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Stalking e minacce gravi: l'irrevocabilità della querela in caso di espressioni intimidatorie

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Corte appello Taranto, 23/08/2024, n.381

L'uso di espressioni verbali particolarmente intimidatorie (come "Ti devo uccidere") costituisce un elemento indicativo della gravità delle minacce, idoneo a giustificare l'irrevocabilità della querela.

Stalking: esclusa la particolare tenuità del fatto in caso di recidiva e condotta abituale

Atti persecutori: necessaria prova rigorosa di idoneità e abitualità delle condotte

Stalking e conflittualità condominiale: condanna agli effetti civili per molestie e danno morale

Assoluzione per mancanza di prove sul reato di atti persecutori tra fratelli in conflitto ereditario

La calunnia come strumento di offesa: dolo specifico e consapevolezza della falsità dell'accusa


Stalking: esclusione del reato per mancanza di elementi probatori certi, ma conferma delle statuizioni civili per danno extracontrattuale

Stalking: condanna confermata per condotte reiterate di molestie e minacce con mutamento delle abitudini di vita della vittima

Stalking indiretto e gelosia ossessiva: configurabilità del reato di atti persecutori e rilevanza della condotta per interposta persona

Assoluzione per atti persecutori e lesioni volontarie nell'ambito di gestione del servizio sanitario

Sentenza riformata per intervenuta prescrizione del reato di stalking e diffamazione, confermate le statuizioni civili

La sentenza integrale

RAGIONI IN FATTO E IN DIRITTO DELLA DECISIONE
Con sentenza resa a seguito di giudizio dibattimentale, il Tribunale di Taranto, in composizione monocratica, in data 19.9.2023, ha affermato la penale responsabilità di So.Ma. in ordine ai reati a lui ascritti ai capi A), B) ed E) dell'imputazione, specificati in epigrafe e, riconosciute le circostanze attenuanti generiche equivalenti alla recidiva e alle altre aggravanti contestate, riconosciuto il vincolo della continuazione, lo ha condannato alla pena di anni cinque di reclusione (così determinata: pena base di anni quattro di reclusione per il delitto di cui all'art. 624 bis c.p., aumentata di sei mesi per il delitto di cui all'art. 612 bis c.p. e di ulteriori sei mesi di reclusione per il delitto di cui agli artt. 582 c.p.), oltre al pagamento delle spese processuali. Il Tribunale ha, poi, dichiarato non doversi procedere nei confronti dell'imputato, in ordine ai reati di cui ai capi C) e D) dell'imputazione, perché estinti per intervenuta remissione di querela.

Pena accessoria dell'interdizione perpetua dai PPUU e dell'interdizione legale per la durata della pena principale.

Il Tribunale ha fondato l'affermazione di penale responsabilità di So.Ma. sul contento della deposizione della persona offesa, Ur.Br. e sui documenti acquisiti al fascicolo dibattimentale su accordo delle parti.

Avverso l'anzidetta decisione, il difensore dell'imputato, munito di procura speciale, ha proposto rituale e tempestiva dichiarazione di appello.

Con il primo motivo ha chiesto pronunciarsi sentenza di non doversi procedere per tutti i capi di imputazione, in ragione dell'intervenuta remissione della querela sostenendo, con particolare riferimento al delitto di stalking, l'insussistenza delle gravi minacce che, ai sensi dell'art. 612 bis comma 4 c.p., precludono la revocabilità della querela.

Ha, comunque, argomentato dell'insussistenza del delitto, in ragione del fatto che l'imputato avrebbe posto in essere due sole condotte ai danni della ex moglie, come tali inidonee ad integrare la fattispecie ascritta.

Riguardo al delitto contestato al capo B), la difesa ha chiesto riqualificarsi il fatto in furto d'uso e, per l'effetto, domandato pronunciarsi sentenza di non doversi procedere per difetto di querela. Ha insistito per la declaratoria di improcedibilità anche con riferimento al delitto di lesioni, descritto nel capo C) dell'imputazione.

Con il secondo motivo, formulato in via gradata, ha criticato il trattamento sanzionatorio, ritenuto eccessivamente gravoso, invocando l'applicazione di una pena base più mite per il delitto di cui all'art. 624 c.p.

All'odierna udienza, svolta la relazione della causa, si è dato corso alla discussione, in esito alla quale il Procuratore Generale e il difensore hanno rassegnato le rispettive conclusioni trascritte in epigrafe.

L'appello è solo parzialmente fondato.

La sentenza deve, pertanto, essere riformata nei limiti e per le ragioni che seguono.

Deve, invero, preliminarmente dichiararsi non doversi procedere in ordine al reato di cui al capo B) dell'imputazione, per difetto della condizione di procedibilità (essendo intervenuta remissione di querela) e ciò, in ragione della condizione soggettiva della persona offesa Ur.Br.

Il difetto della condizione di procedibilità deve essere rilevato solo in relazione al reato di furto in abitazione commesso in danno del coniuge, legalmente separato, in applicazione dell'art. 649 comma 2 c.p.

Le suesposte considerazioni impongono la riforma della sentenza e la rideterminazione del trattamento sanzionatorio, nei termini che si preciseranno.

Per il resto le critiche sollevate dall'appellante in merito alla responsabilità del SO. per i residui delitti contestati al capo A) ed al capo E) dell'imputazione non possono essere condivise. Osserva preliminarmente la Corte come possa farsi integrale rinvio, nel merito, a quanto accertato nel corso della istruttoria dibattimentale e sancito nella sentenza di primo grado, precisa nel rievocare gli accadimenti che portavano alla denuncia dell'imputato.

Con particolare riferimento al delitto di stalking, osserva la Corte che a nulla vale rilevare che le condotte (in tesi solo due) abbiano avuto uno svolgimento contenuto in un periodo temporale relativamente breve: la Suprema Corte, infatti, ha chiarito che è configurabile il delitto di atti persecutori anche quando le singole condotte sono reiterate in un arco di tempo molto ristretto, a condizione che si tratti di atti autonomi e che la reiterazione di questi sia la causa effettiva di uno degli eventi considerati dalla norma incriminatrice" (v. Cass. Sez. 5, Sentenza n. 33563 del 16/06/2015).

La ripetizione non implica necessariamente che debba esservi una pluralità di atti: secondo il costante insegnamento della S.C. (Cass. Sez. 5, ud. 03.04.2018, 33842) possono integrare il delitto di atti persecutori di cui all'art. 612 bis c. p, anche due sole condotte di minacce, molestie o lesioni, pur se commesse in un breve arco di tempo, idonee a costituire la "reiterazione" richiesta dalla norma incriminatrice, non essendo invece necessario che gli atti persecutori si manifestino in una prolungata sequenza temporale.

Del resto, diversamente da quanto sostenuto dall'appellante, le condotte gravi e reiterate poste in essere dal SO. non si esaurirono in due unici episodi, quelli avvenuti il 19.12.22 ed il 29.12.2022 (per vero, per quanto appena detto, già sufficienti a supportare la colpevolezza dell'imputato); il Tribunale, nella sentenza gravata, che qui integralmente si richiama, ha già illustrato gli elementi probatori a carico dell'imputato, evidenziando come la pronuncia di condanna si fondi essenzialmente sulle dichiarazioni della persona offesa che, nel novembre del 2022, ha sporto formale querela nei confronti dell'ex marito (integrandola, poi, il 21 ed il 29 dicembre dello stesso anno e il 2 gennaio 2023) - esausta per le reiterate condotte perpetrate ai suoi danni e fortemente preoccupata per l'incolumità propria e dei suoi figli - e, in seguito, escussa a dibattimento, ha confermato i fatti, seppur ridimensionandone la portata, poiché intenzionata a rimettere la querela, principalmente per il benessere dei propri figli, come dalla stessa dichiarato.

La Ur., le cui denunce sono state acquisite al fascicolo del dibattimento con il consenso delle parti, descrivendo in termini di elevata conflittualità l'intera vita coniugale, ha offerto un racconto lineare, logicamente consequenziale e scevro da contraddizioni del periodo oggetto di contestazione. Ha riferito che le condotte del SO. avevano irrimediabilmente minato la sua incolumità psicologica, costringendola a vivere in uno stato di perdurante ansia, tanto da aver financo valutato di cambiare abitazione, per poter vivere lontano dal proprio ex coniuge, nonostante le gravi difficoltà economiche, temendo per la propria incolumità e per quella dei figli.

Ha raccontato in maniera lineare e senza aporie che il loro rapporto si era rivelato, sin da subito, conflittuale; che i due si erano più volte separati sempre a causa dei contegni dell'uomo il quale, l'aveva, più volte, aggredita verbalmente e fisicamente.

I diverbi, ha spiegato la p.o., erano sempre stati legati allo stato di grave tossicodipendenza dell'ex marito ed ha raccontato che, nell'ultimo periodo, a causa delle sue minacce e per timore per la propria incolumità, era stata spesso costretta ad accompagnarlo per approvvigionarsi delle sostanze stupefacente di cui faceva costante uso, atteso che, al suo eventuale rifiuto, egli andava "in escandescenza", offendendola e minacciandola, anche alla presenza dei figli, giungendo ad usare violenza fisica nei suoi confronti.

In particolare, si è soffermata sulle ultime vicende che l'avevano esasperata e maggiormente spaventata tanto da determinare la sua volontà di denunciarlo:

- l'episodio occorso il 3 novembre 22, quando il SO. si era introdotto nella sua abitazione e aveva rubato le chiavi della sua automobile, a bordo della quale aveva poi causato un sinistro stradale; tale avvenimento aveva causato una forte lite tra i due ex coniugi, nel corso della quale e nonostante l'intervento delle forze dell'ordine, l'uomo aveva tentato di colpirla (lanciando un posacenere di ceramica nella sua direzione) e profferito gravi minacce di morte nei suoi confronti ("ti devo uccidere tanto il carcere me lo so fare ");

- i fatti accaduti il 19 dicembre 22, quando l'imputato si era, nuovamente, introdotto nell'abitazione della p.o., minacciandola ripetutamente affinché lo accompagnasse fuori per approvvigionarsi di sostanza stupefacente o gli consegnasse le chiavi dell'auto e, al suo rifiuto, l'aveva spinta con violenza contro una colonna di granito, provocandole lesioni (v. referti di P.S., certificazioni mediche e documentazione fotografica in atti);

- la mattina del 29 dicembre 22, quando, nel giardino della propria abitazione, era stata raggiunta ancora una volta dall'imputato che, con fare minaccioso e intimidatorio, l'aveva per l'ennesima volta costretta ad accompagnarlo per acquistare della sostanza stupefacente;

- le ultime reiterate offese e intimidazioni di cui era stata vittima il 2 gennaio 2023, a fronte del rifiuto alla solita richiesta di essere accompagnato a procacciarsi la droga ("zoccola, puttana, prenditi la bambina e vattene") e che avevano indotto la donna a rivolgersi nuovamente alle forze dell'ordine. Per quanto sopra, ritiene la Corte che non vi sia dubbio sulla sussistenza degli elementi costitutivi del delitto di cui all'art. 612 bis c.p., essendo emersa la prova di reiterate comportamenti persecutori, non certo occasionali o sporadici, bensì manifestazione di una persistente attività vessatoria, tale da ingenerare effetti destabilizzanti sull'equilibrio psicologico della persona offesa e che si protrasse nel periodo oggetto di contestazione.

Essendo il fatto stato commesso con minacce gravi e reiterate, la querela deve ritenersi irrevocabile ai sensi del comma 4 dell'art. 612 bis c.p., con conseguente valutazione di infondatezza della doglianza sollevata in proposito nel gravame.

Come noto, il regime di irrevocabilità della querela, introdotto dal legislatore con il D.L. 14 agosto 2013, n. 93, conv. in L. n. 119 del 2013, risponde ad una logica di tutela peculiare e rafforzata della vittima del reato di stalking, che, in casi non certo infrequenti, potrebbe essere coartata, nella sua scelta di recedere dal proposito di perseguire l'autore del reato, proprio dallo stato di coazione psicologica e di prostrazione morale e fisica conseguente alla condotta persecutoria, sì da rendere inopportuno affidare alla sola sua opzione libera e volontaria la perseguibilità del reato. Del resto, secondo il prevalente orientamento della giurisprudenza di legittimità, in tema di atti persecutori, ai fini dell'irrevocabilità della querela, non è neppure necessario che la gravità delle minacce sia oggetto, nell'imputazione, di specifica contestazione, non costituendo una circostanza aggravante, ma una modalità della condotta, incidente sulla revocabilità della querela. La valutazione della gravità delle minacce è demandata, quindi, alla valutazione del giudice (Sez. 5, n. 7994 del 9/12/2020; Sez. 5, n. 9403 del 24/1/2022).

Ebbene, nel caso di specie, le connotazioni dell'agire delittuoso che rendono irrevocabile la querela sono evincibili sia dal capo di imputazione (nel corpo del quale è contestato in modo chiaro e preciso che la condotta è stata realizzata con minacce reiterate ed integranti i modi di cui all'art. 612, comma 2, c.p., e segnatamente, il riferimento a reiterate gravi minacce, anche di morte, con l'uso di espressioni verbali particolarmente gravi, del tipo: "Ti devo uccidere tanto il carcere me lo so fare"), sia - come sopra rilevato - dagli esiti dell'istruttoria svolta, dalla quale è emerso che il SO. avesse sovente posto in essere condotte intimidatorie nei confronti della persona offesa Ur.Br., costringendola in uno stato di costante ansia e paura per l'incolumità propria e dei propri figli; trattasi di intimidazioni, oggettivamente gravi rivolte dall'imputato alla ex coniuge, riguardanti la vita e l'incolumità personale della vittima che integrano certamente i modi di cui all'art. 612, co. 2 c.p., richiamato dall'art. 612 bis comma 4 c.p.

Del resto, la gravità della minaccia va accertata con riferimento non solo all'entità del minacciato ovvero del turbamento psichico causato al soggetto passito dell'atto intimidatorio, ma anche considerando l'insieme delle circostanze concrete, sicché non risponde al vero - come sostiene l'appellante - che l'imputato abbia posto in essere un'unica minaccia nei confronti della ex moglie (ovverosia quella pronunciata in occasione del furto dell'auto), atteso che la donna ha raccontato di una pluralità di episodi riferendo come, più volte, proprio a causa delle condotte minatorie del SA., si sentì coartata nella sua libertà morale (assecondando le sue richieste di essere accompagnato a procurarsi la droga), per timore che potesse fargli del male, come effettivamente, era anche accaduto, più volte, quando aveva osato rifiutare di accondiscendere alle sue pretese; quelle poste in essere dall'imputato sono state certamente condotte idonee, anche in una valutazione ex ante, ad incidere sulla libertà morale della donna, la quale ne fu, poi, in concreto, davvero coartata (avendo acconsentito spesso alle pressanti richieste dell'uomo, intimorita per l'incolumità sua e dei suoi figli, per timore delle reazioni dell'imputato).

E a nulla vale richiamare le dichiarazioni rilasciate dalla donna, immotivatamente enfatizzate dall'appellante, che ha affermato di non aver - oggi - più timore dell'imputato, avendo la stessa fatto esclusivo riferimento alla situazione attuale - certo inidonea ad escludere la rilevanza penale dei fatti accaduti - ed alle ragioni (il benessere della prole) per le quali si fosse determinata, non solo, a rimettere la querela, ma anche, ad accettare che la misura cautelare degli arresti domiciliari potesse essere eseguita nello stesso stabile dove viveva insieme all'ex marito quando i fatti per cui è processo furono perpetrati.

Neppure esclude la gravità delle sue condotte, la remissione di querela che, al contrario, costituisce elemento che dimostra l'assenza di indole vendicativa e di presunti interessi inquinanti, anche di natura economica, in capo alla persona offesa, neppure costituita parte civile. Del resto, "la remissione della querela può costituire solo un tentativo della vittima di riappacificare il clima familiare senza per questo modificare la condizione di debolezza e soggezione psichica rispetto all'autore delle condotte vessatorie" (Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sent. 15/11/2018 - 04/01/2019, n. 175).

L'infondatezza delle doglianze formulate nel gravame impone la conferma del giudizio di responsabilità formulato dal Tribunale.

Sussiste, altresì, il reato di lesioni personali aggravate.

Diversamente da quando sostenuto dall'appellante, l'avvenuta remissione di querela non spiega alcun effetto sulla procedibilità per questo reato.

Infatti, in tema di lesioni personali, l'aggravante di cui all'art. 576, comma primo, n. 5.1) c.p. - e cioè l'essere il fatto stato commesso dall'autore del delitto di cui all' art. 612 bis c.p. nei confronti della medesima persona offesa - è configurarle anche se sia stata rimessa la querela per il delitto di cui all'art. 612 bis c.p. (nella specie, la Corte ha ritenuto procedibile d'ufficio il reato di lesioni personali lievi anche a seguito della remissione della querela per il delitto di cui all'art. 612 bis c.p.Cass. Pen. sent. sez. V, n. 38690 del 12.4.2013).

Dal compendio probatorio in atti, è emerso, oltre ogni ragionevole dubbio - e la circostanza non è neppure posta in contestazione nel gravame - che il SO., non si limitò ad attaccare verbalmente la moglie, ma perpetrò anche aggressioni fisiche ai suoi danni, il 19.12.2022, spingendola con violenza contro un muro di granito e procurandole lesioni (v. certificazioni mediche in atti con diagnosi di ematoma al braccio destro e prognosi di guarigione in giorni due, prolungata, dopo ulteriori accertamenti, a giorni dodici per presunta frattura alla 6 e alla 7 costola). Quanto al trattamento sanzionatorio, fermo il giudizio di bilanciamento tra le circostanze operato dal primo giudice, individuato nel delitto di cui all'art. 612 bis c.p. il reato più grave, si stima congrua, alla stregua dei criteri direttivi di cui all'art. 133 c.p., la pena di anni due di reclusione così determinata: pena base per il delitto al capo A) anni uno e mesi sei di reclusione, pari al minimo edittale, aumentata ex art. 81 c.p. di mesi sei di reclusione per il delitto di cui al capo E) (medesimo aumento operato dal primo giudice), in ragione del concreto disvalore del fatto e della personalità dell'imputato, gravato da una pluralità di precedenti penali, anche specifici. Del resto, la misura dell'aumento operato ai sensi dell'art. 81 c.p. non è stata neppure oggetto di specifica censura. Il venir meno dei presupposti di cui agli artt. 29 e 32 c.p. impone la revoca delle pene accessorie applicate.

Il carico di lavoro gravante sull'ufficio ha giustificato il termine indicato in dispositivo per il deposito della motivazione della sentenza.

P.Q.M.
La Corte.

visti gli articoli 605 e 529 c.p.p.,

in riforma della sentenza emessa dal Tribunale di Taranto del 19.9.2023 appellata dall'imputato So.Ma., dichiara non doversi procedere nei confronti dell'appellante per il reato di cui al capo B) dell'imputazione in quanto estinto per intervenuta remissione di querela e, per l'effetto, ridetermina la pena inflitta per i residui reati in anni 2 di reclusione;

revoca la pena accessoria.

Conferma per il resto la sentenza gravata.

Giorni 90 per il deposito della motivazione.

Così deciso in Taranto il 4 giugno 2024.

Depositata in Cancelleria il 23 agosto 2024.

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