Tribunale Lecce sez. I, 09/05/2024, n.1330
L'assoluzione per il reato di atti persecutori (art. 612-bis c.p.) è giustificata quando le prove acquisite in giudizio non consentano di superare, oltre ogni ragionevole dubbio, la soglia di certezza richiesta per affermare la responsabilità penale. In particolare, qualora emerga un quadro probatorio caratterizzato da incongruenze, versioni contrapposte e non riscontrate, oppure manchi la dimostrazione di uno degli eventi tipici del reato (grave stato d'ansia, mutamento delle abitudini di vita, o timore fondato per l'incolumità), il fatto deve ritenersi non sussistente.
Svolgimento del processo
Con decreto che dispone il giudizio del GUP in sede, in data 18.2.2021, Mo.Eu. è stato tratto a giudizio per rispondere dei reati indicati in epigrafe.
Dopo l'udienza di mero rinvio del 14.5.2021, nell'udienza del 13.5.2022, nella regolarità del contradditorio, assente l'imputato, veniva dichiarato aperto il dibattimento.
Nell'udienza del 22.2.2023, venivano formulate le richieste di prova sulle quali il Giudice provvedeva ex art. 495 c.p.p. e si procedeva all'ascolto della parte civile Fr.St.
Nell'udienza del 28.11.2023, su consenso delle parti, veniva acquisito il verbale di sommarie informazioni rese il 28.4.2019 da Lo.An.
Altresì si procedeva all'ascolto dei testi Ru.Fa. ed altri (…).
L'imputato presente rendeva esame.
Nell'udienza odierna, dichiarata conclusa l'istruttoria dibattimentale, le parti rassegnavano le rispettive conclusioni, come da verbale di udienza.
Il Giudice, all'esito della camera di consiglio, emetteva dispositivo di sentenza e motivazione contestuale, di cui veniva data integrale lettura.
Motivi della decisione
Mo.Eu. risponde del reato di atti persecutori e lesioni in danni dell'ex compagna Fr.St.
All'esito dell'acquisizione probatoria in dibattimento non si ritiene provata l'ipotesi d'accusa, al di là di ogni ragionevole dubbio.
Si analizzano di seguito i contributi dichiarativi.
La persona offesa Fr.St., nel gennaio 2019, raccontava di aver conosciuto Mo.Eu., tramite il social network "Facebook", ne era nata, dunque, una relazione sentimentale, connotata, tuttavia, da atti di violenza fisica e verbale posti in essere con costanza dal medesimo, anche per banali motivi.
Tale relazione si era interrotta il 28 aprile 2019, in occasione dell'ultimo episodio violento subito dalla Fr.
Segnatamente, mentre erano rimasti fermi, all'interno dell'autovettura della donna, a causa dell'assenza di benzina, il Mo. era sceso dalla autovettura, aveva aperto lo sportello e aveva colpito la donna, intenta a parlare al cellulare col figlio, con due calci - il primo su tutto il lato sinistro del suo corpo e il secondo sulle costole e sul fianco - ed un pugno. Era intervenuto un passante, che, qualificatosi come carabiniere, aveva sollecitato l'intervento delle forze dell'ordine e dell'ambulanza (cfr. scheda paziente in atti). Entrambi, quindi, venivano accompagnati al Pronto Soccorso dell'Ospedale di Lecce.
Durante l'attesa, Mo. si era lamentato con la Fr. che la medesima lo aveva colpito, circostanza esclusa in modo assoluto dalla querelante (cfr. pag. 9 verbale fonoregistrato). Alla Fr. venivano refertate le seguenti lesioni "disturbo d'ansia e contusione palpebrale dx", con prognosi fissata in 4 giorni (cfr. referto del 28.4,2019 in atti).
Dopo le dimissioni dall'ospedale, il Mo. aveva mandato via il figlio della Fr., al quale aveva detto che ella aveva sofferto di un attacco di panico, e l'aveva accompagnata presso la propria abitazione, dove ella si era messa a piangere. In tale occasione, il Mo., a detta della querelante, aveva aggredito - come faceva spesso - la propria madre, sol perché aveva preso le sue difese.
Di conseguenza, quel giorno, la Fr. decideva di interrompere la relazione sentimentale con l'imputato che, come da lei dichiarato, non l'ha più cercata.
Su precisa domanda del Pubblico Ministero, la Fr. ribadiva la sequela di minacce "se te ne vai, non faccio che arrivi al semaforo e sei già morta" e di ingiurie proferitele dall'imputato, tali che le avevano provocato degli strascichi di natura psicologica (cfr. produzione documentale difesa di parte civile).
Infine, raccontava di un ulteriore episodio, allorquando il Mo. le aveva impedito di andare via, tenendola bloccata su una poltroncina.
Insomma, la Fr. precisava che il Mo., ogniqualvolta si vedessero - e si vedevano solo durante il fine settimana - fosse solito tenere nei suoi confronti il comportamento violento già evidenziato, pur ammettendo di non aver mai pensato di denunciarlo, fino all'ultimo episodio del 28 aprile 2019, e di interrompere la relazione.
Quanto ad un episodio accaduto il 23 aprile 2019, presso l'abitazione del Mo., riferiva che egli si era rifiutato di restituirle gli effetti personali ed erano intervenuti i Carabinieri. Infine, riferiva di aver stretto un bel legame con la madre del Mo. e di non aver raccontato a nessuno, se non superficialmente ad un paio di amiche, tutto ciò che le era capitato. L'imputato e gli altri testi fornivano una diversa ricostruzione del fatto.
Mo.Eu. confermava di aver intrapreso la relazione sentimentale con la Fr. il 20 gennaio 2019 e che erano soliti vedersi solo nel fine settimana, presso la propria abitazione. Egli, tuttavia, dava una versione differente circa la fine della relazione, collocandola al 23 aprile 2019, quando, venuto a sapere che la Fr. era stata già sposata due volte ed aveva figli, aveva deciso di troncare, ritenendo il legame sentimentale con una donna separata inconciliabile col proprio credo religioso. Tale decisione unilaterale aveva suscitato la reazione inconsulta della Fr., che si era recata presso l'abitazione dell'imputato, insultandolo e minacciandolo a tal punto che erano intervenute le forze dell'ordine.
Quanto all'episodio del 28 aprile 2019, Mo. raccontava che la Fr. si era presentata nuovamente a casa sua, col tentativo di fargli cambiare idea. Pertanto, erano usciti, con l'autovettura della donna, per consumare un caffè. All'improvviso, gli animi si erano surriscaldati, la Fr. lo aveva aggredito fisicamente ed egli, cercando di difendersi, l'aveva, a sua volta, colpita, mettendole un dito nell'occhio. Mo. raccontava poi di aver accompagnato la donna al Pronto Soccorso, poiché aveva avuto una forte crisi di nervi, e di non essere ricorso a cure mediche. Infine, dopo il fatto, aveva dato ospitalità alla Fr., con la promessa, rispettata da entrambi, che non si sarebbero più sentiti né visti.
Ru.Fa., all'epoca dei fatti in servizio presso la Questura di Lecce, riferiva che un tale, Lo.An., aveva segnalato alla centrale operativa una lite tra una coppia. Effettivamente, in loco, egli constatava la presenza di Mo.Eu. e Fr.St., che presentavano segni di una colluttazione ("uno sul collo, l'altro sull'occhio").
La medesima circostanza veniva dichiarata da Lo.An., di cui veniva acquisito - ex art. 493 co. 3 c.p.p. - il verbale di sommarie informazioni del 28.4.2019. Egli, transitando in via (…), in Lecce, aveva notato un tale, con tono alto di voce, chiedere ad una donna di scendere dall'autovettura e andare a casa, poiché erano rimasti senza benzina. Avvicinatosi ai due, aveva appreso da loro che avevano litigato e che si erano reciprocamente picchiati. Lo.Lo., all'epoca dei fatti in servizio presso la Squadra Mobile della Questura di Lecce, era intervenuto il 23 aprile 2019 presso l'abitazione dell'imputato, allorquando la Fr., nonostante i diversi accordi, si era presentata per ritirare i propri effetti personali. Egli, tuttavia, riferiva di non aver assistito ad alcuna discussione tra i due, precisando di aver accompagnato la donna all'interno dell'abitazione.
Lu.Fr., parroco della Chiesa Cristo Re in Lecce, aveva appreso da Fr.St., da lui conosciuta, per il tramite dell'imputato, suo fedele, che il Mo. era violento sia nei suoi confronti sia nei confronti della propria madre. Egli, in particolare, riferiva che il Mo. fosse preoccupato, dal punto di vista spirituale, che, in ragione dei precedenti matrimoni della Fr., non potessero accedere al sacramento dell'Eucaristia. Dopo aver effettuato all'uopo due incontri spirituali, non aveva più visto la donna.
Gi.Or., madre dell'imputato, invece, riferiva che la Fr. aggredisse verbalmente e fisicamente il figlio e fosse solita proferire espressioni volgari. Quanto all'episodio del 23 aprile 2019, la Fr. si era presentata presso la loro abitazione, pretendendo la restituzione dei propri effetti personali e accusando il Mo. di averle sottratto dei gioielli. Alla fine, ella era entrata in casa, solo dopo l'intervento della Polizia. Infine, la teste negava di aver mai subito atti di violenza dal figlio.
In sede di controesame della difesa di parte civile, ella riferiva di non aver visto la Fr. con l'occhio tumefatto il 28 aprile 2019. Quanto ai rapporti con la Fr., ammetteva di averle fatto dei regali, all'inizio della relazione.
Il bagaglio probatorio così riassunto non consente di affermare con assoluta certezza la sussistenza dei fatti ascritti all'imputato. Ciò perché si evidenziano due diverse ricostruzioni, tra loro contrapposte, all'interno di un contesto marcatamente conflittuale, inidonee a pervenire ad un giudizio di penale responsabilità dell'imputato, oltre ogni ragionevole dubbio. Le prove a carico descrivono Mo. come un soggetto particolarmente aduso alla violenza e al comportamento aggressivo nei confronti della querelante e della propria madre; le prove a discarico, invece, dipingono, a sua volta, la Fr. come violenta nei confronti dell'uomo e non rassegnata alla fine della relazione.
Per quanto concerne la configurabilità del reato di atti persecutori, di cui all'art. 612 bis c.p., sulla base della lettura della norma, deve esserci la reiterazione delle condotte persecutorie idonee a cagionare nella vittima un perdurante e grave stato di ansia o di paura oppure ad ingenerare un fondato timore per l'incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legato da relazione affettiva ovvero da costringere lo stesso ad alterare le proprie abitudini di vita. Il delitto di atti persecutori, in quanto reato necessariamente abituale, non è configurabile in presenza di un'unica, per quanto grave, condotta di molestie e minacce, ma occorre la reiterazione che produca l'evento di danno (l'alterazione delle abitudini di vita) o l'evento di pericolo (il fondato motivo di temere per la propria o altrui incolumità).
Ma la reiterazione delle condotte moleste e minatorie da sola non è sufficiente, occorre anche che le stesse siano idonee a cagionare uno degli eventi previsti alternativamente dalla norma, sulla base della dimostrazione del nesso causale tra la condotta posta in essere dall'agente e i turbamenti derivanti alla vita privata della vittima. Insomma, "la prova dell'evento del delitto, in riferimento alla causazione nella persona offesa di un grave e perdurante stato di ansia e di paura, deve essere ancorata ad elementi sintomatici di tale turbamento psicologico ricavabili dalle dichiarazioni della stessa vittima del reato, dai suoi comportamenti conseguenti alla condotta posta in essere dall'agente ed anche da quest'ultima, considerando tanto la sua astratta idoneità a causare l'evento, quanto il suo profilo concreto in riferimento alle effettive condizioni di luogo e di tempo in cui è stata consumata" (Cass. Pen. Sez. V, sent. n. 17795/2017).
Ciò che rileva è il dolo generico del soggetto agente, consistente nella volontà di porre in essere le condotte persecutorie descritte nella norma con la consapevolezza della loro idoneità a produrre uno degli eventi descritti nella stessa.
Il turbamento psicologico della vittima del reato di atti persecutori può consistere, alternativamente, o in un effetto destabilizzante della propria serenità e del proprio equilibrio psicologico o nel mutamento di quel "complesso di comportamenti che una persona solitamente mantiene nell'ambito familiare, sociale e lavorativo, a seguito dell'intrusione rappresentata dall'attività persecutoria, mutamento di cui l'agente deve avere consapevolezza ed essersi rappresentato, trattandosi di reato per l'appunto punibile solo a titolo di dolo" (Corte Cost. n. 172/2014).
Orbene, nel caso di specie, la versione dei fatti resa da Fr. Stefania non appare adeguatamente riscontrata dalle ulteriori risultanze istruttorie, né ella ha fornito contributi documentali e dichiarativi, al di là di certificazioni mediche di molto successive ai fatti di causa, in grado di supportare il suo propalato.
Ed invero, non si può fare a meno di rilevare la serie di incongruenze irrimediabilmente manifestatesi nel corso dell'istruttoria dibattimentale.
Innanzitutto, è singolare che la Fr., nonostante la natura sporadica della relazione col Mo., non avesse mai denunciato, prima del 28 aprile 2019, gli atti di violenza fisica e verbale subiti dal medesimo, frequentandone l'abitazione, ogni fine settimana, fino all'ultimo, e non fosse mai ricorsa alle cure mediche, anche alla luce del suo deficitario stato di salute, che tali atti potevano aggravare né avesse mai pensato di interrompere la relazione, ancorché inficiata, sin dal primo momento, dal comportamento violento del Mo.
Parimenti, è singolare che il Mo., che era a conoscenza, da diverso tempo, del precedente stato civile della donna, tanto da parlarne col proprio padre spirituale, avesse deciso di troncare, per quel motivo, la relazione, solo ed improvvisamente il 23 aprile 2019.
Inoltre, la Fr., nel corso della sua deposizione, è stata vaga sugli episodi di cui è stata vittima, e che avrebbe dovuto ricordare con puntualità e precisione, avendo vissuto - come da lei dichiarato - tre mesi infernali accanto all'uomo, focalizzandosi in larga parte solo sull'episodio del 28 aprile 2019.
Tuttavia, anche con riferimento a tale episodio, è emersa un'ulteriore contraddizione tra quanto riportato nel capo di imputazione ("in altra circostanza percuotendola e colpendola con due schiaffi") e quanto dichiarato in dibattimento ("mi dà due calci, tutta la parte sinistra, il braccio e poi con l'altro più giù mi prese le costole, il fianco dopo che mi ha tirato i calci, che io piangevo già per i dolori, perché purtroppo soffro di artrite reumatoide, osteoporosi all'ultimo stadio, fibromialgia, un pò di cose che riguardano le ossa, e lui lo sapeva, e mi fece malissimo già i primi calci che mi diede. No, no, no schiaffi, un pugno proprio mi ha dato" - cfr. pag. 8 verbale fonoregistrato udienza 22.2.2023), dinamica, quest'ultima, incompatibile con quanto emerge dalla refertazione medica in atti ove si dà conto solo delle seguenti lesioni, disturbo d'ansia e contusione palpebrale dx, giudicate guaribili in 4 giorni, lesioni compatibili, invece, con un colpo all'occhio. Più nel dettaglio, la deposizione della Fr. si appalesa distonica in relazione a quanto dichiarato da Ru.Fa. e Lo.An., secondo i quali la Fr. e Mo. avevano litigato e si erano reciprocamente picchiati.
Ancora, non è emersa l'esistenza di uno stato di sopraffazione del Mo. nei confronti della madre, che, anzi, ha dichiarato che la Fr., al contrario, fosse solita aggredire fisicamente e verbalmente il figlio e pronunciare parole scurrili.
Infine, anche in relazione all'episodio del 23 aprile 2019, non è emersa una lettura univoca, stante la discrasia tra quanto dichiarato dalla persona offesa rispetto a quanto dichiarato dal Mo. e a quanto, infine, percepito e dichiarato dal poliziotto Lo.Lo. che, quel giorno, aveva accompagnato la Fr. dentro l'abitazione del Mo. al fine di riprendere i propri effetti personali.
Insomma, quel che è certo dall'analisi dell'intero compendio probatorio è che la relazione interpersonale tra l'imputato e la persona offesa fosse particolarmente turbolenta ed estremamente conflittuale, verosimilmente a causa dello stato della Fr., ostativo, secondo il credo del Mo., ad una relazione completa e serena.
In sostanza, la prova dei fatti in contestazione è apparsa, all'esito dell'istruttoria dibattimentale, scarsamente consistente per le ragioni indicate, non ravvisandosi, al di là di ogni ragionevole dubbio, la sussistenza degli elementi costitutivi del delitto di atti persecutori, con la conseguente decisione assolutoria perché il fatto non sussiste.
Quanto al delitto di lesioni, non si ritiene dimostrata la coscienza e la volontà dell'imputato di provocare un'alterazione anatomica o funzionale dell'organismo della vittima mediante la manomissione dell'altrui integrità fisica, ben potendo la "contusione palpebrale dx" patita dalla persona offesa essere conseguenza fortuita della colluttazione avuta con l'imputato, il quale - come dichiarato dall'operante di Polizia Giudiziaria intervenuto, Ru.Fa. - presentava anch'egli segni sul collo.
Pertanto, anche in relazione al delitto di lesioni, può giungersi alla sentenza assolutoria perché il fatto non costituisce reato.
P.Q.M.
Letto l'art. 530 cpv c.p.p.,
assolve MO.Eu. dal reato cui all'art. 612 bis cc, 1 e 2 c.p. perché il fatto non sussiste e dal reato cui all'art. 582 c.p. perché il fatto non costituisce reato.
Così deciso in Lecce l'8 maggio 2024.
Depositata in Cancelleria il 9 maggio 2024.