Tribunale Nocera Inferiore, 12/04/2024, n.819
Il reato di atti persecutori ex art. 612-bis c.p. si configura quando l'agente, con condotte reiterate, cagiona nella vittima un grave stato di ansia o paura, un fondato timore per l'incolumità propria o altrui, o altera significativamente le sue abitudini di vita. Tali comportamenti devono essere caratterizzati da una logica molestatrice e da una progressiva escalation intrusiva e persecutoria. Non è necessaria la diagnosi medico-psicologica dello stato d’ansia; l'evento può essere dedotto dalla natura delle condotte tenute dall'agente e dai loro effetti destabilizzanti sulla vittima. Il dolo richiesto è generico e può formarsi progressivamente, inglobando la volontà cumulativa delle condotte.
Svolgimento del processo
Con decreto ex art. 429 c.p.p. emesso all'esito dell'udienza preliminare del 6.7.2021, So.Al. veniva tratto a giudizio innanzi a questo Tribunale, in composizione monocratica, per rispondere dei reati meglio specificati in fatto nella sopra trascritta imputazione.
All'udienza del 8.6.2022, dopo aver dichiarato nel contraddittorio delle parti l'assenza dell'imputato (regolarmente raggiunto dalla notifica del decreto introduttivo del giudizio e non comparso), in accoglimento di un'istanza di rinvio per legittimo impedimento (dovuto ad un concomitante impegno professionale) avanzata dalla difesa dell'imputato il processo veniva differito all'udienza del 19.10.2022, quindi -per la medesima ragione - all'udienza del 29.3.2023, con sospensione del termine di prescrizione dei reati pari a complessivi giorni 120.
All'udienza del 29.3.2023, in mancanza di questioni preliminari veniva dichiarata l'apertura del dibattimento e venivano ammesse le prove orali e documentali così come richieste dalle parti in quanto ammissibili, rilevanti e pertinenti rispetto all'imputazione; si procedeva all'esame dei testi Fa.An., Fa.Ro. e At.El.; all'esito il processo veniva rinviato per il prosieguo dell'attività istruttoria all'udienza del 13.9.2023.
All'udienza del 13.9.2023, in accoglimento di un'istanza di rinvio per legittimo impedimento (dovuto ad un concomitante impegno professionale) avanzata dalla difesa dell'imputato il processo veniva differito all'udienza del 11.10.2023, con sospensione del termine di prescrizione dei reati pari a giorni 28. All'udienza del 11.10.2023, veniva escusso il teste Es.Do.; le parti concordavano l'acquisizione - ai sensi dell'art. 493 comma 3 c.p.p. - dei verbali di denuncia orale e di sommarie informazioni a firma di Fa.Ma., con riserva di formulare domande integrative; all'esito, il processo veniva rinviato ai fini della discussione all'udienza del 14.2.2024.
All'udienza del 14.2.2024, in accoglimento di un'istanza di rinvio per legittimo impedimento (dovuto ad un concomitante impegno professionale) avanzata dalla difesa dell'imputato il processo veniva differito all'udienza del 28.2.2024, con sospensione integrale del termine di prescrizione dei reati (pari a giorni 14). All'udienza del 28.2.2024, in accoglimento di un'istanza di rinvio avanzata dalla parte civile il processo veniva differito all'udienza del 3.4.2024.
All'udienza del 3.4.2024, dichiarata chiusa l'istruttoria dibattimentale e indicati gli atti utilizzabili ai fini della decisione ex art. 511 comma 1 c.p.p., le parti concludevano come in epigrafe.
Al termine della conseguente camera di consiglio si dava lettura del dispositivo della presente sentenza, riservando il deposito dei motivi della decisione entro il termine ordinario.
Motivi della decisione
Sono contestati all'imputato i reati di cui agli artt. 612 bis e 582-585 c.p., per aver posto in essere nei confronti di Fa.Ma., a lui precedentemente legata da una relazione affettiva, una pluralità di condotte persecutorie di molestia e di violenza, che - secondo l'editto accusatorio - avrebbero cagionato nella vittima un perdurante e grave stato di ansia e di paura, ingenerando nella stessa un fondato timore per la propria incolumità, costringendola altresì a modificare le proprie abitudini di vita. Ritiene questo Giudice che gli esiti dell'istruttoria dibattimentale conducano ad affermare, al di là di ogni ragionevole dubbio, la penale responsabilità di So.Al. in ordine ad entrambi i reati in contestazione.
Dalle risultanze dibattimentali emerge la seguente ricostruzione della vicenda in esame.
Nel corso dell'anno 2016, Fa.Ma. - all'epoca dei fatti minore di anni 18 -intraprendeva una relazione sentimentale con So.Al., suo compagno di classe; dopo qualche tempo, tuttavia, a causa degli atteggiamenti oltremodo possessivi dell'imputato la relazione iniziava a incrinarsi.
In particolare, a causa della sua morbosa gelosia, il So. soleva esercitare uno stretto controllo sulla Fa., impedendole di uscire di casa (ovvero di farlo solo a determinate condizioni, e in compagnia di determinate persone), decidendo cosa la ragazza dovesse indossare, controllando altresì le conversazioni che la persona offesa intratteneva a mezzo del proprio telefono cellulare, minacciandola -talora afferrandola per i polsi, strattonandola, e dandole altresì dei violenti pizzichi -quando la ragazza non ottemperava alle sue indicazioni ("Se non fai questo ti spezzo le cosce, tu non sei buona e tutte queste affermazioni").
I rapporti tra i due peggioravano in concomitanza con l'inizio dell'emergenza sanitaria da Covid-19, allorquando la Fa. - trasferitasi presso l'abitazione della sorella sita in Roccapiemonte - veniva costretta dal So. a fare ritorno a casa, nel Comune di Castel San Giorgio.
La situazione precipitava definitivamente in data 16.6.2020, allorquando la Fa. -a seguito di una accesa discussione, determinato dal mancato invito del So. ad una festa organizzata da un'amica della persona offesa - si recava presso l'abitazione dell'imputato per un chiarimento; giunta sul posto, palesava al So. la volontà di interrompere la relazione ma, mentre era seduta sul letto, veniva colpita violentemente al volto da una lampada, subendo una ferita lacero contusa del labbro, e l'avulsione di ben tre denti (cfr. documentazione fotografica e certificazione sanitaria del 16-17.6.2020 in atti).
Nel corso dell'udienza del 11.10.2023, la persona offesa - dopo aver riferito di aver sempre taciuto ai propri familiari delle condotte violente del So. - ha evidenziato di aver casualmente incontrato l'imputato successivamente all'aggressione: in tale occasione, a fronte delle rimostranze della donna, legate alle lesioni subite, l'imputato avrebbe risposto dicendole "tu sai il perché"; ha poi dichiarato di aver intrapreso, a causa delle condotte di cui era rimasta vittima, un percorso di supporto psicologico; infine, ha riferito di non aver avuto più contatti con il So. successivamente ai fatti.
I comportamenti persecutori appena descritti, protrattisi dunque fino al giugno del 2020, avevano determinato precise conseguenze sull'equilibrio psico - fisico della Fa., che aveva iniziato seriamente a temere per la propria incolumità. Così brevemente ripercorse le risultanze fattuali della vicenda, può ritenersi acclarata la penale responsabilità di So.Al. in ordine a tutti i reati in contestazione.
La persona offesa Fa.Ma. - della cui credibilità non è dato in alcun modo dubitare - ha infatti esposto in maniera coerente e precisa i fatti per cui è causa, riferendo dettagliatamente le circostanze di cui al capo di imputazione. A tale riguardo, come è noto, secondo l'insegnamento della Suprema Corte (che questo Giudice ritiene di condividere) la testimonianza della persona offesa - anche se costituita parte civile - ben può porsi a fondamento della pronuncia di colpevolezza se dotata dei requisiti, sussistenti nel caso di specie, di linearità, coerenza e puntualità.
Le dichiarazioni accusatorie rese dalla persona offesa, invero, da sottoporre ad un'indagine accurata circa i profili di attendibilità oggettivi e soggettivi, ben possono assurgere a fonte di prova sufficiente ad affermare la colpevolezza dell'imputato, non applicandosi in automatico il criterio di valutazione di cui all'art. 192 c.p.p. (cfr. Cass. Pen. Sez.4, sentenza n. 16860 del 13.11.2003, Rv. 227901). Va inoltre rammentato che, ancora secondo l'insegnamento della Suprema Corte, il Giudice, pur essendo tenuto a valutare criticamente, verificandone l'attendibilità, il contenuto della testimonianza, non è però certamente tenuto ad assumere come base del proprio convincimento l'ipotesi che il teste riferisca scientemente il falso, salvo che sussistano specifici e riconoscibili elementi atti a rendere fondato un sospetto di tal genere. In assenza di siffatti elementi, quindi, il Giudice deve presumere che il teste, fino a prova contraria, riferisca correttamente quanto a sua effettiva conoscenza e deve, perciò, limitarsi a verificare se sussista o meno incompatibilità tra quello che il teste riporta come vero, per sua diretta conoscenza, e quello che emerge da altre fonti di prova di eguale valenza (cfr. Cass. Pen. sez. 4, sentenza del 10.10.2006, n. 35984).
Alla luce di tali coordinate ermeneutiche, deve anzitutto rilevarsi come le dichiarazioni accusatorie di Fa.Ma. si manifestino pienamente attendibili per diversi ordini di ragioni.
In primo luogo esse palesano una adeguata credibilità intrinseca, fornendo una versione dei fatti lineare e connotata da un ordinato sviluppo logico, caratterizzato da una successione non irrazionale degli accadimenti e da un soddisfacente tasso di uniformità, non registrandosi, invece, alcuna illogicità patente o contraddizione. Invero le dichiarazioni della donna, pur dando atto delle percezioni soggettive della medesima, riferiscono in modo oggettivo gli eventi narrati e dimensionano senza deformazioni tali accadimenti, fedelmente differenziando gli episodi a seconda del comportamento di volta in volta avuto dal So. in occasione di ciascun contatto con la stessa.
Del resto, ad avviso della giurisprudenza di legittimità (cui lo scrivente presta convinta adesione), l'attendibilità e la forza persuasiva delle dichiarazioni rese dalla vittima del reato non sono inficiate dalla circostanza che all'interno del periodo di vessazione la persona offesa abbia vissuto momenti transitori di attenuazione del malessere in cui ha ripristinato il dialogo con il persecutore (cfr. Cass. Perì. Sez. 5, sentenza n. 5313 del 16.9.2014 ud. (dep. 4.2.2015), Rv. 262665). Non può peraltro sottacersi la circostanza per cui l'imputato, nell'esercizio di una sua pur legittima facoltà, abbia deciso di non comparire in dibattimento, di fatto privandosi consapevolmente della possibilità di fornire una versione alternativa della vicenda. Dal punto di vista estrinseco, poi, le dichiarazioni della persona offesa non fungono da unica prova dei fatti contestati, ma costituiscono soltanto una delle componenti distinte e congruenti che avvalorano la tesi dell'accusa, e che verranno di qui a breve partitamente analizzate.
Il teste Fa.An., padre della persona offesa, ha riferito di non aver accettato di buon grado l'inizio della relazione sentimentale tra la figlia e il So. (soggetto a lui noto per essere abbastanza violento, nonché assuntore di sostanze stupefacenti), e di aver dunque tentato di dissuaderla; tuttavia, non avrebbe mai impedito alla figlia di frequentarlo, temendo in tal modo di peggiorare le cose. Ha quindi raccontato dell'episodio del 16.6.2020 allorquando, mentre si trovava a casa della figlia Ba., riceveva una telefonata da parte del fratello dell'imputato, il quale lo invitava a raggiungerli al più presto in quanto Ma. aveva avuto "un incidente" con Al.; giunto sul posto unitamente alla moglie e alla figlia Ro., notava che Ma., che quasi non si reggeva in piedi, aveva il viso avvolto da un asciugamano insanguinato; si recavano quindi presso il pronto soccorso: nel corso del tragitto, la figlia avrebbe iniziato a ricostruire la dinamica dell'evento, riferendo di essere stata colpita violentemente con un oggetto da Al.. Ha poi riferito di aver letto personalmente un messaggio di testo inviato dall'imputato alla figlia nell'immediatezza dei fatti, all'interno del quale il So. le avrebbe detto "te la faccio pagare"; ha infine precisato che, insieme alla moglie, più di una volta, nel corso della relazione sentimentale, aveva notato lividi sul corpo della figlia, e che la stessa aveva sempre minimizzato, sostenendo di esserseli causati accidentalmente: solo successivamente all'episodio del 16.6.2020, Ma. avrebbe "confessato" le condotte violente di cui da anni era vittima.
Il teste Fa.Ro., sorella di Ma., dopo aver narrato (in termini esattamente sovrapponibili al padre) l'episodio del 16.6.2020, ha dato conto dei comportamenti oppressivi tenuti dal So. nei confronti della sorella ("io ho parlato con mia sorella tante volte, (…) era visibilmente stanca di tutta questa situazione. Mia sorella era priva di potersi truccare, (…) lui le vietava di indossare degli abiti, (…) non poteva fare nulla non poteva uscire, lui le ha anche vietato di uscire con la stessa famiglia, noi, io con le mie sorelle, con il fratello. Non poteva fare nulla"), delle pressioni a lei rivolte per indurla a rientrare nel Comune di Roccapiemonte durante la pandemia ("lui l'ha pressata dicendo che doveva ritornare a casa perché era l'unica coppia che non potevano vedersi, (…) lui le ha detto esplicitamente o ritorni a casa o vediamo un poco che dobbiamo fare"), e della reticenza della sorella nel riferire delle violenze subite nel corso della relazione.
La madre At.El., anch'ella escussa nel corso dell'udienza del 29.3.2023, ha dichiarato che - successivamente all'aggressione del 16.6.2020 - la figlia si sarebbe rifiutata di uscire per diversi giorni, sia a causa delle sue precarie condizioni fisiche, sia per il timore di incontrare nuovamente il So.; ha riferito dell'incontro casuale con l'imputato avvenuto qualche giorno dopo l'aggressione, allorquando il So. avrebbe riferito alla figlia, che intanto le stava mostrando le lesioni che aveva subito, la frase "tu lo sai il perché"; ha evidenziato, anch'ella, la reticenza della figlia nel rappresentare la reale ragione per cui sul suo corpo vi erano talora dei lividi, soggiungendo che solo successivamente all'episodio del 16.6.2020 Ma. le avrebbe raccontato tutta la verità; ha poi dichiarato la figlia è tuttora in cura presso una psicologa; infine, ha dato conto del contegno della figlia successivamente ai fatti ("quando è iniziata successivamente ma dopo tanto tempo ad uscire, (…) lei tornava a casa sempre in compagnia, e usciva sempre in compagnia").
Sostanzialmente neutre, infine, le dichiarazioni rese dall'operante Es.Do., il quale ha riferito di essersi limitato a ricevere la denuncia, e a prendere visione di alcune foto raffiguranti la persona offesa subito dopo l'aggressione, nonché di ulteriore documentazione consegnatagli dal padre Fa.An., relativa ad una conversazione estrapolata dal cellulare della figlia.
Così brevemente sunteggiate le risultanze istruttorie, può ritenersi che le circostanze di fatto emerse nel corso del giudizio descrivano in modo chiaro il tipico andamento di crescente ossessività e di inarrestabile escalation violenta ed intrusiva, all'interno del normale andamento della vita altrui, con effetti di grave danno all'equilibrio psichico ed alle normali abitudini di vita della vittima, peculiare della dinamica mentale patologica e persecutoria denominata stalking, sanzionata dall'art. 612 bis c.p., che punisce "chiunque con condotte reiterate, minaccia o molesta taluno in modo da cagionare un perdurante e grave stato di ansia o di paura ovvero da ingenerare un fondato timore per l'incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva ovvero da costringere lo stesso ad alterare le proprie abitudini di vita (…)".
La norma, introdotta dal D.L. 23.02.2009 n. 11 (pubblicato in G.U. n.45 del 24.02.2009 ed entrato in vigore il 25.02.2009), è sicuramente in astratto applicabile, ratione temporis, al caso di specie.
Tale figura normativa è stata, a ben vedere, costruita dal Legislatore alla stregua del reato abituale, per la cui configurazione è necessario che l'agente ponga in essere una serie di condotte a danno della vittima, senza che la perpetrazione di un singolo episodio possa bastare a varcare la soglia della rilevanza penale richiesta dall'art. 612 bis c.p.
In carenza di reiterazione, ben potranno le singole condotte - in presenza delle necessarie condizioni - integrare, ad esempio i singoli delitti di minacce, di molestie o di violenza privata; tuttavia, laddove l'insieme di tali ripetuti contegni sia tale da determinare nella vittima uno degli eventi psicologici descritti dalla norma, le condotte incriminate travalicano il disvalore penale insito nelle singole fattispecie delittuose prima menzionate, per transitare ed essere sussunte nell'unico contenitore del più grave delitto di atti persecutori.
Il quid pluris che caratterizza il reato in esame, rispetto alle minacce ed alle molestie, è in sintesi costituito da due elementi:
a) la reiterazione delle condotte, sicché l'illecito può ascriversi nel novero dei reati abituali, sebbene (secondo la dominante giurisprudenza, ribadita in sede di legittimità) il delitto in parola possa essere integrato anche da due sole condotte di minaccia o di molestia (purché legate causalmente alla determinazione nella vittima di uno degli eventi descritti dalla norma), come tali idonee a costituire la reiterazione richiesta dalla norma incriminatrice (si veda, tra le altre, Cass. Pen. Sez. 3, sentenza n. 45648 del 23.5.2013 Ud., Rv. 257287);
b) la produzione di un grave e perdurante stato di ansia o di paura o di un fondato timore per l'incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da una relazione affettiva, ovvero una alterazione non voluta delle proprie abitudini di vita.
Si tratta, quindi, di un delitto di danno e di evento che prevede eventi alternativi, la realizzazione di ciascuno dei quali è idoneo ad integrarlo; pertanto, ai fini della sua configurazione non è neppure essenziale il mutamento delle abitudini di vita della persona offesa, essendo sufficiente che la condotta incriminata abbia indotto nella vittima uno stato di ansia e di timore per la propria incolumità. Quanto alla prova dell'evento del delitto, in riferimento alla causazione nella persona offesa di un grave e perdurante stato di ansia o di paura, essa deve essere ancorata ad elementi sintomatici di tale turbamento psicologico, ricavabili dalle dichiarazioni della stessa vittima del reato, dai suoi comportamenti conseguenti alla condotta posta in essere dall'agente ed anche da quest'ultima, considerando tanto la sua astratta idoneità a causare l'evento, quanto il suo profilo concreto in riferimento alle effettive condizioni di luogo e di tempo in cui è stata consumata. Completa la breve analisi del delitto, la specificazione della tipologia dolosa, inquadrabile nel dolo generico, ovvero nella consapevolezza del reo di determinare nella vittima gli sgradevoli turbamenti interiori ed esistenziali che il reato richiede: vale a dire, come è chiaro, che il dolo deve comprendere anche la rappresentazione dell'evento come conseguenza delle reiterate condotte tenute dal reo.
Alla luce di tali coordinate ermeneutiche, le condotte poste in essere da So.Al. nel caso che ci occupa, hanno - per numero, convergenza, tasso di reiterazione e continuità - sicuramente integrato la tipicità della fattispecie contestata: le modalità aggressive e la ricorrente esasperazione dei toni da parte dell'imputato nelle occasioni di incontro con la persona offesa, le condotte violente, le minacce evocative di scenari di perdurante assillo, tese al controllo della vita della persona offesa in ogni suo aspetto, rispondono invero esattamente ad una logica molestatrice.
Si ravvisano dunque tutti gli estremi materiali necessari per integrare la fattispecie in considerazione, in quanto:
a) le descritte condotte persecutorie (articolatesi nelle varie modalità delle reiterate minacce di vario genere, delle condotte violente, del compimento di gravi episodi intrusivi quali la visione delle conversazioni intrattenute via cellulare della persona offesa con soggetti terzi etc.) si sono protratte, con modalità sempre più allarmanti, per un arco temporale significativo, pari a circa quattro anni;
b) tali condotte hanno avuto un rilevante effetto sulla sfera esistenziale e sulle condizioni psicologiche di Fa.Ma., avendo ingenerato in costei uno stato d'animo di ansia e paura, ed avendo inciso sul normale espletamento delle sue ordinarie abitudini di vita e sulla libera espressione della sua sfera esistenziale (inducendo la vittima, sostanzialmente, ad ottemperare ai desiderata del So. per non subire ritorsioni, e a non uscire di casa - se non in compagnia - nel periodo successivo all'episodio del 16.6.2020).
Ricorre dunque anche l'evento del reato: su questo versante, è appena il caso di ricordare che secondo la giurisprudenza di legittimità, quanto allo stato d'ansia o di paura, non occorre una diagnosi medico psicologica, perché la prova di esso può essere dedotta anche dalla natura dei comportamenti tenuti dall'agente, qualora questi siano idonei a determinare in una persona comune tale effetto destabilizzante (cfr. Cass. Perì. Sez. 5, sentenza n. 24135 del 9.5.2012, Rv. 253764). Si consideri, peraltro, che il temporaneo ed episodico riavvicinamento della vittima al suo persecutore (circostanza verificatasi nel caso che ci occupa) non interrompe l'abitualità del reato, né inficia la continuità delle condotte, sussistendo l'oggettiva e complessiva idoneità delle stesse a generare nella vittima un progressivo accumulo di disagio che degenera in uno stato di prostrazione psicologica, in una delle forme descritte dall'art. 612 bis c.p. (cfr. Cass. Pen. Sez. 5, sentenza n. 17240 del 20.1.2020, Rv. 279111).
Neppure può dubitarsi della sussistenza dell'elemento soggettivo della fattispecie di cui all'art. 612 bis c.p.: esso, come ormai chiarito dalla Suprema Corte, in modo del tutto coerente con la connotazione "abituale" del reato, è integrato dal dolo generico, che consiste nella volontà di porre in essere le condotte che lo strutturano nella consapevolezza della idoneità delle medesime alla produzione di uno degli eventi previsti dalla norma incriminatrice. Esso deve assumere il carattere dell'unitarietà, nel senso che deve esprimere un'intenzione criminosa travalicante i singoli atti che compongono la condotta tipica, ma (secondo una linea interpretativa già assestatasi in relazione a figure di reato abituale storicamente più risalenti, come quella di cui all'art. 572 c.p.) può senz'altro realizzarsi in modo graduale, senza dunque la necessità che l'agente si rappresenti e voglia fin dal principio la realizzazione della serie degli episodi (cfr. Cass. Pen. Sez. 5, sentenza n. 18999 del 19.2.2014, Rv. 260411).
Tanto si è verificato nella fattispecie, ove la reiterazione delle condotte del So. non può non aver generato l'acquisizione progressiva di una rappresentazione e volontà cumulativa, inglobante le azioni già poste in essere e quelle ancora da compiere nella tensione verso la produzione dell'evento perturbatore della sfera morale della vittima.
Deve, dunque, ritenersi integrata la fattispecie di cui all'art. 612 bis c.p., contestata all'imputato in rubrica.
Sussistono, del pari, gli estremi del reato di lesioni contestato al capo b) della rubrica, ricorrendone tutti gli elementi costitutivi: in particolare, sul piano oggettivo, vi è prova della causazione, da parte dell'agente, di un'alterazione patologica dell'organismo di Fa.Ma. (cfr. documentazione sanitaria e fotografica in atti) e, sul piano soggettivo, della coscienza e volontà di colpire con violenza fisica. In definitiva, So.Al. va ritenuto penalmente responsabile - al di là di ogni ragionevole dubbio - di entrambi i reati a lui ascritti in rubrica. Trascorrendo quindi al trattamento sanzionatorio, possono riconoscersi all'imputato, in considerazione del sensibile mutamento del suo atteggiamento nei riguardi della persona offesa (come da quest'ultima riferito), connotato dalla cessazione delle condotte persecutorie successivamente al giugno del 2020 (sintomo di una rivisitazione critica della propria condotta), le circostanze attenuanti generiche di cui all'art. 62 bis c.p.: nel giudizio di comparazione imposto dall'art. 69 c.p., tali attenuanti vanno ritenute equivalenti rispetto alle contestate aggravanti di cui all'art. 612 bis comma 2 e 3, 61 n. 11 quinquies c.p. (in ragione della relazione sentimentale precedentemente occorsa tra l'imputato e la persona offesa, e della minore età di costei al momento dei fatti), nonché delle aggravanti di cui all'art. 576 comma 1 n. 1 e n. 5, conseguenti alla declaratoria di penale responsabilità dell'imputato per il delitto di cui al capo a) dell'imputazione.
Le violazioni commesse costituiscono chiara espressione, per prossimità temporale e per il fine complessivamente perseguito dall'agente, di un unitario disegno criminoso: vanno dunque unificate ex art. 81 cpv. del codice penale.
Valutati gli indici di cui all'art. 133 c.p., si stima dunque equa la pena finale di anni 2 e mesi 6 di reclusione, così calcolata:
- pena base (calcolata in relazione al più grave reato di cui all'art. 612 bis c.p., previa elisione del rilievo delle ritenute aggravanti ex art. 612 bis comma 2 e 3 c.p., all'esito del giudizio di equivalenza con le circostanze attenuanti generiche): anni 2 di reclusione;
- aumentata ex art. 81 cpv. c.p. ad anni 2 e mesi 6 di reclusione (mesi 6 di reclusione in relazione al reato di cui all'art. 582 c.p.).
Alla dichiarazione di responsabilità dell'imputato segue poi, per legge, la condanna dello stesso al pagamento delle spese processuali.
Non sussistono, in ragione dell'entità della pena irrogata, i presupposti di legge per la concessione all'imputato del beneficio della sospensione condizionale della pena, né risultano essere state avanzate dalla difesa richieste di pena sostitutiva. Ai sensi degli artt. 538 ss. c.p.p., So.Al. viene inoltre condannato al risarcimento dei danni in favore delle parti civile costituite, da liquidarsi in separata sede (non essendo possibile allo stato quantificare con esattezza il danno subito, ragione per cui non si ritiene opportuno, del pari, concedere la chiesta provvisionale), nonché alla refusione, in favore delle predette parti civili, delle spese di costituzione e rappresentanza, liquidate in base al seguente computo analitico, parametrato secondo importi che risultano congruenti con l'attività defensionale concretamente esplicata e con lo spessore giuridico delle questioni affrontate, in relazione ai criteri dettati dal D.M. 55/2014, non ritenendosi di applicare alcun aumento ai sensi dell'art. 12 comma 2, non avendo comportato l'assistenza di più parti (tutte aventi la medesima posizione processuale) lo studio di questioni di fatto e di diritto ulteriori e diverse:
Fase di studio della controversia Euro 237,00
Fase introduttiva del giudizio Euro 284,00
Fase istruttoria Euro 567,00
Fase decisionale Euro 709,00
Totale Euro 1.797,00
Spetta comunque il rimborso spese forfettarie nella misura del 15% sull'importo dei compensi professionali, oltre IVA e CPA sull'imponibile, come per legge.
P.Q.M.
Letti gli artt. 533 e 535 c.p.p.,
dichiara So.Al. colpevole dei reati a lui ascritti in rubrica e per l'effetto, riconosciute al medesimo le circostanze attenuanti generiche, in regime di equivalenza con le contestate e ritenute aggravanti, unificati i fatti ex art. 81 cpv. c.p., lo condanna alla pena di anni 2 (due) e mesi 6 (sei) di reclusione, oltre al pagamento delle spese processuali. Letti gli artt. 538 ss. c.p.p.,
condanna So.Al. al risarcimento dei danni in favore delle parti civili costituite Fa.Ma., Fa.An. e At.El., da liquidarsi in separata sede.
Rigetta la richiesta di provvisionale.
Condanna So.Al. alla refusione, in favore delle predette parti civili, delle spese di costituzione e rappresentanza, che liquida in complessivi Euro 1.797,00 oltre rimborso spese forfettarie nella misura del 15% sull'importo dei compensi professionali, oltre IVA e CPA sull'imponibile, come per legge.
Così deciso in Nocera Inferiore il 3 aprile 2024.
Depositata in Cancelleria il 12 aprile 2024.