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Misure cautelari: il fattore tempo (quando è rilevante l'arco temporale) diviene quindi un elemento distonico rispetto alla presunzione di perdurante pericolosità dell'indagato

Misure cautelari personali

Cassazione penale sez. VI, 17/01/2024, n.2112

Il fattore tempo (quando è rilevante l'arco temporale) diviene quindi un elemento distonico rispetto alla presunzione di perdurante pericolosità dell'indagato, destinato pertanto ad essere potenzialmente idoneo a vincere la suddetta presunzione.

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La sentenza integrale

FATTI DI CAUSA 1. Con la ordinanza in epigrafe indicata, il Tribunale di Catanzaro rigettava la richiesta di riesame proposta da Ta.Be. avverso l'ordinanza del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Catanzaro che gli aveva applicato la misura della custodia cautelare in carcere in ordine ai reati di cui ai capi 1), 58) e 59) della rubrica provvisoria. L'indagato Ta.Be. era ritenuto gravemente indiziato della partecipazione, con condotta perdurante, alla cosca 'ndranghetista, articolazione 'ndrina di S, nonché della detenzione illecita e della messa in vendita in data 19 luglio 2015 di una pistola cal. 40, aggravate dalla finalità di agevolazione mafiosa. 2. Avverso la suddetta ordinanza hanno proposto ricorso per cassazione difensori dell'indagato, denunciando i motivi di annullamento, di seguito sintetizzati conformemente al disposto dell'art. 173 disp. att. cod. proc. pen. 2.1. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione agli artt. 294,391,180,185 cod. proc. pen. e alla nullità dell'interrogatorio di garanzia. Il Giudice della convalida del fermo non si è pronunciato all'udienza del 12 maggio 2023 sulle eccezioni di nullità dell'interrogatorio, sollevate dalla difesa in ordine, in ragione sia dell'impossibilità di accedere agli atti posti a sostegno della misura (la notifica del decreto di fissazione dell'udienza era avvenuta la sera prima in un orario in cui gli uffici del Tribunale erano chiusi) sia della omessa contestazione degli elementi posti alla base delle imputazioni. 2.2. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione agli artt. 1, 2 e 7 I. n. 895 del 196 7, 273, 192, 292, 125 cod. proc. pen. Ai capi 58) e 59) è stata contestata al ricorrente con la misura cautelare la detenzione e messa in vendita di un'arma comune da sparo in data 19 luglio 2015. Il Tribunale non ha affrontato le questioni avanzate dalla difesa della natura soltanto "parlata" della detenzione dell'arma (in quanto risultante da una conversazione captata) e del dubbio espresso dall'interlocutore del Ta.Be. sull'esistenza dell'arma (tanto che la difesa aveva dedotto che poteva trattarsi di sola vanteria del ricorrente circa il possesso dell'arma da porre in vendita). 2.3. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all'art. 416-bis.1 cod. pen. e agli artt. 125,192 cod. proc. pen. Quanto all'aggravante mafiosa, ritenuta nella forma dell'agevolazione per i reati relativi alla pistola, il Tribunale ha offerto una risposta illogica e contraddittoria rispetto alle censure difensive e allo stesso tenore del compendio investigativo (dalla conversazione captata era emerso che l'arma era adatta alla caccia piuttosto che alle esigenze del clan mafioso). Il Tribunale in modo apodittico ha definito l'arma in questione "inutile" rispetto all'uso venatorio e comunque non ha dimostrato l'elemento psicologico dell'aggravante. In ogni caso, il Tribunale non ha spiegato perché l'arma non potesse essere detenuta per finalità personali (essendo il ricorrente già stato vittima di un grave agguato). La difesa aveva eccepito l'erroneità del ragionamento circolare assunto dal Giudice per le indagini preliminari, secondo cui l'intraneo ad una cosca commette i reati sempre a vantaggio di quest'ultima. Il Tribunale avrebbe dovuto motivare sulla possibilità del clan di impiegare quell'arma e se ne avesse avuto contezza, anche da parte dei suoi sodali. 2.4. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all'art. 416-bis cod. pen. e agli art. 273,125,192,292 cod. proc. pen. Il Tribunale ha motivato la gravità indiziaria per il reato associativo facendo leva su elementi inesistenti agli atti di causa o comunque indimostrati: la locazione da parte di An.Ga. di un terreno adiacente alla masseria della famiglia Ta.Be., che sarebbe connessa alla causale dell'omicidio del An.Ga.; la disputa relativa a tale terreno; la mera appartenenza alla famiglia Ta. In modo viziato il Tribunale ha inoltre utilizzato le dichiarazioni dei collaboratori. Le dichiarazioni di Al. sono de relato e non è stata valutata la credibilità ed attendibilità della fonte primaria, né sono individuati riscontri e verificata la qualità dei fatti appresi da terzi e poi riferiti. Le dichiarazioni dei collaboratori in ogni caso non si riscontrano tra loro e vi sono anche riscontri negativi (la causale dell'omicidio di Mi.Ta., che il Tribunale ha individuato nella sparizione di An.Ga., è collegata invece da Ma. a furti perpetrati dalla vittima; mentre Ma. aveva soltanto riferito, in termini congetturali e deduttivi e comunque senza riscontri, che in relazione all'omicidio c'era la mano di Pa.Pi.). In tal senso la difesa aveva dedotto davanti al Riesame. Prive di riscontri sono anche le propalazioni de relato di Ma. con riferimento alla fine delle ostilità, sancita da Pa.Pi. insieme al padre del ricorrente. Il Tribunale ha omesso inoltre di rispondere alla deduzione su una prova decisiva riguardante la captazione registrata immediatamente dopo l'omicidio Ta.Be. che escludeva un conflitto familiare. Quanto alla captazione che dimostrerebbe il rancore del ricorrente nei confronti del Pa.Pi., la difesa aveva eccepito che il colloquiante non fosse il ricorrente che aveva in uso altra utenza telefonica e che non erano state chiarite le modalità di riconoscimento del ricorrente. Il Tribunale non ha risposto, basandosi quindi su una informazione (la identificazione del ricorrente) inesistente e su una motivazione illogica. Con riferimento a tale captazione la difesa aveva anche eccepito che non fosse emerso il nome del Pa.Pi. dalla conversazione e su tale punto il Tribunale non ha motivato. In modo illogico il Tribunale ha ricostruito l'episodio dell'agguato subito dal ricorrente dopo la sua scarcerazione del 2008: dal mero arresto del 2007 per il possesso di una pistola con matricola abrasa e di uno scooter rubato si è desunto che egli stesse pianificando una risposta all'omicidio del fratello Mi.Ta. Tra l'altro il collaboratore Ma. aveva dichiarato di aver appreso dal ricorrente che la causale dell'agguato era connessa ad una relazione amorosa. Anche in tal caso il Tribunale non ha risposto alle eccezioni della difesa. Quanto ai colloqui in carcere che avrebbero riscontrato la ricostruzione accolta dal Tribunale (l'agguato del ricorrente era collegato alla struttura criminale di S; Fo.Ta. aveva avuto un incontro pacificatore con il vertice della struttura criminale), il Tribunale ha ritenuto che ad essi avesse partecipato Fo.Ta. Si tratta di informazione inesistente. La difesa aveva dedotto che quelle di Ro.Ta. fossero mere illazioni, essendo lui detenuto; che dalla conversazione non emergeva mai il riferimento al Pa.Pi. Il Tribunale non ha motivato sul punto. In modo contraddittorio, il Tribunale prima ha affermato che Mi.Ta. è stato ucciso perché si era recato dai vertici della struttura criminale e parimenti era accaduto al ricorrente che era stato gambizzato; per poi ricostruire l'agguato teso al ricorrente come risposta al possesso della pistola e dello scooter, quali segnali di una finalità vendicativa. In ogni caso, il Tribunale non ha motivato sulla eccezione difensiva secondo cui dalla captazione non emergeva la circostanza dell'incontro del ricorrente con i vertici della struttura criminale. Parimenti non è presente nella conversazione captata in carcere della madre del ricorrente l'avvenuto incontro pacificatore tra Fo.Ta. e il Pa.Pi. Viziata è anche la motivazione dell'ordinanza là dove ha affermato che l'inserimento del ricorrente nella struttura criminale sia stata confermata dai collaboratori Ma., Mo., Ma. e Lo. Ma., come dedotto in sede di riesame, ha confuso tra loro i fratelli Ta.Be. e con riferimento al ricorrente non lo ha individuato come un intraneo al sodalizio. Anche Mo., Ma. e Ar. non hanno dichiarato nulla sulla intraneità del ricorrente e il Tribunale ha desunto che egli fosse un associato dal solo fatto che lo avevano indicato come trafficante di stupefacenti. In ogni caso non è indicato dal Tribunale il ruolo specifico assunto dal ricorrente nella associazione. 2.5. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all'art. 416-biscod. pen. e agli art. 125,292 cod. proc. pen. Difettano nella motivazione gli elementi costitutivi della partecipazione all'associazione mafiosa, come delineati dalle Sezioni Unite Modaffari del 2021, in quanto non è dimostrato alcun ruolo funzionale alla vita associativa ricoperto dal predetto e la compenetrazione bilaterale del ricorrente nella struttura associativa. 2.6. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione agli art. 274,275,292 cod. proc. pen. Il Tribunale non ha risposto sia alla deduzione sulla incompatibilità carceraria del ricorrente a causa del suo grave handicap, non motivando sulle esigenze di eccezionale rilevanza che legittimerebbero il ricorso alla misura carceraria; sia alla richiesta di perizia per verificare il suo status; sia infine alla lontananza temporale ("tempo silente") dei fatti a lui ascritti (risalenti al più tardi al 2015). 3. Disposta la trattazione scritta del procedimento, ai sensi dell'art. 23, comma 8, del d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, conv. dalla I. 18 dicembre 2020, e succ. modd., in mancanza di richiesta nei termini ivi previsti cli discussione orale, il Procuratore generale e la difesa hanno depositato conclusioni scritte, come in epigrafe indicate. La difesa ha anche replicato alle richieste della Procura generale con riferimento alla gravità indiziaria per il reato associativo e per la aggravante mafiosa. RAGIONI DELLA DECISIONE 1. Il ricorso è fondato nei termini e nei l1imiti che seguono. 2. Il primo motivo è inammissibile, in quanto manifestamente infondato. Il Tribunale ha infatti chiarito che la nullità dell'interrogatorio in sede di convalida del fermo non veniva ad inficiare la validità della ordinanza cautelare, secondo il consolidato orientamento di legittimità. È infatti principio pacifico che la nullità dell'interrogatorio di garanzia in sede di udienza di convalida dell'arresto (o del fermo) non determina la nullità dell'ordinanza che dispone la misura della custodia cautelare, essendo quest'ultima un provvedimento distinto ed autonomo rispetto a quello di convalida, ma determina esclusivamente la necessità di compiere un valido interrogatorio nel termine previsto dall'art. 294 cod. proc. pen., a pena di inefficacia della misura (tra tante, Sez. 6, n. 29214 del 06/07/2021, Rv. 281826). Sotto altro profilo, va osservato che nel caso in esame il provvedimento di convalida non risulta impugnato, mentre il vizio di nullità dell'interrogatorio doveva essere dedotto con l'impugnazione della decisione sulla convalida, in assenza della quale deve ritenersi sanato (cfr. Sez. 1, n. 430 del 18/10/2022, dep. 2023, Rv. 283861; Sez. 1, n. 5675 del 08/01/2019, Rv. 274973; principio desumibile anche da Sez. U, n. 36212 del 30/09/2010, G., Rv, 247939). 3. Anche le censure versate nel secondo, quarto e quinto motivo, relative alla gravità indiziaria per i reati oggetto di contestazione cautelare, sono inammissibili. Il ricorrente denuncia infatti molteplici "omesse" risposte o risposte contraddittorie o illogiche alle questioni sollevate con il riesame. Ebbene, come si avrà modo di precisare, il Tribunale ha affrontato tutte le questioni evidenziate dal ricorrente, sia rigettandole in modo diretto sia dimostrando di averle prese in considerazione nello sviluppo argomentativo dell'ordinanza. In questa prospettiva, le doglianze proposte finiscono per essere meramente reiterative e aspecifiche. Quanto ai dedotti vizi della motivazione, il ricorrente denuncia vizi logici o in forma generica (anche in punto di rilevanza) o comunque prima facie inesistenti (la motivazione sarebbe illogica sol perché il Tribunale ha fornito una diversa lettura del materiale investigativo rispetto a quella ipotizzata dalla difesa). 3.1. Quanto in particolare alle censure relative ai capi 58) e 59) (detenzione e messa in vendita di un'arma comune da sparo), i rilievi difensivi si presentano aspecifici, in quanto meramente reiterativi di questioni affrontate dal Tribunale. Il Tribunale ha infatti spiegato, da pag. 6 a pag. 9 dell'ordinanza impugnata, il valore indiziante della conversazione captata intercorsa tra il ricorrente, Fa.Ma. e Ro.Ga. - nella quale i primi due avevano intavolato nel dettaglio una trattativa per la permuta della pistola cal. 40 del ricorrente con una pistola del Fa.Ma. cal. 7,65, oltre al versamento di una somma di danaro -facendo leva sulle conversazioni di seguito intervenute, nelle quali il Gaç1liardi e il Fa.Ma. avevano commentato la trattativa appena conclusa, evidenziando la vantaggiosità della proposta del Fa.Ma. rispetto alle pretese del ricorrente. In tal modo, il Tribunale ha dimostrato la serietà e la concretezza della trattativa, che veniva ad escludere quindi la mera millanteria o la ipotizzata inesistenza dell'arma. 3.2. Le doglianze relative alla partecipazione del ricorrente al reato associativo contenuti nel quarto e quinto motivo finiscono anch'esse per riproporre, con argomentazioni in molti tratti generiche, i profili critici dell'ordinanza genetica sollevati in sede di riesame e adeguatamente affrontati dal Tribunale. 3.2.1. Quanto alle fonti dichiarative utilizzate, il Tribunale ha invero ritenuto che, al di là delle dedotte inesattezze del narrato dei collaboratori (in questa sede meramente riproposte), vi era una sostanziale uniformità delle loro propalazioni su alcuni "fatti specifici", rilevanti nella ricostruzione della vicenda cautelare, quali l'omicidio del An.Ga., nipote del vertice della struttura criminale Pa.Pi., avvenuto nel 2005, e il tentato omicidio ai danni del ricorrente, avvenuto nell'ottobre 2008, ovvero due significativi eventi inseriti nelle dinamiche criminali mafiose di contrapposizione tra componenti della famiglia Ta.Be. e il Pa.Pi. La convergenza del loro narrato su questi fatti consentiva di superare anche i rilievi difensivi sulla credibilità e attendibilità dei collaboratori e delle fonti delle loro informazioni, nonché la dedotta assenza di riscontri esterni delle loro dichiarazioni su altre vicende. Quanto poi alla captazione del 2007, che dimostrerebbe il rancore del ricorrente nei confronti del Pa.Pi., la difesa ripropone l'eccezione sollevata davanti al Riesame, sostenendo di non aver ricevuto adeguata risposta: il Tribunale invece a pag. 3 ha adeguatamente affrontato la questione, evidenziando come la figura del Pa.Pi. emergesse dal riferimento dei colloquianti al soggetto sulla "sedia a rotelle", ovvero da una circostanza risultante in modo univoco dal compendio indiziario (segnatamente dalle propalazioni dei collaboratori e dalle captazioni, tanto da nominarlo "carrozzina"). In ordine alla ricostruzione dell'episodio dell'agguato subito dal ricorrente dopo la sua scarcerazione del 2008, il ricorrente avanza critiche aspecifiche e parcellizzanti: il Tribunale ha infatti fatto leva sui chiari riscontri venuti dalle conversazioni dei familiari del ricorrente, registrate in carcere a soli due giorni dall'episodio criminoso, per confermarne la causale e la matrice. Quanto poi alla dedotta informazione "inesistente" utilizzata dal Tribunale nella lettura di tali dialoghi captati (la partecipazione ad essi di Fo.Ta.), il ricorrente non spiega come tale dato - quant'anche inesistente - venga a travolgere la motivazione della ordinanza impugnata, posto che i dialoghi valorizzati e riportati dal Tribunale in motivazione vedono come interlocutori Ro.Ta., detenuto in carcere, Vi.Bu. e la madre del ricorrente. Sempre con rifermento a tali dialoghi, il ricorrente avanza rilievi aspecifici, in quanto il Tribunale ha posto ben in evidenza come la ricostruzione dell'agguato fornita dal detenuto Ro.Ta. non fosse una mera illazione, risultando confermata sia dalle parole del Vi.Bu. sia della madre del ricorrente; come la matrice mafiosa dell'agguato emergesse dal riferimento di Ro.Ta. a "(Omissis)" e alle sue intenzioni ritorsive contro tale struttura; come la strategia pacifista di Fo.Ta. (che aveva "bloccato" la vendetta ad opera del figlio) avesse dato esiti negativi. Non si rinviene inoltre alcuna contraddizione logica nella ricostruzione della causale dell'agguato subito dal ricorrente nel 2008: il Tribunale ha infatti spiegato che l'avvenimento del 2007 (l'arresto del ricorrente in possesso di una pistola con matricola abrasa e di uno scooter rubato) avesse reso soltanto "cosciente" la struttura criminale delle intenzioni ritorsive del ricorrente dopo la morte del fratello Mi.Ta. Non colgono neppure nel segno le eccezioni difensive in ordine alla mancata prova dell'incontro tra il ricorrente e la struttura criminale e dell'incontro "pacificatore" tra Fo.Ta. e il Pa.Pi.: invero il dato rilevante emergente dai dialoghi captati era costituto dal collegamento dell'agguato subito dal ricorrente alla struttura criminale e ai conflitti insorti tra questa e i Ta.Be., nonostante la strategia di pacificazione seguita dal loro capostipite. Quanto alle critiche relative al portato delle dichiarazioni dei collaboratori per la dimostrazione dell'inserimento del ricorrente nella struttura criminale, il ricorrente, ancora una volta, attacca in modo aspecifico la motivazione della ordinanza impugnata. Come si è già detto, il nucleo comune delle loro dichiarazioni utilizzato dal Tribunale riguardava i citati episodi specifici. 3.2.2. Il Tribunale ha anche fornito una risposta non censurabile in questa sede in ordine alla conclusione della partecipazione del ricorrente all'associazione mafiosa. Infatti, dagli elementi valorizzati dal Tribunale era emersa l'intraneità del ricorrente, che, come ha spiegato la giurisprudenza citata dallo stesso ricorrente (Sez. U, n. 36958 del 27/05/2021, Modaffari), deve consistere nel "fattivo inserimento" dell'associato nell'organizzazione criminale, che può essere dimostrato attraverso "indici rivelatori", tra i quali in particolare assume particolare rilevanza, in ragione della indubbia autoevidenza della prova dell'organicità del singolo, il compimento di attività causai mente orientate a favore dell'associazione. Partecipe dell'organizzazione criminale è infatti l'affiliato che "prende parte" attiva al fenomeno associativo: la partecipazione implica un'attivazione fattiva a favore della consorteria che attribuisca dinamicità, concretezza e riconoscibilità alla condotta che si sostanzia nel "prendere parte". È quindi necessario verificare quale sia stato il "contributo" reso dal partecipe alla vita dell'organizzazione criminosa anche in forme atipiche (che può assumere carattere sia materiale che morale ed essere ricostruito anche in via indiziaria): deve trattarsi di un qualsivoglia "apporto concreto", sia pur minimo, ma in ogni caso riconoscibile, alla vita dell'associazione, tale da far ritenere avvenuto il dato dell'inserimento attivo con carattere di stabilità e consapevolezza oggettiva. A tali coordinate esegetiche si è attenuta l'ordinanza impugnata, avendo tratto dalla vicenda dell'agguato subito dal ricorrente la dimostrazione del ruolo partecipativo del ricorrente, non tanto per essere stato vittima di una azione ritorsiva del clan, ma perché gli stessi parenti nei colloqui in carcere avevano evidenziato da un lato come tale azione fosse collegata proprio ad una iniziativa assunta dal ricorrente nel conflitto tra le articolazioni mafiose e dall'altro come il ricorrente fosse in grado di porre in atto azioni cruciali nelle dinamiche mafiose (la vendetta per l'omicidio del fratello Mi.Ta.). 4. Fondato è invece il motivo sulla aggravante mafiosa riferita ai delitti concernenti la pistola. Su tale punto l'apparato argomentativo del provvedimento impugnato appare gravemente deficitario. Il Tribunale ha ritenuto sufficiente, per dimostrare la ricorrenza dell'aggravante mafiosa nella forma agevolativa, il coinvolgimento del ricorrente in episodi significativi dei contrasti mafiosi (in particolare l'agguato armato che lo aveva gravemente menomato) e la esclusione della finalità venatoria dell'arma, stante la sua particolare offensività e le menomate condizioni fisiche del ricorrente. Tale conclusione si fonda essenzialmente su un ragionamento che viene a valorizzare il ruolo di partecipe del ricorrente al sodalizio criminale, finendo per desumere la finalità agevolativa, con una sorta di automatismo inferenziale, da ogni attività illecita commessa dal predetto - che a posteriori risulti in qualche modo utile al sodalizio. Viepiù non considerando che tale attivitè1 è stata commessa dal ricorrente in un'epoca (2015) molto distante nel tempo dalle manifestazioni del ruolo partecipativo che avrebbero giustificato la destinazione dell'arma ad un uso difensivo - offensivo nelle dinamiche associative (2008). Inoltre, per l'integrazione dell'aggravante in parola, occorre in ogni caso dimostrare la presenza del dolo specifico o intenzionale in uno dei partecipi, ovvero la finalità di agevolare l'attività dell'associazione di tipo mafioso. Essenziale alla configurazione del dolo intenzionale è la volizione da parte dell'agente, tra i motivi della sua condotta (non necessariamente quindi esclusivi), della finalità considerata dalla norma (Sez. U, n. 8545 del 19/12/2019, dep. 2020, Chioccini, in motivazione). Manca, dunque, una adeguata spiegazione in ordine alla sussistenza della aggravante in esame. 5. Fondato nei termini che seguono è anche il motivo sulle esigenze cautelari. Quanto alle condizioni di salute, è principio pacifico che la previsione di cui all'art. 299, comma 4-quater, cod. proc. pen., in tema di accertamenti medici sulle condizioni di salute dell'indagato detenuto, attiene esclusivamente alla procedura della revoca o sostituzione della misura cautelare, discipl1 nata dall'art. 299 medesimo, e non è estensibile in via analogica al procedimento di riesame di una misura cautelare di cui all'art. 309 cod. proc. pen. (in motivazione la Corte ha evidenziato che tale preclusione, non deriva dai limiti devolutivi dell'impugnazione, che non operano in materia di riesame, quanto piuttosto dal fatto che l'ordinamento ha previsto uno specifico mezzo per far valere le situazioni sopravvenute che impongano la revoca o modifica della misur21 per incompatibilità con il regime detentivo). (Sez. 2, n. 13624 ciel 18/02/2021, Rv. 281032). Carente è invece la risposta fornita dal Tribunale sulla questione della attualità delle esigenze cautelari. L'ordinanza impugnata, pur a fronte della mancanza di manifestazioni positive di pericolosità del ricorrente per periodo di tempo molto lunga, ha ritenuto che la presunzione relativa di sussistenza delle esigenze cautelari, di cui all'art. 275, comma 3, cod. proc. pen., non potesse essere superata in ragione sia del ruolo apicale del ricorrente - che escludeva un allontanamento o ripensamento della condotta partecipativa - sia della partecipazione ad una mafia c.d. "storica", con condotta perdurante, non emergendo né dagli atti né dalle allegazioni del ricorrente elementi positivi relativi alla rescissione del vincolo associativo. Quanto al ruolo apicale, la motivazione è assertiva, posto che né l'imputazione cautelare né dall'esposizione dei gravi indizi emerge un siffatto ruolo del ricorrente. Con riferimento alla partecipazione ad una mafia storica, il Tribunale ha fatto applicazione di un orientamento di legittimità (da ultimo, Sez. 5, n. 36389 del 15/07/2019, Rv. 276905), secondo cui, ai fini del superamento della presunzione relativa di sussistenza delle esigenze cautelari di cui all'art. 275, comma 3, cod. proc. pen. con riferimento alle associazioni mafiose storiche o comunque caratterizzate da particolare stabilità, ritiene necessaria la dimostrazione del recesso dell'indagato dalla consorteria, non rilevando, ai fini dell'attualità delle esigenze cautelari, la distanza temporale tra l'applicazione della misura ed i fatti contestati, la cui possibile rilevanza è, invece, ammessa in relazione alle associazioni mafiose non riconducibili alla categoria delle mafie "storiche". Come questa Corte ha avuto modo di osservare (Sez. 6, n. 11146 del 24/01/2023), questo indirizzo, che valorizza la particolare stabilità nel tempo di alcuni consorzi criminali, non può essere applicato in termini rigidi e assoluti, soprattutto in presenza, come nella specie, del decorso di un considerevole arco temporale dai fatti contestati, non accompagnato da ulteriori condotte dell'indagato sintomatiche di una sua perdurante pericolosità (cosiddetto "tempo silente"). In tal caso, accedendo ad un'esegesi costituzionalmente orientata della stessa presunzione ex art. 275, comma 3 cit., si è affermato che il giudice ha l'obbligo di motivare puntualmente, su impulso di parte o d'ufficio, in ordine alla rilevanza del tempo trascorso sull'esistenza e sull'attualità delle esigenze cautelari, anche nel caso in cui, trattandosi di reati associativi o di delitto aggravato dall'art. 7 della legge n. 203 del 1991 (ora art. 416-bis.a1 cod. pen.), non risulti la dissociazione dell'indagato dal sodalizio criminale (Sez. 6, n. 19863 del 04/05/2021, Rv. 281273; Sez. 6, n. 16867 del 20/03/2018, Rv. 272919). Il fattore tempo (quando è rilevante l'arco temporale) diviene quindi un elemento distonico rispetto alla presunzione di perdurante pericolosità dell'indagato, destinato pertanto ad essere potenzialmente idoneo a vincere la suddetta presunzione (Sez. 6, n. 31587 del 30/05/2023, Rv. 285272). 6. Tenuto conto di quanto sopra esposto, l'ordinanza impugnata va annullata con rinvio al Tribunale di Catanzaro, competente ai sensi dell'art. 309, comma 7, cod. proc. pen., per nuovo giudizio, alla luce dei principi di diritto affermati, sull'aggravante mafiosa e sulle esigenze cautelari (in particolare, sulla sussistenza di elementi concreti idonei a superare la presunzione di cui all'art. 275, comma 3, cod. proc. pen.). P.Q.M. Annulla l'ordinanza impugnata e rinvia per nuovo giudizio al Tribunale di Catanzaro competente ai sensi dell'art. 309, co. 7, c.p.p. Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all'art. 94, comma1-ter, disp. att. cod. proc. pen. Così deciso il 22/12/2023. Depositato in Cancelleria il 17 gennaio 2024.
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