Tribunale Nocera Inferiore, 11/04/2024, n.891
Il reato di atti persecutori ex art. 612-bis c.p. è configurabile in presenza di una reiterazione di condotte persecutorie idonee a cagionare nella vittima uno stato di ansia, paura o alterazione delle proprie abitudini di vita. Il dolo è generico e può formarsi progressivamente, comprendendo la consapevolezza dell'idoneità delle condotte a provocare gli eventi tipici. La diffamazione via social network integra la fattispecie aggravata ex art. 595 comma 3 c.p., poiché i mezzi digitali hanno una capacità diffusiva potenzialmente illimitata, arrecando un danno significativo alla reputazione del destinatario delle offese. La pubblicazione su un profilo riconducibile all'imputato, in assenza di prova contraria, costituisce piena prova della sua penale responsabilità, specie quando i contenuti offensivi siano privi di fondamento oggettivo e non possano rientrare nel diritto di critica.
Svolgimento del processo
Con decreto ex art. 429 c.p.p. emesso all'esito dell'udienza preliminare del 21.3.2023, SA.Ma. veniva tratta a giudizio innanzi a questo Tribunale, in composizione monocratica, per rispondere dei reati meglio specificati in fatto nella sopra trascritta imputazione.
All'udienza del 24.5.2023, assente l'imputata, in mancanza di questioni preliminari veniva dichiarata l'apertura del dibattimento e venivano ammesse le prove orali e documentali così come richieste dalle parti in quanto ammissibili, rilevanti e pertinenti rispetto all'imputazione; il processo veniva quindi rinviato all'udienza del 11.10.2023. All'udienza del 11.10.2023, le parti concordavano - ai sensi dell'art. 493 comma 3 c.p.p. - l'acquisizione di tutti gli atti di indagine a firma dei testi di P.G., nonché dei verbali di querela e sommarie informazioni a firma dei restanti testi di lista del Pubblico Ministero, in luogo dei relativi esami; la parte civile dichiarava di rinunciare all'esame dei propri testi di lista, le altre parti nulla osservavano, il Giudice ne revocava l'ordinanza ammissiva, rinviando il processo ai fini della discussione all'udienza del 13.3.2024.
All'udienza del 13.3.2024, in accoglimento di un'istanza di rinvio avanzata dalla parte civile il processo veniva differito all'udienza del 10.4.2024.
All'udienza del 10.4.2024, dichiarata chiusa l'istruttoria dibattimentale e indicati gli atti utilizzabili ai fini della decisione ex art. 511 comma 1 c.p.p., le parti concludevano come in epigrafe.
Al termine della conseguente camera di consiglio si dava lettura del dispositivo della presente sentenza, riservando il deposito dei motivi della decisione entro il termine ordinario.
Motivi della decisione
Sono contestati all'imputata i reati di cui agli artt. 612 bis e 595 c.p., per aver posto in essere nei confronti di Sa.Ar., a lei precedentemente legato da una relazione affettiva, una pluralità di condotte persecutorie, moleste e minatorie, che -secondo l'editto accusatorio - avrebbero cagionato nella vittima un perdurante e grave stato di ansia ed agitazione, ingenerando nella stessa un fondato timore per la propria incolumità, costringendola altresì a modificare le proprie abitudini di vita; inoltre, l'imputata - a mezzo social network - avrebbe in più occasioni offeso la reputazione di Sa.Ar.
Ritiene questo Giudice che gli esiti dell'istruttoria dibattimentale conducano ad affermare, al di là di ogni ragionevole dubbio, la penale responsabilità di SA.Ma. in ordine ad entrambi i reati in contestazione.
Dalle risultanze dibattimentali emerge la seguente ricostruzione della vicenda in esame.
Sa.Ar. intraprendeva una relazione sentimentale con SA.Ma., dalla quale nasceva, in data 15.1.2023, il piccolo Ch.
Tale relazione si interrompeva nel giugno del 2016: da tale momento, l'imputata avrebbe iniziato a porre in essere una serie di comportamenti persecutori, intrusivi e gravemente diffamatori nei confronti del suo ex compagno.
All'interno del verbale di querela del 24.10.2019 (acquisito ex art. 493 comma 3 c.p.p., e dunque pienamente utilizzabile), Sa.Ar. ha ricostruito dettagliatamente gli accadimenti che lo avevano indotto ad adire l'Autorità Giudiziaria, affermando di essere "sottoposto ad un quotidiano stillicidio da parte della SA."
Più nel dettaglio, la persona offesa ha riferito che attraverso numerose telefonate, post pubblicati sui social-network, denunce calunniose e chiamate pretestuose ai CC, la SA. avrebbe ingenerato in lui grave ansia e turbamento, tanto da indurlo a modificare le proprie abitudini di vita e ad installare, sul proprio telefono cellulare, un applicativo che registrasse le telefonate, videoregistrando altresì gli incontri con il figlio, al fine di scongiurare ulteriori calunnie.
I comportamenti della donna, esacerbati dall'intrapresa, da parte del Sa., di una nuova relazione sentimentale con tale Va.Ma., si manifestavano non solo durante le telefonate che il Sa. intratteneva con il figlio (nel corso delle quali, sovente, la donna interveniva calunniando e offendendo l'uomo), ma altresì in concomitanza con i periodi in cui il piccolo Ch. era affidato al padre, allorquando la donna - falsamente affermando di non sapere dove si trovasse il figlio;
- allertava le forze dell'ordine, che immediatamente si mettevano alla ricerca del Sa., turbando conseguentemente la serenità degli incontri con Ch., tanto da costringere l'uomo ad avvisare preventivamente le forze dell'ordine allorquando il bambino soggiornava presso di lui.
Tanto si verificava in data 14.4.2019 (in occasione della festività della Domenica delle Palme), in data 30.6.2019 (allorquando il Sa. veniva contattato dai CC di Ariano Irpino), nonché in data 7.8.2019, allorquando il Sa. si vedeva costretto a trascorrere l'intero pomeriggio all'interno dei locali della Stazione CC di Marina di Camerata, al fine di chiarire la propria posizione.
La donna, inoltre, mediante l'utilizzo di account a lei riconducibili sui social network Facebook e Instagram, aveva iniziato a pubblicare post dal chiaro contenuto diffamatorio non solo sul proprio profilo, ma altresì su alcune pagine Facebook di particolare seguito nell'ambito territoriale di San Valentino Torio. In particolare, in data 4.8.2019 sulla pagina Facebook della Parrocchia di San Valentino Torio, e in data 5.8.2019 sulla pagina Facebook della (…) di San Valentino Torio, tramite l'account "Ma.Sa.", la donna accusava il Sa. di non contribuire al mantenimento del figlio, affermando falsamente che la sua attività commerciale (un negozio di telefonia) era stata posta sotto sequestro; quindi, in data 6.8.2019, tramite il medesimo account pubblicava un commento sulla pagina Facebook "Telefonia Sa." (relativa all'attività commerciale di quest'ultimo), rivolgendo all'ex marito frasi calunniose di analogo tenore, a seguito delle quali il Sa. veniva addirittura contattato da alcuni suoi fornitori, i quali gli riferivano che (…);
- avuto notizia, per tale via, delle sue presunte difficoltà economiche - non gli avrebbero più consegnato merce, se non dietro pagamento immediato alla fornitura.
A ciò si aggiungano i numerosissimi post a contenuto diffamatorio che la donna, tramite il suo account Instagram (…), pubblicava con notevole frequenza, di cui è copia in atti.
I comportamenti persecutori appena descritti avevano determinato precise conseguenze sull'equilibrio psico-fisico del Sa., che aveva iniziato seriamente a patire un grave stato di ansia ed agitazione.
Con provvedimento reso in data 13.5.2023, poi, il Tribunale Civile di Nocera Inferiore;
- così modificando le statuizioni adottate dalla Corte d'Appello di Napoli in data 14.9.2022 - pronunciava l'affido super esclusivo del minore Ch.Sa. al padre, sospendendo in via cautelativa gli incontri madre-figlio.
Così brevemente ripercorse le risultanze fattuali della vicenda, può ritenersi acclarata la penale responsabilità di SA.Ma. in ordine ad entrambi i reati in contestazione.
La persona offesa Sa.Ar. - della cui credibilità non è dato in alcun modo dubitare - ha infatti esposto in maniera coerente e precisa i fatti per cui è causa, riferendo dettagliatamente le circostanze di cui al capo di imputazione. A tale riguardo, come è noto, secondo l'insegnamento della Suprema Corte (che questo Giudice ritiene di condividere) la testimonianza della persona offesa - anche se costituita parte civile - ben può porsi a fondamento della pronuncia di colpevolezza se dotata dei requisiti, sussistenti nel caso di specie, di linearità, coerenza e puntualità.
Le dichiarazioni accusatorie rese dalla persona offesa, invero, da sottoporre ad un'indagine accurata circa i profili di attendibilità oggettivi e soggettivi, ben possono assurgere a fonte di prova sufficiente ad affermare la colpevolezza dell'imputato, non applicandosi in automatico il criterio di valutazione di cui all'art. 192 c.p.p. (cfr. Cass. Pen. Sez. 4, sentenza n. 16860 del 13.11.2003, Rv. 227901). Va inoltre rammentato che, ancora secondo l'insegnamento della Suprema Corte, il Giudice, pur essendo tenuto a valutare criticamente, verificandone l'attendibilità, il contenuto della testimonianza, non è però certamente tenuto ad assumere come base del proprio convincimento l'ipotesi che il teste riferisca scientemente il falso, salvo che sussistano specifici e riconoscibili elementi atti a rendere fondato un sospetto di tal genere. In assenza di siffatti elementi, quindi, il Giudice deve presumere che il teste, fino a prova contraria, riferisca correttamente quanto a sua effettiva conoscenza e deve, perciò, limitarsi a verificare se sussista o meno incompatibilità tra quello che il teste riporta come vero, per sua diretta conoscenza, e quello che emerge da altre fonti di prova di eguale valenza (cfr. Cass. Peri. sez. 4, sentenza del 10.10.2006, n. 35984).
Alla luce di tali coordinate ermeneutiche, deve anzitutto rilevarsi come le dichiarazioni accusatorie di Sa.Ar. si manifestino pienamente attendibili per diversi ordini di ragioni.
In primo luogo esse palesano una adeguata credibilità intrinseca, fornendo una versione dei fatti lineare e connotata da un ordinato sviluppo logico, caratterizzato da una successione non irrazionale degli accadimenti e da un soddisfacente tasso di uniformità, non registrandosi, invece, alcuna illogicità patente o contraddizione. Invero le dichiarazioni dell'uomo, pur dando atto delle percezioni soggettive del medesimo, riferiscono in modo oggettivo gli eventi narrati e dimensionano senza deformazioni tali accadimenti, fedelmente differenziando gli episodi a seconda del comportamento di volta in volta avuto dalla SA. in occasione di ciascun contatto con lo stesso.
Non può peraltro sottacersi la circostanza per cui l'imputata, nell'esercizio di una sua pur legittima facoltà, abbia deciso di non comparire in dibattimento, di fatto privandosi consapevolmente della possibilità di fornire una versione alternativa della vicenda. Dal punto di vista estrinseco, poi, le dichiarazioni della persona offesa non fungono da unica prova dei fatti contestati, ma costituiscono soltanto una delle componenti distinte e congruenti che avvalorano la tesi dell'accusa, e che verranno di qui a breve partitamente analizzate.
Il teste Va.Ma., all'interno del verbale di sommarie informazioni rese in data 5.12.2019, ha riferito di aver assistito personalmente - quale compagna del Sa. - alle numerosissime telefonate moleste e ingiuriose della SA., e ai diversi interventi delle forze dell'ordine alle quali la donna, falsamente, aveva riferito di non sapere dove si trovasse il figlio; ha quindi riferito che i post diffamatori della donna si sarebbero arrestati solo successivamente al 25.10.2019, allorquando il Giudice Tutelare presso il Tribunale di Benevento ammoniva la donna. I testi Mi.Sa. e Ci.Al., amministratori rispettivamente delle pagine Facebook (…) e "Maria Ss. della Consolazione - San Valentino Torio", hanno riferito di aver avuto personalmente contezza dei post diffamatori pubblicati dalla donna, e di aver provveduto successivamente a rimuoverli in quanto del tutto inconferenti rispetto all'oggetto delle pagine in questione.
Dal punto di vista documentale, poi, le dichiarazioni rese dal Sa. risultano riscontrate dall'enorme mole di screenshot ricavati dalle piattaforme Facebook e Instagram, relativi ai post diffamatori e calunniosi pubblicati dalla donna. Sostanzialmente neutro, infine, il contenuto delle annotazioni di P.G. confluite all'interno del fascicolo del dibattimento, relative a vicende antecedenti rispetto alle vicende in contestazione nell'ambito del presente procedimento. Così brevemente sunteggiate le risultanze istruttorie, può ritenersi - in relazione al reato di cui al capo a) dell'imputazione - che le circostanze di fatto emerse nel corso del giudizio descrivano in modo chiaro il tipico andamento di crescente ossessività e di inarrestabile escalation violenta ed intrusiva, all'interno del normale andamento della vita altrui, con effetti di grave danno all'equilibrio psichico ed alle normali abitudini di vita della vittima, peculiare della dinamica mentale patologica e persecutoria denominata stalking, sanzionata dall'art. 612 bis c.p., che punisce "chiunque con condotte reiterate, minaccia o molesta taluno in modo da cagionare un perdurante e grave stato di ansia o di paura ovvero da ingenerare un fondato timore per l'incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva ovvero da costringere lo stesso ad alterare le proprie abitudini di vita (…)".
La norma, introdotta dal D.L. 23.02.2009 n. 11 (pubblicato in G.U. n.45 del 24.02.2009 ed entrato in vigore il 25.02.2009), è sicuramente in astratto applicabile, ratione temporis, al caso di specie.
Tale figura normativa è stata, a ben vedere, costruita dal Legislatore alla stregua del reato abituale, per la cui configurazione è necessario che l'agente ponga in essere una serie di condotte a danno della vittima, senza che la perpetrazione di un singolo episodio possa bastare a varcare la soglia della rilevanza penale richiesta dall'art. 612 bis c.p.
In carenza di reiterazione, ben potranno le singole condotte - in presenza delle necessarie condizioni - integrare, ad esempio i singoli delitti di minacce, di molestie o di violenza privata; tuttavia, laddove l'insieme di tali ripetuti contegni sia tale da determinare nella vittima uno degli eventi psicologici descritti dalla norma, le condotte incriminate travalicano il disvalore penale insito nelle singole fattispecie delittuose prima menzionate, per transitare ed essere sussunte nell'unico contenitore del più grave delitto di atti persecutori.
Il quid pluris che caratterizza il reato in esame, rispetto alle minacce ed alle molestie, è in sintesi costituito da due elementi:
a) la reiterazione delle condotte, sicché l'illecito può ascriversi nel novero dei reati abituali, sebbene (secondo la dominante giurisprudenza, ribadita in sede di legittimità) il delitto in parola possa essere integrato anche da due sole condotte di minaccia o di molestia (purché legate causalmente alla determinazione nella vittima di uno degli eventi descritti dalla norma), come tali idonee a costituire la reiterazione richiesta dalla norma incriminatrice (si veda, tra le altre, Cass. Pen. Sez. 3, sentenza n. 45648 del 23.5.2013 Ud., Rv. 257287);
b) la produzione di un grave e perdurante stato di ansia o di paura o di un fondato timore per l'incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da una relazione affettiva, ovvero una alterazione non voluta delle proprie abitudini di vita.
Si tratta, quindi, di un delitto di danno e di evento che prevede eventi alternativi, la realizzazione di ciascuno dei quali è idoneo ad integrarlo; pertanto, ai fini della sua configurazione non è neppure essenziale il mutamento delle abitudini di vita della persona offesa, essendo sufficiente che la condotta incriminata abbia indotto nella vittima uno stato di ansia e di timore per la propria incolumità. Quanto alla prova dell'evento del delitto, in riferimento alla causazione nella persona offesa di un grave e perdurante stato di ansia o di paura, essa deve essere ancorata ad elementi sintomatici di tale turbamento psicologico, ricavabili dalle dichiarazioni della stessa vittima del reato, dai suoi comportamenti conseguenti alla condotta posta in essere dall'agente ed anche da quest'ultima, considerando tanto la sua astratta idoneità a causare l'evento, quanto il suo profilo concreto in riferimento alle effettive condizioni di luogo e di tempo in cui è stata consumata. Completa la breve analisi del delitto, la specificazione della tipologia dolosa, inquadrabile nel dolo generico, ovvero nella consapevolezza del reo di determinare nella vittima gli sgradevoli turbamenti interiori ed esistenziali che il reato richiede: vale a dire, come è chiaro, che il dolo deve comprendere anche la rappresentazione dell'evento come conseguenza delle reiterate condotte tenute dal reo.
Alla luce di tali coordinate ermeneutiche, le condotte poste in essere da SA.Ma. nel caso che ci occupa, hanno - per numero, convergenza, tasso di reiterazione e continuità - sicuramente integrato la tipicità della fattispecie contestata: le modalità aggressive e la ricorrente esasperazione dei toni da parte dell'imputata nelle occasioni di incontro ovvero di contatto telefonico con la persona offesa, le condotte diffamatorie, le minacce evocative di scenari di perdurante assillo, tese al controllo della vita della persona offesa in ogni suo aspetto, rispondono invero esattamente ad una logica molestatrice.
Si ravvisano dunque tutti gli estremi materiali necessari per integrare la fattispecie in considerazione, in quanto:
a) le descritte condotte persecutorie (articolatesi nelle varie modalità delle reiterate minacce di vario genere, delle condotte diffamatorie, del compimento di gravi episodi intrusivi) si sono protratte, con modalità sempre più allarmanti, per un arco temporale significativo, pari a diversi mesi;
b) tali condotte hanno avuto un rilevante effetto sulla sfera esistenziale e sulle condizioni psicologiche di Sa.Ar., avendo ingenerato in costui uno stato d'animo di ansia e paura, ed avendo inciso sul normale espletamento delle sue ordinarie abitudini di vita e sulla libera espressione della sua sfera esistenziale (inducendo la vittima, sostanzialmente, ad ottemperare ai desiderata della SA. limitando i contatti telefonici con il figlio Ch.), andando ad influire negativamente addirittura sulla sua vita lavorativa.
Ricorre dunque anche l'evento del reato: su questo versante, è appena il caso di ricordare che secondo la giurisprudenza di legittimità, quanto allo stato d'ansia o di paura, non occorre una diagnosi medico psicologica, perché la prova di esso può essere dedotta anche dalla natura dei comportamenti tenuti dall'agente, qualora questi siano idonei a determinare in una persona comune tale effetto destabilizzante (cfr. Cass. Peri. Sez. 5, sentenza n. 24135 del 9.5.2012, Rv. 253764). Neppure può dubitarsi della sussistenza dell'elemento soggettivo della fattispecie di cui all'art. 612 bis c.p.: esso, come ormai chiarito dalla Suprema Corte, in modo del tutto coerente con la connotazione "abituale" del reato, è integrato dal dolo generico, che consiste nella volontà di porre in essere le condotte che lo strutturano nella consapevolezza della idoneità delle medesime alla produzione di uno degli eventi previsti dalla norma incriminatrice. Esso deve assumere il carattere dell'unitarietà, nel senso che deve esprimere un'intenzione criminosa travalicante i singoli atti che compongono la condotta tipica, ma (secondo una linea interpretativa già assestatasi in relazione a figure di reato abituale storicamente più risalenti, come quella di cui all'art. 572 c.p.) può senz'altro realizzarsi in modo graduale, senza dunque la necessità che l'agente si rappresenti e voglia fin dal principio la realizzazione della serie degli episodi (cfr. Cass. Pen. Sez. 5, sentenza n. 18999 del 19.2.2014, Rv. 260411).
Tanto si è verificato nella fattispecie, ove la reiterazione delle condotte della SA. non può non aver generato l'acquisizione progressiva di una rappresentazione e volontà cumulativa, inglobante le azioni già poste in essere e quelle ancora da compiere nella tensione verso la produzione dell'evento perturbatore della sfera morale della vittima.
Deve, dunque, ritenersi integrata la fattispecie di cui all'art. 612 bis c.p., contestata all'imputato in rubrica.
Sussistono, del pari, gli estremi del reato di diffamazione aggravata contestato al capo b) della rubrica in quanto, stante l'avvenuta produzione in giudizio - come corpo del reato - dei post oggetto dell'imputazione, pubblicati sui social network Facebook e Instagram, non residui alcun dubbio in merito alla sussistenza dei dati fattuali descritti nell'imputazione.
Certa appare la riconducibilità a SA.Ma. della condotta in contestazione: depongono in tal senso una serie di elementi concordanti e non altrimenti spiegabili, idonei a costituire piena prova della sua penale responsabilità. A tale riguardo, invero, occorre in primo luogo evidenziare che le dichiarazioni diffamatorie risultano pubblicate su un profilo Facebook riportante, nella parte relativa all'indicazione del nome e del cognome dell'utente, le esatte generalità dell'imputata, ovvero Ma.SA.; in secondo luogo, a corredo del "nome profilo", risulta pubblicata l'effigie fotografica dell'imputata (come tale riconosciuta dalla persona offesa); del pari, l'account Instagram a nome (…) risulta senza dubbio riconducibile all'imputata; sussiste poi uno specifico movente giustificativo della condotta diffamatoria, rappresentato dalla palese animosità sussistente tra le parti in causa.
Del resto, appare del tutto inimmaginabile che una persona diversa dall'odierna imputata abbia potuto pubblicare, avvalendosi di profili Facebook e Instagram a quest'ultima riconducibili, e soltanto da costei - in difetto di prova contraria -utilizzabili (in quanto protetti dalla previsione di una apposita password di accesso), i post incriminati.
Non residuando allora, sulla scorta delle suesposte considerazioni, alcun dubbio in ordine all'ascrivibilità in capo a SA.Ma. dei post ritenuti a carattere diffamatorio, l'unica tematica da sottoporre concretamente a scrutinio risulta essere quella relativa all'interpretazione del contenuto della pubblicazione: se, cioè, essa vada giudicata lesiva della dignità e della reputazione della persona offesa. Oggetto della tutela penale del delitto di diffamazione, come è noto, è l'interesse dello Stato all'integrità morale della persona: il bene giuridico è, più specificamente, dato dalla reputazione dell'uomo, ovvero la stima diffusa nell'ambiente sociale, l'opinione che gli altri hanno del suo onore e decoro.
L'elemento oggettivo del reato in parola implica la sussistenza di tre requisiti: l'assenza dell'offeso; l'offesa all'altrui reputazione; le modalità di comunicazione, nel senso che l'offesa deve essere comunicata a più persone.
Sotto il profilo soggettivo, poi, ad avviso della giurisprudenza di legittimità è sufficiente il dolo generico, consistente nella volontà cosciente e libera di propagare notizie e commenti, con la consapevolezza della loro attitudine a ledere l'altrui reputazione.
Facendo applicazione di tali coordinate ermeneutiche al caso che ci occupa, appare evidente come la condotta in contestazione integri pienamente i presupposti oggettivi e soggettivi del reato di diffamazione.
Non può invero dubitarsi della portata pienamente oltraggiosa e diffamante delle espressioni (comunicate a più persone) riferite alla persona offesa, senz'altro offensive e idonee a ledere la sua onorabilità e dignità anche di tipo professionale, suggerendo l'idea che la persona offesa non ottemperasse ai propri doveri di padre, adombrando peraltro dubbi sulla sua solvibilità dal punto di vista professionale, falsamente affermando che la sua attività commerciale fosse stata posta sotto sequestro.
Tali affermazioni inoltre, essendo risultate del tutto prive di elementi suscettibili di attestarne - quanto meno in modo putativo - la corrispondenza al vero, risultano non sussumibili nell'ambito di un corretto e legittimo esercizio del diritto di critica.
Per tali ragioni, può dunque affermarsi - al di là di ogni ragionevole dubbio - la penale responsabilità di SA.Ma. in ordine al reato di cui all'art. 595 c.p.
Trascorrendo quindi al trattamento sanzionatorio, possono riconoscersi all'imputata, allo scopo di adeguare il trattamento sanzionatorio alle peculiarità del caso concreto, nonché in ragione del non ostruzionistico comportamento processuale, le circostanze attenuanti generiche di cui all'art. 62 bis c.p.: nel giudizio di comparazione imposto dall'art. 69 c.p., tali attenuanti vanno ritenute equivalenti rispetto alla contestata aggravante di cui all'art. 612 bis comma 2 c.p. (in ragione della relazione sentimentale precedentemente occorsa tra l'imputata e la persona offesa, e dell'utilizzo di strumenti informatici nella commissione del fatto), nonché dell'aggravante di cui all'art. 595 comma 3 c.p., in quanto la diffusione di un messaggio diffamatorio attraverso l'uso di social network integra un'ipotesi di diffamazione aggravata sotto il profilo dell'offesa arrecata "con qualsiasi altro mezzo di pubblicità" diverso dalla stampa, poiché la condotta in tal modo realizzata è potenzialmente capace di raggiungere un numero indeterminato, o comunque quantitativamente apprezzabile, di persone (cfr. da ultimo Cass. Pen. Sez. 5, sentenza n. 13979 del 25.1.2021).
Le violazioni commesse costituiscono chiara espressione, per prossimità temporale e per il fine complessivamente perseguito dall'agente, di un unitario disegno criminoso: vanno dunque unificate ex art. 81 cpv. del codice penale.
Valutati gli indici di cui all'art. 133 c.p., si stima dunque equa la pena finale di anni 2 e mesi 4 di reclusione, così calcolata:
- pena base (calcolata in relazione al più grave reato di cui all'art. 612 bis c.p., previa elisione del rilievo della ritenuta aggravante ex art. 612 bis comma 2 c.p., all'esito del giudizio di equivalenza con le circostanze attenuanti generiche): anni 2 di reclusione;
- aumentata ex art. 81 cpv. c.p. ad anni 2 e mesi 4 di reclusione (mesi 4 di reclusione in relazione al reato di cui all'art. 595 c.p.).
Alla dichiarazione di responsabilità dell'imputata segue poi, per legge, la condanna della stessa al pagamento delle spese processuali.
Non sussistono, in ragione dell'entità della pena irrogata, i presupposti di legge per la concessione all'imputata del beneficio della sospensione condizionale della pena, né risultano essere state avanzate richieste di pena sostitutiva.
Ai sensi degli artt. 538 ss. c.p.p., SA.Ma. viene inoltre condannata al risarcimento dei danni in favore della parte civile costituita, da liquidarsi in separata sede (non essendo possibile allo stato quantificare con esattezza il danno subito, ragione per cui non si ritiene opportuno, del pari, concedere la chiesta provvisionale), nonché alla refusione, in favore della predetta parte civile, delle spese di costituzione e rappresentanza, liquidate in base al seguente computo analitico, parametrato secondo importi che risultano congruenti con l'attività defensionale concretamente esplicata e con lo spessore giuridico delle questioni affrontate, in relazione ai criteri dettati dal D.M. 55/2014, nel rispetto del principio della domanda:
Fase di studio della controversia: Euro 315,00.
Fase introduttiva del giudizio: Euro 189,00.
Fase istruttoria: Euro 378,00.
Fase decisionale: Euro 700,00.
Totale: Euro 1.582,00.
Spetta comunque il rimborso spese forfettarie nella misura del 15 per cento sull'importo dei compensi professionali, oltre IVA e CPA sull'imponibile, come per legge.
P.Q.M.
Letti gli artt. 533 e 535 c.p.p.,
dichiara SA.Ma. colpevole dei reati a lei ascritti in rubrica e per l'effetto, riconosciute alla medesima le circostanze attenuanti generiche, in regime di equivalenza con le contestate e ritenute aggravanti, unificati i fatti ex art. 81 cpv. c.p., la condanna alla pena di anni 2 (due) e mesi 4 (quattro) di reclusione, oltre al pagamento delle spese processuali.
Letti gli artt. 538 ss. c.p.p.,
condanna SA.Ma. al risarcimento dei danni in favore della parte civile costituita Sa.Ar., da liquidarsi in separata sede. Rigetta la richiesta di provvisionale.
Condanna SA.Ma. alla refusione, in favore della predetta parte civile, delle spese di costituzione e rappresentanza, che liquida in complessivi euro 1.582,00 oltre rimborso spese forfettarie nella misura del 15 per cento sull'importo dei compensi professionali, oltre IVA e CPA sull'imponibile, come per legge.
Così deciso in Nocera Inferiore il 10 aprile 2024.
Depositata in Cancelleria l'11 aprile 2024.