RITENUTO IN FATTO
1. Con l'impugnato provvedimento la Corte d'Appello di Milano ha riformato parzialmente, riducendo la pena, la sentenza con cui il Giudice per le indagini preliminari di Milano aveva condannato Ca.Li. per i reati di associazione per delinquere e di autoriciclaggio (art.648 ter 1 c.p.) di denaro derivante da appropriazioni indebite o da altra attività illecita.
2. L'imputato, per mezzo del difensore, ha presentato ricorso per i quattro seguenti motivi.
2.1 Inosservanza degli artt.179 e 416 c.p.p. con conseguente nullità della richiesta di rinvio
a giudizio e degli atti successivi, compresa la sentenza di primo grado, in ragione della mancata emissione dell'avviso ex art.415 bis c.p.p., in relazione ai fatti oggetto dell'integrazione effettuata dal Pubblico Ministero successivamente alla richiesta di rinvio a giudizio.
Dissentendo dalla valutazione effettuata in sentenza, la difesa dell'imputato sostiene che l'integrazione dell'elenco delle condotte contestate ai capi di imputazione, con atto notificato il 7 giugno 2022 all'imputato, quando l'originaria richiesta di rinvio a giudizio era già stata formulata il 21 marzo 2022 (con discovery risalente al 16 febbraio 2022), costituisca un quid novi che va ben al di là della mera integrazione e che avrebbe richiesto il rinnovo delle formalità ex art. 415 bis c.p.p. La mancata osservanza delle formalità comporta la violazione dell'art.416, comma 1, seconda parte, c.p.p.
2.2 Erronea applicazione dell'art.648 ter 1 c.p. in relazione alla prova del reato presupposto: in assenza di statuizione sulla sussistenza del reato di emissione di fatture per operazioni inesistenti (il relativo procedimento non è ancora approdato all'esito finale) è indebito presumerne la sussistenza quale reato presupposto del reato di autoriciclaggio giudicato in questa sede.
2.3 Erronea applicazione dell'art.648 ter 1 c.p. in relazione alla consumazione del reato presupposto in epoca successiva al reato di autoriciclaggio: ex art.8, comma 2, D.Lgs. 74/2000, il reato si perfeziona, in caso di plurime emissioni relative al medesimo periodo d'imposta, nel momento di emissione dell'ultima, mentre nel caso specifico, le condotte contestate al capo 2 risultano essere state poste in essere in un momento antecedente, o al più contestuale, con conseguente insussistenza dell'ipotesi delittuosa.
2.4 Erronea applicazione dell'art.99 comma 4 c.p. Illegittimità costituzionale dell'art.69 comma 4 c.p. nella parte in cui prevede il divieto di prevalenza della attenuante di cui all'art.648 ter 1 comma 7 c.p. sulla recidiva reiterata ex art. 99 comma 4 c.p. per violazione del principio di ragionevolezza di cui all'art. 3 Cost., 69 e 648 ter 1 comma 7 c.p.
Quella contestata, si evidenzia nel ricorso, è una recidiva facoltativa che richiede specifiche valutazioni, omesse dalla Corte d'Appello nella sentenza impugnata, che ha ignorato o comunque svalutato a tal fine la collaborazione fornita dall'imputato, pur valorizzata ai fini della concessione dell'attenuante specifica (art.648 ter 1 comma 7 c.p.), ciò che ingenera un'evidente contraddizione motivazionale.
3. Con memoria inviata per mail il Sostituto Procuratore generale, Lidia Giorgio, ha chiesto l'inammissibilità del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile perché fondato su motivi ripetitivi, generici e, in parte, manifestamente infondati.
2. Il primo di essi contesta il 'salto' delle formalità dell'art.415 bis c.p.p. per una parte della contestazione dell'imputazione che è passata direttamente dall'editing del procuratore all'udienza preliminare, passando bensì per la notifica all'imputato ma senza avviso ex art.415 bis c.p.p.
1 Si contesta, da parte della difesa, che si sia verificata la mera integrazione dell'imputazione, secondo quanto ritenuto dal giudice di primo grado e poi condiviso dalla Corte d'Appello per escludere che nel caso concreto vi sia stato un effettivo mutamento della contestazione e quindi una violazione del diritto difesa.
Ebbene, la Corte ritiene che la particolare scelta procedurale attuata per riunire in un'unica contestazione la pluralità di operazioni di autoriciclaggio poste in atto a mezzo delle diverse società, seppure non rituale, non abbia arrecato un effettivo vulnus alle facoltà della difesa che ha potuto operare le proprie scelte difensive, come dimostrato dalla scelta del rito abbreviato. La formulazione dell'istanza di rito alternativo, infatti, implicando la cristallizzazione dell'accusa, ne dimostra l'accettazione (Sez. 4, n. 18776 del 30/09/2016 Boccuni Rv. 269880 -01). D'altronde, l'integrazione era stata stimolata dalle dichiarazioni collaborative dello stesso imputato, che quindi aveva piena contezza dei fatti sui quali difendersi.
D'altra parte, lungi dal configurare un'effettiva immutatio accusationis, ci si trova dinnanzi alla specificazione della stessa, a mezzo di ulteriori dettagli non inseriti ab origine nell'accusa.
Per giungere a tale conclusione non può che farsi riferimento alle norme ed ai concetti che disciplinano in generale le nuove contestazioni, la modifica delle stesse nonché la correlazione tra l'imputazione contestata e la sentenza. Esse hanno lo scopo precipuo di assicurare il contraddittorio sul contenuto dell'accusa e quindi il pieno esercizio del diritto di difesa dell'imputato. Si tratta di norme e concetti che non vanno interpretate ed applicati in senso rigorosamente formale ma con riferimento alle finalità alle quali sono dirette e che non possono ritenersi violati da qualsiasi modificazione rispetto all'accusa originaria, ma soltanto nel caso in cui l'imputazione venga mutata nei suoi elementi essenziali, sì da determinare incertezza e pregiudicare il concreto esercizio del diritto di difesa (Sez. 6, Sentenza n. 2642 del 14/01/1999 Catone Rv. 212803). L'esigenza stessa di un tempo idoneo per l'organizzazione della difesa, evocata nel motivo ma contraddetta dalla scelta di rito abbreviato, allude alle ipotesi di sostanziale immutazione dell'originaria contestazione o di ulteriori addebiti sostanziali che rendano necessaria la particolare tutela del diritto di difesa. Si deve pertanto concludere che esulino dalla previsione di legge tutte quelle modifiche che si risolvano in mere correzioni dell'originaria formulazione, senza toccare il nucleo sostanziale dell'addebito (Sez. 5, 22 novembre 2001 n. 6977 e 31 gennaio 2013 n. 10196).
Nel caso di specie, il contenuto essenziale dell'attività di riciclaggio riassunta nel capo 2 è già concettualmente espresso nelle poche righe di pg.10, ove la frase, concludendosi con la locuzione 'ed in particolare:' dimostra che quanto segue, cioè le lunghe elencazioni delle singole operazioni di riciclaggio, costituiscono elementi integrativi ed esplicativi dell'accusa già sufficientemente espressa nel paragrafo che precedeva.
3. Quanto alla prova del reato presupposto, questione che sostanzia il secondo motivo, questa Corte non ignora che sul tema vi sono diversi orientamenti all'interno della giurisprudenza di legittimità. Ad un indirizzo fondato su un approccio per così dire 'realistico', soddisfatto, ai fini della configurazione del reato di riciclaggio (e quindi, anche autoriciclaggio), dalla semplice presenza di più indici incompatibili con una origine lecita del denaro (ex multis, Sez.2, n.43532 del 19/11/2021, Berati; Sez. 2, n. 16012 del 14/03/2023 Scordamaglia Rv. 284522 - 01) se ne contrappone un altro di segno opposto, per così dire 'rigorista', che tende ad imporre al giudice di merito uno sforzo ermeneutico più approfondito al fine di imporre quanto meno la identificazione ed indicazione delle 'tracce, anche in termini di qualificazione giuridica, del reato presupposto che non può rimanere totalmente indefinito.
Si è così affermato che ai fini della configurabilità dei reati contro il patrimonio presupponenti la consumazione di un altro reato (artt. 648, 648-bis, 648-ter, 648-ter.l cod. pen.), è necessario che il reato presupposto, quale essenziale elemento costitutivo delle relative fattispecie, sia individuato quantomeno nella sua tipologia, pur non essendone necessaria la ricostruzione in tutti gli estremi storico-fattuali (Sez. 2, n. 6584 del 15/12/2021 Cremonese Rv. 282629 - 01). Si è aggiunto che ai fini della configurabilità del reato di riciclaggio, pur non essendo necessaria la ricostruzione del delitto presupposto in tutti gli estremi storici e fattuali, tuttavia occorre che esso sia individuato nella sua tipologia (Sez. 2, n. 29689 del 28/05/2019 Maddaloni Rv. 277020 - 01).
Passando ora dall'astratto al concreto, non può sfuggire che nel caso concreto anche lo standard affermato dall'orientamento maggiormente restrittivo, come sopra sintetizzato, è sicuramente soddisfatto posto che l'attività di riciclaggio è strutturata, nella formulazione del capo di imputazione, in relazione a specifiche e puntualmente identificate appropriazioni indebite. Si legge nel capo di imputazione (pg.10) che l'imputato con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso costituiva e gestiva 46 soggetti giuridici al fine di ricevere i proventi provenienti dai delitti di appropriazione indebita commessi dagli amministratori di 638 società. I reati presupposti sono quindi stati puntualmente identificati. Ed anche in relazione alle operazioni di falsa fatturazione, per ammissione dello stesso ricorrente, i reati (di sistematica emissione di fatture per operazioni inesistenti) non solo sono stati identificati, ma anche descritti in un capo di imputazione che ha formato oggetto eli una richiesta di rinvio a giudizio in un processo che, seppur non giunto ancora alla sentenza definitiva, è già dinnanzi al giudice per l'udienza preliminare per la discussione del giudizio abbreviato.
4. Il quarto motivo (pg.6) invoca il principio desumibile dal secondo comma dell'art.8 del D.Lgs. 74/2000 per cui "il delitto di cui all'art.8 D.Lgs. 74/2000 si perfeziona, in caso di plurime emissioni -di fatture per operazioni inesistenti, n.d.r.- relative al medesimo periodo d'imposta, nel momento di emissione dell'ultima". Da ciò, si sostiene, in una "sorta di rielaborazione del paradosso achilleo di Zenone, che essendo l'autoriciclaggio contestato in relazione a ciascuna operazione, ogni operazione di autoriciclaggio verrebbe ad essere anteriore, o al più contemporanea alla commissione del reato presupposto, che per ciascuna annualità non poteva che venire a compimento con I'emissione dell'ultima f.o.i. dell'annualità.
La tesi si presta a due distinte confutazioni.
Innanzitutto, la contestazione di autoriciclaggio, come si è detto sopra, concerne i profitti di plurime appropriazioni indebite compiute dai legali rappresentanti delle 638 società che all'imputato rimettevano il denaro per consentirne la 'pulitura'. I reati presupposti sono le appropriazioni indebite e non, se non mediatamente, le false fatturazioni commesse anteriormente.
In ogni caso, occorre rilevare che, seppure in giurisprudenza sia affermato il principio per cui in caso di emissione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti relative al medesimo periodo di imposta, si configura un unico reato, che sì consuma alla data dell'ultima fattura (ex multis, Sez. F., n. 34824 del 08/08/2023 Turturro Rv. 285095 - 02; Sez. 3, n. 9440 del 24/11/2021 - dep. 21/03/2022, Rv. 282918 - 01) vi sono anche pronunce che, dovendosi confrontare con casi in cui vi era stata l'emissione di un'unica fattura, parlano di effetto istantaneo. Ciò perché, evidentemente, al momento di emissione di una fattura (o di scoperta della falsità della stessa) non è prevedibile o predittibile se ne Saranno o ve ne siano state altre e solo l'emissione (o la scoperta) di una seconda fattura produrrà l'universitas delictorum prevista dalla legge, senza che il singolo episodio perda la propria natura illecita. In altre parole, il meccanismo previsto dall'art.8 comma 2 D.Lgs. 74/2000, come chiarito dallo stesso testo della norma (che si limita a dire che l'emissione di più fatture si considera come un solo reato per ciascun periodo d'imposta) dà vita ad un cumulo giuridico unificando, una pluralità di atti dì emissione di fatture false che potrebbero avere individualità delittuosa autonoma: e pluribus, unum. La ratio della disposizione risulta chiaramente dalla Relazione governativa al D.Lgs. n. 74/2000 (punto 3.2): "poiché dal versante dell'utilizzatore l'impiego di più fatture o documenti falsi a supporto di una medesima dichiarazione mendace dà comunque luogo ad un unico reato, si è previsto, al comma 2 dell'art. 8 che, anche nei confronti dell'emittente che la formazione di una pluralità di fatture o documenti falsi nel medesimo periodo di imposta integri un solo episodio criminoso, anziché tanti reati quanti sono i documenti emessi (si tratta in sostanza di una speciale ipotesi di cumulo giuridico)".
Come nel caso di altri cumuli giuridici, ciò richiede una valutazione dell'istituto sui generis, di tal che, in relazione al singolo episodio di riciclaggio, la natura illecita del singolo episodio non preclude il realizzarsi del riciclaggio della somma prodotta.
5. Infine, in relazione all'ultimo motivo, si osserva quanto segue.
Va ricordato che la valutazione della sussistenza della recidiva, così come delle altre circostanze, nonché della loro comparazione e bilanciamento, come in vero di ogni altro aspetto inerente al trattamento sanzionatorio, appartiene al giudice del merito che esprime un giudizio di fatto, la cui motivazione è insindacabile in sede di legittimità, purché sia non contraddittoria e dia conto, anche richiamandoli, degli elementi, tra quelli indicati nell'art. 133 cod. pen., considerati preponderanti ai fini della concessione o dell'esclusione.
Nel caso specifico, la Corte d'Appello ha ampiamente giustificato la propria decisione facendo adeguato riferimento ai significativi precedenti dell'imputato (tra i quali rapina e tentato omicidio), parlando del 'salto di qualità' dell'attività criminale dell'imputato e soffermandosi sulle ragioni per cui, a fronte di un vissuto criminale così intenso, la collaborazione non avesse assunto valore "sradicante" della aggravante contestata, al punto che la preclusione di un giudizio di bilanciamento più favorevole dell'equivalenza già riconosciuta trova il proprio fondamento non tanto nel divieto di legge (atteso il tenore della recidiva ed il disposto dell'art.69 u.c., c.p.) quanto nella ostatività dei precedenti.
Tale decisione, che la Corte non ha ragione di contestare in quanto congrua, esclude, in relazione al parametro della rilevanza, la questione di costituzionalità dell'art.69 c.p..
6. All'inammissibilità del ricorso consegue, ai sensi dell'art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento nonché, ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al pagamento in favore della cassa delle ammende della somma di Euro tremila, così equitativamente fissata.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, 28 febbraio 2024
Depositato in Cancelleria il 2 luglio 2024