top of page

Truffa per prestazioni assistenziali: condotta ingannevole ripetuta integra reati distinti per ogni visita di controllo

Truffa danni Stato

Cassazione penale sez. II, 12/01/2024, n.6872

In presenza di una condotta ingannevole reiterata durante visite periodiche di controllo per il mantenimento di prestazioni assistenziali, il reato di truffa non può essere considerato come un reato unico e continuato, ma deve essere “scisso” in più reati distinti, ciascuno dei quali si perfeziona con l'ultima erogazione di assistenza percepita prima di ogni nuova visita di controllo. Pertanto, ogni visita di revisione in cui l’imputato mette in atto una condotta fraudolenta per ottenere il rinnovo delle prestazioni comporta la consumazione di un nuovo reato.

Truffa per prestazioni assistenziali: condotta ingannevole ripetuta integra reati distinti per ogni visita di controllo

Truffa aggravata ai danni dello Stato: il reato connesso al superbonus 110% si perfeziona con la riscossione o compensazione dei crediti fittizi

Truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche: registrazione di false fatture sul bonus cultura

La truffa ai danni di Poste Italiane integra il reato aggravato

Hai bisogno di assistenza legale?

Prenota ora la tua consulenza personalizzata e mirata.

 

Grazie

oppure

PHOTO-2024-04-18-17-28-09.jpg

La sentenza integrale

RITENUTO IN FATTO 1. Con ordinanza in data 29/09/2023, il Tribunale di Novara, in parziale riforma del decreto di sequestro preventivo emesso dal Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Novara in data 17/05/2023, riduceva ad euro 596.178,35 (essendo gli illeciti antecedenti al 14/07/2005, estinti per prescrizione) l'ammontare del sequestro preventivo, disposto, in via diretta e per equivalente, dal Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Novara in data 17/05/2023, nei confronti di Ci.An. in relazione al reato dì cui agli artt. 81 cpv., 640-bis cod. pen. 2. Avverso la predetta ordinanza, nell'interesse di Ci.An., è stato proposto ricorso per cassazione, il cui formale unico motivo viene di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen.: vizio di motivazione e violazione di legge in relazione agli artt. 321 cod. proc. pen., Ili Cost., 83 e 137 d.P.R. 1124/1965. Evidenzia il ricorrente come lo stesso fosse percettore di due distinti trattamenti previdenziali: a) rendita per invalidità permanente da infortunio sul lavoro subito in data 29/04/1993; b) rendita per assistenza personale continuativa. In relazione alla prima, si afferma che la rendita del Ci.An. alla data del 14/07/2005 non poteva essere oggetto di revisione e le visite periodiche erano invece dirette alla revisione dell'assegno di assistenza personale continuativa. Il termine decennale previsto dal d.P.R. 30/06/1965, n. 1124, art. 83, nel quale è possibile la revisione della rendita, non è di prescrizione e neppure di decadenza, ma serve semplicemente a delimitare l'ambito territoriale di rilevanza dell'aggravamento o del miglioramento delle condizioni dell'assicurato, che fa sorgere il diritto alla revisione; nel caso di specie, la visita del 14/07/2005 non avrebbe consentito alcuna revisione delle condizioni fisiche dell'assicurato: quindi, la rendita per invalidità permanente continua ad essere legittimamente percepita dal Ci.An. e non può essere oggetto di sequestro preventivo perché ormai cristallizzata. In relazione alla seconda, si è parimenti al cospetto del meccanismo della cristallizzazione. Si è affermato in giurisprudenza che l'assegno previsto dall'art. 76 ha la sua fonte giustificatrice nella rendita per l'invalidità permanente assoluta ed assume il carattere di una prestazione integrativa della rendita già concessa: come tale è assoggettato alla disciplina propria del campo previdenziale, ivi compresa l'esigenza di un rapporto eziologico tra l'infortunio sul lavoro e l'invalidità permanente assoluta. Di conseguenza, l'assegno in questione non può essere riconosciuto quando tale invalidità sopravvenga per cause indipendenti dagli eventi che diedero luogo alla rendita originale ovvero quando la revisione della medesima, per aggravamento delle condizioni del titolare, sia impossibile per la scadenza dei termini che regolano lo sviluppo del rapporto assicurativo. Quand'anche si ritenesse revisionabile questa seconda prestazione, il provvedimento INAIL ha ancorato la revoca alla data del 01/01/2022: si tratterebbe, pertanto, di tre mensilità indebitamente erogate e per le quali l'Istituto può recuperare l'importo con trattenuta sulla rendita da infortunio. Non sussistono, quindi, i presupposti per confermare il sequestro preventivo. Infine, quale ulteriore profilo di censura, si segnala che, per l'adozione della misura cautelare reale è necessaria la sussistenza della pertinenzialità del bene sequestrato, nel senso che il bene oggetto di sequestro deve caratterizzarsi per un'intrinseca, specifica e strutturale strumentalità rispetto al reato commesso, non essendo sufficiente una relazione meramente occasionale. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso è inammissibile. 2. Aspecifico e manifestamente infondato è l'unico motivo di ricorso svolto. Il Tribunale ha affermato come all'adozione del vincolo reale non osta la disciplina di settore richiamata dal ricorrente, atteso che eventuali limiti alla ripetibilità delle somme già erogate previsti dal d.P.R. n. 1124/1965 attengono unicamente al rapporto giuridico tra I.N.A.I.L. e soggetto beneficiario. L'argomentazione risulta congrua, poiché sottolinea la "natura esclusivamente penalistica" e "mira a sottrarre al reo l'illecito profitto di un reato": in altri termini, altro è il limite alla ripetibilità delle somme già erogate (nel presupposto che l'erogazione sia legittima, in quanto in presenza dei presupposti perché essa avvenisse); altro è sottrarre al reo, nella prospettiva anticipatoria del sequestro preventivo, le rendite indebitamente percepite quale profitto del delitto ex art. 640-bis cod. pen. Il Tribunale spiega, inoltre, la ragione per la quale ritiene che la struttura della truffa nel caso in esame, per quanto a consumazione prolungata, non possa ritenersi - nella sua intera contestazione - come unitaria, ma debba essere "scissa" in relazione alla "reiterazione della condotta decettiva in occasione delle effettuate visite periodiche di revisione", visite alle quali il Ci.An. "si presentava fingendo l'incapacità di parlare e deambulare", con conseguente ascrivibilità al soggetto di più reati di truffa, ciascuno dei quali consumatosi con l'ultima rata percepita prima della nuova visita di controllo. In tal senso, si afferma condivisibilmente che, sebbene sul piano del rapporto assistenziale, il fatto genetico dell'erogazione della rendita debba individuarsi nella sola diagnosi dell'inabilità permanente " non può negarsi che la richiamata condotta illecita - messa in atto dal prevenuto nel corso delle visite periodiche disposte dall'I.N.A.I.L. - abbia avuto un sicuro rilievo causale rispetto al mantenimento, negli anni successivi, dell'erogazione assistenziale, che altrimenti sarebbe stata certamente revocata" (art. 83 d.P.R. 1124/1965). Con queste argomentate conclusioni, il ricorrente omette, inammissibilmente, di confrontarsi. Infine, in relazione al presupposto della strumentalità, si è in presenza di motivo nuovo, proposto per la prima volta in questa sede e, come tale, non scrutinabile. In sede di riesame, infatti, parte ricorrente aveva addotto, ai fini della richiesta di annullamento della misura, i profili di contestazione attinenti le seguenti argomentazioni: -per effetto della disciplina di cui agli artt. 83 e 137 d.P.R. 1124/1965, dopo il trascorrere dei primi dieci anni, la rendita erogata dall'INAIL, non può più essere revocata, ancorché le condizioni del beneficiario non ne giustifichino il mantenimento; -la documentazione medica relativa all'infortunio subito dal Ci.An. dà conto dell'effettività e della gravità delle lesioni ad esso conseguenti, di tal che le evidenze investigative dimostrano unicamente un miglioramento delle condizioni di salute dello stesso e non una frode perpetrata ai danni dell'ente assistenziale. 3. Alla pronuncia consegue, per il disposto dell'art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila, così quantificata in ragione dei profili di colpa emergenti dal ricorso, in favore della Cassa delle ammende. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Così deciso in Roma il 12 gennaio 2024. Depositato in Cancelleria il 15 febbraio 2024.
bottom of page