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Esclusione del reato di stalking in presenza di conflittualità civilistica e mancanza di eventi rilevanti ex art. 612-bis c.p.

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Corte appello Roma sez. I, 26/04/2024, n.4422

Il reato di atti persecutori di cui all'art. 612-bis c.p. richiede che le condotte moleste o minacciose, reiterate nel tempo, siano tali da determinare nella vittima un grave e perdurante stato di ansia o paura, un fondato timore per l'incolumità propria o altrui, o un'alterazione delle abitudini di vita. Tuttavia, in presenza di una conflittualità di natura prevalentemente civilistica, con comportamenti riconducibili a un contesto litigioso e non idonei a integrare l'evento tipico del reato, come mutamenti non significativi delle abitudini di vita o stati emotivi riconducibili a cause diverse, il reato non può ritenersi configurato oltre ogni ragionevole dubbio.

Stalking: esclusa la particolare tenuità del fatto in caso di recidiva e condotta abituale

Atti persecutori: necessaria prova rigorosa di idoneità e abitualità delle condotte

Stalking e conflittualità condominiale: condanna agli effetti civili per molestie e danno morale

Assoluzione per mancanza di prove sul reato di atti persecutori tra fratelli in conflitto ereditario

La calunnia come strumento di offesa: dolo specifico e consapevolezza della falsità dell'accusa


Stalking: esclusione del reato per mancanza di elementi probatori certi, ma conferma delle statuizioni civili per danno extracontrattuale

Stalking: condanna confermata per condotte reiterate di molestie e minacce con mutamento delle abitudini di vita della vittima

Stalking indiretto e gelosia ossessiva: configurabilità del reato di atti persecutori e rilevanza della condotta per interposta persona

Assoluzione per atti persecutori e lesioni volontarie nell'ambito di gestione del servizio sanitario

Sentenza riformata per intervenuta prescrizione del reato di stalking e diffamazione, confermate le statuizioni civili

La sentenza integrale

RAGIONI IN FATTO E IN DIRITTO DELLA DECISIONE
Avverso la sentenza sopra indicata ha proposto appello la difesa deducendo, con il primo motivo di gravame, l'errata ricostruzione dei fatti per i quali si procede. Ha dedotto al riguardo come dalle dichiarazioni che erano state rese dalla persona offesa, costituitasi parte civile, emergevano contraddizioni che avrebbero imposto un vaglio più severo in ordine alla credibilità di quanto riferito. In particolare, con riferimento al lamentato episodio del giardiniere che si sarebbe inutilmente recato presso la sua abitazione per procedere al taglio della siepe, lo stesso era stato ricostruito in maniera arbitraria dalla persona offesa, dovendosi collocare tale fatto in data 16 luglio 21 e non invece in data 23 luglio, giorno quest'ultimo in cui la persona offesa si era recata in pronto soccorso; peraltro, proprio il referto medico che era stato redatto in quella occasione dava conto di un addensamento polmonare e dunque tale documento non poteva comprovare la sussistenza addotto a sostegno della condotta ascritta all'imputato appellante, dovendosi invece ricondurre l'eventuale stato di ansia lamentato dalla persona offesa alla perdita prematura del marito.

Ulteriore censura difensiva riguarda l'episodio del 20 settembre 2021 per il quale peraltro vi era stata l'assoluzione Di.Gi., cognato dell'odierno prevenuto, dal reato a lui ascritto.

In tale occasione era stato lo stesso imputato a rivolgersi alla Polizia di Stato perché vi era stato un diverbio con l'odierna persona offesa e dunque la stessa non aveva reso dichiarazioni veridiche con riferimento alla lamentata aggressione e alla chiamata, da parte sua, delle forze dell'ordine.

Sempre secondo l'appellante il primo giudice aveva poi ritenuto attendibile la testimonianza resa da Fi.Ma., contenute nel verbale di SIT dei 15 Febbraio 2022, laddove lo stesso aveva riferito di essersi recato più volte a casa della persona offesa dopo la morte del marito a causa di continui squarci degli pneumatici dell'autovettura a lei in uso; ciò, nella prospettiva difensiva, smentirebbe quanto lamentato dell'odierna parte civile secondo cui nessuno poteva recarsi presso la sua abitazione per farle visita.

Inoltre l'appellante deduce come non poteva essere utilizzato ai fini decisori quanto riferito dalla persona offesa in relazione ad un'amica, le cui generalità non erano state indicate, alla quale sarebbe stato impedito di recarsi presso la sua abitazione per portare cibo al cane.

Di contro, sempre alla luce delle deduzioni svolte con l'atto di gravame, la produzione documentale in atti era tale da evidenziare come l'odierno imputato, per far valere i propri diritti, si fosse limitato ad utilizzare gli strumenti messi a sua disposizione dall'ordinamento, procedendo dapprima ad una diffida e poi al deposito di un ricorso dinanzi all'autorità giudiziaria.

Proprio la presenza di un contenzioso giudiziario avrebbe dovuto indurre il primo giudice a pervenire ad una valutazione più prudente in punto di credibilità delle dichiarazioni rese dalla persona offesa.

Ha infine dedotto la difesa come in tema di stalking l'evento non possa risolversi in una sensazione di mero fastidio, irritazione, o insofferenza per le condotte altrui con la conseguenza che nei caso di specie non potevano ritenersi integrati gli elementi costitutivi de! reato in contestazione.

Con il secondo motivo di gravame la difesa ha chiesto che fosse accertata la tardività della querela previa riqualificazione del fatto contestato nel reato di cui all'articolo 660 del codice penale o in quello di cui all'articolo 610. L'appello è fondato.

Si evidenzia preliminarmente, quanto alla sussistenza del reato per cui si procede, che il reato di cui all'articolo 612 bis del codice penale prevede la punizione, salvo che il fatto costituisca più grave reato, di "chiunque, con condotte reiterate, minaccia o molesta taluno in modo da cagionare un perdurante e grave stato di ansia o di paura ovvero da ingenerare un fondato timore per l'incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva ovvero da costringere lo stesso ad alterare le proprie abitudini di vita". La condotta tipica, collocata tra i delitti contro la persona (ed in particolare tra i delitti contro la libertà morale) soddisfa la volontà legislativa di offrire una risposta sanzionatoria maggiormente repressiva rispetto al passato riguardo un comportamento cui può riconnettersi uno spiccato allarme sociale. Esso, infatti, punisce determinati comportamenti persecutori tra due persone, una delle quali generalmente è animata da una possessività ossessiva nei riguardi della vittima di sesso opposto, che, nel precedente assetto ordinamentale, trovava una poco efficace risposta sanzionatoria, tranne nelle ipotesi più gravi, esclusivamente nella contravvenzione di cui all'art. 660 c.p.. E' stato significativamente affermato, in dottrina, che si profili un rapporto di gravità scalare, rispetto al medesimo bene giuridico (quello della tranquillità e della serenità psichica della vittima), tra la contravvenzione di molestie, il delitto di minaccia ed il nuovo delitto di atti persecutori; rapporto di gravità scalare che è del resto ben riflesso dai diversi quadri sanzionatori predisposti per ognuna di queste tre fattispecie. Ora, sebbene la condotta tipica possa appuntarsi su molteplici oggetti materiali, quali io stato d'ansia o di paura, il fondato timore per l'incolumità propria o altrui, il mutamento delle proprie abitudini di vita, il bene giuridico protetto dalla fattispecie incriminatrice è unico e, alla luce delle indicazioni fornite dallo studio dei lavori preparatori e della collocazione sistematica della nuova norma nel novero dei delitti contro la libertà individuale e contro la libertà morale, consta nella tutela della serenità psichica propria della persona offesa. Emerge invero come la funzione della norma sia quella di sanzionare condotte che, se non adeguatamente messe a freno, possono anche evolvere in condotte più gravi e dannose, come ad esempio quelle di violenza sessuale, lesioni personali, o persino omicidio.

Le minacce e molestie devono imprescindibilmente possedere l'ulteriore requisito della reiterazione, dovendo compendiarsi, quindi, in comportamenti persecutori minacciosi o molesti ripetuti nel tempo.

La fattispecie va quindi collocata nella categoria dei ed. reati abituali, laddove elemento indispensabile per il perfezionamento del fatto tipico è la realizzazione di condotte reiterate, mediante le quali il soggetto attivo del delitto minaccia o molesta quello passivo. Questo connotato di abitualità della condotta colora il disvalore penale di comportamenti che, realizzati singolarmente, non costituirebbero di per sé reato, rimanendo invece nel novero della liceità, determinando, per ciò solo, la sussunzione della fattispecie nel delitto de quo. Se, al contrario, singoli comportamenti non fossero legati tra loro dal comune denominatore dell'abitualità essi, presi singolarmente, potrebbero o ritenersi leciti, oppure costituirebbero ontologicamente singole e diverse fattispecie criminose di differente intensità e disvalore.

In ordine a tale conformazione dell'elemento oggettivo del delitto e facendo applicazione dei parametri interpretativi indicati dalla giurisprudenza dovranno allora ritenersi abituali ì singoli atti aggressivi esclusivamente allorquando siano ricompresi in una cornice unitaria e siano collegati, sul piano oggettivo, da un nesso continuativo e siano invece sorretti, sul piano psicologico, da un unitario proposito criminoso.

In merita all'individuazione delle condotte tipiche la cui reiterazione, in un determinato periodo di tempo, integra l'elemento aggettivo del reato, va evidenziato come il legislatore abbia inteso prevedere - accanto alla forma vincolata della minaccia - un'ulteriore condotta a forma libera del reato, rappresentata dalle molestie. Se, però, la condotta commissiva di minaccia si concreta nella prospettazione di un male futuro e ingiusto, la cui verificazione dipende, anche solo in parte, dalla volontà dei soggetto attivo del reato, non è altrettanto pacifico quale comportamento debba realizzarsi per poter integrare la condotta aperta di molestie, A tale riguardo, gran parte della dottrina ha inteso proporre l'equiparazione dell'interpretazione della molestia a quanto elaborato dalia giurisprudenza, in via esegetica, in merito alla condotta di molestia che delinea il fatto tipico contravvenzionale previsto dall'art. 660 c.p.. In applicazione di tale criterio ermeneutico, l'atto di molestia può quindi essere inteso come quella ispirato da un biasimevole motivo a che riveste il carattere della petulanza, che cioè consiste in un modo di agire pressante ed indiscreto, tale da interferire sgradevolmente nella sfera privata delle persone.

Per il perfezionamento della struttura materiale del reato, è inoltre indispensabile che le minacce o le molestie, oltre a possedere la caratteristica testé accennata della reiterazione, siano in grado di cagionare - configurandosi il reato seconda la recente giurisprudenza quale reato di evento - un perdurante e grave stato di ansia o dì paura nella persona offesa, ovvero siano tali da ingenerare un fondato timore per l'incolumità della stessa persona offesa, o di un prossimo congiunto, o di una persona a lei legata da relazione affettiva, ovvero da costringere la vittima ad alterare le proprie abitudini di vita.

Si tratta di una pluralità di eventi naturalistici di danno, in alternativa tra loro, che implicano uno spostamento in avanti della soglia di punibilità della fattispecie, e che il legislatore ha inteso concepire per evitare che quelle condotte commissive di minaccia o di molestia, che non siano in grado di incidere significativamente sul bene giuridico protetta (avvero non siano tali da ledere l'incolumità personale meglio inquadrandosi nell'alveo di altre fattispecie), passano perfezionare sic et simpliciter la struttura materiale del delitto, Sotto questo profilo, la struttura della fattispecie complessa in esame, quale reato di evento, si distingue nettamente da! meno grave reato di minacce, che è reato di pericolo concreto. Ad ogni modo, un grave e perdurante stato di turbamento emotivo è già sufficientemente idonea ad integrare l'evento del delitto de quo, per la cui sussistenza è sufficiente che gli atti abbiano avuto un effetto destabilizzante della serenità e dell'equilibrio psicologico della vittima ed al medesima fine non si richiede l'accertamento di un vero e proprio stato patologico nella persona offesa (come pure era stato prospettato da parte della dottrina), ma è sufficiente che gli atti asseritamente persecutori abbiano avuto un effetto destabilizzante della serenità e dell'equilibrio psicologico della vittima, Da qui la considerazione che la fattispecie in esame ha una struttura più ampia e non costituisce una semplice duplicazione immateriale del reato di lesioni, il cui evento è configurabile sia come malattia fisica che come malattia psicologica.

Il secondo evento naturalistico alternativo riposa sulla verificazione - in conseguenza condizionale con le molestie o le minacce effettuate dal reo - di un fondato timore per l'incolumità della vittima, o di un prossimo congiunto, o di persona al medesimo (rectius, al primo) legata da relazione affettiva. Infine è previsto nella fattispecie un terzo evento alternativo, quello dell'alterazione delle abitudini di vita della persona offesa, come conseguenza della condotta del soggetto attivo del reato.

Tale evento, contrariamente agli altri due eventi naturalistici, è dotato di una concretezza empirica maggiormente verificabile nel processo. Spesso, infatti, le conseguenze maggiori delle condotte persecutorie cui il soggetto passivo del reato deve sottostare sono proprie evidenti cambiamenti nelle abitudini di vita, la cui consistenza e serietà, però, sono rimesse al prudente apprezzamento del giudice. E' ben possibile, inoltre, che i tre diversi eventi, nonostante siano espressi come alternativi tra loro, possano anche verificarsi contemporaneamente. Per ciò che concerne, infine, l'elemento psicologico generico del reato in esame, considerata la suesposta, pacifica, natura di reato ed. abituale del delitto de quo, occorre domandarsi se sia bastevole, ai fini del perfezionamento dell'elemento soggettivo dei reato, che l'agente si sia rappresentato e abbia voluto la realizzazione dei singoli atti che compongono la fattispecie a formazione progressiva, ovvero se, al contrario, egli debba necessariamente rappresentarsi anche la perpetrazione di uno specifico disegno criminoso, attraverso il quale le diverse condotte realizzate siano tra loro avvinte dall'obiettivo di realizzare uno degli eventi alternativi contenuti nel precetto. A tale riguardo, può evidenziarsi che se il dolo del delitto in esame è senz'altro unitario, e sorregge una volontà criminosa che trascende le azioni che costituiscono la condotta tipica, non è invece necessario che esso ricomprenda sin dal momento della sua formazione la realizzazione della serie ininterrotta degli episodi dannosi o pericolosi, ben potendo esso formarsi in maniera progressiva.

Se l'elemento psicologico del reato è semplicemente quello generico, compendiandosi nella previsione e nella volizione di uno degli eventi, evidente appare anche la possibilità della sua realizzazione a titolo di dolo eventuale, quale forma di accettazione del rischio di verificazione di uno dei tre eventi naturalistici previsti dalla fattispecie incriminatrice, allorquando l'azione molestatrice sia stata perpetrata con un diverso grado di adesione della volontà, ovvero considerando solo come probabile la verificazione di uno degli eventi.

In applicazione di criteri interpretativi può ritenersi che nel caso di specie i comportamenti posti in essere dal prevenuto non superino la soglia della penale responsabilità; gli stessi appaiono invero riconducibili a un radicato conflitto legato a ragioni di proprietà del cespite, laddove l'odierno imputato rivendicava con insistenza la proprietà dell'abitazione occupata dall'odierna parte civile dopo la morte di suo marito.

Ora, appare evidente che tale contestazione assuma una connotazione spiccatamente civilistica e dunque avrebbe dovuto essere risolta in quella specifica sede, e ciò in quanto i comportamenti che sono emersi nei giudizio penale, seppure caratterizzati da un'evidente maleducazione e da una insistente aggressività, non appaiono tali da integrare l'evento dei reato di stalking in contestazione. A tale conclusione può giungersi in primo luogo avuto riguardo alla documentazione di carattere medico in atti (verbale Pronto Soccorso del 23,7.2021) che non denota con certezza che vi sia stata alcuna effettiva compromissione dell'Integrità psicofisica della querelante, visto che l'addensamento polmonare riscontrato all'esito dell'intervento diagnostico svolto ben difficilmente può essere ricondotto all'altrui azione aggressiva ma piuttosto, attesa la natura della specifica patologia, a cause pregresse.

Ma anche la diagnosi "agitazione post aggressione" di cui al verbale di Pronto Soccorso dei 20,9.2021 appare più riconducibile ad una particolare sensibilità dell'odierna persona offesa, evidentemente provata dalla perdurante contesa in corso con i suoi parenti, piuttosto che essere con certezza ricollegabile causalmente agli episodi dalla stessa lamentati in querela.

In particolare, l'episodio del 20 settembre può essere ricostruito sulla base del contenuto dell'annotazione di polizia giudiziaria che è stata redatta dagli agenti della Questura di Frosinone i quali danno atto di essere stati chiamati da Ro.Gi. il quale, preso da un attacco d'ira, riferiva di avere colpito con i pugni il montante della propria autovettura mentre transitava l'odierna persona offesa (che di contro ha riferito che a fare le spese dell'altrui attacco di rabbia era stata la sua autovettura); ne era seguito un diverbio verbale all'esito del quale la stessa richiedeva l'intervento di personale sanitario che si concludeva con la diagnosi sopra riportata, inidonea a fornire la prova del reato in contestazione.

Ma anche gli altri fatti narrati in querela sembrano sfuggire, per loro natura, alla possibilità di essere letti quali posto in essere in violazione della norma penale. La Za. lamenta infatti che l'odierno appellante, in occasione della visita di alcune sue amiche, era uscito dalla sua abitazione e aveva iniziato ad urlare con tono aggressivo e minaccioso, dicendo che lei dentro quella casa non doveva far entrare nessuno perché si trattava di un bene di loro esclusiva proprietà. La stessa riferisce inoltre, in querela, che i suoi parenti la spiavano ed erano pronti ad intervenire se qualcuno si fosse avvicinato alla sua abitazione tanto che la stessa aveva cambiato le sue abitudini di vita cercando di non ricevere più ospiti in casa: trattasi con evidenza di un cambiamento delle abitudini dì vita (la mancata possibilità di ospitare terze persone) che non è riconducibile al modello di cui alla norma penale che si suppone violata.

Ma anche l'ulteriore episodio della riferita minaccia dell'odierno imputato al giardiniere perché non tagliasse la siepe appare del tutto privo di rilevanza penale non essendo stata spiegata alcuna significativa violenza o minaccia. A riprova della radicata conflittualità esistente tra le parti si rileva come sia in atti un ricorso ex art. 702 bis c.p.c. che è stato proposto per la liberazione del cespite dinanzi al Tribunale di Frosinone da Lu.Ar. e Li.Ro., oltre alla corrispondenza intercorsa per il tramite dei rispettivi avvocati. Alla luce dei rilievi in contestazione il reato per cui si procede non appare configurabile al di là di ogni ragionevole dubbio e dunque l'appellante deve essere assolto riformandosi così la sentenza di primo grado

P.Q.M.
Visto l'art. 605 c.p.p. in riforma della sentenza del Tribunale di Frosinone in data 23-3-23 appellata da Ro.Li. assolve l'imputato dal reato a lui ascritto perché il fatto non sussiste.

Motivi in giorni 60.

Così deciso in Roma il 10 aprile 2024.

Depositata in Cancelleria il 26 aprile 2024.

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