RITENUTO IN FATTO
1. Il G.u.p. del Tribunale di Biella, con la sentenza impugnata in questa sede, ha applicato a Bo.Ma. e Sc.Il., su concorde richiesta delle parti, la pena da loro indicata per i reati di circonvenzione di incapace,, in danno di Pi.Fl.e No.La., di appropriazione indebita aggravata di somme di denaro esistenti su conti correnti intestati alle stesse persone offese, di furto aggravato di somme di denaro prelevate da conti correnti di clienti dell'istituto bancario ove lavorava ilBo.Ma., di autoriciclaggio, quanto all'impiego in attività finanziarie e speculative dei proventi dei delitti di appropriazione indebita e di furto, per ilBo.Ma.; per il reato di riciclaggio, quanto alla Sc.Il., per avere sostituito parte dei proventi dei reati commessi dalBo.Ma. ostacolando l'identificazione della loro provenienza, con operazioni finanziarie e con acquisti di beni immobili, mobili registrati oltre che con beni di valore; ha disposto la restituzione alle persone offese di somme di denaro e di beni acquistati con altre somme di loro proprietà; ha disposto la confisca di un immobile, di sei veicoli e delle somme residue nei confronti del Bo.Ma. e della Sc.Il., anche per equivalente.
2. Ha proposto ricorso per cassazione la difesa dell'imputato Bo.Ma.deducendo, con il primo motivo, violazione di legge, in relazione all'art. 129 cod. proc. pen., per l'errato calcolo della pena privo di adeguata motivazione.
2.1. Con il secondo motivo si deduce vizio della motivazione, per mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità, quanto alla disposta confisca del profitto del reato di autoriciclaggio, che risulta individuato in modo errato, considerando l'intero importo delle somme oggetto dell'appropriazione indebita, detratto il valore delle somme e dei beni restituiti alle persone offese, senza alcuna motivazione; così discostandosi dall'orientamento di legittimità che individua il profitto del reato di autoriciclaggio nella plusvalenza che deriva dall'attività di sostituzione dei beni. Aggiunge il ricorrente che la decisione non avrebbe tenuto conto della salvezza dei diritti delle persone offese alle restituzioni e al risarcimento del danno, oltre ad aver sottoposto a confisca anche immobili acquistati in epoca largamente precedente i fatti oggetto di addebito.
3. Ha proposto ricorso la difesa dell'imputata Sc.Il. deducendo, con unico motivo, vizio della motivazione, per mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità, quanto alla disposta confisca del profitto del reato di riciclaggio; la decisione aveva individuato in modo errato la nozione di profitto del reato di autoriciclaggio, ritenendola corrispondente all'intero ammontare delle somme e dei valori conseguiti attraverso i reati presupposto; mancava la motivazione a sostegno dell'individuazione in tutti i beni appartenenti alla ricorrente come corrispondenti al valore del profitto del contestato reato; in particolare, il bene immobile confiscato, per la quota di proprietà della ricorrente, era stato acquistato legittimamente con impieghi provenienti da un terzo e, dunque, in alcun modo corrispondente al profitto del reato; anche per gli altri beni (somme di denaro e veicoli di proprietà della ricorrente) mancava alcuna motivazione sulla corrispondenza del valore di quei beni al profitto del contestato reato.
4. Ha proposto ricorso nell'interesse dei responsabili civili Banca Sella Spa e Banca Patrimoni Sella Spa il nominato difensore procuratore speciale; premessa la legittimazione a proporre il ricorso, ai sensi dell'art. 575 cod. proc. pen., con l'unico motivo di ricorso la difesa deduce vizio della motivazione, per mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità, quanto alla disposta confisca del profitto del reato di autoriciclaggio, con argomenti del tutto sovrapponibili a quelli illustrati con gli omologhi motivi di ricorso dai ricorrentiBo.Ma. e Sc.Il.
5. Ha proposto ricorso nell'interesse delle parti civili Banca Sella Spa e Banca Patrimoni Sella Spa il nominato difensore procuratore speciale; ha dedotto con il primo motivo la mancanza di motivazione, in riferimento all'art. 316 comma 2, cod. proc. pen., per l'omessa motivazione della sentenza sulla richiesta, avanzata all'udienza del 31 maggio 2023 dalla difesa delle costituite parti civili, diretta a ottenere la conversione del sequestro preventivo, disposto nel corso delle indagini, nel sequestro conservativo a tutela delle ragioni di credito risarcitone; riteneva che la legittimazione delle parti civili derivasse dal contenuto dell'art. 576 cod. proc. pen. non potendo invocarsi il principio di tassatività delle impugnazioni, in quanto anche alla luce delle disposizioni convenzionali e costituzionali risulterebbe illegittima l'interpretazione di quella disposizione che dovesse lasciare sfornita di tutela la parte cui sia, di fatto, impedito l'accesso all'impugnazione di un provvedimento che incide sul diritto al risarcimento delle parti civili.
5.1. Con il secondo motivo si deduce violazione di legge, in relazione agli artt. 448, comma 2 bis, e 576 cod. proc. pen., nonché vizio della motivazione, per mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità, attesa l'illegalità della confisca disposta per l'equiparazione del profitto del reato di riciclaggio e autoriciclaggio con l'intero ammontare delle somme provento dei reati presupposto.
6. Ha proposto ricorso la difesa delle parti civili Pi.Fl.e No.La., deducendo con l'unico motivo di ricorso, violazione di legge, in relazione agli artt. 648 quater, comma 1 e 2,323, comma 4, cod. proc. pen. e vizio della motivazione (mancante contraddittoria o manifestamente illogica); si lamenta la mancanza di motivazione nella sentenza impugnata in ordire alla richiesta avanzata dalla difesa delle parti civili affinché il sequestro preventivo disposto sui beni, diversi da quelli eventualmente da restituirsi alle persona offesa, fosse convertito in sequestro conservativo; si censura, altresì, la motivazione contraddittoria con la quale è stata disposta la confisca sui beni degli imputati in misura corrispondente all'intero ammontare dei proventi dei reati presupposto, e non anche in relazione al solo profitto realizzato mediante le attività di riciclaggio e autoriciclaggio.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. I ricorsi proposti dagli imputati Bo.Ma. e Sc.Il., che si fondano in parte su argomenti comuni quanto all'errata determinazione della misura del profitto e, quindi, della disposta confisca, sono infondati.
1.1. Il primo motivo del ricorso proposto nell'interesse dell'imputato Bo.Ma. è proposto per ragioni non consentite, censurandosi il difetto di motivazione relativo alla commisurazione della pena (poiché, alla stregua della tassativa indicazione dei motivi di ricorso proponibili, contenuta nell'art. 448, comma 2 bis, cod. proc. pen., non sono deducibili con il ricorso per cassazione né errori commessi nelle operazioni di calcolo funzionali alla determinazione della pena concordata, né il difetto di motivazione in ordine alla pena indicata dalle parti e assentita dal giudice, quando il risultato finale non si discosta da quello concordato dalle parti e non si traduce in una pena illegale: Sez. 5, n. 18304 del 23/01/2019, Rosettani, Rv. 275915 - 01).
1.2. Il secondo motivo del ricorso proposto nell'interesse delBo.Ma., così come la parte iniziale del ricorso proposto nell'interesse della Sc.Il., censurano l'errata individuazione del profitto dei reati loro contestati, richiamando la giurisprudenza di legittimità che ha affermato la corrispondenza di tale nozione con l'autonomo profitto, diverso ed ulteriore rispetto al valore del profitto dei reati presupposto, che il riciclatore, o l'autoriciclatore, consegue attraverso le condotte tipiche di sostituzione e impiego dei beni di provenienza delittuosa.
La Corte è consapevole delle diverse posizioni che nel tempo sono state espresse dalla giurisprudenza di legittimità sul tema in esame; ma quelle posizioni, rimeditate alla luce delle indicazioni provenienti dalle fonti sovranazionali, vanno precisate nei termini di seguito indicati.
1.3. L'orientamento che i ricorrenti richiamano ha preso le mosse dal necessario rispetto della corrispondenza dell'oggetto della confisca con la misura del profitto realizzato dal soggetto responsabile delle condotte di riciclaggio, ritenendo che l'equiparazione del profitto con l'intero valore del bene riciclato travalicherebbe il confine della pena illegale (Sez. 2, n. 37590 del 30/04/2019, Giulivi, Rv. 277083 - 01); pertanto, la misura del profitto del reato di riciclaggio di somme di denaro va determinata considerando esclusivamente l'effettivo incremento patrimoniale di cui abbia goduto il soggetto autore delle operazioni di riciclaggio, atteso che le somme oggetto delle operazioni di "ripulitura" costituiscono profitto del reato presupposto. In successive pronunce si è aggiunto l'ulteriore argomento a sostegno dell'interpretazione proposta secondo il quale, poiché non è ipotizzabile alcun concorso fra i responsabili dei reati presupposti e coloro che hanno commesso i reati destinati alla "ripulitura" dei proventi illeciti, la misura ablativa non può essere disposta per un importo diverso o superiore al vantaggio patrimoniale conseguito dal soggetto autore delle operazioni di riciclaggio (Sez. 2, n. 30899 del 15/07/2020, Ambrosini, Rv. 280029 - 01; Sez. 2, n. 2879 del 26/11/2021, dep. 2022, Rini, Rv. 282519 - 01; Sez. 2, n. 19561 del 12/04/2022, Di Sarli, Rv. 283194 - 01; Sez. 2, n. 21820 del 26/04/2022, Musella, Rv. 283364 - 01; Sez. 2, n. 2166 del 06/12/2022, dep. 2023, Ibrahim, Rv. 283898 - 01) o autoriciclaggio (consistendo in questa ipotesi "nei proventi conseguiti dall'impiego di questi ultimi in attività economiche, finanziarie, imprenditoriali o speculative": Sez. 2, n. 30401 del 07/06/2018, Ceoldo, Rv. 272970 - 01; Sez. 2, n. 27228 del 15/09/2020, Lolaico, Rv. 279650 - 02).
In senso diverso si sono espresse quelle decisioni che hanno posto in rilievo come il profitto dei reati di riciclaggio e reimpiego di denaro di provenienza illecita è rappresentato dal valore delle somme che, in assenza delle operazioni di "ripulitura", sarebbero destinate ad essere sottratte definitivamente alla disponibilità dell'autore del delitto presupposto (in quanto oggetto di confisca ex art. 240 cod. pen.), così realizzandosi il vantaggio patrimoniale costituente il profitto del reato, in quanto la condotta dei reati ex artt. 648 bis, 648 ter e 648 fer.l cod. pen. "assicura l'integrale disponibilità giuridica dei valori riciclati, consentendone l'utilizzazione sia attraverso il godimento diretto, sia mediante il reimpiego in altre attività a contenuto economico" (Sez. F, n. 37120 del 1/08/2019, Cudia, Rv. 277288 - 01: Sez. 2, n. 34218 del 04/11/2020, Bonino, Rv. 280238 - 01; Sez. 2, n. 7503 del 07/12/2021, dep. 2022, Marchesan, Rv. 282957 - 01; Sez. 2, n. 13913 del 25/02/2022 , Cipolla, n.m.).
1.4. La genesi della disposizione (art. 648 quater cod. pen.) che prevede la confisca diretta del prodotto e del profitto dei reati finalizzati alla messa in circolazione e al reimpiego di beni e valori di provenienza illecita, nonché la confisca per equivalente del prezzo, del profitto e del prodotto dei medesimi reati, va ricercata nella normativa convenzionale e eurounitaria che ha progressivamente affinato il ricorso alle misure di "congelamento" e definitiva sottrazione dei proventi delle forme più gravi di criminalità, come strumento indispensabile per arginare e prevenire quei fenomeni delittuosi.
Con la Convenzione europea sul riciclaggio, la ricerca, il sequestro e la confisca dei proventi di reato, conclusa a Strasburgo l'8 novembre 1990, ratificata dall'Italia con la I. 9 agosto 1993 n. 328 che vi ha dato esecuzione, si stabilì che, nel presupposto della necessità di adottare nella lotta alla "grande criminalità (...) metodi moderni ed efficaci su scala internazionale", uno di quei metodi dovesse consistere "nel privare i criminali dei proventi dei reati" (così nei considerando della Convenzione).
Non è superfluo osservare che, mentre nel testo originale in lingua inglese è stato adottato il termine proceeds, corrispondente all'espressione provento, nel testo originale in lingua francese della Convenzione, l'espressione utilizzata è quella di produits du crime.
La definizione convenzionale della nozione di "proventi dei reati" (art. 1, lett. a) della Convenzione; anche qui, nel testo originale francese il termine utilizzato è produit) era fondata sull'individuazione di "ogni vantaggio economico" derivato dalla commissione di un reato che, dal punto di vista della materiale descrizione del vantaggio, poteva corrispondere a qualsiasi bene, comprendente "beni in qualsiasi modo descritti, materiali o immateriali, mobili o immobili, nonché documenti legali o strumenti comprovanti il diritto di proprietà o altri diritti sui predetti beni" (art. 1, lett. b).
La Convenzione individuava l'istituto giuridico idoneo a conseguire l'obiettivo della sottrazione alla criminalità dei "proventi" dei reati nella confisca, che gli stati aderenti potevano adottare mediante iniziative legislative per consentire di "procedere alla confisca di strumenti e di proventi, o di beni il cui valore corrisponda a tali proventi" (art. 2, paragrafo 1).
1.5. Quelle nozioni sono state ribadite e ampliate con la successiva Convenzione del Consiglio d'Europa sul riciclaggio, la ricerca, il sequestro e la confisca dei proventi di reato e sul finanziamento del terrorismo, conclusa a Varsavia il 16 maggio 2005, ratificata in Italia con la I. 28 luglio 2016, n. 153; la nozione di proventi (produits, nel testo francese, proceeds nel testo inglese della convenzione) è stata ulteriormente precisata, come corrispondente a "tout avantage économique provenant directement ou indirectement de la commission d'une infraction pénale ou obtenu directement ou indirectement en la commettant" (art. 1, lett. a); a sua volta, la confisca è stiata considerata come il mezzo per sottrarre "des instruments, des biens blanchis et des produits ou des biens dont la valeur correspond à ces produits" comprendendo al suo interno non solo "/es biens en lesquels les produits ont été transformés ou convertis" ma anche "/es biens acquis légitimement, si les produits ont été mèlés, entièrement ou partiellement, à de tels biens, à concurrence de la valeur estimée du produit qui y a été mèlé", così come "/es revenus ou autres avantages tirés des produits, des biens en lesquels les produits ont été transformés ou convertis ou des biens auxquels ils ont été mèlés, à concurrence de la valeur estimée des produits qui y ont été mèlés, de la mème manière et dans la mime mesure que les produits" (art. 5, lett. a), b) e c).
1.6. Con la direttiva 2014/42/UE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 3 aprile 2014, relativa al congelamento e alla confisca dei beni strumentali e dei proventi da reato nell'Unione europea, è stata fissata una dettagliata nozione della categoria dei "proventi da reato" suscettibili di confisca, nella prospettiva perseguita dall'Unione europea di scongiurare il pericolo che tutte le ricchezze, riconducibili ad attività illecite, non siano recuperate, in modo da assicurare allo stesso tempo un'adeguata funzione preventiva.
Nei considerando 11 e 12 della direttiva è affermato: "(11) Occorre chiarire l'attuale concetto di proventi da reato al fine di includervi i proventi diretti delle attività criminali e tutti i vantaggi indiretti, compresi il reinvestimento o la trasformazione successivi di proventi diretti. Pertanto, i proventi possono comprendere qualsiasi bene, anche trasformato o convertito, in tutto o in parte, in un altro bene, ovvero confuso con beni acquisiti da fonte legittima, fino al valore stimato dei proventi confusi. Possono inoltre comprendere introiti o altri vantaggi derivanti dai proventi da reato o da beni nei quali i proventi da reato sono stati trasformati o convertiti o da beni con i quali i proventi da reato sono stati confusi. (12) La presente direttiva prevede un'ampia definizione dei beni che possono essere oggetto di congelamento o confisca. Tale definizione comprende i documenti o gli strumenti legali comprovanti il diritto di proprietà o altri diritti su tali beni. Tali documenti o strumenti possono includere, ad esempio, strumenti finanziari o documenti che possono far sorgere diritti di credito e di norma si trovano in possesso della persona interessata dalle procedure in questione. La presente direttiva lascia impregiudicate le vigenti procedure nazionali per la tenuta dei documenti legali o degli strumenti comprovanti il diritto di proprietà o altri diritti sui beni applicate dalle autorità nazionali o dagli organismi pubblici competenti conformemente al diritto nazionale".
Gli obiettivi del legislatore europeo sono stati trasfusi nella definizione del termine "provento" (art. 2, n. 1: "Ai fini della presente direttiva si intende per: 1) "provento": ogni vantaggio economico derivato, direttamente o indirettamente, da reati; esso può consistere in qualsiasi bene e include ogni successivo reinvestimento o trasformazione di proventi diretti e qualsiasi vantaggio economicamente valutabile").
1.7. Il quadro delle norme sovranazionali indica in modo espresso la necessità che la sottrazione alla criminalità dei risultati dell'attività delittuosa, specie ove attuata mediante strumenti di "ripulitura", sia resa effettiva attraverso l'adozione delle misure di ablazione patrimoniali che devono avere ad oggetto non solo i vantaggi economici derivati, in via diretta o mediata, dai reati posti a monte rispetto all'attività di riciclaggio lato sensu, ma anche tutto ciò che formi oggetto della fasi successive di reinvestimento o trasformazione dei proventi della pregressa attività delittuosa.
In ragione di questa specifica direttiva legislativa sovrariazionale, l'oggetto della confisca prevista in relazione ai delitti di riciclaggio, reimpiego ed autoriciclaggio dall'art. 648 quater cod. pen. deve essere interpretato come riferita ad un concetto più ampio rispetto a quello tradizionalmente ricevuto nella nostra tradizione giuridica, per assicurare le finalità della direttiva.
In questo senso la pur corretta e ineccepibile definizione di profitto del reato di riciclaggio, entità diversa e separata dal profitto conseguito dall'autore del reato presupposto, sconta il risultato, non coerente con la legislazione europea, del lasciare nella disponibilità dell'autore del reato presupposto il risultato dell'attività criminosa, frustrando gli obiettivi legislativi.
Lo strumento interpretativo per assicurare coerenza tra la disciplina interna e i parametri europei va individuato nel comprendere il risultato dell'attività riciclatoria alla luce della nozione di "prodotto" dei reati previsti dagli artt. 648 bis, 648 ter, 648 ter.l. cod. pen.
1.8. Secondo un risalente, ma non superato, insegnamento in tema di confisca "il prodotto rappresenta il risultato, cioè il frutto che il colpevole ottiene direttamente dalla sua attività illecita; il profitto, a sua volta, è costituito dal lucro, e cioè dal vantaggio economico che si ricava per effetto della commissione del reato; il prezzo, infine, rappresenta il compenso dato o promesso per indurre, istigare o determinare un altro soggetto a commettere il reato e costituisce, quindi, un fattore che incide esclusivamente sui motivi che hanno spinto l'interessato a commettere il reato" (Sez. Unite, n. 9149 del 03/07/1996, Chabni Samir, Rv. 205707 - 01; nello stesso senso, con l'ulteriore specificazione che il "prodotto" "rappresenta il risultato empirico, cioè le cose create, trasformate, adulterate o acquisite mediante il reato" Sez. F, n. 44315 del 12/09/2013, Cicero, Rv. 258636 - 01; da ultimo, Sez. 5, n. 47553 del 05/10/2023, Bannino, Rv. 285829 - 01, nella motivazione, Par. 3.2.).
Rapportando tale nozione alle fattispecie dei reati commessi per impedire l'individuazione della provenienza illecita di risorse, in modo da sottrarle all'apprensione da parte degli organi di giustizia, il prodotto di quei reati è rappresentato dal risultato che si ottiene mediante la sostituzione, la trasformazione, il trasferimento e ogni altra attività tipica di riciclaggio; dunque, non solo i beni che risulteranno trasformati per effetto della condotta di riciclaggio (o autoriciclaggio, o reimpiego: Sez. 2, n. 22053 del 18/04/2023, Romano, Rv. 284679 - 02, in tema di confisca per equivalente del prodotto rappresentato da lingotti d'oro e fruste d'argento realizzate impiegando metalli preziosi di provenienza furtiva) - beni che presentino caratteristiche identificative alterate, modificate, manipolate - ma anche beni e valori che, pur senza modificazioni materiali, per effetto di operazioni negoziali assumono una diversa attribuzione in termini di titolarità e di regole di circolazione giuridica (come per l'ampia categoria delle operazioni di riciclaggio che abbiano ad oggetto somme di denaro, titoli di credito, valori: per una soluzione del tutto coincidente, pur richiamando il profilo del profitto, Sez. 2, n. 42120 del 09/10/2012, Scimone, Rv. 253831 - 01 e Sez. 3, n. 11970 del 24/02/2011, Mokbel, Rv. 249761 - 01, secondo le quali il valore di riferimento per il sequestro funzionale alla confisca per equivalente, in caso di delitto di riciclaggio transnazionale avente ad oggetto i proventi del reato di frode fiscale, deve essere quantificato sulla base del profitto di tale ultimo reato entrato a far parte delle operazioni di riciclaggio transnazionale, in quanto i proventi del reato di frode fiscale costituiscono anche il profitto del riciclaggio in relazione ai soggetti autori del solo reato transnazionale).
1.9. Nel caso in esame, i beni oggetto della statuizione di confisca sono certamente il prodotto delle attività di riciclaggio ed autoriciclaggio commesse dai ricorrenti: i veicoli e i beni acquistati con le somme di provenienza illecita corrispondono evidentemente al risultato empirico dell'attività di trasformazione del denaro contante in beni mobili ed immobili, entrati a far parte del patrimonio degli imputati attraverso l'impiego delle risorse finanziarie oggetto dei reati di appropriazione indebita e furto; quanto alle somme di denaro,, attraverso la loro attribuzione a soggetti giuridici diversi dagli originari proprietari mediante operazioni negoziali effettuate attraverso intermediari (istituti di credito), anch'esse rappresentano il prodotto dei reati contestati nel senso su precisato.
La motivazione della sentenza impugnata, pur se da correggersi nell'individuazione dell'oggetto della confisca qualificato come prodotto, e non anche come profitto dei reati contestati, è pertanto immune rispetto alla denunciata violazione di legge.
1.10. Va, infine, rilevato che neppure le ulteriori censure formulate dai ricorrenti colgono nel segno.
Resta oscura la parte finale del ricorso proposto nell'interesse del Bo.Ma.. con cui si censura il difetto di motivazione del capo della sentenza che ha disposto la confisca, circa "le ragioni in base alle quali risulterebbero comunque fatti salvi i diritti delle persone offese alle restituzioni e al risarcimento le danno": pur volendo interpretare la censura come rivolta alla parte della sentenza che ha disposto la restituzione alle persone offese dei reati di circonvenzione di incapace ed appropriazione indebita di parte dei beni e delle somme sequestrate, la stessa è del tutto priva di specificità evocando, in modo generico, l'esistenza tra i beni vincolati e poi confiscati di "immobili acquistati in epoca largamente precedente ai fatti in imputazione", senza alcun riferimento fattuale a tale condizione.
Quanto al ricorso proposto nell'interesse della Sc.Il., va rilevato che nella parte conclusiva esso fa leva sull'errata individuazione del profitto del reato di autoriciclaggio, reato che non era contestato all'imputata, e non considera che la confisca è stata disposta nella forma per equivalente, nella parte in cui non poteva trovare esecuzione in via diretta (il che rende legittima l'apprensione anche di beni che non siano direttamente correlati al profitto realizzato dall'imputato).
2. Il ricorso proposto nell'interesse dei responsabili civili è inammissibile, perché proposto da soggetto non legittimato.
2.1. L'art. 575 cod. proc. pen. riconosce al responsabile civile la legittimazione ad impugnare la sentenza di condanna considerando esclusivamente "le disposizioni della sentenza riguardanti la responsabilità dell'imputato" e "quelle relative alla condanna di questi e del responsabile civile alle restituzioni, al risarcimento del danno e alla rifusione delle spese processuali"; quanto alla sentenza di assoluzione, la legittimazione è riconosciuta limitatamente alle "disposizioni (...) relative alle domande proposte per il risarcimento del danno e per la rifusione delle spese processuali", nei confronti della parte civile o del querelante (artt. 427, comma 2, e 542, cod. proc. pen.).
Il perimetro della legittimazione del responsabile civile alla proposizione delle impugnazioni è funzionale a garantire il diritto della parte a contrastare i presupposti delle statuizioni che la riguardano: si tratti dei profili di responsabilità dell'imputato, rilevanti ai sensi degli artt. 185 cod. pen. e 2043 cod. civ., e dei connessi punti della decisione che concernono gli obblighi rest tutori e risarcitori, oltre che le conseguenti disposizioni sul regolamento delle spese processuali relative all'azione civile instaurata nel processo penale. Del resto, questa lettura si pone in sintonia con le ragioni che giustificano la presenza del responsabile civile nel processo penale e con la natura accessoria del rapporto processuale che lo riguarda, per effetto della citazione in giudizio ex art. 83 cod. proc. pen. così come per l'ipotesi dell'intervento volontario prevista dall'art. 85 cod. proc. pen. (v. Sez. 1, n. 31130 del 17/06/2004, Santangelo, Rv. 229154 - 01, che ha escluso la legittimazione del responsabile civile ad impugnare la sentenza di non luogo a procedere per essere il reato estinto per intervenuta prescrizione).
Il principio di tassatività dei mezzi di impugnazione rende ancor più evidente come rispetto alla sentenza di applicazione della pena concordata, in cui il giudizio civile eventualmente instaurato nell'udienza preliminare non può conoscere alcuna statuizione in oridne all'accertamento della responsabilità dell'imputato, non possa in alcun modo riconoscersi la legittimazione del responsabile civile ad impugnare quella sentenza, peraltro in ordine ad un profilo - quello della disposta confisca, come avvenuto nella fattispecie in esame - che è palesemente eccentrico rispetto al contenuto dell'azione civile.
2.2. L'interesse che i responsabili civili prospettano (ossia, quello a che il patrimonio dell'imputato non subisca, per effetto della confisca, mutamenti negativi in grado di incidere sulla idoneità della garanzia patrimoniale dell'imputato nell'assolvere le obbligazioni risarcitorie) è meramente eventuale e astratto, oltre a rappresentare un effetto, per così dire, "riflesso" che non può fondare il diritto della parte ad impugnare quella statuizione.
3. I ricorsi proposti dalle parti civili sono entrambi inammissibili.
3.1. Rispetto ai profili che attengono al contenuto della sentenza di applicazione della pena concordata, e in particolare alla confisca dei beni in danno degli imputati, la parte civile non è evidentemente legittimata ad alcuna impugnazione (salvo che per le statuizioni sulle spese sostenute dalla parte civile costituitasi nell'udienza preliminare, prima della conclusione dell'accordo ex art. 444 cod. proc. pen.).
La sentenza che applica la pena, per espressa previsione legislativa (art. 444, comma 2, cod. proc. pen.), non può contenere statuizioni in ordine all'azione civile proposta, se non per le questioni relative alle spese sostenute dalla parte civile; come affermato icasticamente dalle Sezioni unite, "le ragioni risarcitorie del danneggiato dal reato non possono trovare ascolto nel giudizio di applicazione della pena su richiesta" (n. 47803 del 27/11/2008, D'Avino, Rv. 241356 - 01, nella motivazione, Par. 4.).
Il potere di impugnazione della parte civile, come delineato dall'art. 576 cod. proc. pen., è circoscritto all'ambito dei capi della sentenza di condanna che riguardano l'azione civile, nonché della sentenza di proscioglimento pronunciata nel giudizio. In alcuna di queste categorie può essere ricondotta la sentenza pronunciata ai sensi dell'art. 444 cod. proc. pen., dal momento che la sentenza di patteggiamento non possiede i requisiti della sentenza di proscioglimento e, per quanto sia equiparata alla sentenza di condanna dall'art. 445 cod. proc. pen., non può recare alcuna statuizione di merito in ordine all'azione civile.
Per questa ragione, in applicazione del principio di tassatività delle impugnazioni desumibile dall'art. 568, comma 1, cod. proc. pen., è stato affermato che è inammissibile il ricorso per cassazione proposto dalla parte civile con cui si deduca l'erronea qualificazione del reato e delle circostanze aggravanti, nonché si denuncino vizi relativi all'entità della pena inflitta o alla concessione della sospensione condizionale della pena (Sez. 4, n. 32205 del 21/10/2020, Rizzi, Rv. 280051 - 01, richiamata in modo errato dai ricorrenti quale precedente in cui è riconosciuta la legittimazione ad impugnare della parte civile; Sez. 3, n. 5860 del 12/10/2011, dep. 2012, C., Rv. 252120; Sez. 2, n. 12613 del 08/10/1999, Tonanì, Rv. 214409).
3.2. Il medesimo principio va affermato in relazione al ricorso, proposto in sede di legittimità dalla parte civile, diretto a censurare le statuizioni della sentenza di applicazione della pena quanto al capo che riguardi la disposta confisca.
In linea di principio, la statuizione che concerne la confisca è estranea al rapporto processuale avente ad oggetto la domanda civile di accertamento della responsabilità dell'imputato e di condanna al risarcimento ed alle restituzioni; si tratta dell'applicazione di una misura di sicurezza che non ha alcuna incidenza diretta ed immediata sugli interessi civili (v. Sez. 1, n. 51166 del 11/06/2018, Gatto, Rv. 274935 - 01 e Sez. 5, n. 47876 del 12/11/2012, Adamo, Rv. 254525 - 01, sull'esclusione dell'intervento della parte civile nel giudizio di cassazione avente per oggetto esclusivamente il trattamento sanzionatorio o la confisca dei beni degli imputati).
L'unico profilo di potenziale interferenza tra la confisca disposta (e il sequestro finalizzato all'adozione della misura di sicurezza) e l'interesse della parte civile si delinea quando sui medesimi beni possa disporsi, o sia stato già disposto, il sequestro conservativo a garanzia delle ragioni di credito che la parte civile vanta nei confronti dell'imputato.
E' questa la situazione processuale che si è verificata nella fattispecie in esame: le parti civili hanno lamentato l'omessa statuizione del G.u.p. sulla richiesta che era stata formulata nel corso dell'udienza preliminare, affinché il sequestro preventivo disposto su beni appartenenti al patrimonio degli imputati fosse convertito in sequestro conservativo, secondo il disposto dell'art. 323, comma 4, cod. proc. pen. (pur se dal contenuto dell'istanza, allegata al ricorso, non vi è riferimento alla richiesta di conversione, avendo avanzato la parte la richiesta di emissione del sequestro conservativo ex art. 316, comma 2, cod. proc. pen.).
Va, in primo luogo, esclusa l'astratta fondatezza della richiesta avanzata, per la limitata operatività della conversione all'ipotesi del sequestro preventivo diverso da quello finalizzato alla confisca che, all'esito della condanna, dovrebbe comportare la restituzione dei beni sequestrati (Sez. 2, n. 16608 del 08/04/2011, Quarta, Rv. 250111 - 01); inoltre, nel momento in cui la richiesta è stata avanzata il procedimento non aveva raggiunto la fase decisoria, condizione necessaria per le statuizioni sul destino delle cose sequestrate (arg. ex art. 323 cod. proc. pen.). Né tale istanza risulta reiterata all'udienza che ha definito il giudizio con l'applicazione della pena concordata dalle parti.
Ma pur volendo accedere alla tesi difensivia, che lamenta l'omessa statuizione sul punto da parte del G.u.p., così prospettando il problema di quale possa essere il mezzo d'impugnazione idoneo a assicurare l'interesse della parte a veder convertito il sequestro preventivo in sequestro conservativo, va rilevato che in relazione all'analogo tema del diniego della richiesta di emissione del sequestro conservativo è pacifico che non è previsto alcun mezzo di impugnazione avverso il provvedimento che non abbia accolto la richiesta di sequestro conservativo, essendo ammesso esclusivamente il riesame contro l'ordinanza applicativa (Sez. 2, n. 23086 del 14/05/2015, Consorzio di Casalpalocco, Rv. 263999 - 01; Sez. 4, n. 41639 del 03/11/2010, Passioni, Rv. 248450 - 01; Sez. 5, n. 2553 del 27/05/1999, Sapone, Rv. 217372 - 01).
Questa opzione di sistema non confligge con alcun parametro costituzionale. I giudici delle leggi, sin dall'esordio del codice di procedura penale del 1988, hanno chiarito che al danneggiato dal reato è consentito l'esercizio dell'azione civile sia nell'ambito del processo penale, sia in via autonoma dinanzi al giudice civile, senza preclusioni di sorta derivanti dalla pendenza del processo penale; ciò "muovendo da un'ottica volta a favorire, sensibilmente innovando rispetto al passato, la separazione tra i due giudizi, in conformità a quella che dovrebbe essere una delle principali caratteristiche del sistema accusatorio" e con la conseguenza che "anche se "la tutela giudiziaria riconosciuta nel processo penale" alla persona danneggiata rimane senza seguito e, quindi, senza sbocco, la possibilità di agire in giudizio per la tutela del diritto alle restituzioni ed al risarcimento del danno, proprio perché suscettibile di estrinsecarsi per un'altra via subito percorribile liberamente, non può dirsi pregiudicata in modo irrimediabile" (Corte cost., n. 443 del 12/10/1990).
Seguendo questa traccia, la Corte costituzionale ha ritenuto immune da vizi di costituzionalità, alla luce del parametro fissato dall'art. 24 Cost., il sistema delle norme sulle impugnazioni cautelari (artt. 318,322 bis e 325 cod. proc. pen.) nella parte in cui non prevede alcun mezzo di impugnazione avverso il provvedimento di diniego del sequestro conservativo, osservando che la parte civile, in tale ipotesi, non resta priva di tutela in quanto ha facoltà di richiedere il sequestro conservativo civile anche durante la sospensione del giudizio di merito, a norma dell'art. 669 quater, comma 2, cod. proc. civ. (Corte cost., n. 424 del 23/12/1998).
3.3. La situazione processuale in esame è del tutto sovrapponibile a quella illustrata; la parte civile, che non abbia ottenuto la conversione del sequestro preventivo richiesta, resta titolare dell'azione da proporre in sede civile per ottenere il medesimo provvedimento cautelare nella prospettiva della tutela delle proprie ragioni di credito. Non vi è, pertanto, alcun vuoto di tutela che imponga il riconoscimento del potere di impugnazione in sede penale del provvedimento di diniego della richiesta di conversione in sequestro conservativo del già disposto sequestro preventivo.
La conclusione raggiunta non è smentita dal tenore dell'art. 104 bis, comma 1 sexies, disp. att. cod. proc. pen., come modificato dall'art. 41, comma 1, lett. L), n. 4 d. Igs. 150/2022 ("In tutti i casi di sequestro preventivo e di confisca restano comunque salvi i diritti della persona offesa dal reato alle restituzioni e al risarcimento del danno"): la disposizione garantisce il diritto della persona offesa alle restituzione e al risarcimento del danno, ma il riconoscimento di quei diritti può realizzarsi attraverso gli strumenti processuali che assicurano la coerenza del sistema (che, nel caso in esame, possono esser individuati, oltre che nell'azione cautelare in sede civile, nel ricorso al giudice dell'esecuzione penale).
3.4. Il difetto di legittimazione alla proposizione dei ricorsi, ancor più manifesto quanto alla censura articolata in punto di illegalità della disposta confisca (secondo motivo), qualifica come inammissibili i ricorsi proposti dalle parti civili.
2. Al rigetto dei ricorsi proposti da Bo.Ma.e Sc.Il. consegue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali mentre, per effetto della declaratoria di inammissibilità dei ricorsi proposti nell'interesse delle parti civili e del responsabile civile, consegue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali, nonché, ai sensi dell'art. 616 c.p.p., valutati i profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità emergenti dal ricorso
(Corte Cost. 13 giugno 2000, n. 186), al versamento della somma, che si ritiene equa, di euro tremila a favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Rigetta i ricorsi di Bo.Ma.e Sc.Il. che condanna al pagamento delle spese processuali.
Dichiara inammissibili gli ulteriori ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila ciascuno in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 28 febbraio 2024.
Depositato in Cancelleria il 9 maggio 2024.