Tribunale Nola, 29/04/2021, (ud. 29/04/2021, dep. 29/04/2021), n.942
Giudice: Alessandra Zingales
Reato: 572 c.p.
Esito: Condanna (anni tre di reclusione)
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
TRIBUNALE DI NOLA
GIUDICE UNICO DI PRIMO GRADO
IN COMPOSIZIONE MONOCRATICA
Il Giudice Monocratico, dott.ssa Alessandra ZINGALES, alla pubblica
udienza del 29.04.2021 ha emesso la seguente
SENTENZA
nel procedimento a carico di:
(...), nato a (...) il (...), elett. dom. presso lo studio del
difensore di fiducia
Detenuto - già presente, rinunciante a presenziare
Difeso di fiducia dall'Avv. (...) del Foro di Nola,
presente
IMPUTATO
1) in ordine al delitto p. e p, dall'art. 572 c.p., per aver
maltrattato la madre, (...), rivolgendole alla madre incessanti
richieste di denaro destinate all'acquisto di sostanza stupefacenti
e ponendo in essere rappresaglie in caso di rifiuto, assumendo
atteggiamenti e comportamenti aggressivi lanciando, mettendo a
soqquadro l'abitazione e distruggendo mobili e suppellettili, nonché
ingiuriandola con epiteti quali: "(...)" così da costringerla ad un
regime di vita penoso ed avvilente;
In San Gennaro Vesuviano, con condotta perdurante fino al 12.10,2020;
b) in ordine al delitto p. e p. dall'art. 56 e 629 c.p., perché,
intimando alla madre, (...), di consegnargli la somma di Euro 100,00
e, innanzi al rifiuto della stessa, minacciandola inviandole il
messaggio contenente il seguente testo "(...)" distruggendo mobili e
suppellettili, nonché mettendole le mani al collo, afferrandole la
testa e sbattendola nella porta e colpendola con schiaffi sulla testa
e sulle braccia, compiva atri diretti in modo non equivoco a costringere
la madre a consegnargli la predetta somma di denaro in modo da procurarsi
un ingiusto profitto con pari danno per la persona offesa. Evento non
verificatosi per cause indipendenti dalla sua volontà (nella specie
(...) richiedeva l'intervento delle forze dell'ordine)
In San Gennaro Vesuviano, fino al 12.10.2020;
Con la recidiva specifica ed in fraquinquennale
P.O.: (...)
(Si omettono le conclusioni delle parti)
Svolgimento del processo
Con decreto di giudizio immediato del 20,11.2020, il Gip sede ha disposto procedersi nei confronti di (...) per i delitti riportati nella contestazione che precede, disponendone la comparizione dinanzi alla scrivente Giudice per l'udienza del 7.01.2021. All'udienza di comparizione l'imputato, ristretta in carcere in esecuzione della misura cautelare applicatagli all'esito della convalida dell'arresto, era presente e si dava atto della regolarità delle notifiche anche del difensore, ma non della persona offesa, rispetto alla quale era disposta la rinnovazione del decreto introduttivo. Il difensore dell'imputato, a quel punto, anticipava la propria volontà di consentire all'acquisizione di tutti gli atri d'indagine ed il processo era differito per la sola escussione della persona offesa, previa regolarizzazione della notifica. All'udienza del 10.02.2021, in assenza di questioni preliminari, veniva dichiarata l'apertura del dibattimento e - dopo le richieste di ammissione dei mezzi istruttori delle parti, in relazione alle quali la difesa ribadiva il proprio consenso all'acquisizione degli atri d'indagine, veniva escussa la persona offesa, non che madre dell'imputato, (...). All'esito, non avendo l'imputato acconsentito a sottoporsi ad esame, il P.M. produceva il verbale di interrogatorio effettuato all'udienza di convalida e, essendo il processo stato interamente istruito, veniva rinviato per la sola discussione all'udienza del 29.04.2020, con rinuncia dell'imputato a presenziare.
In data odierna la scrivente, dichiarata la chiusura del dibattimento e l'utilizzabilità del materiale istruttorio legittimamente acquisito, ha dato la parola alle parti per le rispettive conclusioni e richieste, sintetizzate nella sezione che precede, e di seguito s'è ritirata in camera di consiglio, per poi decidere come dalla presente sentenza, letta in udienza alle parti presenti, per le motivazioni che seguono.
Motivi della decisione
Il compendio probatorio acquisito all'esito della completa istruttoria espletata consente di affermare, con la necessaria certezza richiesta dalla legge, la penale responsabilità di (...) solo per il primo dei due reati a lui ascritti, per il quale va dichiarato colpevole e condannato, mentre va emessa una pronuncia assolutoria per il secondo.
La piattaforma probatoria sottoposta al vaglio di quest'organo giudicante è costituita, in primis, dalla documentazione versata nel fascicolo del dibattimento a seguito dell'arresto del (...) e del successivo giudizio di convalida, segnatamente la denuncia della p.o., i referti sanitari dell'Ospedale di Nocera Inferiore (di Pronto Soccorso e delle T.A.C. effettuate alla p.o. (...)), i verbali di arresto con il relativo fascicolo fotografico e di perquisizione, tutti atti del 9.04.2019, ed infine il verbale del giudizio di convalida dell'11.04.2019, con le relative dichiarazioni dell'imputato; ad essa si aggiungono tutti gli altri atti d'indagine alla cui utilizzabilità la difesa ha prestato il consenso, ai sensi dell'art. 1953 co. c.p.p., e la deposizione dell'unica teste escussa, la persona offesa appunto.
Orbene, il principale elemento di prova a carico dell'imputato per i reati di maltrattamenti ed estorsione, di cui ai capi di imputazione, sono le dichiarazioni rese dalla madre (...), persona offesa dei due reati, la quale, escussa in dibattimento, ha confermato le accuse mosse in denuncia nei confronti del figlio.
In particolare la donna, nel premettere che il figlio (...) è da diversi anni tossicodipendente, ha raccontato che già nel passato aveva sporto denuncia nei suoi confronti e che lo stesso è stata costretta a fare in relazione ai fatti per i quali si procede oggi, al fine di "salvarlo" dalla droga, nel tentativo dì poterlo collocare in una comunità di recupero per tossicodipendenti, cui lo stesso (...) si era sempre rifiutato di rivolgersi. La teste aggiungeva che già nel 2016 il figlio era stato arrestato a seguito della sua denuncia e che in quel frangente aveva scontato la pena di tre anni di reclusione interamente in carcere, proprio per il suo ostinato rifiuto di farsi ricoverare presso una qualche comunità terapeutica. Tuttavia, aggiungeva, per circa un anno dopo la sua scarcerazione il ragazzo non aveva più fatto alcun uso di sostanza stupefacente, finché all'improvviso - un paio di mesi prima dei fatti per cui si procede - era nuovamente incorso nell'uso di sostanza e aveva ripreso a vessarla ed opprimerla.
In particolare la teste, nel confermare le proprie dichiarazioni rese in querela, riferiva che da quel momento il ragazzo era diventato nervoso, aveva sbalzi di umore, a volte dirigeva la sua rabbia verso oggetti della casa (soprattutto piatti e bicchieri, che regolarmente infrangeva nei suoi accessi d'ira), ma che mai fino a qual momento si era permesso di toccarla, mostrando piuttosto una inclinazione all'autolesionismo, tanto da avere il corpo costellato dai segni dei tagli che si autoinfliggeva. La donna precisava che spesso, nei momenti di maggiore crisi, il (...) le rivolgeva insulti ed epiteti pesantissimi, dicendole che quando lei dichiarava di andare a lavorare (la donna, rimasta vedova fin da quando i figli erano piccoli, ha dichiarato di svolgere il lavoro di custode notturno presso una fabbrica) in realtà andava a prostituirsi, e dunque l'appellava con parolacce irripetibili, precisando tuttavia che ciò accadeva solamente quando non era presente il fratello minore, oggi quindicenne, di fronte al quale invece il ragazzo riusciva a controllarsi.
Nel prosieguo del racconto, e riferendosi ai fatti attualmente contestati all'imputato. (...) ha dichiarato che mattina del 12 ottobre 2020 aveva appena finito il turno di notte quando le arrivava un messaggio del figlio che le chiedeva 100,00 euro per acquistarsi un paio di pantaloni. Al suo rifiuto, accompagnato dalla dichiarazione che glieli avrebbe dati dopo una settimana, poiché al momento non ne aveva la disponibilità, il (...) reagiva in malo modo, iniziando a sbattete la porta, la sedia e a mettere la casa a soqquadro, affermando che lei non gli dava mai quello che lui le chiede/'a, e iniziando la solita contumelia con cui età ormai solito affliggerla. La teste aggiungeva poi che, per la prima volta, le aveva messo le mani addosso, dandole colpi in testa, colpendola alle braccia con un mattarello di legno che aveva afferrato al volo e facendole poi sbattere la testa contro la porta a seguito di un urto che le aveva assestato, continuando a malmenarla incurante della diversa struttura fisica della donna, che cercava di proteggersi con le mani, e dei suoi tentativi, inutili, di tranquillizzarlo. Vedendo che non riusciva a placarlo, la donna riusciva ad uscite di casa, nonostante il figlio avesse tentato di bloccarla chiudendo la porta di casa a chiave per non consentirle di chiamare aiuto, come aveva intuito avesse intenzione di fare, e chiamava la Stazione dei Carabinieri perché intervenissero in suo soccorso. In particolare rispondeva il Comandante della locale Stazione dei Carabinieri M.llo (...), che conosceva la loro situazione essendo già intervenuto in occasione del precedente arresto.
La donna, poi, su sollecitazione delle domande della difesa, ha precisato che il figlio aveva dato in escandescenze non per costringerla a dargli il denaro, ma solo perché stizzito per il suo rifiuto, essendo convinto che lei lo volesse osteggiare nelle sue attività e che anche l'aggressione fisica che aveva consumato nei suoi confronti era stata dettata dall'alterazione dei toni che si era verificata nel corso della discussione tra di loro e non dall'intento di farsi dare il denaro che aveva chiesto e che la madre gli aveva rifiutato. Infatti, aggiungeva la teste, il figlio prima di aggredirla non aveva proferito nei suoi confronti minacce, ma le aveva indirizzato "solamente" ingiurie e contumelie, come era solito fare nel momento in cui era preda di una crisi di astinenza. Tuttavia, sollecitata su quanto aveva riferito in denuncia, la teste ha confermato che, nel momento in cui lei gli negava il denaro, dicendogli di non averlo a disposizione, l'imputato aveva iniziato a minacciarla dicendole "Mo ti faccio vedere io, mi hai fatto iniziare la giornata storta" e "Mo ti faccio vedere cosa ti dovrà accadere fino a stasera", per poi iniziare a vandalizzare l'appartamento e concludere la propria azione mettendole le mani al collo, ma ascriveva queste frasi più all'intemperanza del figlio scaturente dall'uso della sostanza stupefacente che non alla volontà di costringerla a dargli il denaro che aveva richiesto, del quale ormai in corso di lite non aveva più fatto cenno. L'imputato non ha inteso sottoporsi ad esame, ma nelle dichiarazioni da lui rese in sede di interrogatorio di convalida dell'arresto - utilizzabili ai fini della decisione, essendo stata data lettura delle stesse ai sensi dell'art. 513 c.p.p. - negando la propria responsabilità sui fatti imputatigli, ha fornito una versione dei fatti in parte analoga a quella poi resa dalla madre in dibattimento. Il (...), infatti, nel negare la propria responsabilità per Ì fatti contestatigli, dichiarava che dopo la sua scarcerazione (avvenuta nell'agosto del 2019, secondo le dichiarazioni della (...)) aveva iniziato un lavoro di ambulate che gli consentiva di far fronte ai propri bisogni e che pertanto non aveva alcun bisogno di chiedere denaro alla madre, pur ammettendo di essere un assiduo assuntore di cocaina e rivelando di assumere farmaci stabilizzatori dell'umore a causa dei problemi psicologici da cui è afflitto.
Tanto premesso in fatto, questo Tribunale si conforma all'orientamento consolidato ed uniforme della Corte costituzionale e della Corte di Cassazione che ormai da tempo hanno fissato i parametri di riferimento che il giudice di merito deve adottare nella valutazione della prova, quando questa sia rappresentata dalle dichiarazioni testimoniali della persona offesa dal reato.
Quando infatti, come nel caso di specie, la persona offesa rappresenti il principale testimone che abbia avuto percezione diretta del fatto da provare e sia, quindi, sostanzialmente l'unico soggetto processuale in grado di introdurre una tale percezione nel processo, anche la sola deposizione di essa può, nell'ambito del libero convincimento del giudice, essere posta a fondamento del giudizio.
Tuttavia, non potendosi tale dichiarazione equiparare puramente e semplicemente a quella del testimone, è necessario che il giudice sottoponga il contenuto della deposizione ad una puntuale analisi critica, mediante la comparazione con il rimanente materiale probatorio acquisito (laddove la piattaforma probatoria su cui dovrà fondarsi il convincimento del giudice presenti una pluralità di elementi di prova) ovvero, laddove una verifica "ab estrinseco" non sia possibile, attraverso un esame attento e penetrante della testimonianza, condotto con rigore e spirito critico, che investa la attendibilità della dichiarazione e la credibilità soggettiva di chi l'ha resa (cfr., tra le altre, Cass. Sez. II sent. 19 novembre 1998 n. 12000).
Ebbene le dichiarazioni rese in dibattimento dalla madre dell'imputato consentono di poter affermare la penale responsabilità dell'imputato solo per il reto di maltrattamenti, contestatogli al capo a) e non anche per il capo b), per il quale il PERUA va assolto. Adottando i principi guida fissati dalla Corte Costituzionale per valutare la deposizione testimoniale resa dalla donna, nella veste di persona offesa del presente processo, ritiene quest'Organo che la stessa sia stata assolutamente credibile. La teste, infatti, non ha in alcun modo minimizzato le responsabilità del tiglio, sebbene abbia attribuito la causa del suo comportamento esclusivamente alle sostanze stupefacente che lui assume, nel tentativo, quanto mai comprensibile, di ridimensionarne le responsabilità e di "lasciarlo" facendolo ricoverare in comunità (obiettivo che, a sua stessa detta, è stato l'unico motivo della denuncia e che finora non è riuscita a perseguire per l'indisponibilità del ragazzo).
Sotto il profilo della attendibilità intrinseca e della credibilità, l'univo citò delle versioni prospettate, in fase di indagini ed in sede dibattimentale, secondo una massima di esperienza giudiziaria (ribadita in varie pronunce della Suprema Corte, tra le altre dalle Sezioni Unite con sentenza del 23.2.1993), fonda la credibilità del narrante e costituisce senza dubbio indizio di veridicità del racconto. Inoltre la donna ha proposto una narrazione dei fatti lineare e precisa, caratterizzata dagli stessi particolari che aveva teso in sede di denuncia, seppur stavolta mitigata dall'intento evidente di ridimensionare la posizione del figlio, con qualche piccola discrasia che poi ha proceduto a rettificare a seguito delle domande a chiarimento postele dalle parti.
Alla luce di queste considerazioni, deve concludersi nel senso della credibilità della teste, con la conseguenza che deve addivenirsi a una pronuncia di condanna per il reato di cui al capo
a) e ad una assolutoria con riguardo al capo b) dell'imputazione.
Sul punto, occorre osservare che dalla descrizione della teste sono emersi tutti gli elementi costitutivi del reato di maltrattamenti di cui il (...) è accusato nei suoi confronti; il mutamento del suo comportamento nei due mesi precedenti l'arresto, sebbene l'imputato dopo l'uscita dal carcere avesse intrapreso una corretta aria, dedicandosi al lavoro ed assumendo un atteggiamento rispettoso in casa, si è manifestato nell'adozione di un comportamento abitualmente vessatorio nei confronti della madre, alla quale non mancava di rivolgete insulti ed offese gratuite, probabilmente sotto l'effetto della sostanza stupefacente che aveva ripreso ad assumete con regolarità, come da lui stesso ammesso, e che ha reso la vita della donna oltre modo gravosa e intollerabile, al punto da farla decidere a denunciare il figlio nella speranza che potesse essere ricoverato in una struttura terapeutica per disintossicarsi.
In punto di diritto il reato di maltrattamenti in famiglia è costituito da una condotta abituale che si estrinseca in più atti, delittuosi o meno, che determinano sofferenze fisiche o morali, realizzati in momenti successivi, ma collegati da un nesso di abitualità ed avvinti nel loro svolgimento dall'unica intenzione criminosa di ledere l'integrità fisica o il patrimonio morale del soggetto passivo, cioè, in sintesi, di infliggere abitualmente tali sofferenze. E ad integrate l'abitualità della condotta non è necessario che la stessa venga posta in essere in un tempo prolungato, essendo sufficiente la ripetizione degli atti vessatori, come sopra caratterizzati ed "unificati", anche se per un limitato periodo di tempo (cfr. Cass. Pen., V, 9.1.1992 n. 213).
Ai fini della configurabilità del delitto di maltrattamenti in famiglia non assumere rilievo il fatto che gli atti lesivi si siano alternati con periodi di normalità e che siano stati, a volte, causati, da morivi contingenti. Il delitto in questione, invero, quale reato abituale, non resta escluso se nel tempo considerato vi siano, nella condotta dell'imputato, periodi di normalità o di accordo con i familiari; un intervallo di tempo tra una serie e l'altra di episodi lesivi, non fa, infatti, venir meno l'esistenza del reato, ma può dar luogo, come per ogni reato permanente, alla continuazione (cfr. Cass. Pen., sez. VI, 3.3.1990 n. 3103).
E' stato inoltre chiarito che la sussistenza dell'elemento soggettivo del reato di maltrattamenti in famiglia non implica l'intenzione di sottoporre il convivente, in modo continuo ed abituale, ad una serie di sofferenze fisiche e morali, ma solo la consapevolezza dell'agente di persistere in un'attività vessatoria (cfr. Cass. Pen., sez. VI, 18.2.2010 n. 16836).
Il dolo è generico, sicché non si richiede che l'agente sia animato da alcun fine di maltrattare la vittima, bastando la coscienza e volontà di sottoporre la stessa alla propria condotta abitualmente offensiva (cfr. Cass. Pen., sez. VI, 8.1.2004 n. 4933).
Orbene, sulla base delle risultanze Istruttorie indicate, può senza dubbio ritenersi dimostrato che l'imputato abbia realizzato in modo continuativo e reiterato una serie di condotte vessatorie nei confronti della madre, realizzare mediante aggressioni verbali e danneggiamenti all'abitazione quando era sotto l'effetto di sostanze stupefacenti.
Può dunque ritenersi accertato che tali arti fossero collegati da un nesso di abitualità ed avvinti nel loro svolgimento da un'unica intenzione criminosa dell'imputato, di ledere l'integrità fisica o li patrimonio morale della persona offesa.
A conclusioni differenti deve giungersi con riguardo al secondo reato contestato al (...), al capo b) dell'imputazione, rispetto al quale va emessa una pronuncia di assoluzione quantomeno ai sensi dell'art. 530 co. 2 c.p.p., perché Ì1 fatto non sussiste.
La donna, infatti, precisando in sede dibattimentale il contenuto delle dichiarazioni rilasciate in denuncia, riferiva che il motivo dell'aggressione fisica del figlio nei suoi confronti non era stato la volontà di procurarsi ad ogni costo il denaro che lei gli stava negando, bensì l'irritazione scaturita dal diniego che, agendo su una psiche alterata dalla sostanza che verosimilmente aveva assunto, gli aveva provocato uno stato di alterazione umorale incontrollabile. La donna, con la stessa precisione con cui aveva minuziosamente descritto i comportamenti del figlio nei suoi confronti, affermava altresì con forza che la richiesta del denaro era stata l'occasione per il litigio, ma che tuttavia era stata poi dimenticata nel corso della lite. Non può dunque affermarsi con certezza che il (...) abbia esercitato sulla madre la violenza descritta dalla donna nel tentativo di estorcerle il denaro, potendosi invece ritenete che lo stato di alterazione in cui già si trovava, acuito dal diniego oppostogli, abbai poi scatenato la reazione violenta nei confronti della donna.
Circoscritta dunque, la responsabilità penale al primo capo di imputazione, e venendo al trattamento sanzionatorio da applicarsi in concreto, sulla scorta dei criteri direttivi di cui all'art. 133 c.p., deve innanzitutto ammettersi la possibilità di riconoscete all'imputato le circostanze attenuanti genetiche, in considerazione delle condizioni nelle quali è maturato il delitto per cui (...) deve essere condannato e del corretto comportamento processuale, da potersi valutarsi tuttavia solo in misura equivalente rispetto alla contestata recidiva, atteso il limite di cui all'art. 694 co. c.p.p.. Pertanto, applicando la pena nel minimo edittale previsto dalla norma dell'art. 572 c.p., si stima equo infliggere a (...) di anni tre di reclusione, cui segue per legge quella alla condanna per le spese del processo e di mantenimento in carcere.
Non ricorrono le condizioni di legge per la concessione della sospensione condizionale della pena.
Le motivazioni sono contestuali.
PQM
Letti gli artt. 533 e 535 c.p.p.,
dichiara (...) colpevole del reato di cui al capo a) a lui ascritto e, riconosciute le circostanze attenuanti generiche da valutarsi in misura equivalente alla contestata recidiva, lo condanna alla pena di anni tre di reclusione, oltre al pagamento delle spese processuali e alle spese di mantenimento in carcere.
Letto l'art. 530 - 11 comma c.p.p.
Assolve (...) dal reato di cui al capo b) perché il fatto non sussiste. Motivazioni contestuali.
Così deciso in Nola il 29 aprile 2021.
Depositata in Udienza il 29 aprile 2021.