appropriate prescrizioni mediche, si configura il delitto di lesioni volontarie (Sez. 1, n.7388 del 11/6/1985, Bellomo, Rv. 170189).
La contusione, dunque, o il trauma contusivo che dir si voglia (nella contestazione di reato a carico dell'odierno ricorrente si fa riferimento al "trauma" al terzo inferiore gamba sinistra), rientra nel novero di quelle alterazioni della normale fisiologia corporea, che impongono un percorso di cura.
Il Collegio ribadisce, pertanto, che la contusione, in quanto alterazione anatomica e funzionale dell'organismo, costituisce malattia ai sensi dell'art. 582 cod. pen. (Sez. 7, ord. n. 29786 del 31/5/2016, Ferro, Rv. 268034).
4. La quarta ragione di ricorso è rivalutativa e inammissibile poiché la Corte d'appello ha già evidenziato - del tutto legittimamente, seguendo la giurisprudenza di legittimità -come il precedente penale ritenuto non ostativo a concedere le circostanze attenuanti generiche, in considerazione della lieve entità delle lesioni, diveniva invece ostacolo alla prognosi di una favorevole valutazione sulla capacità dell'imputato di astenersi dal commettere altri reati, durante il periodo di eventuale, concessa sospensione della sanzione.
Ed invero, non sussiste incompatibilità tra il diniego delle circostanze attenuanti generiche e la concessione della sospensione condizionale della pena, o viceversa, avendo i due istituti diversi presupposti e finalità, in quanto il riconoscimento delle prime risponde alla logica di un'adeguata commisurazione della pena, mentre la concessione della seconda si fonda su un giudizio prognostico strutturalmente diverso da quello posto a fondamento delle attenuanti generiche (Sez. 4, n. 27107 del 15/9/2020, Tedesco, Rv. 280047; Sez. 4, n. 39475 del 16/2/2016, Tagli, Rv. 267773; Sez. 1, n. 6603 del 24/01/2008, Stumpo, Rv. 239131).
La sospensione condizionale, infatti, si basa sulla prospettiva probabilistica che l'imputato si asterrà in futuro dalla commissione di ulteriori reati, che è valutazione del tutto scollegata dal considerare la personalità del reo, ai fini della proporzionalità e dell'adeguatezza della pena nel contesto valutativo generale proprio delle attenuanti ex art. 62-bis cod. pen.
Dal canto suo, la valutazione sull'accessibilità del condannato al beneficio ex art. 163 cod. pen., è orientata, invece, a prevenire, in funzione condizionale e quindi disincentivante, la commissione di ulteriori attività criminose e perciò a dar rilievo al numero, oltre che alla gravità, dei precedenti, in un giudizio probabilistico in cui non può essere indifferente la propensione a delinquere (Sez. 3, n. 12828 del 18/10/1999, Dal Pont, Rv. 215636).
5. Il trattamento sanzionatorio risulta, invece, illegale e, pertanto, la sentenza, limitatamente a tale aspetto decisorio, deve essere annullata, con rinvio per nuovo giudizio ad altra Sezione della Corte d'Appello di Roma. Il ricorso, per le ragioni già esposte, andrà complessivamente rigettato nel resto.
In seguito, infatti, all'entrata in vigore del D.Lgs. n. 150 del 2022 ed alle modifiche dell'art. 582 cod. pen., la competenza per materia in ordine al delitto di lesioni personali procedibili a querela appartiene al giudice di pace sia nei casi di malattia di durata inferiore ai venti giorni che in quelli in cui la durata della malattia sia superiore a venti giorni e non ecceda i quaranta (cfr., da ultimo, la notizia di decisione delle Sezioni Unite del 14/12/2023).
Tale modifica della competenza per materia determina l'illegalità della pena, per la sopravvenuta previsione più favorevole che impone oggi l'applicazione di una delle pene, più miti, stabilite dal sistema sanzionatorio facente capo all'art. 52 del D.Lgs. n. 274 del 2000 (cfr. anche, in tema, Sez. U, n. 38809 del 31/3/2022, Miraglia, Rv. 283689).
5.1. Deve essere disposto, altresì, che siano omesse le generalità e gli altri dati identificativi, a norma dell'art. 52 D.Lgs. n. 196 del 2003, in quanto imposto dalla legge.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata, limitatamente al trattamento sanzionatorio, con rinvio per nuovo giudizio sul punto ad altra Sezione della Corte d'Appello di Roma. Rigetta nel resto il ricorso.
In caso di diffusione del provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi a norma dell'art. 52 del d. Igs. 196 del 2003 in quanto imposto dalla legge.
Così deciso il 13 novembre 2023.
Depositata in Cancelleria il 12 febbraio 2024.