top of page

Furto aggravato dal mezzo fraudolento: differenza con la truffa e rilevanza della destrezza nell'appropriazione di denaro

furto-destrezza-truffa-mezzo-fraudolento

Tribunale Udine, 11/06/2024, n.868

La circostanza aggravante della destrezza ricorre quando l'agente utilizza una particolare abilità nell'approfittare di un breve momento di disattenzione della vittima, ponendo in essere un’azione di impossessamento rapida e insidiosa, che supera gli elementi costitutivi del furto semplice. Tale aggravante può coesistere con quella del mezzo fraudolento quando l'azione si realizza in un contesto creato mediante inganno.

La distinzione tra il reato di furto con strappo e quello di rapina risiede nella direzione della violenza esercitata

Furto con destrezza: distinzione dallo strappo e improcedibilità per mancanza di querela valida

Furto di sabbia demaniale: esclusione del reato in assenza di impossessamento e profitto

La differenza tra furto e truffa

Furto aggravato e vizio parziale di mente: riduzione della capacità di intendere e volere e preclusione dei benefici penali

Furto con strappo e rapina: distinzione basata sulla direzione della violenza

Furto aggravato: violenza sulle cose e pubblica fede, esclusione dell'aggravante per furto ai danni di viaggiatori

Truffa e furto: in caso di dubbio si deve optare per l'ipotesi di minore gravità

Furto aggravato dal mezzo fraudolento: differenza con la truffa e rilevanza della destrezza nell'appropriazione di denaro

Furto aggravato: limiti all’applicazione delle aggravanti di violenza sulle cose e mezzo fraudolento

La sentenza integrale

RAGIONI IN FATTO E IN DIRITTO DELLA DECISIONE
Con decreto del P.M. presso questo Tribunale, ritualmente notificato, Br.Cl., Br.To. e Ka.Ca. venivano citati a comparire davanti a queste Ufficio per rispondere dei reati loro ascritti in epigrafe.

All'esito dell'udienza predibattimentale, il processo veniva trasmesso a queste Giudice per la celebrazione del giudizio.

Nel corso dell'istruttoria dibattimentale, venivano escussi, in qualità di testi, i denuncianti KE.Da. e FI.Da. nonché l'operante VE.Da.

Venivano inoltre acquisiti gli screenshots di una serie di conversazioni scritte via WhatsApp, intercorse tra il primo denunciante ed i suoi interlocutori protagonisti della vicenda nonché gli album fotografici da sottoporre ai testi per il riconoscimento dei protagonisti.

All'udienza del 30.05.2024, le parti concludevano come da verbale. Agli odierni imputati sono contestati:

- un episodio di furto in concorso aggravato dalla destrezza e dall'utilizzo del mezzo fraudolento (artt. 110,624,625, comma primo, nn. 2 e 4, C.p.) commesso ai danni di KE.Da. cui, con la scusa di cambiare delle banconote di diverso taglio, veniva sottratta la somma contante di Euro 25.000,00 dal predetto portata per effettuare lo scambio (capo A);

- un episodio di furto tentato in concorso aggravato dal mezzo fraudolento (artt. 56,110,624 e 625, comma primo, n. 2, C.p.) commesso ai danni di FI.Da. per aver compiuto atti idonei e diretti in modo non equivoco ad impossessarsi della somma contante di Euro 25.000,00, col pretesto di dover operare uno scambio di banconote di diverso taglio; secondo la prospettazione accusatoria, l'intento non sarebbe stato perseguito a causa dell'intervento di KE.Da. (capo B).

I fatti risalgono alle date rispettivamente al 20.05.2021 ed al 15.02.2022.

Sulla base dei precedenti risultanti dal Certificato del Casellario Giudiziale, a tutti gli imputati viene contestata la recidiva reiterata con gli ulteriori profili della specificità per Br.Cl. e Ka.Ca. e dell'infraquinquennalità per Br.To. e la medesima KA.CA.

Il teste KE.Da., nato e residente a (…), riferisce che, nel maggio 2021, aveva messo in vendita una vettura (…) CARRERA S del 2005 (con 50.000 km) tramite annuncio su una rivista locale. Un giorno venne contattato da un ragazzo sloveno, dell'apparente età di 35/40 anni, che si qualificò come Da. (senza mai dire il cognome) e che si dichiarò interessato all'acquisto della vettura. Venne organizzato un incontro nel luogo dove la vettura era depositata.

Questo Da. vide la macchina ma aggiunse che non era lui il compratore bensì il suo datore di lavoro in ITALIA. Chiese, per questo, se fosse possibile recarsi in ITALIA per mostrare la macchina anche a lui.

Il teste acconsentì e circa una settimana dopo, si recò a UDINE, in Via (…), in un BAR dove era stato concordato l'appuntamento. Si presentarono due soggetti, a bordo di una vecchia MERCEDES grigia con targa italiana, uno dei quali (di corporatura robusta e di età apparente di circa 60/65 anni) disse di chiamarsi Fa. e si dichiarò effettivamente interessato all'acquisto.

Venne fatto salire in macchina e gli fu consentito di fare un giro per fargliela provare.

Fatto il giro, vi fu una sosta nel predetto BAR dove il suddetto Fa. confermò l'interesse all'acquisto della vettura. Disse che lavorava nel commercio di quadri ed antiquariato e che, in tale attività, era solito incassare soprattutto denaro contante in taglio grosso (da Euro 500,00).

Il teste aveva detto che avrebbe dovuto essere pagato con operazione bancaria.

Il sedicente Fa. disse che per lui andava bene, ma che - per fare questo - doveva dotarsi di banconote di taglio più piccolo che avrebbero potuto essere depositate in Banca per poter creare la liquidità necessaria al pagamento. Il teste disse che la cosa si poteva fare anche perché in SLOVENIA non avrebbe avuto problemi a depositare banconote di taglio più grosso.

Fu necessario però un accordo per un ulteriore appuntamento, in quanto il teste non aveva con sé il denaro necessario.

Le parti pattuirono un compenso per la vettura introno agli Euro 45/50.000,00.

Del denaro da scambiare fu indicato un ammontare pari ad Euro 25.000,00.

Nel frattempo, il teste ed i suoi interlocutori si portarono presso la residenza denominata (…), (così era scritto nel cancello d'ingresso) a Pradamano (UD), dove - a dire di Fa. - c'era suo figlio. Giunti sul posto, c'era effettivamente un ragazzo presentato come il figlio (indicato col nome di Lu.) che apprezzò molto la vettura di cui era stata proposta la vendita. Il ragazzo, non altissimo ed un pò robusto, dimostrava un'età tale per cui poteva essere senz'altro il figlio di Fa.

Sul posto, c'era anche una donna giovane che si presentò come la moglie d Lu.. Era una donna alta, magra, con capelli chiari lunghi e di bell'aspetto.

L'incontro si concluse con l'intesa che si sarebbero rivisti tutti il giorno dopi presso la medesima villa.

Fa. aggiunse che sarebbe stato interessato anche all'acquisto di eventual altre macchine.

Nel frattempo, il teste aveva acquisito i recapiti telefonici sia di Da. (…) sia di Fa. (…). Il teste riferisce che i numeri suddetti erano memorizzati sul suo telefono al momento della denuncia e vennero menzionati previa consultazione del relativo display.

Al secondo appuntamento, il teste si presentò col denaro contante, con la mac china per verificare la genuinità dei soldi che avrebbe ricevuto in cambio e col contratto di vendita pronto (in realtà era un modulo bilingue che si sarebbe dovuto compilare) Arrivò a bordo di un'altra vettura (MERCEDES), atteso che il Fa. gli aveva detto che era interessato anche all'acquisto di altre vetture.

Arrivò alla casa e trovò Fa. con Ja.

Non c'era Lu.Ja. fu molte accogliente e gentile e chiese se poteva preparare un caffè. Il teste accettò a titolo d cortesia pur dichiarando di non esserne un consumatore.

Ad un certo punto, il teste mise sul tavolo la busta dove aveva messo i soldi e I; macchinetta per verificare la genuinità delle banconote. Disse a Fa. che avrebbe però voluto vedere i soldi suoi. Lui rispose affermativamente e disse che sarebbe andate subito a prenderli. In quel momento, Ja. iniziò a coinvolgere il teste in discorsi generali con la conseguenza di distrarre la di lui attenzione dai soldi che aveva poggiate sul tavolo. In quel momento, Fa. prelevò il denaro e lo portò con sé.

Fa. non si fece più vedere. Dopo una decina di minuti, telefonò sul numero di Ja. dicendo che non riusciva a contattare il teste, disse che non aveva rinvenute abbastanza denaro e che si era recato in un ufficio dove avrebbe potuto recuperare denaro che mancava. Gli venne indicato un indirizzo dove lui poi cercò di recarsi senza tuttavia trovare il numero. A quel punto, fece numerose chiamate sia a Fa. che Da.

Uno non rispondeva, l'altro rispondeva in tono alquanto evasivo. Il teste, a quel punto, capì che erano tutti in combutta e che lo stavano truffando.

Fa. gli dava appuntamenti in aree sempre più vicine alla SLOVENIA. Le ultime due furono fissate a Duino (TS) ed al Confine di Stato. In pratica, gli indicarono luoghi sempre diversi con ciò riconducendolo progressivamente verso casa.

Ci furono contatti ed incontri anche nei giorni successivi.

Una volta, Fa. e Ja. si presentarono a bordo di una (…), (in quella occasione furono scattate anche delle foto). Fa. propose di trovare un accordo, magari sdoganando dei contenitori che lui disse di avere a CA. e che avrebbe potuto collocare nel magazzino gestito dal teste.

Il giorno in cui il denaro fu prelevato, tra le tante chiamate ricevute dal teste ne arrivò anche una di Ja. che rimase memorizzata (il numero era 380 2079530). In quella chiamata Ja. chiedeva se c'era stato l'incontro con Fa.

Il teste riferisce di aver stampato tutti i messaggi scambiati con le utenze in esame. Sono state tutte prodotte in atti.

Nell'inverno successivo, il teste fu contattato da un suo amico, di nome FI.Da. il quale aveva messo in vendita un'altra vettura, modello (…). Questo signore raccontò qualcosa di molto simile a ciò che era accaduto al teste. Disse, nello specifico che era stato contattato da un ragazzo che si era presentato per conto di un potenziale compratore in ITALIA.

Il teste capì l'antifona ed organizzò un incontro dove si recò anche lui ed un terzo soggetto che avrebbe accompagnato il FI.

Venne preso l'appuntamento nel Comune di Pradamano (UD).

Il teste rimase in macchina e all'incontro presenziarono il FI. (che aveva portato con sé una busta con dei soldi) e la terza persona. Sul luogo dell'appuntamenti era presente una (…) bianca identica a quella che avevano in uso Fa. e Ja. ed il teste riconobbe i soggetti.

Qualche minuto dopo, il teste entrò nell'abitazione e la cosa sorprese Lu. e Ja. che erano lì. Fa. non c'era.

Lu. disse: "Cosa facciamo ora?". Il teste ribatté: "Come risolviamo la storia, la mia storia di un anno fa?". Lu. si tirò fuori dicendo che lui con quella vicenda non c'entrava niente. Il teste si rivolse a Ja., la quale però disse di non poter fare nulla perché Fa. non c'era.

La somma in possesso del FI. non venne neanche consegnata.

In sede di controesame, il teste riferisce di svolgere attività di magazziniere doganale presso il Porto di CA.

La gestione è affidata ad una società di cui possiede il 50 per cento delle quote. La restante parte è di un altro soggetto.

La vettura posta in vendita era intestata a lui.

Messo davanti alle foto raccolte negli album sottoposti alla sua attenzione durante la deposizione, il teste, riconosce il sedicente Fa. nel soggetto riprodotto nella foto n. 5 del primo album maschile, corrispondente a Br.Cl., nato a (…), (odierno imputato). Riconosce, altresì, la sedicente Ja. nella persona riprodotta nella foto n. 4 dell'album femminile corrispondente a Ka.Ca., nata a (…) (odierna imputata). Riconosce, infine, il sedicente Lu. nel soggetto riprodotto nella foto n. 2 del secondo album maschile, corrispondente a Br.To., nato a (…) (odierno imputato).

In ordine ai riconoscimenti fotografici, il teste non palesa alcuna difficoltà nel ricordo. È piuttosto pronto nella risposta e non gli viene sollevata alcuna contestazione.

Il teste FI.Da., anch'egli nato e residente in SLOVENIA, racconta che -verso la fine del 2021 - aveva messo in vendita una macchina, modello (…).

Riferisce che un giorno venne contattato telefonicamente da un signore che parlava in sloveno che si disse interessato all'acquisto della vettura.

Con questo signore vi fu un incontro presso un distributore di benzina nella città di Isola (SLOVENIA). Si presentarono due soggetti di sesso maschile, di cui uno sloveno di circa 40 anni (non molto alto, magro, con la barba, sui 35/40 anni) e l'altro italiano (più o meno della stessa età e più basso di statura) che disse di chiamarsi Di.

I due visionarono la macchina e dissero che ci si poteva mettere d'accordo.

Di. disse che il modello era ideale per le sue esigenze. Aveva due bambini ed andava in montagna.

Venne concordato un compenso di Euro 50.000,00. Venne, altresì, chiesto se sul contratto si fosse potuta mettere una somma minore per via delle tasse da importazione previste dalla legislazione italiana. La parte eccedente il prezzo formalmente indicato sarebbe stata erogata in contanti.

I due soggetti si erano presentati a bordo di una vettura modello (…) 350 di colore bianco.

Dopo qualche giorno, Di. si fece risentire. Chiamò al telefono. Il suo numero venne memorizzato sotto la voce "compratore (…)". Il numero (…) è stato consultato ed esibito in sede di denuncia.

Il suddetto Di. disse che avrebbe voluto incontrare il teste presso il valico di Rabuiese (nel Comune di Muggia - TS), perché aveva una proposta da fargli. Si presentò al valico con la medesima suddetta MERCEDES, in compagnia però di una signora giovane bionda (che non ha aperto bocca), esibendo delle banconote da Euro 500,00 chiedendo se le stesse gli potessero essere cambiate in tagli più piccoli.

Questo perché, a suo dire, quando ci si presenta con banconote di taglio grosso presso una Banca italiana, si fanno sempre mille problemi e si chiede da dove provengono. Il soggetto disse che, nel caso in cui gli fosse stato accordato il cambio, avrebbe erogato una somma superiore in ragione del 10 per cento.

I due si lasciarono con l'intento che il teste avrebbe cercato qualcuno disposto a fare questo cambio. Il teste si rivolse a KE.Da. il quale gli fece subito notare che aveva avuto problemi per un fatto analogo. Gli esibì anche la foto della macchina che avevano in uso i suoi interlocutori e - anche se non ne era stata presa la targa - il teste notò che era esattamente identica a quella con cui si era presentato il sedicente Di.

Il KE. gli fece presente che - con quel giochetto - gli avevano rubato la somma di Euro 25.000,00.

KE. accompagnò il teste all'appuntamento che poi venne fissato dal suddetto Di. presso la sua abitazione. Ci andò anche una terza persona, amico del teste.

Si recarono a casa, il teste e questa terza persona. Aprì la porta la signora bionda che accompagnava Di.

Vi fu un atteggiamento molto accogliente ed ospitale.

Di. si sedette e sul tavolo c'era un marsupio.

Di. chiese se c'erano i soldi da cambiare. Gli fu risposto di sì e, dopo, due o tre minuti, come prima concordato, suonò alla porta il KE.

Gli venne aperto e, alla sua visione, sia Di. sia la donna sbiancarono. Il KE. chiese se i due si ricordassero di lui. Gli risposero di sì.

Vi furono frasi del tipo: "Ma tu lo conosci?" e "Ahi ahi, ma cosa facciamo adesso?". Di. e la donna si parlarono e Di. e dopo disse: "E adesso cosa si fa?". Il KE. disse che doveva avere indietro dei soldi. Di. gli rispose che lo avrebbe aiutato a riaverli e che comunque non era stato lui a sottrarglieli.

Poco dopo, i tre uscirono dalla casa e non diedero nulla.

Di. disse: "Adesso non ti compro più la macchina". Il teste disse che non c'era problema. Poco dopo arrivò un messaggio sul telefono del teste in cui era scritto: "Senti, hai portato delle persone in mia casa, come hai potuto portarli?".

Da quel momento non ci fu più alcun contatto né de visu né a distanza.

Il teste riconosce - nell'album femminile a lui esibito durante la deposizione - la donna che accompagnava Di. nella foto n. 4, ritraente Ka.Ca., nata a (…). Riconosce, altresì il sedicente Di. nella foto n. 2 dell'album maschile a lui esibito, corrispondente a Br.To., nato a (…).

Il teste VE.Da., in servizio presso la Squadra Mobile della Questura di UDINE riferisce che, nel giugno 2022, nell'ambito di altro procedimento penale a carico di Br.To., venne sequestrato un telefono cellulare a lui in uso di cui venne estratta copia forense dei contenuti memorizzati (l'utenza terminava con la sequenza 346 326 e risultava intestata a tale AL.Mo.

Tra tali contenuti emersero dei messaggi WhatsApp scambiati con tale sig. KE., che chiedeva la restituzione della somma di Euro 25.000,00.

Il teste provvide poi a contattare su quel numero il sig. KE. il quale rispose confermando le richieste e dichiarando di esser stato vittima di una indebita sottrazione.

Fu il teste in persona poi a raccogliere le denunce sporte dal predetto sig. KE. e dal sig. FI.

Il primo mise a disposizione anche degli screenshots relativi alle chats scambiate sia con un asserito intermediario sloveno (poi riconosciuto in tale Br.Al. sia, in un secondo momento, col soggetto che materialmente avrebbe asportato il denaro (riconosciuto in Br.Cl.) sia, infine, con la sedicente Ja. (riconosciuta per Ka.Ca.).

Nello specifico, il soggetto che il KE. ebbe a riconoscere in Br.Cl. utilizzava il numero (…), formalmente intestato a tale AR.Be., nato in INDIA nel (…), residente a MILANO.

La donna poi riconosciuta in Ka.Ca. avrebbe utilizzato un'altra utenza (…), formalmente intestata a MO.Ma., nata a (…), e venduta nel 2021 in un Centro Commerciale di Piove di Sacco (PD).

Le utenze non erano registrate sotto un nome particolare. Nell'utenza in uso alla donna, c'erano tuttavia certi messaggi in cui l'interlocutrice veniva chiamata Ja.

In ordine ai soggetti indicati dai denuncianti, il teste riferisce che Br.Cl. è il padre di Br.To. nonché suocero di Ka.Ca.

Il Br.Cl. risiede formalmente nella (…) sita a Pradamano (UD), Via (…).

Br.To. e Ka.Ca. risultano residenti a Buttrio (UD), Via (…), sono coniugati civilmente ed hanno tre figli in comune.

Le chats acquisite confermano i contatti tra l'utenza di KE.Da. e le utenze nn. (…), (…) e (…).

La prima di queste utenze contiene messaggi in lingua slovena. Si capisce, tuttavia, che l'interlocutore fornisce un indirizzo (Via (…), 14, UDINE) ed un numero di telefono (…).

Su questa utenza fornita dall'interlocutore sloveno, a partire dal 20.05.2021, si hanno comunicazioni in lingua italiana.

I messaggi WhatsApp vengono inviati da un soggetto che si qualifica per Da.KE. (lo si capisce nel momento in cui invia le coordinate del conto) e che indica tutti i recapiti per ricevere ciò che gli spetta. Vengono indicati Euro 30.000,00 per la (…), Euro 25.000,00 da "restituire" ed altri Euro 20.000,00 per la (…), (c'è evidentemente un riferimento ad un pagamento in due tranches).

Dagli altri messaggi si capisce che il KE. è decisamente contrariato per l'occorso, che ha avuto dei riflessi fisici (insonnia, pressione alta) e che ha eseguito dei vani tentativi di contatto vocale.

In risposta, arrivano soltanto due laconici messaggi in data 20 e 22.05.2021. Nel primo l'interlocutore dice "Domani ti chiamo". Nel secondo, invita il KE. a chiamarlo salvo poi a non rispondere quando i tentativi di chiamata vengono eseguiti.

Per il resto, ci sono solo messaggi del KE. con cui si sollecita il pagamento e si rimarca la scorrettezza del comportamento.

Sull'utenza (…), il KE. si rivolge all'interlocutrice chiamandola "Ja."

Anche qui sono nettamente preponderanti i messaggi inviati dal KE. nei quali si richiede soprattutto alla donna di intercedere con Fa. perché si facesse vivo. La donna risponde più volte dicendo che lo avrebbe sentito e che di lì a poco avrebbe chiamato. Una volta scrive anche per chiedere se abbia chiamato o meno.

Le chats con l'utenza (…) sono relative a colloqui nei quali il KE. si rivolge al possessore della stessa chiamandolo "Lu.". In tali messaggi il KE. arriva a prospettare di avere un soggetto di cui è debitore di quella somma che sarebbe pronto ad intervenire. Il leit motiv è sempre quello di risalire a Fa. per avere indietro i soldi.

In base alle suindicate risultanze istruttorie, la prima osservazione da fare riguarda l'ampio riscontro che i messaggi scritti acquisiti (pacificamente provenienti dall'utenza nella disponibilità di KE.Da., come riferito anche dall'operante che ne ha raccolto la denuncia) forniscono alla versione resa da quest'ultimo.

Il frasario utilizzato (scritto, peraltro, in un italiano pressoché perfetto), oltre ad essere assolutamente chiaro dal punto di vista dei contenuti, denota altrettanto chiaramente la situazione di sofferenza della persona che ha subito una importante sottrazione di denaro e l'ansia che ne deriva dalla difficoltà di rientrare in possesso del maltolto.

Peraltro, le cifre indicate nei messaggi acquisiti ricalcano fedelmente i dati numerici forniti dal KE. nel corso della sua testimonianza. Si parla, infatti, di Euro 50.000,00 complessivi per l'acquisto della vettura ed Euro 25.000,00 quale somma da restituire.

Si ricava un generale giudizio di attendibilità del teste in esame, sì da poter ricostruire i fatti contestati al capo A in sostanziale coincidenza con quanto riportato nel capo d'accusa.

Il KE. aveva messo in vendita la vettura. Venne contattato da un soggetto suo connazionale che gli indicò il soggetto dichiaratamente interessato all'acquisto e gli fornì anche il recapito. Con quest'ultimo soggetto, presentatosi come Fa., vi furono una serie di accordi tra cui quello di addivenire da uno scambio di banconote proposto dal predetto, dettato, a suo dire, da una certa ritrosia delle banche italiane a ricevere in deposito contanti di grosso taglio (circostanza questa verosimilmente legata alla normativa sull'antiriciclaggio).

Nel momento in cui doveva avvenire lo scambio, nel corso di un incontro appositamente organizzato presso l'abitazione di Pradamano (UD), chiamata (…), vi fu la sottrazione.

In che modo avvenne tale sottrazione?

Il teste è decisamente chiaro nell'evidenziare come fosse sua intenzione - prima di procedere alla consegna - verificare l'effettiva disponibilità del denaro che avrebbe dovuto ricevere in cambio. Riferisce di aver anche portato con sé un'apposita macchina che consente di verificare se il denaro sia o meno genuino. E riferisce, altresì, di aver poggiato il denaro sul tavolo, evidentemente senza l'intenzione di consegnarlo prima di aver avuto contezza della concreta praticabilità dello scambio.

Lì subentrò l'azione della donna presente in casa che - dopo aver assunto atteggiamenti particolarmente accoglienti al momento dell'accesso in casa del denunciante - cercò di attrarlo abilmente verso la sua attenzione con una serie di domande e di discorsi di portata generale.

La deposizione del teste - sotto quest'aspetto - si caratterizza anche per un'ampia coerenza logica. L'atteggiamento accogliente e complimentoso è, infatti, tipico di chi cerca di accattivarsi la simpatia altrui ed è, quindi, particolarmente acconcio ad approcci di tipo fraudolento.

L'azione della donna, infatti, a dire esplicito del teste, ebbe l'effetto di distrarlo ovvero di fargli parzialmente mollare l'attenzione dal denaro che aveva poggiato a tavola. Fu proprio in quel momento che il sedicente Fa. si appropriò del denaro, sparendo rapidamente dalla circolazione ed assumendo atteggiamenti sfuggenti fino di fatto a ricondurlo a casa sua in SLOVENIA (il tutto mediante indicazione di luoghi teatro di fantomatici ulteriori incontri progressivamente più vicini al confine).

È evidente, alla luce di quanto emerso, che lo scambio delle banconote di diverso taglio era soltanto una scusa per indurre il KE. a presentarsi con la somma di cui era stata ampiamente programmata la sottrazione.

L'organo dell'accusa contesta l'ipotesi del Furto con destrezza aggravato dal mezzo fraudolento (previsto e punito dagli artt. 624 e 625, comma primo, nn. 2 e 4, C.p.) asserendo che il BR. si sarebbe appropriato con sorprendente rapidità della somma che il KE. aveva appena mostrato mettendola sul tavolo in attesa che gli fosse esibita la somma che gli sarebbe stata data in cambio.

In altri termini, viene prospettata una situazione nella quale la persona offesa non aveva prestato alcun consenso all'impossessamento della somma da parte del soggetto agente.

Questo dato è fondamentale, in quanto il furto, sebbene aggravato dal mezzo fraudolento, cede il passo alla truffa di cui all'art. 640 C.p., nel momento in cui il "trasferimento del possesso della res si realizza con il consenso della vittima", ancorché "viziato dagli altrui artifici o raggiri" (Cass: Pen., Sez. IV, 04.02.2019, n. 5435, imp. MO.).

In altri termini, si parla di furto quando il mezzo fraudolento sia utilizzato al solo scopo di creare le condizioni per lo spossessamento, ma non Io spossessamento medesimo (si veda anche Cass. Pen., Sez. V, 21.12.2020, n. 36864, imp. F.).

Nel caso di specie, come sopra osservato, il KE. aveva preteso l'esibizione del denaro che gli sarebbe stato dato in cambio dando chiaramente ad intendere che non intendeva, in alcun modo, agire sulla fiducia.

In sede di discussione finale, la difesa cerca di sostenere che in realtà il KE. aveva prestato il consenso allo spossessamento, tant'è che non solo aveva messo i soldi sul tavolo, ma non aveva neanche reagito nel momento in cui il suo interlocutore se n'era impossessato.

Il passaggio è indubbiamente delicato e merita un minimo di attenzione.

Il fatto che il KE. non abbia reagito dicendo fra sé e sé qualcosa del tipo "beh, sarà andato a contarli' è un elemento che si è verificato dopo l'impossessamento e, quindi, non può essere la prova di un consenso pregresso. Al massimo può esserne una delle chiavi interpretative che deve essere, tuttavia, messa in correlazione con gli altri elementi.

Orbene, il teste è assolutamente chiaro nel dire che voleva vedere il denaro altrui e, in assoluta coerenza con questa dichiarazione, riferisce altresì di aver portato con sé una macchinetta che verificasse la genuinità di quanto ricevuto in cambio. Questo sta a significare che il KE. non aveva alcuna intenzione di dare il denaro sulla fiducia.

Ha messo sul tavolo i suoi soldi a riprova della sua serietà e pretendeva altrettanta serietà da parte dell'altro. La sua mancata reazione a ciò che è accaduto successivamente è verosimile frutto del clima di assoluta cordialità ed amicalità abilmente creato, ma è pacifico che la sua accettazione della situazione è avvenuta solo una volta messo davanti al fatto compiuto e non già prima che il denaro passasse nella disponibilità del Fa.

Va, quindi, ritenuta sussistente l'ipotesi di furto.

Non può essere presa in considerazione l'ipotesi proposta dall'altro difensore in ordine ad una possibile appropriazione indebita, atteso che non c'era una pregressa situazione di legittima detenzione qualificata della somma da parte del soggetto che se n'è appropriato.

Il clima di apparente cordialità viene posto a fondamento della contestazione dell'aggravante della destrezza (di cui all'art. 625, comma primo, n. 4, C.p.).

Secondo la giurisprudenza di legittimità, tale aggravante ricorre in presenza di un'azione posta in essere con gesto rapido e repentino, approfittando di un brevissimo distacco dell'attenzione e della vigilanza della persona offesa sul bene oggetto di sottrazione (Cass. Pen., Sez. V, 04.08.2020, n. 23549, imp. FE.; nonché Cass. Pen., Sez. V, 25.10.2018, n. 48915, imp. LO.).

Nella specie, il teste oculare evidenzia proprio la contestualità tra l'azione di sviamento dell'attenzione sui soldi e l'azione di impossessamento.

Questo vuol dire che i due soggetti hanno agito in evidente combutta, avendo la sedicente Ja. posto in essere la condizione che ha consentito al sedicente Fa. di accedere alla somma senza che il titolare della stessa potesse opporre adeguata reazione.

Questo dato implica due conseguenze.

In primo luogo, l'azione furtiva avrebbe comunque dovuto essere perfezionata nel breve volgere di qualche attimo ovvero nei limiti temporali di durata di quella che, di fatto, è stata un'azione di intrattenimento posta in essere dalla complice.

In secondo luogo, la situazione di distrazione della persona offesa è stata comunque posta in essere dalla complice del soggetto agente.

Ambo i dati sopra indicati portano univocamente alla sussistenza dell'estremo della destrezza (Cass. Pen., Sez. IV, 07.01.2020, n. 139, imp. MARCIANO), anche stando alla interpretazione all'apparenza più restrittiva fatta propria dalle Sezioni Unite della Suprema Corte (Cass. Pen., SS.UU., 12.07.2017, n. 34090, imp. QU.).

Nella pronuncia a composizione integrata, sicuramente si esclude la sussistenza dell'aggravante in esame nel caso di mero approfittamento di una situazione di distacco o disattenzione della persona offesa.

Si dice anche, tuttavia, che "la modalità esecutiva, per dare luogo all'aggravante, deve potersi distinguere dal fatto tipico, che realizza il furto semplice, deve rivelare un tratto specializzante ed aggiuntivo rispetto agli elementi costitutivi della fattispecie basilare, costituito dall'abilità esecutiva dell'autore nell'appropriarsi della cosa altrui, che sorprenda o neutralizzi la sorveglianza sulla stessa esercitata e disveli la sua maggiore capacità criminale e la più efficace attitudine a ledere il bene giuridico protetto".

Premesso un tanto, viene affermato che "il mero prelievo di un oggetto dal luogo ove si trova - sia essa un'abitazione privata, un esercizio di vendita o ambiente di lavoro, un ufficio pubblico, un veicolo in sosta privo di chiusure e protezioni - attuato in un momento di altrui disattenzione, che offre l'occasione favorevole all'apprensione perla possibilità di avvicinamento e di asportazione nella mancata e diretta percezione da parte del possessore, non in grado di interdire l'azione perché altrimenti impegnato o assente, non integra la fattispecie circostanziata in esame perché non richiede nulla di più e dì diverso da quanto necessario per consumare il furto. In tali situazioni, per conseguire il risultato appropriativo, l'agente non deve fare ricorso a particolare abilità, né intesa quale agilità e rapidità motoria né quale sforzo psichico nell'applicazione di astuzia o avvedutezza nello studio dei luoghi del derubato e nel distogliergli il controllo sulla cosa".

Chi scrive ritiene conseguentemente che, sulla scorta di quanto indicato dalle SS.UU. della Suprema Corte, il distinguo debba essere fatto sulla base non della partecipazione o meno dell'agente alla creazione dello stato di disattenzione della persona offesa, bensì sulla situazione oggettiva di disponibilità di tempo e spazio d'azione che è evidentemente inversamente proporzionale al grado di abilità richiesto per compiere l'atto.

Se così è, un conto è la sottrazione di un bene lasciato libero da attenzione del titolare per un lasso di tempo relativamente prolungato e tale da consentire un accesso relativamente comodo; altro conto è l'azione posta in essere su un bene in cui lo stacco di attenzione sia stato istantaneo (o comunque di durata molto ristretta) e, quindi, tale da imporre una non comune rapidità di intervento per eludere possibili percezioni e conseguenti resistenze da parte della persona offesa.

In tale ultimo caso, infatti, la situazione favorevole da sfruttare è destinata a venir meno da un momento all'altro. Cogliere quel breve attimo in cui la persona offesa molla l'attenzione sulla cosa richiede una particolare abilità (appunto, la destrezza) non necessaria in ogni situazione di sottrazione e conseguentemente denota una pericolosità più marcata che giustifica l'applicazione dell'aggravante.

Nella specie, come detto, il gesto si compie in concomitanza con lo sviamento dello sguardo del titolare verso i soldi appoggiati sul tavolo, sviamento destinato a concentrarsi in tempo non infinito e comunque suscettibile di essere interrotto da un momento all'altro, anche per brevi digressioni.

Questo, a parere del Giudice scrivente, fa sì che la contestazione dell'aggravante, in tal caso, sia da ritenersi fondata.

È pacifica, inoltre, la configurazione dell'ulteriore aggravante del mezzo fraudolento (art. 625, comma primo, n. 2, C.p.), atteso che le condizioni per la praticabilità della sottrazione sono state create traendo in inganno l'interlocutore cui è stato fatto credere che quella somma serviva per uno scambio che avrebbe garantito la fattibilità dell'operazione d'acquisto della vettura. In tale ottica, si inserisce anche l'utilizzo di generalità che (come si spiegherà meglio in seguito) si sono rivelate false e l'indicazione di un'attività rivelatasi poi inesistente (commercio di quadri ed antiquariato). È evidente che presentarsi come BR. (cognome notoriamente diffuso nell'etnia nomade in Regione), agli occhi del soggetto agente, avrebbe potuto apparire come fattore non del tutto rassicurante al fine di conquistare l'altrui fiducia. L'asserita titolarità di un'attività (dichiaratamente foriera, peraltro, di una notevole serie di incassi di banconote di grosso taglio) evidentemente serviva a presentare la persona come soggetto percettore di reddito e, quindi, sicuramente solvibile.

Dal punto di vista della responsabilità, è chiaro il coinvolgimento del soggetto di sesso maschile che è stato parte attiva nelle trattative ed ha poi posto in essere l'elemento costitutivo della condotta di sottrazione.

In ordine alla donna, nessuno, per carità, ha mai parlato di un suo ruolo diretto nelle varie fasi in cui si sono sviluppati i contatti tra i potenziali contraenti.

È emerso, tuttavia, che la predetta non si è limitata ad assistere passivamente alla sottrazione, ma ha supportato l'azione del correo trattenendo i promissari acquirenti e garantendo comunque sulla bontà di un'operazione che sapeva benissimo essere fasulla. Così facendo, ha consentito all'uomo di prendere il volo e di portarsi a distanza di sicurezza da chi, in astratto, poteva tentare di recuperare la somma.

Questa consapevolezza si rivela in pieno anche nei momenti successivi in cui scrive al KE. di aver sentito l'uomo e che costui avrebbe detto che avrebbe chiamato di lì a poco.

A ciò si aggiunga che, a detta della stessa persona offesa, prima che si verificasse il fatto, la donna si era adoperata per creare un clima di ampia familiarità sì da premere perché il KE. rimuovesse ogni possibile remora (la consapevolezza del carattere fraudolento della cosa imponeva inevitabilmente di creare un apparente clima di affidabilità).

È conseguentemente evidente la configurazione di un concorso ai sensi dell'art. 110 C.p., che, è bene ricordarlo, si configura ogni qual volta vi sia "un consapevole contributo", anche in termini di semplice agevolazione del "proposito criminoso del concorrente", cui venga garantita una qualche "sicurezza o, anche implicitamente, una collaborazione sulla quale poter contare" (Cass. Pen., Sez. IV, 07.12.2020, n. 34754, imp. A.; vds. anche la più recente Cass. Pen., Sez. VI, 10.11.2023, n. 45506, imp. B.).

Ritiene il Giudice scrivente che, tuttavia, il concorso non possa essere esteso anche al terzo partecipe (il sedicente Lu.).

Costui, infatti, compare nell'episodio di cui al capo A solo nel momento in cui gli viene mostrata la vettura e manifesta compiacimento in prospettiva del ventilato acquisto.

Il suddetto Lu. sarà successivamente protagonista di un episodio analogo che si verificherà a distanza di qualche mese e che viene contestato al capo B (anche se, in quella sede, si spacciò per Di.). Di tale episodio si parlerà più diffusamente in seguito. Al momento preme anticipare che si tratta comunque di qualcosa di molto simile dal punto di vista dinamico e che il predetto Lu. - in questo secondo caso - è colui che riceve in casa il FI.Da. ed il soggetto che lo accompagnava per eseguire un'operazione del tutto analoga a quella contestata al capo A.

Orbene, l'analogia delle operazioni può ben essere l'indice di un modus agendi decisamente diffuso in ambito familiare cui il soggetto in esame ha dimostrato di non essere estraneo. Tale non estraneità non è, tuttavia, sufficiente ad arguire - al di là di ogni ragionevole dubbio - una sicura partecipazione, nei suddetti termini richiesti per la configurazione del concorso ai sensi dell'art. 110 c.p.

Per carità, il manifestato compiacimento all'acquisto può aver rappresentato un ulteriore fattore di convinzione circa la volontà di concludere l'affare della vendita (affare poi rivelatosi del tutto pretestuoso).

A parere del Giudice scrivente, però, non ha però alcuna diretta attinenza con lo scambio delle banconote oggetto diretto della contestazione, ai fini del quale non risulta avere alcun aspetto di decisività. È vero che il suddetto Lu., secondo quanto riferito dal teste KE., si sarebbe dimostrato pienamente a conoscenza dell'affare che aveva portato alla sottrazione del denaro. È parimenti vero che Lu. ha parzialmente assunto le difese di Fa. in alcuni messaggi scambiati proprio col KE. invitandolo anche a non assumere atteggiamenti minacciosi.

Questi, però, sono fatti accaduti in momenti successivi alla consumazione del fatto che non escludono una cognizione successiva (o forse anche coeva). Non c'è, tuttavia, alcuna prova che questa conoscenza abbia influito sulla determinazione criminosa dei due autori del fatto apportandone un contributo concreto in termini materiali o morali.

Il sedicente Lu. va, quindi, ritenuto non coinvolto nel fatto di cui al capo A a titolo di concorso.

In ordine alla identificazione degli autori/va osservato quanto segue.

Tutti e tre gli odierni imputati sono stati riconosciuti dal teste KE. che ha indicato nel Br.Cl. il signore più anziano (sedicente Fa.), in Ka.Ca. (sedicente Ja.) la donna che gli ha offerto il caffè e che lo ha distratto parlandogli del più e del meno e in Br.To. (sedicente Lu.) il soggetto presentato come figlio di Fa.

Br.To., peraltro, come riferito dal teste operante, era anche colui che aveva in possesso il telefono, sequestrato in altro giudizio, su cui sono stati trovati contatti col KE.

Per carità, i riconoscimenti fotografici, in astratto, sono particolarmente insidiosi, in quanto - anche nella massima buona fede - il dichiarante può essere tratto in inganno da somiglianze che la particolare connotazione dell'immagine riprodotta potrebbe anche esaltare più del dovuto.

Nella specie, tuttavia, va osservato che:

- innanzitutto, il teste KE. non ostenta alcuna incertezza e non gli viene mossa alcuna contestazione (il che è indice di un ricordo piuttosto radicato non scalfito dal tempo);

- il teste FI., protagonista del secondo episodio, riconosce sia KA.Mo. (anche se non con lo stesso grado di certezza) sia Br.To. che il teste KE. parimenti riconosce come i soggetti da lui incontrati in quel diverso contesto;

- in secondo luogo, i soggetti riconosciuti hanno dei precisi legami tra loro e con quello che è stato indicato come luogo di consumazione del fatto (luogo caratterizzato da una insegna piuttosto vistosa difficilmente dimenticabile).

Il teste operante - che, per motivi di servizio, è ben a conoscenza sia del luogo sia dei soggetti riconosciuti - ha evidenziato che il luogo di consumazione del fatto di cui al capo A è il luogo di residenza proprio di Br.Cl. e che Br.To. e Ka.Ca. sono rispettivamente figlio e nuora del predetto.

I Certificati anagrafici in atti consentono di riscontrare sia la residenza del Br.Cl. in Via (…), a Pradamano (UD), sede della (…), sia la comune residenza degli altri due imputati (riscontro alla dichiarata situazione di convivenza), formalmente indicata nel medesimo Comune a Via (…).

Al tirar delle somme, dunque, va detto che ci sono diversi elementi ampiamente convergenti che ricadono sugli odierni imputati e che si delinea conseguentemente un quadro decisamente univoco in cui non c'è spazio per dubbi di sorta.

Non possono far venir meno tali certezze i dati relativi alle utenze telefoniche, risultate in uso a soggetti del tutto estranei e forse neanche esistenti. È notoria, infatti, la facilità con cui si possono creare certe discrasie tra il soggetto formale intestatario e l'ordinario materiale possessore.

Br.Cl. e Ka.Ca. vanno dunque considerati colpevoli del reato loro ascritto al capo A. Come detto, da tale imputazione, va assolto il terzo soggetto, univocamente individuato in Br.To. per non aver commesso il fatto.

In ordine al secondo episodio, va osservato quanto segue.

È fuori discussione l'identità delle dinamiche d'azione e la conseguente finalità di addivenire ad una appropriazione di denaro analoga a quella avvenuta a danno di KE.Da.

C'è un primo contatto ad opera di un soggetto sloveno che segnala un interesse da parte di un soggetto italiano. C'è poi una strana richiesta di cambio di banconote per motivi del tutto analoghi a quelli indicati nel primo episodio. C'è un appuntamento fissato con l'obiettivo di eseguire quello scambio.

Stavolta, tuttavia, questo obiettivo non viene perseguito a causa dell'iniziativa di KE.Da. che subentra all'improvviso sulla scena lasciando di sasso tutti i presenti che, a quel punto, dichiarano chiaro e tondo di non acquistare più nulla.

La quasi completa sovrapponibilità dei passaggi che hanno caratterizzato i due episodi, la anomalia della richiesta di cambio delle banconote che si inserisce nel corso delle trattative per asseriti motivi del tutto identici (difficoltà di collocare banconote di grosso taglio presso le banche italiane), la parziale identità dei protagonisti e l'appartenenza dei protagonisti stessi al medesimo contesto familiare sono tutti fattori che rendono assolutamente univoca la direzione degli atti verso la consumazione di una indebita sottrazione di denaro. È pacifico che la fissazione di un appuntamento domestico dove l'interlocutore viene inviato ad eseguire lo scambio è condotta idonea ad addivenire alla suddetta sottrazione.

Si hanno, dunque, tutti gli estremi del tentativo punibile ai sensi dell'art. 56 C.p., come contestato al capo B.

Tentativo, tuttavia, di cosa?

L'acquisizione indebita della somma richiesta - ove portata a termine - come sopra indicato, avrebbe potuto integrare gli estremi o della truffa o del furto, il che rende comunque il fatto penalmente rilevante essendo entrambe le fattispecie di carattere delittuoso e, in quanto tali, punibili anche a titolo tentativo.

Il distinguo tra le due possibili fattispecie criminose, tuttavia, si sarebbe potuto concretizzare solo in un momento successivo, in quanto - come si è visto - dipende dalle modalità di materiale apprensione della somma.

Ferma restando, dunque, l'illiceità penale (non essendo prospettabile una alternativa lecita), occorre stabilire se si tratti di tentato furto oppure di tentata truffa.

Essendo teoricamente possibili ambo le alternative, la regola aurea del favor rei impone, nel dubbio, di optare per la soluzione meno pregiudizievole per la difesa.

Nella specie, va conseguentemente privilegiata la truffa per due ordini di ragioni.

In primo luogo, per ragioni di previsione edittale. Il tentato furto sarebbe aggravato comunque dal mezzo fraudolento (essendo comunque state create con l'inganno le condizioni per la sottrazione) e, quindi, la pena edittale detentiva sarebbe compresa tra mesi 4 ed anni 4 di reclusione (tenuto conto delle diminuenti previste per la fattispecie tentata applicate ai limiti edittali di cui all'art. 625, comma primo, C.p.). La tentata truffa sarebbe, invece, punibile con pena detentiva compresa tra mesi 2 ed anni 2 di reclusione (tenuto conto delle diminuenti previste per la fattispecie tentata applicate ai limiti edittali di cui all'art. 640, comma primo, c.p.).

In secondo luogo, l'opzione per la tentata truffa si impone anche per ragioni di procedibilità.

Il furto, all'epoca dei fatti, in quanto aggravato, era procedibile d'ufficio ed all'attuale procedibilità (nel frattempo divenuta ad istanza di parte a seguito dell'entrata in vigore del D.L.vo 150/22) non è d'ostacolo la proposizione della querela dopo il termine trimestrale dal verificarsi del fatto. Nella specie, la querela risulta stata sporta il 26.09.2022 per fatti verificatisi nel mese di febbraio. Ci sarebbe stato, infatti, tempo fino al 30.03.2023 per regolarizzare l'istanza punitiva, ai sensi dell'art. 85 D.L.vo 150/22.

La truffa, invece, consumata o tentata che fosse, era procedibile a querela già all'epoca dei fatti e, quindi, in relazione alla stessa, una querela successiva alla scadenza del termine trimestrale ha già reso il fatto improcedibile ab origine senza possibilità di regolarizzazioni.

Ne consegue che il fatto di cui al capo B, da riqualificarsi ai sensi degli artt. 56 e 640 C.p., debba essere dichiarato improcedibile ai sensi dell'art. 529 C.p.p. per difetto di querela.

Al tirar delle somme, dunque, la declaratoria di responsabilità e la conseguente applicazione delle sanzioni, nella specie, deve colpire i soli Br.Cl. e Ka.Ca. in relazione al reato ascritto al Capo A.

Valutati tutti gli elementi di cui all'art. 133 C.p., va osservato innanzitutto che il fatto, di per sé, non è affatto di scarsa gravità.

La persona offesa, per carità, si è resa conto - ad un certo punto - di aver avuto una certa ingenuità nel cadere nel tranello, ma gli imputati hanno dimostrato ampia determinazione nell'approfittare di tale atteggiamento. Hanno fatto affrontare al loro interlocutore più viaggi a UDINE, lo hanno convinto della loro solvibilità facendosi vedere decisamente facoltosi e gli hanno fatto sborsare una somma (Euro 25.000,00) decisamente rilevante (prossima al reddito annuo medio prò capite italiano).

Sull'altro piatto della bilancia, va considerato che il fatto avrebbe potuto essere concluso anche mediante una mera truffa, consentendo alla persona di mettere i soldi sul tavolo con un consenso evidentemente viziato. Sarebbe bastato dunque veramente poco per passare ad una fattispecie con pena decisamente inferiore (anche se tenuto conto della recidiva, si sarebbe potuto arrivare anche ad anni 5 di reclusione).

Sulla base delle suddette considerazioni (in particolare della non eccessiva lontananza del fatto dall'ipotesi della truffa) e tenuto conto della pena edittale prevista per l'ipotesi oggi in contestazione, si reputa equo non concedere alcuna attenuante (sono troppi i precedenti di entrambi per lo più specifici) e quantificare la pena base detentiva in misura pari al minimo edittale di anni 3 di reclusione. A tale dato va aggiunta la pena pecuniaria che, stante l'alto profitto conseguito non può essere quantificata in una misura base inferiore ad Euro 1.500,00 di multa. Con l'aumento per la recidiva vincolato ai sensi dell'art. 99, comma quarto, C.p., si sale al valore finale di anni 5 di reclusione ed Euro 2.500,00 ciascuno.

Alla declaratoria di responsabilità consegue per legge la condanna al pagamento delle spese processuali.

L'entità della sanzione inflitta impone, ai sensi dell'art. 29 C.p., l'applicazione ad entrambi gli imputati della sanzione accessoria della interdizione perpetua dai pubblici uffici.

P.Q.M.
VISTO l'art. 529 C.p.p.

DICHIARA

NON DOVERSI PROCEDERE nei confronti di Br.Cl., Br.To. e Ka.Ca. in ordine al reato di cui agli artt. 56 e 640 C.p., così riqualificato il fatto loro ascritto al capo B per difetto di querela.

VISTI gli artt. 533 e 535 C.p.p.,

DICHIARA

Br.Cl. e Ka.Ca. colpevoli del reato loro ascritto al capo A e, per l'effetto, li condanna alla pena di anni 5 (cinque) di reclusione ed €. 2.500,00 (duemila-cinquecento/00) di multa ciascuno oltre al pagamento delle spese processuali.

VISTO l'art. 29 c.p.,

APPLICA

a Br.Cl. e Ka.Ca. la pena accessoria della interdizione perpetua dai pubblici uffici.

VISTO l'art. 530 c.p.p.,

ASSOLVE

Br.To. dal reato a lui ascritto al capo A per non aver commesso il fatto.

MOTIVI RISERVATI nel termine minimo di legge.

Così deciso in Udine il 30 maggio 2024.

Depositata in Cancelleria l'11 giugno 2024.

bottom of page