Tribunale Nola, 05/08/2024, n.958
Per integrare il delitto di stalking non è necessario che le condotte intimidatorie siano accompagnate da violenza fisica, essendo sufficiente che le minacce e le molestie reiterate ingenerino nella vittima un perdurante stato di ansia o di paura, inducendola a temere per la propria incolumità o a modificare le proprie abitudini di vita.
La reiterazione può concretizzarsi anche attraverso condotte di natura diversa, come minacce telefoniche, richieste indebite di denaro e ingiurie, purché sistematiche e idonee a destabilizzare psicologicamente la vittima.
RAGIONI IN FATTO E IN DIRITTO DELLA DECISIONE
Con decreto emesso dal g.u.p. sede il 22 giugno 2021 Wa.Ja. venne rinviato a giudizio davanti a questo Tribunale per rispondere dei reati ipotizzati a suo carico nell'imputazione trascritta in epigrafe.
All'udienza del 9 novembre 2021 il processo venne rinviato, su concorde richiesta delle parti, per il perdurare dell'emergenza pandemica da "Covid 19".
Dopo altri quattro rinvii disposti, alle successive udienze del 15 febbraio 2022, dell'11 ottobre 2022, del 7 marzo 2023 e del 6 giugno 2023, per l'assenza del giudice assegnatario del procedimento (dapprima destinato in applicazione, quindi trasferito ad altra sede giudiziaria), all'udienza del 20 novembre 2023, costituitesi partì civili, per il tramite dei propri difensori e procuratori speciali, le persone offese Vi.An. ed An.Wa., il difensore dell'imputato invitò questo giudice (al quale era stato riassegnato, in virtù del decreto presidenziale n. 39/2023, il procedimento in corso) a valutare l'opportunità di astenersi dalla trattazione, avendo già pronunciato sentenza di condanna nei confronti del Wa., nell'anno 2010, per i reati di maltrattamenti in famiglia e lesioni personali in danno di sua moglie An.Wa.
Sentiti il p.m. ed il patrono di parte civile, lo scrivente, ritenuto che non ricorresse, nel caso in esame, alcuna delle situazioni dalle quali l'art. 36 c.p.p. fa discendere, in capo al giudice, l'obbligo di astenersi, dispose procedersi oltre; aperto, quindi, il dibattimento ed ammesse le prove indicate dalle parti, vennero escussi i testi di lista del p.m. Vi.An. e An.Zu., sentiti i quali venne acquisito al fascicolo per il dibattimento, con l'accordo delle parti, il verbale delle sommarie informazioni rese dalla persona offesa An.Wa., il 5 ottobre 2015, negli uffici della Procura della Repubblica di Nola.
Si procedette, quindi, all'esame della Wa., all'esito della cui deposizione il p.m. produsse i supporti informatici sui quali erano stati memorizzati i file audio estrapolati del telefono cellulare in uso all'An., ai quali aveva fatto riferimento il teste nel corso dell'esame, e la documentazione comprovante l'intestazione all'imputato dell'utenza mobile n. (…).
All'udienza del 12 febbraio 2024, previo accordo tra le parti sull'inversione nell'ordine di assunzione delle prove, venne chiamata a deporre la testa a difesa Ev.Wa.
Alla successiva udienza del 18 marzo 2024 si procedette all'esame dell'imputato, concluso il quale il giudice rinviò il processo, per la sola discussione, al 15 aprile 2024, data in cui la trattazione del processo venne rinviata per il legittimo impedimento a comparire del difensore dell'imputato.
Nel corso dell'udienza odierna, infine, la difesa del Wa. ha prodotto documentazione medica attestante le malferme condizioni di salute dell'imputato, una relazione della responsabile della casa di accoglienza "Aratorio Familiare", che aveva ospitato l'imputato dal 2015 al 2022, e copia del ricorso per la cessazione degli effetti civili del matrimonio presentato al Tribunale di Nola (non è dato sapere quando, non essendovi alcuna indicazione, sul punto, nell'atto prodotto dal difensore) dai coniugi Wa.
Dichiarata chiusa l'istruttoria dibattimentale, lo scrivente ha invitato, quindi, le parti a formulare ed illustrare le proprie conclusioni, ascoltate le quali, dopo essersi ritirato in camera di consiglio per deliberare, ha reso pubblica la sentenza dando lettura del dispositivo allegato al verbale.
Prima di esporre - e per meglio comprendere - le ragioni di fatto e di diritto poste a fondamento della decisione, è senz'altro utile dar conto degli esiti dell'istruttoria dibattimentale, ripercorrendola nei suoi tratti essenziali.
La persona offesa, nonché costituita parte civile Vi.An., chiamato a deporre, come detto, all'udienza del 20 novembre 2023, ha riferito di aver presentato una prima querela nei confronti dell'imputato dopo che quest'ultimo lo aveva contattato al telefono, in due successive occasioni, il 28 maggio ed il 3 giugno 2015, e, presentandosi come il marito della sua convivente, An.El., lo aveva pesantemente minacciato. L'An. ha ricordato, più in particolare, che nel corso di quelle conversazioni telefoniche il Wa., che lo aveva contattato sempre dall'utenza mobile n. (…), gli aveva detto di conoscere i suoi spostamenti ed aveva minacciato di tagliargli i testicoli e di sotterrarlo, affermando, inoltre, di non temere né le forze dell'ordine né i giudici ed aggiungendo che gli unici giudici che conosceva erano le persone che avrebbe potuto mandare ad ucciderlo.
Il reiterarsi delle telefonate intimidatorie, che si susseguivano con cadenza quotidiana, e in taluni casi anche più di una volta al giorno, aveva indotto la persona offesa a presentare altre due denunce, il 26 giugno 2015 ed il 29 luglio 2015.
Nel corso di queste conversazioni, ad un certo punto, l'imputato aveva iniziato a ricattare l'An., dicendogli che se avesse voluto continuare a vivere con sua moglie avrebbe dovuto versargli delle somme di danaro, di importo variabile, quantificato, di volta in volta in 40.000 o in 80.000 euro.
Di fronte al suo rifiuto di assecondare tale assurda pretesa, il Wa. aveva preso ad inveire nei suoi confronti, insultandolo pesantemente ("Prete di merda. Perché non te ne vai in chiesa? Perché non te ne vai dai bambini invece di stare con mia moglie?") e minacciando brutali ritorsioni nei suoi confronti il teste ha precisato, più in particolare, sul punto, che l'imputato gli aveva detto, tra l'altro, di conoscere l'auto che aveva in uso e le strade che era solito percorrere, minacciando di tornare ad Ottaviano per evirarlo e sotterrarlo.
Temendo per la propria incolumità, l'An. aveva iniziato a registrare le conversazioni telefoniche con il Wa. (estrapolate, poi, dai carabinieri e riversate sui supporti informatici in atti), che avevano ingenerato in lui un forte e perdurante stato di paura e turbamento.
- Tale situazione si era protratta per uno o due anni, fino a quando l'An. si era deciso a "bloccare" l'utenza mobile dell'imputato, che, tuttavia, aveva continuato a chiamarlo, servendosi di utenze sempre diverse, riconducibili ad altri soggetti. Proseguendo nel proprio racconto, la persona offesa ha precisato che le continue telefonate del Wa. erano motivate anche dal suo desiderio di mettersi in contatto con sua moglie Anna, con la quale l'imputato gli aveva intimato più volte di farlo parlare, minacciando di ucciderlo se non gliel'avesse passata e non perdendo occasione, in ogni caso, per insultarla, chiamandola, di volta in volta, "zoccola" e "puttana" e minacciando di uccidere anche lei.
L'An. ha precisato, quindi, di aver intrapreso una relazione sentimentale con la moglie dell'imputato nel settembre del 2013, quando la stessa si era già separata, di fatto, dal marito e viveva con i due figli nati dalla loro relazione.
Era stata proprio An. a metterlo al corrente della natura violenta del Wa., sebbene la donna - che aveva dovuto cambiare per ben tre volte il numero di cellulare per sottrarsi alle continue chiamate dell'imputato - parlasse poco e malvolentieri della sua vita matrimoniale, mostrandosi ancora molto impaurita e scoppiando a piangere ogniqualvolta si affrontava l'argomento.
Le telefonate minatorie, protrattesi per diversi anni, erano cessate - ha precisato il teste -circa tre anni prima della sua deposizione (vale a dire verso la fine del 2020), quando aveva bloccato, ancora una volta, l'utenza mobile in uso all'imputato. L'An. ha precisato, quindi, che la sua paura che il Wa. potesse dar seguito alle sue continue minacce non era attenuata dal fatto che lo stesso versasse in precarie condizioni di salute, precisando, anzi, a tal proposito, che proprio un membro della comunità presso la quale l'imputato aveva trovato ricovero gli aveva riferito che il predetto si era allontanato volontariamente, aggiungendo che era una persona pericolosa, irascibile e propensa ad usare le mani.
La persona offesa ha ribadito, infine, che la situazione appena descritta aveva ingenerato in lui un perdurate stato di ansia e di preoccupazione, affermando di aver perso la serenità, di non sentirsi al sicuro né a casa né sul luogo di lavoro, di spaventarsi anche per il minimo rumore o per l'abbaiare dei cani e di guardarsi intorno, ogniqualvolta usciva di casa, per paura di incontrare l'imputato.
Il maresciallo An.Zu. ha riferito, innanzitutto, di aver raccolto le varie denunce sporte, nel corso degli anni, dall'An. nei confronti dell'imputato. Il teste ha dichiarato, quindi, di aver accertato che l'utenza telefonica dalla quale partivano le telefonate minatorie ricevute dal denunciante (buona parte delle quali registrate e trasferite su una pen drive dallo stesso An.) era intestata al Wa., trasferitosi a Spoleto.
Il maresciallo Zu. ha precisato, infine, di aver ascoltato alcune di quelle conversazioni telefoniche, constatando che l'interlocutore della persona offesa parlava in italiano ma con un accento straniero e che, quando le telefonate venivano effettuate con numeri diversi da quello in uso all'imputato, quest'ultimo si presentava come Wa.
Nelle sommarie informazioni rese alla p.g. il 5 ottobre 2015 (pienamente utilizzabili ai fini della decisione in quanto acquisite al fascicolo per il dibattimento, come detto, con l'accordo delle parti) la moglie dell'imputato, An.Wa., riferì di essersi trasferita in Italia nel 2000, insieme ai suoi due figli, per raggiungere suo marito, precisando che quest'ultimo, dopo un primo periodo di relativa tranquillità, aveva iniziato a comportarsi in modo aggressivo e violento sia con lei che con i figli. Tale incresciosa situazione l'aveva indotta a denunciare l'imputato, nel 2009, con la speranza di liberarsi definitivamente di lui; il processo scaturito dalla sua denuncia si era concluso con la condanna (divenuta, poi, irrevocabile) del Wa. per i reati di maltrattamenti in famiglia e lesioni personali.
Dopo tale vicenda l'imputato si era trasferito a Spoleto e per un pò di tempo aveva smesso di infastidirla, tornando a farsi vivo nel 2015, quando aveva appreso della relazione sentimentale da lei intrapresa con Vi.An.
A partire dal mese di maggio di quell'anno il Wa. aveva iniziato, infatti, a telefonare di continuo al suo convivente, il quale, inizialmente, non gliene aveva parlato per non farla preoccupare; le telefonate, però, si erano fatte sempre più frequenti e pressanti, e a quel punto l'An. non aveva potuto fare a meno di raccontarle quel che stava accadendo, dicendo di essere spaventato e di temere per la vita di entrambi a causa delle minacce di morte rivoltegli dall'imputato.
La Wa. riferì, inoltre, che l'imputato aveva chiesto ingenti somme di denaro a lei ed al suo convivente quale prezzo da pagare per essere lasciati in pace, minacciando di ucciderli se non avessero soddisfatto le sue richieste.
Le reiterate minacce dell'imputato - precisò, infine, la persona offesa - avevano ingenerato in lei una costante paura per la propria incolumità, al punto che anche il più piccolo rumore le procurava un forte stato di agitazione.
Nel corso del suo esame dibattimentale la persona offesa ha ribadito le proprie accuse nei confronti dell'imputato, confermando di aver appreso dall'An. delle telefonate minatorie del Wa. e precisando di essersi sempre rifiutata di ascoltarle in quanto era terrorizzata da quell'uomo e anche il solo ascolto della sua voce le provocava degli incubi e non la faceva dormire di notte.
La persona offesa ha dichiarato, infine, di non aver avuto più contatti diretti con suo marito dal 2013, quando aveva dovuto cambiare numero di telefono per sottrarsi alle sue continue chiamate.
La sorella dell'imputato, Ev.Wa., escussa, quale teste a difesa, all'udienza del 12 febbraio 2024, ha riferito, innanzitutto, di avere, da molto tempo, ormai, solo degli sporadici contatti telefonici con suo fratello, che aveva incontrato per l'ultima volta più di quattordici anni prima.
La teste ha dichiarato, quindi, di aver appreso da sua cognata delle ragioni per le quali suo fratello era stato denunciato e di aver provato anche a tranquillizzarla, dicendole che l'imputato non avrebbe mai dato seguito alle sue minacce.
La Wa. ha raccontato, inoltre, di aver assistito ad una telefonata tra l'imputato e l'An., nel corso della quale quest'ultimo si era mostrato molto agitato ed era arrivato a minacciare suo fratello, dicendo che avrebbe mandato qualcuno a fargli del male.
Rispondendo ad una sollecitazione della difesa, la teste ha affermato, infine, di non essere a conoscenza dei maltrattamenti posti in essere dall'imputato, in passato, ai danni della moglie e dei figli.
Nel corso del suo esame l'imputato ha ammesso di aver contattato più volte al telefono l'An., minacciandolo e intimando allo stesso di versargli delle somme di denaro. Il Wa. ha tenuto a precisare, tuttavia, che lo scopo essenziale di quelle telefonate - nel corso delle quali, a suo dire, era stato l'An. ad alterarsi, il più delle volte, minacciando di organizzare delle spedizioni punitive nei suoi confronti - era quello di interloquire con sua moglie, sì da poter raggiungere un accordo con lei in vista di una separazione consensuale e del successivo divorzio.
Quanto, poi, alle richieste di danaro rivolte all'An., l'imputato ha dichiarato di essersi consultato con un avvocato, il quale gli aveva assicurato che avrebbe potuto chiedere il risarcimento dei danni morali, dal momento che l'An. era andato a convivere con sua moglie prima che quest'ultima ottenesse il divorzio. Su domanda dello scrivente, il Wa. ha ammesso, quindi, che in taluni casi le richieste di denaro erano accompagnate da frasi intimidatorie, ribadendo, tuttavia, che era stato l'An. a minacciarlo per primo, dicendo che gli avrebbe "mandato" una cinquantina di persone.
L'imputato ha riferito, infine, di aver lasciato Ot. nel 2010 per trasferirsi a Spoleto, dove, però, dopo qualche mese aveva subito un incidente sul lavoro che gli aveva causa procurato gravi problemi fisici, costringendolo a recarsi frequentemente al pronto soccorso.
Il Wa. ha precisato, sul punto, che nel 2015 non era in grado di deambulare autonomamente, della qual cosa aveva informato l'An., in una delle loro numerose conversazioni telefoniche.
L'imputato ha riferito, infine, di aver appreso della relazione sentimentale intrapresa da sua moglie dal fratello della stessa, che gli aveva fornito anche il numero di telefono dell'An., fornendogli informazioni, inoltre, circa l'attività lavorativa svolta dallo stesso e sull'auto che aveva in uso.
Così ricostruiti i fatti di causa, il Wa. va riconosciuto senz'altro colpevole di entrambi i reati a lui ascritti nel decreto di rinvio a giudizio.
La prova della responsabilità dell'imputato si fonda innanzitutto, com'è ovvio, sulle dichiarazioni rese a suo carico dalle persone offese, apparse entrambe pienamente attendibili in quanto lineari, coerenti e precise nella rappresentazione dei fatti di causa, esposti con misura e pacatezza dalle stesse, senza tradire malanimo né tantomeno preconcetta ostilità nei confronti del Wa.
Il racconto delle persone offese trova riscontro, del resto, nelle numerose conversazioni telefoniche estrapolate dal telefono cellulare in uso all'An. e riprodotte sui supporti informatici in atti, nonché (almeno in parte) nelle dichiarazioni dello stesso imputato, che ha ammesso, come si è visto, di aver più volte minacciato il convivente di sua moglie e di aver chiesto allo stesso di versargli delle somme di danaro, alle quali, sulla scorta delle indicazioni - evidentemente fuorvianti - fornitegli da un avvocato, non meglio identificato, riteneva (assurdamente) di aver diritto.
Tanto premesso, va senz'altro affermata la responsabilità dell'imputato, innanzitutto, per i reati di tentata estorsione a lui ascritti al capo b), potendo dirsi accertato al di là di ogni ragionevole dubbio che lo stesso, in diverse occasioni, tra il 2015 ed il 2016, intimando al convivente di sua moglie ed a quest'ultima di consegnargli delle somme di danaro, di importo quantificato, di volta in volta, in diverse decine di migliaia di euro, se avessero voluto continuare a stare insieme e minacciando di uccidere entrambi se non avessero soddisfatto le sue richieste, abbia compiuto atti idonei, univocamente diretti a costringere le persone offese a versare dette somme di danaro (naturalmente non dovute) ed a conseguire, quindi, un ingiusto profitto con corrispondente danno per le vittime designate.
Va affermata, inoltre, la penale responsabilità del Wa. per il reato di atti persecutori a lui ascritto al capo a), per avere lo stesso, con le condotte descritte nelle pagine che precedono (le continue telefonate, protrattesi per diversi anni, sull'utenza telefonica in uso all'An., i reiterati, pesanti insulti rivolti allo stesso ed a sua moglie, le minacce di morte indirizzate ad entrambi, l'assurda pretesa di ricevere dai predetti una consistente somma di danaro - una sorta di "buonuscita", quale prezzo da pagare per poter vivere indisturbati, al riparo dalle sue intemperanze), ingenerato nelle persone offese un costante stato di ansia e di paura, inducendoli a temere seriamente per la propria incolumità.
Il reato è aggravato, con tutta evidenza, dall'essere stato commesso dal coniuge separato (di fatto) di una delle persone offese.
Possono riconoscersi al Wa., tenuto conto della non particolare gravità dei fatti e del contesto di tensione e di profondo deterioramento dei rapporti interpersonali nel quale sono maturate le sue condotte, le circostanze attenuanti generiche.
L'evidente identità del disegno criminoso sotteso ai reati posti in essere dall'imputato induce ad affasciare gli stessi nel vincolo della continuazione, individuando, naturalmente, nel delitto di tentata estorsione la violazione più grave in rapporto alla quale determinare la pena base.
Venendo al trattamento sanzionatorio concretamente irrogabile, considerati i criteri di commisurazione dello stesso enunciati nell'art. 133 c.p., appare equo condannare il Wa. alla pena di due anni di reclusione e 600 Euro di multa, alla quale si approda nel modo che segue: pena base per il reato di tentata estorsione due anni, tre mesi di reclusione e 600 Euro di multa, ridotta ad un anno, sei mesi di reclusione e 400 Euro di multa in virtù del riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, elevata ad un anno, nove mesi di reclusione e 500 Euro di multa per la continuazione interna, determinata nella misura finale sopra indicata per la continuazione con il reato di atti persecutori.
Al riconoscimento della penale responsabilità del Wa. segue la condanna dello stesso, secondo legge, al pagamento delle spese processuali.
L'imputato deve essere condannato, inoltre, al risarcimento dei danni subiti dalle costituite parti civili, per la liquidazione dei quali le parti vanno, tuttavia, rimesse, data la lacunosità delle risultanze istruttorie sul punto, davanti al competente giudice civile. Non può essere accolta, invece, per le ragioni appena esposte, la richiesta di condanna al pagamento di una provvisionale avanzata dalla costituita parte civile Vi.An.
L'imputato deve essere condannato, infine, al pagamento delle spese di costituzione e rappresentanza in giudizio sostenute dalle costituite parti civili, che possono liquidarsi in complessivi 1.500 Euro per ciascuna di esse, oltre rimborso delle spese generali, i.v.a. e c.p.a. come per legge, disponendo il pagamento delle stesse, in via provvisoria, ex art. 110, co. 3, D.P.R. 115/2002, in favore dello Stato.
°Tenuto conto della complessità delle questioni di fatto e di diritto sottese alla stesura della presente sentenza, nonché del carico di lavoro che grava sul ruolo di questo giudice, si ritiene opportuno fissare in novanta giorni il termine per il deposito della motivazione.
P.Q.M.
Letti gli artt. 533 e 535 c.p.p.,
dichiara Ja.Wa. colpevole dei reati a lui ascritti e, riuniti gli stessi nel vincolo della continuazione, riconosciute all'imputato le circostanze attenuanti generiche, lo condanna alla pena di due anni di reclusione e 600 Euro di multa, oltre che al pagamento delle spese processuali.
Letti gli artt. 538 e 539, co. 1, c.p.p., condanna l'imputato al risarcimento dei danni subiti dalle costituite parti civili, rimettendo le parti, per la liquidazione degli stessi, davanti al competente giudice civile.
Letto l'art. 539, co. 2, c.p.p., rigetta la richiesta di condanna dell'imputato al pagamento di una provvisionale avanzata dalla costituita parte civile Vi.An.
Letto l'art. 541 c.p.p. e 110, co. 3, D.P.R. 115/2002, condanna l'imputato al pagamento delle spese di costituzione e rappresentanza in giudizio sostenute dalle costituite parti civili, che liquida in complessivi 1.500 Euro per ciascuna di esse, oltre rimborso delle spese generali, i.v.a. e c.p.a. come per legge, disponendo il pagamento delle stesse, in via provvisoria, in favore dello Stato.
Letto l'art. 544, co. 3 c.p.p., fissa in novanta giorni il termine per il deposito della motivazione.
Così deciso in Nola il 6 maggio 2024.
Depositata in Cancelleria il 5 agosto 2024.