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Sentenza riformata per intervenuta prescrizione del reato di stalking e diffamazione, confermate le statuizioni civili

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Corte appello Taranto, 21/03/2024, n.192

In caso di dichiarazione di estinzione del reato per prescrizione, il giudice d'appello è tenuto a valutare il compendio probatorio ai fini delle statuizioni civili, non potendo limitarsi alla mancanza di prova dell'innocenza dell'imputato ex art. 129 c.p.p. Il delitto di atti persecutori ex art. 612-bis c.p. è configurabile anche con due sole condotte moleste o minacciose che ingenerino nella vittima uno stato di grave ansia, timore per la propria sicurezza o alterazione delle abitudini di vita. La diffusione non autorizzata di immagini private idonee a ledere la reputazione integra la fattispecie del reato di diffamazione ex art. 595 c.p. Le statuizioni civili possono essere confermate anche in caso di intervenuta prescrizione, laddove l'impianto probatorio risulti solido e non contestato nei suoi elementi fondamentali.

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La sentenza integrale

RAGIONI IN FATTO E IN DIRITTO DELLA DECISIONE
sulle conclusioni come di seguito formulate:

Il P.G. chiede "la conferma della sentenza e delle statuizioni civili in favore della parte civile";

l'avvocato Al.Tr. del foro di Taranto, difensore di fiducia della parte civile, deposita conclusioni scritte e nota spese e chiede "la conferma della sentenza di primo grado";

l'avvocato Ma.Sc. del foro di Taranto, difensore di fiducia dell'imputato, chiede "si riporta integralmente ai motivi di gravame e ne chiede l'integrale accoglimento".

1. Con sentenza in data 7 marzo 2023 il Tribunale di Taranto in composizione monocratica dichiarava Ma.Em. colpevole dei reati di atti persecutori e diffamazione, in rubrica specificati.

Per l'effetto, unificati i reati nel vincolo della continuazione e riconosciute le circostanze attenuanti generiche, lo condannava alla pena di otto mesi di reclusione, oltre al pagamento delle spese processuali. Concedeva i benefici della sospensione condizionale della pena e della non menzione nel certificato del casellario giudiziale. Condannava, altresì, l'imputato al risarcimento dei danni in favore della parte civile costituita, da liquidarsi in separato giudizio, e al pagamento di una provvisionale immediatamente esecutiva di euro 2000,00.

Il primo giudice traeva il convincimento di colpevolezza dell'imputato dal resoconto della querelante, ritenuto credibile. Rilevava il Tribunale che dalle dichiarazioni di Ch.An. - riscontrato dalla documentazione acquisita, dalle testimonianze di Fe. ed altri (…) - era emerso che l'imputato, al termine di una breve relazione durata circa tre mesi con la Ch., non accettando la decisione della donna, ossessionata dalla sua gelosia, di interrompere ogni rapporto, aveva iniziato a perseguitarla con numerosissime chiamate e messaggi, alcuni dei quali fortemente offensivi; l'aveva minacciata di divulgare foto che la ritraevano nuda e in abbigliamento intimo (ed effettivamente aveva inviato tali foto a due amiche della Ch.); l'aveva minacciata dicendole che avrebbe fatto di tutto per farle perdere la potestà sulla figlia; l'aveva pedinata seguendola ovunque andasse, appostandosi nei pressi della sua abitazione, recandosi presso il posto di lavoro e presso la scuola di danza frequentata dalla figlia, inviandole messaggi che le facevano comprendere che l'aveva seguita e che ne controllava i movimenti; aveva persino contattato la sua amica L.Ne. e, poiché la donna si era resa indisponibile ad intercedere nei confronti della persona offesa, aveva iniziato ad insultare anche la stessa L.Ne.; aveva tempestato di telefonate notturne i genitori della persona offesa. A seguito di tali condotte la Ch., temendo per la propria incolumità, era stata costretta a modificare le proprie abitudini di vita evitando di uscire da sola, di frequentare la palestra e di svolgere serenamente le proprie attività quotidiane per il timore di incontrare l'imputato.

2. Con atto ritualmente e tempestivamente depositato, il difensore di fiducia dell'imputato ha proposto appello.

Con il primo motivo deduce l'insussistenza degli elementi integrativi del reato di cui all'articolo 612 bis cod. pen.

Esclude, in particolare, che le condotte descritte dalla persona offesa ne avessero alterato lo stato psicofisico ovvero avessero indotto la stessa a temere per la propria incolumità o a mutare le proprie abitudini di vita. Evidenzia che la condotta dell'imputato era finalizzata esclusivamente ad avere un chiarimento con la Ch.

Invoca, pertanto, l'assoluzione del Ma. ovvero la diversa qualificazione dei fatti di cui al capo A) ai sensi dell'articolo 660 cod. pen., nonché l'assoluzione dal reato di diffamazione stante l'assenza di qualsiasi offesa della reputazione. Con il secondo motivo si duole dell'eccessiva severità del trattamento sanzionatorio e dell'ammontare della provvisionale liquidata dal primo giudice.

All'odierna udienza, svoltasi con le modalità previste dall'art. 23 d.l. n. 149/2020 e 23 bis d.l. n. 137/2020 convertito in L. n. 176/2020, il Procuratore Generale e i difensori della parte civile e dell'imputato hanno rassegnato per iscritto le conclusioni trascritte in epigrafe.

3. La sentenza appellata va riformata in quanto il reato contestato all'imputato è estinto per prescrizione naturali il 1.3.2024.

I fatti in contestazione risultano commessi il 3 maggio 2016 con permanenza". Tuttavia la persona offesa, nel corso del suo esame testimoniale, ha dichiarato che le condotte del Ma. si sono protratte fino al giugno 2016. In applicazione del principio del favor rei, in assenza di una data precisa, deve ritenersi che tali condotte siano cessate il 01 giugno 2016.

Il termine massimo di prescrizione di anni sette mesi sei (comprensivo degli atti interruttivi) sancito dalla disciplina codicistica applicabile ratione temporis al caso concreto è interamente decorso, pur calcolando il periodo di sospensione pari a giorni 91, sicchè si impone la declaratoria di non doversi procedere per estinzione dei reati.

Attesa la costituzione di parte civile, trova applicazione il principio consolidato della giurisprudenza di legittimità secondo cui la previsione di cui all'art. 578 c.p.p. - per la quale il giudice di appello o quello di legittimità, che dichiarino l'estinzione per amnistia o prescrizione del reato per cui sia intervenuta in primo grado condanna, sono tenuti a decidere sull'impugnazione agli effetti delle disposizioni dei capi della sentenza che concernono gli interessi civili - comporta che i motivi di impugnazione dell'imputato devono essere esaminati compiutamente, non potendosi dare conferma alla condanna al risarcimento del danno in ragione della mancanza di prova dell'innocenza dell'imputato, secondo quanto previsto dall'art. 129 c.p.p., comma 2 (tra le altre, Sez. 6, Sentenza n. 5888 del 21/01/2014, Rv. 258999; Sez. 6, n. 16155 del 20/03/2013; Sez. Y n. 3869 del 07/10/2014 Ud. (dep. 27/01/2015) Rv. 262175).

Infatti, nella giurisprudenza di legittimità si è puntualizzato come laddove con l'atto di appello sia stata dedotta una causa di nullità assoluta o di inutilizzabilità patologica, ovvero sia stata denunciata la contraddittorietà o insufficienza della prova in ordine ad uno degli elementi costitutivi del reato oggetto di accertamento, e la sentenza gravata contenga anche una decisione sugli interessi civili, il giudice di secondo grado, pur prendendo atto della sopravvenuta causa estintiva del reato, proprio per la presenza della parte civile, lungi dal potersi limitare alla mera constatazione dell'assenza della prova dell'innocenza dell'imputato, ai fini delle statuizioni civili è chiamato a valutare approfonditamente il compendio probatorio ovvero a verificare compiutamente la sussistenza della eventuale causa di nullità o di inutilizzabilità eccepita dalla difesa (così Sez. Unite, n. 35490 del 28/05/2009, Tettamanti, cit., Rv. 244273; conf., in seguito, Sez. 5, n. 28289 del 06/06/2013, Cologno, Rv. 256283; Sez. 6, n. 16155 del 20/03/2013, Galati, Rv. 255666; Sez. 6, n. 4855 del 07/01/2010, Damiani, Rv. 246138).

Nella specie, deve rilevarsi che il nucleo del gravame non pone in discussione né l'attendibilità della persona offesa e degli altri testi esaminati in dibattimento, né la circostanza che Ma. si sia reso autore delle condotte descritte dalla Ch. - confermate dagli altri testi esaminati oltre che dal CD acquisito in atti contenente i messaggi inviati dall'imputato alla persona offesa nonché dagli screenshot dei messaggi inviati dal Ma. a L.Ne. e dai tabulati telefonici sui quali ha riferito il luogotenente Me. - limitandosi, l'appellante, a sostenere che non vi sarebbe prova della verificazione di alcuno degli eventi descritti dall'art. 612 bis cod. pen.

Giova ricordare, a tal proposito, che il delitto di atti persecutori è un reato abituale di evento e di danno per la cui configurazione si richiede oltre alla condotta minacciosa o molesta del soggetto agente, un'alterazione della sfera psichica del soggetto passivo. Gli eventi tipici, in alternativa, sono: il perdurante grave stato d'ansia o di paura, il fondato timore per l'incolumità propria o di un prossimo congiunto o per quella di persona affettivamente legata alla vittima e l'alterazione delle abitudini di vita.

In particolare, per ansia deve intendersi una tensione angosciosa e un senso di oppressione dello spirito; per paura uno stato emotivo di timore per il pericolo di verificazione di un male minacciato. Deve trattarsi di situazioni di ansia o di paura non momentanee o di lieve entità o, comunque, di scarso rilievo sia per la durata che per l'incidenza nella sfera psichica.

La prova del reato in ordine alla sussistenza delle conseguenze dannose per la vittima va ancorata ad elementi sintomatici quali il tenore delle dichiarazioni della persona offesa, i comportamenti tenuti dalla stessa all'esito delle condotte persecutorie, le effettive condizioni di luogo e di tempo di consumazione del reato, nonché la natura dei comportamenti dell'agente ed eventuali effetti destabilizzanti che potrebbero prodursi in una persona comune, secondo l'id quod plerumque accidit.

Secondo la consolidata giurisprudenza della Suprema Corte, integrano il delitto di atti persecutori anche due sole condotte di minaccia o di molestia, come tali idonee a costituire la reiterazione richiesta dalla norma incriminatrice. Peraltro, ha stabilito la Suprema Corte che "in tema di atti persecutori, la prova dell'evento del delitto, in riferimento alla causazione nella persona offesa di un grave e perdurante stato di ansia o di paura, deve essere ancorata ad elementi sintomatici di tale turbamento psicologico ricavabili dalle dichiarazioni della stessa vittima del reato, dai suoi comportamenti conseguenti alla condotta posta in essere dall'agente ed anche da quest'ultima, considerando tanto la sua astratta idoneità a causare l'evento, quanto il suo profilo concreto in riferimento alle effettive condizioni di luogo e di tempo in cui è stata consumata". (Sez. 5, Sentenza n. 17795 del 02/03/2017 Ud. (dep. 07/04/2017) Rv. 269621 - 01; Sez. 6, Sentenza n. 20038 del 19/03/2014).

Nel caso di specie, è pacifica la ricorrenza degli elementi integrativi del reato di atti persecutori, atteso che le condotte poste in essere dall' imputato hanno ingenerato un grave stato di turbamento nella persona offesa, tanto da modificarne le abitudini di vita.

In particolare, i comportamenti dell'imputato hanno cagionato alla vittima un destabilizzante turbamento psicologico documentato dal certificato medico in data 19 aprile 2016 a firma del dott. Pa.Av. il quale, visitata la Ch., riferisce "di averla trovata in preda a grave stato ansioso con crisi psico-motoria, tachicardia ed ipertensione; prognosi gg. 7". Quanto al secondo degli eventi conseguenti alla condotta illecita, ovvero il timore per la sicurezza personale o propria, non vi è dubbio che i pedinamenti, gli appostamenti, gli innumerevoli messaggi e le minacce rivolte alla Ch. sono stati di portata tale da indurre la stessa, così come sarebbe stato per qualunque persona media, a temere per la propria sicurezza e l'abbiano, altresì, indotta a modificare le abitudini di vita ed in particolare ad evitare di uscire da sola, facendosi accompagnare dai suoi familiari o da amici.

Parimenti provata è la diffamazione posta in essere dal Ma. ai danni della Chiloiro inviando a mezzo internet alle amiche L.Ne. e Ma.Gr. le foto di nudo e in abbigliamento intimo della stessa, in tal modo ledendone l'immagine e la reputazione.

A fronte dei granitici elementi di accusa, i motivi di appello si limitano ad una mera enunciazione dell'insussistenza degli elementi integrativi del reato contestato senza prospettare alcun dato concreto che giustifichi una rivalutazione dei fatti in senso favorevole al Ma. L'appellante, infatti, ha completamente omesso di confutare le convincenti argomentazioni contenute in sentenza, essendosi limitato a riproporre l'assunto difensivo contraddetto da tutte le risultanze processuali.

Alla stregua delle considerazioni che precedono, vanno confermate le disposizioni della sentenza impugnata che concernono gli interessi civili, risultando congruo anche l'ammontare della provvisionale liquidata dal primo giudice in favore della parte civile.

Nessuna statuizione deve essere adottata a carico dell'imputato in merito alle spese sopportate dalla parte civile, giusta il principio in tal senso affermato da Cass., Sez. V, 25 novembre 2020, n. 33103, secondo cui "In tema di patrocinio a spese dello Stato, ove l'imputato e la parte civile siano entrambi ammessi al beneficio, l'imputato, in caso di condanna al risarcimento del danno in favore della parte civile, non può essere condannato al pagamento delle spese processuali, restando queste a carico dell'erario. (In motivazione la Corte ha precisato che il difensore della parte civile potrà ottenere la liquidazione del compenso a lui spettante rivolgendo istanza al giudice competente ai sensi dell'art. 83, comma 2, d.P.R. n. 115 del 2002)".

Il numero dei processi da trattare nell'udienza odierna e il carico di lavoro dell'ufficio hanno giustificato la fissazione del termine previsto dall'art. 544 comma III c.p.

P.Q.M.
La Corte, visto l'art. 605 c.p.p.,

in riforma della sentenza emessa in data 7 marzo 2023 dal Tribunale di Taranto dichiara non doversi procedere nei confronti dell'appellante Ma.Em. in ordine ai reati ascrittigli perché estinti per intervenuta prescrizione. Conferma le statuizioni civili.

Indica in giorni 15 il termine per il deposito della sentenza.

Così deciso in Taranto l'11 marzo 2024.

Depositata in Cancelleria il 21 marzo 2024.

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