RITENUTO IN FATTO
1. Il Tribunale della Libertà di Firenze, con ordinanza del 31 maggio 2024, respingeva le istanze di riesame avanzate nell'interesse di Er.Al. e De.Gi. avverso l'ordinanza del G.I.P. presso il Tribunale di Prato del 2 - 5 - 2024 che aveva applicato nei confronti dei predetti la misura cautelare degli arresti domiciliari con divieto di comunicazione, in quanto gravemente indiziati del delitto di concorso in truffa aggravata ai danni dello Stato, in relazione all'ottenimento di importi a titolo di bonus facciate per lavori mai eseguiti.
2. Avverso detta ordinanza proponevano ricorso per cassazione i difensori degli indagati; l'avv.to Francesca Ruggiero, per il De.Gi., deduceva con distinti motivi qui riassunti ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen.:
- violazione dell'art. 606 lett. b) cod. proc. pen., con riferimento agli artt. 316-ter e 640-bis cod. pen. posto che i fatti andavano sussunti nella meno grave fattispecie di cui all'art. 316-ter cod. pen. piuttosto che nella truffa finalizzata al conseguimento di erogazioni pubbliche; ed invero, il momento consumativo del reato, doveva essere individuato alla data del riconoscimento del credito di imposta (20-10-2021) e non anche in quello successivo della liquidazione dell'importo non dovuto da parte di Poste Italiane (30-11-2021), con la conseguenza che, essendo ancora in vigore il regime previsto dall'art. 121 del D.L. 34/2020 secondo il quale il riconoscimento del credito di imposta avveniva automaticamente a seguito della presentazione dell'istanza da parte del privato procedente alle opere, e, non essendo ancora in vigore la più restrittiva disciplina prevista dall'art. 122-bis entrata in vigore il 12-11-2021, i fatti andavano qualificati ex art. 316-ter cod. pen.; errata era anche la ricostruzione dei fatti operata nel provvedimento impugnato quanto alla procedura di liquidazione, posto che, il meccanismo attraverso il quale veniva riconosciuto il credito di imposta, era basato soltanto sull'emissione della fattura e l'inserimento dell'opzione della cessione sulla piattaforma della Agenzia delle Entrate, senza la previsione dì alcun controllo a monte, relativo alla correttezza dei dati essendo, il soggetto pubblico erogatore, chiamato esclusivamente a prendere atto della formale dichiarazione da parte del privato;
- violazione dell'art. 606 lett. e) cod. proc. pen. ed illogicità della motivazione relativamente alla ritenuta esigenza cautelare del pericolo di reiterazione, asserita in forza di considerazioni del tutto astratte, dovendosi tenere conto delle date dì consumazione dei fatti (3 anni addietro rispetto all'emissione del provvedimento cautelare coercitivo), dell'assenza di ulteriori episodi criminosi ascrivibili all'indagato che avrebbero dovuto fare ritenere insussistente il pericolo di recidiva ovvero lo stesso tutelabile attraverso misure meno limitative della libertà personale.
2.1 L'avv.to Furnari, nell'interesse di Er.Al., deduceva con distinti motivi qui riassunti ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen.:
- inosservanza od erronea applicazione della legge penale quanto alla qualificazione dei fatti ex art. 640-bis cod. pen. piuttosto che nella corretta ipotesi di cui all'art. 316-ter cod. pen.;
- mancanza della motivazione in relazione alla sussistenza di esigenze cautelari essendo stata omessa qualsiasi specificazione della attualità delle esigenze e della concretezza delle stesse, avuto anche riguardo al tempo trascorso;
- erronea applicazione dei criteri di scelta della misura cautelare e difetto di motivazione sul punto, posto che erano state utilizzate clausole di stile;
- inosservanza od erronea applicazione della legge penale in relazione alla ritenuta competenza per territorio del Tribunale di Prato e violazione degli artt. 12 e 16 cod. proc. pen. quanto alla ritenuta connessione teleologica tra il reato di truffa finalizzata al conseguimento di erogazioni pubbliche ed il successivo riciclaggio, che si assumeva consumato in P attraverso i bonifici nei confronti di cittadini cinesi, non sussistendo sovrapponibilità tra gli autori del reato fine e quelli del reato mezzo.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. I ricorsi appaiono entrambi proposti per motivi infondati e devono, pertanto, essere respinti.
Ed invero, quanto al primo motivo di entrambe le impugnazioni, con il quale si contesta la qualificazione giuridica dei fatti ai sensi dell'art. 640-bis cod. pen. piuttosto che in quella che si assume corretta dell'art. 316-ter cod. pen., va innanzi tutto ricordato come tale ultima norma costituisca fattispecie residuale rispetto alle ipotesi di truffa finalizzate al conseguimento di erogazioni pubbliche di cui all'art. 640-bis cod. pen.; il principio risulta in primo luogo ricavabile dalla lettera inequivocabile della norma che si apre proprio con una precisa clausola di riserva escludendo l'applicazione dell'ipotesi di cui all'art. 316-ter cod. pen. ogni qual volta ricorrono i casi di cui all'art. 640-bis cod. pen. (Salvo che il fatto costituisca il reato previsto dall'art. 640-bis....).
Così che l'interprete, per procedere alla esatta qualificazione giuridica dei fatti, deve, dapprima, escludere l'ipotesi della truffa e, solo dopo, eventualmente inquadrare la fattispecie concreta in altro e diverso reato; ove, quindi, sussistano sia gli artifici ed i raggiri che l'induzione in errore tramite inganno, non vi è dubbio che va applicata la fattispecie più grave di cui al citato art. 640-bis cod. pen. Detto principio risulta inequivocabilmente affermato dalle Sezioni Unite in quella pronuncia (Sez. U., n. 16568 del 19/04/2007, imp. Carchivi, Rv. 235962 - 01) che in motivazione espressamente precisa come "la costruzione del delitto di cui all'art. 316-ter c.p. come un'ipotesi speciale di truffa finirebbe per vanificare l'intento del legislatore che, anche in adempimento di obblighi comunitari, aveva perseguito l'obiettivo di espandere ed aggravare la responsabilità per le condotte decettive consumate ai danni dello Stato o dell'Unione Europea; mentre proprio tali condotte risulterebbero invece punite meno severamente a norma dell'art. 316-ter comma 1 c.p. o addirittura sottratte alla sanzione penale a norma dell'art. 316-ter comma 2 c.p. nei casi di minore gravità. Ora non v'è dubbio che il legislatore dei 2000, quando ha inserito nei codice penale l'art. 316-ter, ha ritenuto appunto di estendere la punibilità a condotte decettive non incluse nella fattispecie dì truffa, esattamente come già il legislatore del 1986, che aveva previsto un'analoga fattispecie criminosa (art. 2 della legge 23 dicembre 1986 n. 898). E questa possibile diversità della fattispecie di truffa rispetto a quelle introdotte nel 1986 e nel 2000 è stata più volte riconosciuta sia dalla Corte costituzionale sia da queste stesse Sezioni unite, sebbene con un affidamento all'interprete del compito di verificare caso per caso se sia configurabile il delitto di truffa aggravata (art. 640-bis c.p.) ovvero quello residuale previsto appunto dall'art. 316-ter c.p. (C. Cost., n. 25/1994, C. Cost., n. 433/1998, C. Cost., n. 95/2004; Cass., Sez. Un., 24 gennaio 1996, Panigoni, m. 203969)..... Non rimane quindi che privilegiare il secondo orientamento interpretativo, con la consapevolezza tuttavia che, in conformità del resto ai dichiarati intenti del legislatore, l'ambito di applicabilità dell'art. 316-ter c.p. si riduce così a situazioni del tutto marginali, come quelle del mero silenzio antidoveroso o di una condotta che non induca effettivamente in errore l'autore della disposizione patrimoniale".
Successivamente, proprio in considerazione dei dettami delle Sezioni Unite, si è stabilito come il reato di indebita percezione di erogazioni pubbliche differisce da quello di truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche per la mancanza dell'elemento dell'induzione in errore, la quale può anche desumersi dal falso documentale allorché lo stesso, per le modalità di presentazione o per altre caratteristiche, sia di per sé idoneo a trarre in errore l'autorità; ed in motivazione la Corte ha ritenuto artificiosa - e pertanto idonea ad integrare il reato di truffa in danno di ente pubblico - la falsa attestazione, sottoscritta con firma apocrifa di cui l'imputato aveva consapevolezza, di essere nelle condizioni per poter beneficiare dell'indennità di disoccupazione (Sez. 2, n. 49464 del 01/10/2014, Rv. 261321 - 01).
1.1 Detti principi devono trovare poi applicazione alle particolari ipotesi della percezione di bonus da parte di soggetti non aventi diritto e cioè quando, alla richiesta di riconoscimento di un credito fiscale od altro beneficio economico previsto ex lege, non corrisponda l'esecuzione effettiva delle opere dichiarate. La giurisprudenza della corte di legittimità ha approfondito il tema analizzando diverse fattispecie concrete; in un primo caso si è concluso per la fondatezza della contestazione ex art. 640-bis cod. pen. quando, dalla ricostruzione dei fatti, risulti che l'importo dei bonus era stato liquidato dalla pubblica amministrazione a seguito della trasmissione di false fatture che attestavano operazioni di vendita o di altri servizi (Sez. 2 n. 38716 del 22 giugno 2023); in motivazione tale pronuncia si affermava espressamente che l'importo dei bonus risultava liquidato dalla pubblica amministrazione a seguito della trasmissione di false fatture da parte della libreria che attestavano operazioni di vendita di libri o di altri servizi in favore dei 18enni mai in realtà effettuate. Ne deriva affermare che una tale condotta non può certamente essere ricondotta alla luce della interpretazione della citata pronuncia delle Sezioni Unite al mero silenzio antidoveroso, campo applicativo della fattispecie di cui all'art. 316-ter cod. pen., ma costituisce proprio un'attività diretta a trarre in inganno la pubblica amministrazione con la trasmissione di dati falsi e la comunicazione di prestazioni mai avvenute.
Il principio risulta ribadito da altre pronunce che sono intervenute sempre in tema di liquidazione dei c.d. bonus e secondo le quali integra il delitto di truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche, di cui all'art. 640-bis cod. pen., e non quello di indebita percezione di erogazioni pubbliche, cui all'art. 316-ter cod. pen., la condotta di chi registri sull'apposita piattaforma digitale false fatture relative alla simulata cessione di libri in formato digitale ai beneficiari del "bonus cultura", cui erano stati, invece, consegnati beni di genere diverso, stante la preordinata attività fraudolenta concretamente posta in essere (Sez. 2, n. 13573 del 02/02/2024, Rv. 286319 - 02).
Con particolare riferimento, poi, ai c.d. bonus edilizi si è affermato come integra il delitto di cui all'art. 640-bis cod. pen. l'attività organizzata di natura fraudolenta posta in essere per conseguire erogazioni pubbliche, nel caso in cui la falsa dichiarazione all'ente si ponga come uno dei segmenti dell'azione delittuosa, presupponendo essa il mancato possesso di una serie di requisiti dichiarati falsamente esistenti per indurre in errore l'ente erogatore (Sez. 2, n. 19841 del 12/01/2023, Rv. 285397 - 01). Tale pronuncia prendeva espressamente in esame una fattispecie relativa all'illecita percezione di falsi crediti d'imposta relativi all'utilizzo di "bonus" previsti dalla legislazione emergenziale pandemica - "bonus" locazioni, "sisma-bonus", "bonus" facciate - ottenuti attraverso la costituzione di un'associazione per delinquere finalizzata alla predisposizione di attestazioni mendaci da inserire telematicamente nel portale dell'Agenzia delle entrate (Sez. 2, n. 19841 del 12/01/2023, cit.).
Fatte tali premesse, sulla struttura degli illeciti commessi nell'ambito delle legislazioni in forza delle quali si accede al sistema dei bonus edilizi, ed accertato, quindi, che ove il diritto alla prestazione sia stato ottenuto mediante l'invio di falsa documentazione idonea a trarre in inganno l'amministrazione pubblica, irrilevante appare stabilire se, nel caso di specie, il momento consumativo del reato sia antecedente ovvero successivo l'entrata in vigore del 122-bis del D.L. 34/2020, posto che, secondo la stessa ricostruzione dei fatti contenuta nei ricorsi, la liquidazione del credito di imposta avveniva a seguito della emissione delle false fatture attestanti l'esecuzione di lavori mai in realtà eseguiti, tale da integrare un vero e proprio artificio e raggiro ai danni della pubblica amministrazione e così la contestata ipotesi di cui all'art. 640-bis cod. pen.
Deve pertanto ribadirsi che il riconoscimento del credito di imposta previsto dalla legislazione in materia di bonus edilizi a seguito della trasmissione di false fatture attestanti l'esecuzione di opere in realtà mai effettuate integra una condotta riconducibile al parametro di cui all'art. 640-bis cod. pen. e non anche alla più lieve fattispecie dell'art. 316-ter cod. pen. posto che il riconoscimento del credito da parte dell'ente pubblico è avvenuto a seguito dell'induzione in errore dello stesso.
1.2 In relazione poi al tema della individuazione della fattispecie va ancora ricordato che nell'ipotesi di crediti fiscali da bonus (bonus facciate o bonus 110%) la condotta illecita può essere integrata dalla predisposizione artificiosa a seguito della trasmissione della falsa documentazione di crediti fiscali nei confronti dell'amministrazione pubblica cui segue la cessione di tale posta attiva a terzi; in tali casi, il soggetto passivo dell'induzione in errore è sempre la pubblica amministrazione, mentre, il danneggiato dal reato, può sia coincidere nella Agenzia delle Entrale e quindi nell'amministrazione finanziaria ove il credito sia stato posto in compensazione o comunque liquidato, ovvero, anche nel terzo cessionario del credito che lo abbia poi a sua volta inserito nel proprio cassetto fiscale. E deve precisarsi che, ad avviso di questa Corte, il reato è perfezionato a seguito della prima cessione poiché appaiono realizzati tutti gli elementi costitutivi la truffa ex art. 640-bis cod. pen. costituiti dalla induzione in errore della p.a., effettuata tramite l'utilizzazione di fatture per lavori mai eseguiti o di differente importo, dal danno conseguente per la pubblica amministrazione risultata debitrice di somme non dovute, ed anche dall'ingiusto profitto, già percepito a seguito della prima cessione del credito.
Proprio tale schema operativo appare essere stato seguito nel caso in esame; come risulta dalla accurata descrizione dei fatti esposta a pagina 2 dell'ordinanza impugnata, il cessionario dei crediti per bonus facciate per lavori di ristrutturazione inesistenti è stato individuato in Poste Italiane Spa che ha corrisposto le somme accreditandole su diversi conti correnti postali dai quali venivano poi subito movimentati in favore di società o cittadini cinesi ovvero di altre società straniere. Attraverso, quindi, l'induzione in errore dell'amministrazione finanziaria gli agenti ottenevano il riconoscimento di un credito di imposta la cui liquidazione avveniva da parte dell'ente cessionario dello stesso credito, in questo caso individuato in Poste Italiane Spa, con la conseguenza che, in tali casi, sussiste sia il profitto ingiusto, costituito dal credito e dall'importo della successiva cessione, che il danno altrui, integrato sia dal debito dell'amministrazione finanziaria che dall'importo versato dal cessionario all'agente del reato.
Ne consegue, quindi, affermarsi che essendosi in presenza di crediti per lavori inesistenti, ai fini del perfezionamento del reato e della sua consumazione non occorre necessariamente individuare che l'ultimo cessionario porti in compensazione le somme con l'Agenzia delle Entrate e ne ottenga la liquidazione, essendo sufficiente che anche la sola prima cessione abbia comportato il pagamento di somme non dovute dal cessionario, nel caso in esame costituito da Poste Italiane.
Al proposito va peraltro ricordato come in nessun caso possa dubitarsi del perfezionamento del delitto di cui all'art. 640-bis cod. pen. ove il cessionario del credito di imposta fittizio sia costituito da un ente come Poste Italiane Spa; ed invero un prevalente orientamento giurisprudenziale attribuisce la qualifica di ente pubblico a tale particolare società per azioni osservando tra l'altro che, essendo il suo capitale sociale partecipato in via maggioritaria dallo Stato, il danno ridonda sul patrimonio pubblico, cui l'aggravante intende apprestare una particolare protezione; in particolare la giurisprudenza ha affermato come ai fini dell'applicazione dell'aggravante di cui all'art. 640, comma secondo, n. 1, cod. pen., devono ritenersi rientranti nella categoria degli enti pubblici tutti gli enti, anche a formale struttura privatistica, aventi personalità giuridica, che svolgano funzioni strumentali al perseguimento di bisogni di interesse generale aventi carattere non industriale o commerciale, posti in situazioni di stretta dipendenza nei confronti dello Stato, degli enti pubblici territoriali o di altri organismi di diritto pubblico (Sez. 2, n. 20683 del 13/05/2022, Rv. 283406 - 01; conforme: Sez. 2, n. 38614 del 17/07/2014 Rv. 260827 - 01).
1.3 Non può pertanto condividersi quell'orientamento secondo cui il delitto di truffa aggravata ai danni dello Stato, commesso attraverso la costituzione di un credito fiscale fittizio a seguito della falsa asseverazione in ordine al completamento di opere per le quali è previsto il riconoscimento del "superbonus 110%" e la successiva cessione a terzi di tale credito, si perfeziona con la riscossione o con la compensazione del credito, in quanto solo in quel momento è conseguito l'ingiusto profitto, con conseguente danno per l'amministrazione (Sez. 3, n. 23402 del 07/03/2024, Rv. 286554 - 01) e ciò, perché, come già esposto, a seguito della prima cessione del credito sono integrati tutti gli estremi del reato ed anche l'ingiusto profitto con altrui danno, costituito, quest'ultimo, dal pagamento di un credito per lavori mai eseguiti e perciò non solubile dall'acquirente dello stesso. La natura essenzialmente trilaterale della cessione del credito (debitore ceduto-creditore cedente- acquirente cessionario) impone valutare ai fini del riconoscimento della truffa che il soggetto tratto in inganno (debitore ceduto) può non coincidere con il danneggiato dal reato (cessionario acquirente del credito) ma ciò non esclude comunque l'avvenuto perfezionamento del reato a titolo consumato e non semplicemente tentato.
2. Quanto ai motivi in punto esigenze cautelari, gli stessi prospettano violazioni di legge ovvero difetti di motivazione insussistenti avendo, il giudice del riesame della cautela personale, evidenziato come, per la reiterazione delle condotte con le quali si ottenevano rilevanti profitti illeciti (150.000 Euro per ciascuna delle operazioni) e per la sussistenza di un sistema assai articolato ed organizzato dedito ad attività decettive, dovesse ritenersi sussistere un concreto pericolo di recidiva con valutazione che appare esente dalle lamentate censure. Ed anche in relazione alla scelta della misura il Tribunale del riesame appare avere analizzato le precise circostanze di fatto che imponevano una misura restrittiva della libertà personale con divieto di comunicazione concretamente idonea ad impedire la prosecuzione di attività illecite già svolte in forma organizzata.
3. Infine del tutto reiterativo appare l'ultimo motivo del ricorso Er.Al., che contesta la competenza territoriale del Tribunale di Prato, avendo, il giudice del riesame, fatto corretta applicazione dei criteri dettati dall'art. 12 cod. proc. pen. quanto alla individuazione del nesso teleologico tra il delitto presupposto di truffa ai danni dello Stato e quello di riciclaggio successivamente consumato con il trasferimento dei proventi illeciti presso cittadini residenti proprio nel territorio di P. Peraltro, il motivo di ricorso, non indica neppure quale altra autorità sarebbe competenza scadendo così nel difetto di specificità.
4. Alla declaratoria di infondatezza consegue, per il disposto dell'art. 616 cod. proc. pen., la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 23 ottobre 2024.
Depositata in Cancelleria il 30 ottobre 2024.