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Stalking: condanna confermata per condotte reiterate di molestie e minacce con mutamento delle abitudini di vita della vittima

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Tribunale Pescara, 12/01/2024, n.4

Nel reato di atti persecutori (art. 612-bis c.p.), l’integrazione del grave e perdurante stato di ansia, paura, e il conseguente mutamento delle abitudini di vita della vittima possono essere desunti dalle dichiarazioni della persona offesa, corroborate da elementi probatori anche indiretti, come testimonianze di terzi e documentazione. La reiterazione delle condotte moleste e intimidatorie, protrattesi per un periodo significativo e interrotte solo dall’applicazione di misure cautelari, rappresenta un chiaro indice dell’elemento materiale del delitto, mentre il dolo generico è integrato dalla consapevolezza dell’agente di causare tali effetti sulla vittima.

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La sentenza integrale

RAGIONI IN FATTO E IN DIRITTO DELLA DECISIONE
Con decreto in data 10.10.2022 il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Pescara ha emesso decreto di giudizio immediato nei confronti di D.Za. per rispondere del reato trascritto in epigrafe.

All'udienza del 12.12.2022, dichiarata l'assenza dell'imputato, il Giudice dichiarava aperto il dibattimento ed ammetteva le prove richieste dalle parti.

Alla successiva udienza del 12.06.2023 si procedeva all'esame di alcuni dei testi indicati nella lista del Pubblico Ministero. DI.GI. ed altri (…).

Il PM produceva screenshots delle conversazioni whatsapp intercorse tra la vittima e l'imputato.

All'udienza del 16.10.2023 venivano sentiti i testi residui della lista depositata dalla Pubblica Accusa: Ass. Capo (…) in Servizio presso la Questura di Pescara e (…).

All'udienza del 13.11.2023, effettuato l'esame dell'imputato, il giudice invitava le parti a concludere.

Esaurita la discussione, il Tribunale ha pronunciato sentenza del cui dispositivo è stata data lettura in aula rinviando all'udienza dell'08.01.2024 per decidere in ordine alla sostituzione della pena detentiva breve avendo il Difensore e l'imputato presente, esplicitamente richiesto la sostituzione della pena detentiva con il lavoro di pubblica utilità.

Quindi, all'udienza dell'08.01.2024 il giudice, vista la relazione fatta pervenire dall'UEPE in cui si dava atto dell'impossibilità di predisporre il programma per il lavoro di pubblica utilità per via del mancato reperimento di un ente presso il quale eseguirlo non avendo provveduto in tal senso l'imputato e preso atto della dichiarazione del difensore in ordine al mancato reperimento dell'ente, ha confermato il dispositivo ai sensi dell'art. 545 bis c.p.p.

All'esito dell'istruttoria dibattimentale espletata, ritiene questo Tribunale che la penale responsabilità dell'odierno imputato, in ordine al reato contestatogli, sia stata accertata oltre ogni ragionevole dubbio.

La ricostruzione dei fatti non può che partire dalle dichiarazioni rese dalla persona offesa dal reato Ro.Yl. (escussa all'udienza del 12.6.2023).

In proposito, va rilevato che alcun limite è previsto dal codice di procedura penale circa la capacità di testimoniare della parte lesa di un reato.

Trova applicazione, anche in relazione alla testimonianza della persona offesa, la norma generale di cui al comma 1 dell'art. 192 c.p.p. che sancisce il principio del libero convincimento del giudice che può ritenere che sussista il fatto riferito dal teste per il solo fatto che questi glielo rappresenta.

La giurisprudenza di legittimità ha chiarito che la testimonianza della parte offesa ha piena efficacia probatoria quando ne sia accertata la piena coerenza logica, anche ove manchino elementi esterni di riscontro.

E vero che la dichiarazione della persona offesa dovrà essere valutata con maggiore cautela da parte del giudicante, atteso l'interesse di cui essa è portatrice, più rigorosa deve essere, dunque, la valutazione delle dichiarazioni della parte lesa ai fini del controllo dell'attendibilità, rispetto al generico vaglio cui vanno sottoposte le dichiarazioni di ogni testimone, per cui opportuno appare il riscontro di altri elementi.

Ciò non significa che necessariamente la testimonianza debba essere corroborata da "elementi di riscontro", essendo questi richiesti solo per le dichiarazioni accusatorie provenienti dai soggetti indicati nel comma 3 dell'art. 192 c.p.p.

E', dunque, generalmente sufficiente verificare che non risultino acquisiti elementi specifici incompatibili con quanto raccontato dal teste, atti a rendere fondato il sospetto che abbia detto il falso o che, comunque, si inganni su ciò che forma l'oggetto essenziale della propria deposizione.

E' principio del tutto consolidato nella giurisprudenza della Cassazione che la condanna può essere fondata anche esclusivamente sulla testimonianza resa dalla persona offesa, purché si dia adeguatamente conto dell'attendibilità, sulla base di una valutazione di opportuna cautela e di un esame penetrante e rigoroso, considerando che si tratta di un teste direttamente interessato all'esito del processo (Cass. Sez. 4 n. 30422 21/6-10/8 del 2005, Poggi; sez. 3 n. 34110 27/4-12/10 del 2006, Valdo Iosi), specie ove vi sia costituzione di parte civile.

La relativa valutazione deve porre in relazione le dichiarazioni della persona offesa con tutto il materiale probatorio a disposizione del giudice, valorizzando eventuali riscontri disponibili o elementi di segno contrario, per confermare ovvero escludere il giudizio di attendibilità.

Dunque, ricordate le coordinate generali del giudizio di attendibilità da svolgersi sulle dichiarazioni della persona offesa, ritiene questo giudice che nel caso di specie la persona offesa possa essere ritenuta nel complesso attendibile.

La sig.ra RO.Yl. ha riferito che, in data 13 maggio 2022, si trovava costretta a sporgere denuncia querela nei confronti del suo ex compagno in quanto vittima di comportamenti persecutori.

La persona offesa ha dichiarato che la relazione con l'imputato, iniziata nel giugno 2021, veniva da lei stessa interrotta a fine novembre 2021, a seguito di alcuni fraintendimenti nella coppia. Da quel momento, ha riferito la Ro., il D.Za. iniziava ad assumere comportamenti sempre più insistenti (cfr. "è iniziato che all'inizio lui, dunque, lui rimaneva a dormire da me solo il fine settimana, poi via via si è intrufolato sempre di più" - deposizione della persona offesa all'udienza del 12.6.2023) e, talvolta, minacciosi nei suoi confronti (cfr. deposizione persona offesa "ecco da novembre mi ha è iniziato a dire della frasi strane per farmi spaventare" ). Il 31 dicembre, dopo l'ennesimo litigio, la Ro. riferiva di essersi trovata costretta ad aprire tutte le finestre di casa e a parlare ad alta voce per far intimorire l'ex compagno il quale, a quel punto, lasciava l'abitazione per farvi rientro il successivo 4 gennaio. In quella circostanza, portatosi sul pianerottolo di casa ed oscurando con il dito l'occhiolino della porta, iniziava a suonare insistentemente al campanello. La Ro., terrorizzata, chiamava i Carabinieri e, al loro arrivo, il D.Za. si intrufolava nell'abitazione inscenando un finto suicidio.

Su consiglio anche dei Carabinieri che le suggerivano di allontanarsi da casa per qualche giorno per permettere all'imputato di calmarsi, la donna si trasferiva (cfr. "e così mi sono allontanata un mese invece di qualche giorno, perché avevo paura" - dep. udienza del 12.6.2023). Vi faceva rientro solo il 3 febbraio quando, appena toltasi la giacca per poggiarla sul letto, sentiva di nuovo il D.Za. citofonare. In quella circostanza, intervenuta nuovamente la Polizia, l'imputato si giustificava dicendo di voler soltanto riprendere un mobiletto e due tazzine di caffè.

La Ro. ribadiva che, anche successivamente, riceveva pressioni da parte dell'ex compagno il quale iniziava a minacciare anche alcuni dei suoi conoscenti (cfr. dep. del 12.6.23: "ha iniziato, dunque, a minacciare anche i miei coinquilini, anche appunto un ristoratore, un amico. Ha iniziato a minacciare chiunque lui sapeva che mi conoscesse, insomma"). A riguardo, la Pubblica Accusa ha prodotto le schermate delle conversazioni Facebook e whatsapp intercorse tra il D.Za. e la persona offesa ed alcuni conoscenti della stessa (sig.ra Em.Pe., amica della Ro., e sig. Ma.Qu., coinquilino della persona offesa). E' emerso dalla documentazione prodotta, e dall'esame della stessa persona offesa, che l'imputato la contattava anche tramite il telefono della madre, sig.ra Valeria Pesci. La Ro. si decideva a sporgere querela solo a metà maggio dell'anno 2022 quando, esasperata, veniva a conoscenza dal suo coinquilino che il D.Za. si era presentato la sera del 30 aprile 2022 sotto la loro abitazione, chiedendo informazioni sulla Ro.

Tale comportamento perdurava sino a quando all'imputato veniva applicata la misura del divieto di avvicinamento in data 31 agosto 2022.

La versione dei fatti riportata dalla persona offesa ha trovato conferma nella deposizione del teste D.Gi., titolare del locale nel quale la Ro. aveva lavorato. Il teste ha riferito di aver ricevuto, per mesi, insistenti chiamate da parte dell'imputato il quale gli chiedeva di poter convincere la Ro. a tornare con lui. Le chiamate erano diventate insistenti, anche verso la moglie, al punto che costringevano il D.Gi. a denunciare i fatti. Il teste Gi.Gi., coinquilino della persona offesa, ha dichiarato di conoscere l'imputato e ha riferito circa l'episodio sopra accennato, accaduto la sera del 30 aprile 2022, in cui il D.Za. si era presentato sotto la loro abitazione cercando l'ex compagna che, tuttavia, si era da qualche tempo trasferita. La stessa sera, il D.Za. era tornato a citofonare, in un secondo momento, questa volta accompagnato da due amici e, per quanto potuto osservare dal teste e dalla compagna tramite il videocitofono, con in mano un oggetto di colore nero, presumibilmente una pistola.

Il teste Ass. Capo (…), escusso all'udienza del 16.10.2023, ha riferito in ordine all'intervento dell'I maggio 2022 alle ore 00:15 in via (…), quando il Gi. riferiva la presenza del D.Za. che, dapprima, al citofono aveva chiesto informazioni sulla ragazza e, qualche istante dopo, era intervenuto con alcuni amici presumibilmente armato di pistola.

Alla stessa udienza è stato escusso il teste Qu.Ma., coinquilino della Ro. e del Gi., nell'appartamento di via (…), il quale ha confermato di conoscere il D.Za. e di averlo visto nella loro abitazione, negli ultimi mesi del 2021. Dopo quel periodo, aveva ricevuto delle chiamate, anche insistenti, da parte dell'imputato il quale gli chiedeva insistentemente informazioni circa il nuovo indirizzo di residenza della ex compagna (cfr. "però lui non credeva al fatto che lei avesse cambiato appartamento e di conseguenza dare iniziato a prendere un pò con me e un pò con l'altro ragazzo, Gi." - dep. ud. 16.10.2023). Ha riferito, altresì, di aver visto in più occasioni il D.Za. aggirarsi nei pressi della loro abitazione anche dopo la separazione con la Ro.

Ebbene, data la suesposta ricostruzione del quadro probatorio, e constatati i precisi riscontri alla versione dei fatti offerta dalla persona offesa, non v'è dubbio che l'imputato si sia reso responsabile delle condotte delittuose contestate nell'imputazione e che le dette condotte integrino gli estremi del reato di cui all'art. 612 bis c.p.

Le condotte di reato si sono esplicitate in minacce e molestie integrate dai ripetuti e frequentissimi messaggi, oltre che dai continui appostamenti presso l'abitazione della persona offesa dove spesso si era introdotto suonando insistentemente il campanello. Tale circostanza ha trovato riscontro anche nella deposizione del teste di PG intervenuto, Ass. (…).

L'atteggiamento intimidatorio dell'imputato emerge, altresì, dalle continue richieste di informazioni sulla persona offesa, nonché dalle minacce, rivolte ai suoi conoscenti (cfr. screenshots prodotti dal PM all'udienza del 12.6.2023); questi ultimi, escussi in dibattimento, hanno tutti confermato le circostanze (cfr. vedi deposizione dei testi Gi.Gi. e Di Gi.Gi., all'udienza del 12.06.2023 e Qu.Ma. all'udienza del 16.10.2023).

Questi fatti si sono ripetuti per un consistente lasso di tempo (quasi un anno). La persona offesa ha ricostruito il periodo in questione con precisione e lo ha collocato tra la fine della loro relazione (novembre 2021) e la data di applicazione della misura del divieto di avvicinamento (31 agosto 2022).

Tali avvenimenti sono stati di indubbia gravità obiettiva e si sono interrotti solo per effetto dell'intervenuta applicazione della misura cautelare.

Le condotte descritte hanno comportato per la persona offesa un grave e perdurante stato di ansia e di paura che ha impedito alla stessa di fare rientro nella sua abitazione, perché nota all'imputato, oltre ad averla costretta a cambiare utenza telefonica.

Quanto al trasferimento, anche i testi Gi. e Qu., coinquilini della Ro., hanno confermato che la stessa si era trasferita (nei primi mesi del 2022) proprio a causa dello stato di agitazione in cui versava per via del comportamento del D.Za.

Inoltre, la Ro. ha riferito di non essere più riuscita ad uscire di casa da sola, se non accompagnata, e solo per necessità (cfr. "poi io non uscivo più sola, uscivo solo per le cose necessarie, e soprattutto mi facevo sempre accompagnare, perché comunque avevo paura"- dep. ud. 12.06.2023).

E' risultato chiaro, dunque, come la persona offesa si sia trovata in un perdurante stato di ansia che l'ha indotta ad un cambiamento delle abitudini di vita.

Il perdurante stato di ansia e la modifica delle proprie abitudini di vita costituiscono proprio i possibili eventi del delitto di atti persecutori, che, quindi, nel caso di specie, deve intendersi configurato in tutti i suoi elementi costituitivi.

Tanto premesso, considerato dell'atteggiamento processuale collaborativo tenuto dall'imputato nel corso del processo (l'imputato ha sostanzialmente ammesso l'addebito) ed al fine di adeguare la pena alla reale offensività della condotta il Tribunale ritiene doversi riconoscere la concessione delle circostanze attenuanti generiche in regime di prevalenza rispetto la contestata aggravante e alla recidiva.

Quindi, tenuto conto dei parametri di cui all'art. 133 c.p., considerate l'intensità e la persistenza delle condotte persecutorie, e le conseguenze derivate alla persona offesa, pena equa risulta essere quella di mesi otto di reclusione (pena base anni uno di reclusione, ridotta ex art. 62 bis c.p. a mesi otto di reclusione). L'imputato va condannato altresì al pagamento delle spese processuali. Le precedenti condanne di cui è gravato l'imputato non consentono di riconoscergli il beneficio della sospensione condizionale della pena.

Di contro, visto l'art. 168, co. 1 n. 1 c.p., revoca il beneficio della sospensione condizionale della pena concesso a D.ZA. con sentenza resa dal Tribunale di Pescara in composizione monocratica il 13.11.2017, irrevocabile il 07.12.2017.

P.Q.M.
Visti gli artt. 533 e 535 c.p.p., dichiara D.ZA. colpevole del reato a lui ascritto e, per l'effetto, concesse le circostanze attenuanti generiche in regime di prevalenza rispetto alla contestata aggravante e alla recidiva, lo condanna alla pena di mesi otto di reclusione oltre al pagamento delle spese processuali.

Visto l'art. 168, co. 1 n. 1 c.p., revoca il beneficio della sospensione condizionale della pena concesso a D.ZA. con sentenza resa dal Tribunale di Pescara in composizione monocratica il 13.11.2017, irrevocabile il 07.12.2017.

Così deciso in Pescara l'8 gennaio 2024.

Depositata in Cancelleria il 12 gennaio 2024.

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