Corte appello Taranto, 14/12/2023, n.750
Per integrare il reato di atti persecutori ai sensi dell’art. 612-bis c.p. è sufficiente che le condotte moleste o minacciose reiterate causino alla vittima uno stato di ansia grave o di paura, oppure modifichino le sue abitudini di vita. Inoltre, ha escluso la particolare tenuità del fatto (art. 131-bis c.p.) in presenza di una condotta abituale e grave, aggravata dalla recidiva e dall’inottemperanza a precedenti misure cautelari. Il giudizio sulla tenuità deve considerare la gravità oggettiva dei fatti e la personalità dell’imputato.
RAGIONI IN FATTO E IN DIRITTO DELLA DECISIONE
1. Con sentenza resa a seguito di giudizio abbreviato in data 27 febbraio 2023, il Tribunale di Taranto in composizione monocratica affermava la responsabilità di Mo.Co. in ordine ai reati di atti persecutori e danneggiamento aggravati, in epigrafe specificati.
Per l'effetto, unificati i reati dal vincolo della continuazione e applicata la diminuente del rito, lo condannava alla pena di due anni di reclusione, oltre al pagamento delle spese processuali.
Il Tribunale fondava l'affermazione di penale responsabilità sulla querela sporta dalla persona offesa An.Li. il 22/12/2020 con i relativi allegati e sulle dichiarazioni dalla stessa rese, nonché sulle s.i.t. di Si.Fl. ed altri (...) escusse, altresì, con domande a chiarimento.
Sulla base di tali risultanze, il Tribunale riteneva provato che il Mo., spesso in preda ai fumi dell'alcol o sotto l'effetto di sostanze stupefacenti, avesse posto in essere una serie di condotte intimidatorie e moleste nei confronti della ex moglie An.Li., fin dalla cessazione della convivenza ed anche a seguito dell'esecuzione della misura cautelare disposta nei suoi confronti nell'ambito di altro procedimento penale, conclusosi con sentenza di condanna per i reati di maltrattamenti in famiglia e resistenza a pubblico ufficiale emessa dal Tribunale di Taranto il 16/9/2020.
In particolare, Mo. aveva messo in atto nei confronti della Li. una vera e propria persecuzione attraverso pedinamenti, appostamenti nei pressi dell'abitazione dei genitori ove la donna si era rifugiata, innumerevoli telefonate dal contenuto ingiurioso e gravemente intimidatorio, danneggiamento dell'autovettura, controllo delle frequentazioni che causavano alla persona offesa un grave stato di ansia e timore per la propria incolumità e la inducevano a modificare le abitudini di vita. La Li., infatti, temendo di essere aggredita e preoccupata per l'incolumità propria e dei figli, evitava di uscire da sola, facendosi accompagnare ovunque dai propri genitori.
2. Avverso l'anzidetta decisione il difensore di fiducia dell'imputato ha proposto rituale e tempestiva dichiarazione di appello.
Con il primo motivo rileva l'inadeguatezza delle dichiarazioni della persona offesa a supportare la prospettazione accusatoria. Evidenzia che la Li. si è limitata ad una narrazione frammentaria, richiamando condotte per le quali Mo. era stato già giudicato e condannato, non attinenti ai singoli episodi esposti nella querela e richiamati nel capo d'imputazione.
Pertanto, chiede l'assoluzione dell'imputato dai reati ascrittigli e, in subordine, l'applicazione dell'articolo 131 bis cod. pen. stante la particolare tenuità del fatto.
Con ulteriore motivo si duole dell'ingiustificato diniego della circostanza attenuante della provocazione e delle circostanze attenuanti generiche, nonché dell'eccessiva severità del trattamento sanzionatorio del quale invoca la rideterminazione "anche previa rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale " .
All'odierna udienza, svoltasi con le modalità previste dall'art.23 d.l. n. 149/2020 e 23 bis d.l. n. 137/2020 convertito in L. n. 176/2020, solo il Procuratore Generale ha rassegnato per iscritto le conclusioni trascritte in epigrafe.
3.1. Il primo motivo di appello è privo di fondamento.
Rileva la Corte che l'impugnazione non introduce alcuno specifico profilo di novità rispetto al compendio di elementi assunto in considerazione dal Tribunale - con cui l'appellante in alcun modo si confronta - sicché appare sufficiente in questa sede richiamare le argomentazioni contenute nella pronunzia impugnata, giustificative della ritenuta configurabilità delle fattispecie criminose correttamente contestate al prevenuto.
Invero il primo Giudice, sulla base di esaustiva valutazione delle risultanze processuali, ha diffusamente illustrato gli elementi probatori a carico del Mo., evidenziando come l'impianto accusatorio si fondi essenzialmente sulle dichiarazioni affatto generiche o contraddittorie della persona offesa.
In effetti la Li., contrariamente a quanto affermato dall'appellante, sia nella querela che nelle dichiarazioni rese dinanzi al primo giudice, ha ricostruito con precisione il difficile rapporto matrimoniale intercorso con l'imputato - protrattosi per molti anni e connotato da frequenti manifestazioni di aggressività verbale e fisica del Mo., anche in presenza dei figli o di soggetti estranei al nucleo familiare -sfociato, nel 2018, in una definitiva separazione in conseguenza della quale la Li. si era trasferita presso l'abitazione dei genitori ed aveva ottenuto un provvedimento giudiziale di allontanamento del Mo. dalla casa familiare.
Altrettanto puntuale e coerente è risultato il racconto della persona offesa relativo al periodo successivo alla separazione.
La Li. ha riferito che dopo l'interruzione della convivenza il Mo. iniziò a pedinarla, ad inseguirla per strada tempestandola di ingiurie e intimidendola con minacce di morte ("puttana, ti devo uccidere, ti brucerò viva, ti farò sparire, ti farò togliere la bambina"), a presentarsi a sorpresa presso l'abitazione dei genitori (episodio del 1/10/2020) in stato di evidente alterazione psico-fisica tanto da indurla a richiedere l'intervento delle forze dell'ordine.
La donna ha aggiunto che anche la figlia Ro. era destinataria di telefonate contenenti minacce di morte in danno della madre e che in occasione di uno degli appostamenti l'ex coniuge le aveva danneggiato l'autovettura. A causa delle condotte persecutorie del Mo., viveva in un continuo stato d'ansia che la induceva in una condizione di prostrazione psicologica ed era stata costretta a modificare le proprie abitudini di vita.
La ricostruzione dei fatti operata dalla Li. È stata, quindi, estremamente precisa e circostanziata avendo la donna descritto tutti gli episodi riportati nella querela e nel capo di imputazione facendo specifico riferimento alle date e alle persone presenti, sicché le censure mosse dall'appellante risultano prive di qualsiasi fondamento. Alcuna contraddizione, alcuna lacunosità può riscontrarsi nel resoconto della Li. la cui attendibilità, già positivamente valutata dal primo giudice, non viene, del resto, neppure messa in discussione nell'atto di appello.
Pertanto, ritiene la Corte che l'affermazione della responsabilità dell'imputato in ordine al reato di atti persecutori e a quello concorrente di danneggiamento trovi ragioni di sicuro convincimento nelle precise ed esaurienti dichiarazioni della persona offesa, che la credibilità intrinseca del resoconto e la linearità della narrazione rendono pienamente attendibili.
Deve aggiungersi che il racconto della Li. oltre ad essere coerente e puntuale, preciso nella collocazione temporale delle condotte moleste e vessatorie assunte dall'imputato, trova riscontro nelle dichiarazioni della figlia della coppia, Ro.Mo., dei nipoti An.Co. e Fl.Si. e in quelle della madre della persona offesa Ca.Bu., sintetizzate dal primo giudice alle pagg. 4-6 della sentenza impugnata, da intendersi integralmente richiamate onde evitare superflue ripetizioni.
Tutti i suddetti testi hanno dichiarato di avere personalmente assistito sia ai maltrattamenti nei confronti della moglie, per i quali Mo. è stato già condannato, sia alla vera e propria persecuzione dallo stesso posta in essere dopo l'interruzione della convivenza.
Particolarmente significativa risulta la testimonianza di Mo.Ro. la quale ha ricordato come il padre fosse solito picchiare la madre a mani nude o con qualsiasi oggetto avesse a portata di mano provocandole lividi e tumefazioni su tutto il corpo, ingiuriandola pesantemente e minacciandola di morte incurante della presenza dei figli e come anche dopo l'arresto e la condanna il padre avesse continuato a perseguitare la ex moglie pedinandola, offendendola con epiteti ingiuriosi e minacciando di ucciderla, soprattutto quando era in preda ai fumi dell'alcol.
Alla stregua di tali risultanze, pacifica è la ricorrenza degli elementi integrativi del reato di atti persecutori nell'ipotesi aggravata ai sensi dell'art. 612 bis comma 2 cod. pen., atteso che le condotte poste in essere dall' imputato hanno sicuramente ingenerato un grave stato di turbamento nella persona offesa tanto da modificarne le abitudini di vita e da segnarne profondamente la psiche.
Giova ricordare che, secondo la consolidata giurisprudenza della Suprema Corte, integrano il delitto di atti persecutori anche due sole condotte di minaccia o di molestia, come tali idonee a costituire la reiterazione richiesta dalla norma incriminatrice.
Inoltre tali azioni illecite debbono cagionare alla vittima l'evento del grave stato d'ansia o di paura configurabile in presenza del destabilizzante turbamento psicologico cagionato dalla condotta dell'imputato. Quanto al secondo degli eventi conseguenti alla condotta illecita, ovvero il timore per la sicurezza personale o propria, tale ipotesi ricorre ogni qualvolta la vittima a causa dei comportamenti del reo, abbia timore per la propria sicurezza. Siffatto stato d'animo deve essere valutato in concreto in base a tutti gli elementi che caratterizzano la vicenda e deve essere tale se riferito ex ante con riguardo alla valutazione di una persona media.
A tal riguardo emerge dal racconto della persona offesa che la Li. era fortemente intimorita dalle condotte offensive, moleste e minacciose dell'imputato e dal loro progressivo intensificarsi. E' altresì indubbio che la donna fu costretta a modificare le abitudini di vita in conseguenza delle condotte dell'imputato.
Al cospetto di tale granitico materiale probatorio, emerge con evidenza l'infondatezza delle censure mosse nell'atto di appello.
Ritiene la Corte che non ricorrano i presupposti per l'applicazione della causa di non punibilità di cui all'art. 131 bis cod. pen.
Secondo la consolidata giurisprudenza di legittimità "ai fini della configurabilità della causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto, prevista dall'art. 131 bis cod. pen., il giudizio sulla tenuità richiede una valutazione complessa e congiunta di tutte le peculiarità della fattispecie concreta, che tenga conto, ai sensi dell'art. 133, primo comma, cod. pen., delle modalità della condotta, del grado di colpevolezza da esse desumibile e dell'entità del danno o del pericolo" (Sez. U, Sentenza n. 13681 del 25/02/2016 Ud. (dep. 06/04/2016 ) Rv. 266590 - 01). Nel caso di specie la particolare tenuità del fatto è esclusa dalla obiettiva gravità dei fatti e dalla abitualità delle condotte poste in essere dall'imputato con singolare protervia, nonostante la precedente condanna per il reato di maltrattamenti e l'applicazione della misura cautelare dell'allontanamento dalla casa familiare.
3.2. La richiesta di rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale deve essere rigettata. Giova ricordare che la rinnovazione dell'istruttoria nel giudizio di appello, attesa la presunzione di completezza dell'istruttoria espletata in primo grado, è un istituto di carattere eccezionale al quale può farsi ricorso esclusivamente allorché il giudice ritenga, nella sua discrezionalità, di non poter decidere allo stato degli atti. Tale situazione non ricorre nel caso di specie e, del resto, neppure l'appellante ha adempiuto all'onere di evidenziare analiticamente le ragioni dell'assoluta necessità del mezzo di prova da assumere in relazione al compendio istruttorio già formatosi nel caso concreto.
3.3. Inammissibile e comunque infondato è anche il motivo concernente il trattamento sanzionatorio.
Per un verso la richiesta di riconoscimento dell'attenuante della provocazione appare a dir poco eccentrica dal momento che non si rilevano, né tantomeno vengono illustrate nell'atto di appello, le ragioni che dovrebbero indurre alla concessione di siffatta attenuante; per altro verso, non si ravvisano elementi positivi che giustifichino la concessione delle circostanze attenuanti generiche di cui l'imputato non appare meritevole vuoi per la gravità dei fatti (non può tralasciarsi di considerare la portata intimidatoria delle pesanti minacce reiteratamente rivolte alla persona offesa e le vessazioni protrattesi per un lungo periodo), vuoi per la personalità del Mo. gravato da precedenti condanne, vuoi per la pervicacia dell'illecita condotta, reiterata anche dopo l'applicazione nei suoi confronti della misura cautelare e la condanna per il reato di maltrattamenti.
Ineccepibile, peraltro, è la dosimetria della pena seppur non contenuta nella misura minima edittale proprio in ragione della gravità dei fatti e della peculiare capacità a delinquere di cui il Mo. ha dato prova.
Si impone, pertanto, l'integrale conferma della sentenza impugnata. Il carico di lavoro gravante sull'ufficio rende opportuna l'indicazione, per il deposito della motivazione, del termine indicato in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte, visti gli artt. 592 e 605 c.p.p., conferma la sentenza emessa in data 27.2.2023 dal Tribunale di Taranto e condanna l'appellante Mo.Co. al pagamento delle spese processuali di questo grado di giudizio in favore dell'Erario.
Indica in giorni 60 il termine per il deposito della motivazione.
Così deciso in Taranto il 4 dicembre 2023.
Depositata in Cancelleria il 14 dicembre 2023.