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Truffa contrattuale: sussiste se l'atto fraudolento si manifesti solo nell'esecuzione contrattuale


Sentenze della Corte di Cassazione in relazione al reato di truffa

La massima

In tema di truffa contrattuale, l'induzione in errore, mediante raggiro o artifizio, sussiste non solo quando il contraente pone in essere, originariamente, l'attività fraudolenta, ma anche quando il comportamento, diretto a ingenerare errore, si manifesti successivamente, nel corso cioè dell'esecuzione contrattuale, in rapporto di causalità con il verificarsi del danno e dell'ingiusto profitto (Cassazione penale , sez. II , 17/11/2020 , n. 5046).


 

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La sentenza integrale

Cassazione penale , sez. II , 17/11/2020 , n. 5046

RITENUTO IN FATTO

1. Con l'impugnata sentenza la Corte d'Appello di Napoli, in riforma della decisione del Tribunale di Avellino in data 26/4/2019, riconosceva il vincolo della continuazione tra le ipotesi di truffa contestate all'imputata ai capi A) e C) della rubrica, rideterminando la pena in anni tre, mesi otto di reclusione ed Euro 1.500,00 di multa e confermando le statuizioni civili rese dal primo giudice.


2. Ha proposto ricorso per Cassazione il difensore dell'imputata, Avv. Dario Vannetiello, deducendo:


2.1 la violazione dell'art. 453 c.p.p., commi 2 e 18 e l'omessa motivazione ovvero l'apparenza o manifesta illogicità della stessa. La difesa denunzia la mancata confutazione da parte del giudice d'appello della questione relativa alla nullità del decreto di giudizio immediato, eccezione tempestivamente formulata e reiterata nell'atto di gravame, che determina la nullità di tutti gli atti conseguenti, ivi comprese le sentenze di merito. Al riguardo sostiene che i giudici d'appello hanno disatteso la questione con motivazione solo apparente e con il richiamo a precedenti di legittimità non pertinenti. Chiarisce che l'azione penale per i fatti a giudizio di cui al capo A) veniva esercitata mediante richiesta di emissione di decreto di giudizio immediato, comprensivo anche del delitto di cui all'art. 380 c.p. ascritto al capo B) in relazione al quale non ricorrono i presupposti per l'ammissibilità del rito speciale. Pertanto, la difesa aveva sottolineato che, non potendo procedersi a separazione in ragione della contestata connessione ex art. 61 c.p., n. 2 tra le fattispecie, a norma dell'art. 453, comma 2, doveva prevalere il rito ordinario. Nondimeno, il giudice monocratico provvedeva alla separazione dell'imputazione di cui all'art. 380 c.p. sul presupposto che la connessione non determina l'indispensabilità della riunione e la relativa ordinanza la difesa ritiene inficiata da nullità;


2.2 l'erronea applicazione dell'art. 640 c.p. e correlato vizio della motivazione per omissione. La difesa lamenta che la Corte di merito si è limitata a ribadire le valutazioni del primo giudice senza tener conto che l'istruttoria dibattimentale ha fatto emergere che alcuna condotta fraudolenta è stata posta in essere dalla ricorrente nel momento in cui i clienti le conferirono il mandato professionale ma solo successivamente, quando - al fine di coprire la colpa professionale in cui era incorsa - poneva in essere artifizi e raggiri finalizzati a tranquillizzare e sviare le pp.00. che chiedevano informazioni. La difesa richiama un precedente di legittimità che ritiene del tutto sovrapponibile all'ipotesi a giudizio per sostenere che, ai fini dell'integrazione del reato di truffa, è necessario che gli artifizi e raggiri si collochino nel momento iniziale del rapporto professionale al fine di carpire il mandato mentre risulterebbero irrilevanti se attuati successivamente al fine di dissimulare la precedente condotta illecita.


Con specifico riguardo alla contestazione di cui al capo A), secondo la ricorrente, la sentenza non si confronta con il devoluto, non avendo confutato, anche al fine di svalutarlo, il precedente di legittimità richiamato nell'atto di gravame ed, inoltre, ha privato di valore il patto di quota lite senza confrontarsi con le censure difensive; non ha considerato la regolare fatturazione degli onorari; ha stimato inattendibili le testimonianze addotte dalla difesa con argomentazioni congetturali; ha omesso di valutare le dichiarazioni spontanee dell'imputata, incorrendo in vizio della motivazione per difetto di un reale contraddittorio sui temi offerti dalla difesa.


Quanto al capo C), la difesa lamenta l'omessa motivazione sulla questione della inutilizzabilità della corrispondenza acquisita al fascicolo all'udienza del 22/3/2019 in violazione della L. n. 48 del 2008 nonchè dell'art. 247 c.p.p., comma 1 bis, artt. 254 bis e 259 c.p.p., trattandosi di documenti che avrebbero richiesto l'adozione di un provvedimento di sequestro, profilo in ordine al quale i giudici d'appello hanno argomentato in maniera illogica, evocando l'assenza di manipolazione da parte della p.o.;


2.3 la violazione degli artt. 132 e 133 c.p. e la manifesta illogicità e contraddittorietà della motivazione non risultando chiaro l'iter seguito per la determinazione della pena;


2.4 la violazione degli artt. 62 bis, 132 e 133 c.p. e l'omessa motivazione rispetto al devoluto. Assume la difesa che il diniego delle attenuanti generiche è stato giustificato con il richiamo alla spregiudicatezza e alla particolare sfrontatezza dell'imputata che non ha esitato a vantare una parentela inesistente con un noto magistrato, senza considerare che in tal modo la sentenza impugnata ha valorizzato circostanze connaturate ad ogni tipo di truffa e, nel contempo, ha omesso di valutare le circostanze addotte dalla difesa a sostegno della richiesta;


2.5 l'inosservanza dell'art. 62 c.p., n. 5 e l'omessa motivazione sul punto, non avendo la Corte territoriale considerato che l'essersi la p.o. Pa. prestata a ricevere i favori del magistrato C.R. integra un concorso nell'evento ascritto alla ricorrente;


2.6 la violazione degli artt. 99 e 132 c.p. e l'apparenza della motivazione in quanto la Corte di merito ha giustificato in maniera incongrua ed erronea l'applicazione della recidiva, facendo riferimento a plurimi precedenti laddove la prevenuta è gravata da un unico precedente e limitandosi al mero riscontro, peraltro travisato, delle risultanze del casellario senza osservare i criteri di valutazione indicati dalle Sezioni Unite nella pronunzia n. 20808/2019;


2.7 la violazione dell'art. 81 c.p. e il correlato vizio della motivazione in quanto la sentenza impugnata ha irrogato un aumento a titolo di continuazione pari al minimo edittale previsto dall'art. 640 c.p., comma 2, in assenza di motivazione, di fatto trasformando il cumulo giuridico in un cumulo materiale.


CONSIDERATO IN DIRITTO

3. Il primo motivo è infondato. La difesa lamenta che il primo giudice ha erroneamente disatteso la eccezione di nullità del decreto di giudizio immediato sollevata dalla difesa, che chiedeva la restituzione degli atti al Gip per nuovo vaglio della domanda del P.m., avuto riguardo alla contestazione del concorrente delitto di cui all'art. 380 c.p., in ordine al quale difettavano i presupposti per l'instaurazione del rito speciale, e alla conseguente necessità in ragione della ravvisata connessione tra i delitti che si procedesse per via ordinaria.


Il Tribunale, al contrario, ha ritenuto di procedere a stralcio in relazione alla fattispecie di cui all'art. 380 c.p. sul presupposto della rituale investitura in riferimento alle ipotesi di truffa aggravata di cui ai capi A) e C) della rubrica, valutazione condivisa dalla Corte territoriale cui la difesa aveva riproposto la questione.


3.1 Questa Corte ha chiarito che quando il Tribunale ritenga illegittimamente instaurato il giudizio immediato per una parte delle imputazioni di cui al giudizio, può disporre lo stralcio degli atti relativi a tali contestazioni e deve valutare la necessità della unitarietà del giudizio alla stregua di quanto stabilito dall'art. 18, comma 1 che esclude la separazione solo quando la riunione sia "assolutamente necessaria per l'accertamento dei fatti", mentre non ha nessun rilievo il principio fissato dall'art. 453, n. 2, per il quale la separazione va evitata quando possa determinare grave pregiudizio per le indagini in corso, poichè per "indagini in corso" vanno intese esclusivamente le indagini connesse relative ad altri imputati o altri reati per i quali si procede nelle forme ordinarie e con stretto riferimento alla fase delle indagini preliminari (Sez. 3, n. 273 del 26/09/1995, dep. 1996, Pellegrino ed altro, Rv. 203708; conforme Sez. 2, n. 14672 del 21/12/2012, dep. 2013, Akid, Rv. 255355).


La richiamata decisione Pellegrino ha evidenziato che l'art. 453 c.p.p., comma 2, prevede addirittura come automatica la separazione del giudizio per i reati connessi per i quali manchino le condizioni che giustificano la scelta del rito immediato sicchè, secondo il tenore testuale della disposizione in esame, alla separazione non può addivenirsi solo quanto essa pregiudichi gravemente le indagini "ma tale pregiudizio è ovviamente riferito a quei reati (ed a quegli indagati) per i quali la fase delle indagini preliminari deve proseguire secondo le regole ordinarie". Pertanto, l'indispensabilità della riunione che induce a dare prevalenza al rito ordinario è correlata alla necessità di non pregiudicare indagini che ancora devono essere effettuate mentre la norma non riguarda l'interesse dell'imputato ad un unico giudizio che trova tutela nell'art. 18 c.p.p. allorchè inibisce la separazione quando "il giudice ritenga la riunione assolutamente necessaria per l'accertamento dei fatti".


Siffatta necessità, in concreto esclusa dai giudici di merito con valutazione in questa sede insindacabile, non è invero adombrata neppure dalla stessa difesa che si limita a rimarcare l'avvenuta contestazione in relazione al delitto di cui all'art. 380 c.p. dell'aggravante del nesso teleologico senza alcuna. specificazione di pregnanti interferenze postulatorie del simultaneus processus inopinatamente svalutate dai giudicanti. Infine, non può omettersi di considerare che i profili relativi alla riconoscibilità del vincolo della continuazione restano comunque salvaguardati dalla previsione di cui all'art. 671 c.p.p..


4. Con riguardo alla contestata configurabilità del delitto di truffa in danno delle pp.cc. P., la difesa reitera un rilievo già disatteso dal primo giudice (pag. 14) e coltivato in sede di gravame con analoghi esiti reiettivi.


4.1 Si ritiene in dottrina che la truffa integri un'ipotesi di reato in contratto, dal momento che il legislatore non incrimina la stipulazione del negozio in sè ma attribuisce rilevanza penale alla condotta di uno dei contraenti nel procedimento di formazione o nella fase di esecuzione del programma negoziale. Trattasi, in particolare, di una fattispecie che richiede la cooperazione artificiosa della vittima, la quale è chiamata ad un apporto necessario all'integrazione del delitto, privo nondimeno di illiceità penale in ragione del radicale inquinamento della volontà negoziale e dei suoi esiti prodotto dall'attività decettiva. Nelle ipotesi di truffa contrattuale simile apporto si sostanzia nel contratto stesso che rappresenta il mezzo di esecuzione del reato e presupposto dell'atto dispositivo del deceptus, fonte del danno patrimoniale assunto ad evento del reato.


Sebbene la truffa contrattuale si palesi principalmente nella fase prenegoziale, allorchè la condotta decettiva si innesta nella fase delle trattative minando la formazione del consenso, la giurisprudenza ha affrontato anche l'ipotesi in cui gli artifizi e raggiri del decipiens intervengono nella fase esecutiva dell'accordo, ammettendo la configurabilità del delitto ex art. 640 c.p., nel caso di mancato rispetto da parte di uno dei contraenti delle modalità di esecuzione del contratto, rispetto a quelle inizialmente concordate con l'altra parte, con condotte artificiose idonee a generare un danno con correlativo ingiusto profitto.


Non essendo, infatti, ragionevolmente revocabile in dubbio l'assunto secondo cui la dinamica negoziale non resta confinata alla stipulazione del contratto, ma si protrae sino all'esaurimento della fase esecutiva, l'arco temporale in cui possono proiettarsi le condotte truffaldine si presta senz'altro a comprendere gli sviluppi dell'accordo negoziale fino all'esaurimento dei suoi effetti, ovvero l'intero periodo di efficacia del medesimo.


A tanto consegue che la truffa contrattuale può configurarsi finchè il contratto sia in esecuzione, potendo la condotta illecita dispiegarsi per tutto il lasso temporale d'efficacia negoziale, di significativa durata soprattutto in relazione ai c.d. contratti di lungo termine, caratterizzati da una fisiologica sfasatura tra il momento di conclusione dell'accordo e l'esaurimento dei suoi effetti, quali i contratti ad esecuzione periodica o continuata, i contratti istantanei ad esecuzione differita ed i contratti sottoposti a condizione. Alla dilatazione della fase esecutiva del contratto corrisponde lo spostamento del momento consumativo della truffa al compimento dell'ultimo atto dannoso, dando rilevanza a tutte le condotte fraudolente che lo precedono e allo stesso avvinte da nesso di derivazione causale.


4.2 La possibilità di configurare il delitto di truffa nella fase esecutiva del contratto è stata affermata da tempo dalla giurisprudenza di legittimità, la quale ha evidenziato che l'induzione in errore, mediante raggiro o artifizio, sussiste non solo quando il contraente pone in essere, originariamente, l'attività fraudolenta, ma anche quando il di lui comportamento, diretto a ingenerare errore, si manifesti successivamente, nel corso cioè dell'esecuzione contrattuale, in rapporto di causalità con il verificarsi del danno e dell'ingiusto profitto (Sez. 2, n. 4846 del 01/02/1974, Tartaglia, Rv. 127456). Più recentemente Sez. 2, n. 29853 del 23/06/2016 Prattichizzo, Rv. 268074, ha chiarito che nei contratti sottoposti a condizione, ovvero in quelli ad esecuzione differita o che non si esauriscono in un'unica prestazione, è configurabile il reato di truffa nel caso in cui gli artifici e raggiri siano posti in essere anche dopo la stipula del contratto e durante la fase di esecuzione di esso, al fine di conseguire una prestazione altrimenti non dovuta o di far apparire verificata la condizione. Nello stesso senso Sez. 6, n. 10136 del 17/02/2015, Sabetta, Rv. 2628 secondo cui in tema di truffa contrattuale il mancato rispetto da parte di uno dei contraenti delle modalità di esecuzione del contratto, rispetto a quelle inizialmente concordate con l'altra parte, unito a condotte artificiose idonee a generare un danno con correlativo ingiusto profitto, integra l'elemento degli artifici e raggiri richiesti per la sussistenza del reato di cui all'art. 640 c.p..


4.3 La difesa a sostegno della propria prospettazione cita in maniera non pertinente Sez. 2, n. 17106 del 22/03/2011, Abete, Rv. 250250, secondo cui non integra il reato di truffa la condotta dell'avvocato che si faccia dare un'anticipazione sugli onorari al momento dell'assunzione di un incarico giudiziale e che poi non dia inizio al contenzioso, ponendo in essere raggiri per tacitare la richiesta di informazioni sull'andamento della controversia e quindi per evitare la restituzione di quanto indebitamente percepito, dal momento che la condotta fraudolenta, ai fini dell'integrazione della fattispecie, non può essere successiva alla ricezione dell'ingiusto profitto. Trattasi, infatti, di un caso in cui l'artifizio e il raggiro si ponevano a valle dell'atto dispositivo ed erano privi di inerenza causale con lo stesso laddove nel caso in contestazione sub A) la condotta artificiosa, alla stregua della esaustiva ricostruzione dei giudici di merito, è causa diretta degli atti dispositivi in favore dell'imputata.


4.4. Deve, inoltre, negarsi pregio alle doglianze circa la mancata considerazione dell'intervenuto patto di quota lite, l'avvenuta fatturazione degli importi ricevuti e la pretesa svalutazione dei testi della difesa, profili già analiticamente scrutinati dal primo giudice, disattesi con il sostegno di ampia motivazione e genericamente riproposti in assenza di puntuale confutazione degli argomenti reiettivi.


5. Quanto alla dedotta inutilizzabilità della corrispondenza acquisita all'udienza del 22/3/2019 in relazione alla truffa in danno del Pe. le concordi sentenze di merito hanno correttamente disatteso la proposta eccezione, affermando la ritualità dell'avvenuta acquisizione di copie di e-mail e files relativi alla registrazione di conversazioni tra querelante e imputata.


La giurisprudenza di legittimità ha, infatti, in più occasioni affermato il principio che la copia estratta da un documento informatico ha la medesima valenza probatoria del dato originariamente acquisito, salvo che se ne deduca e dimostri la manipolazione (Sez. 6 n. 12975de1 06/02/2020, Ceriani, Rv. 278808; n. 15838 del 20/12/2018, 2019, Viviano, Rv. 275541; Sez. 3, n. 37419de1 05/07/2012, Lafuenti, Rv. 253573), qualificando i dati di carattere informatico contenuti nel computer o in dispositivi analoghi, in quanto rappresentativi di cose, alla stregua di prove documentali.


6. Destituite di giuridico fondamento s'appalesano anche le residue censure che concernono l'apparato circostanziale, la quantificazione della pena, il diniego delle circostanze attenuanti generiche, la ritenuta sussistenza della recidiva e la misura dell'aumento a titolo di continuazione.


6.1 Risulta, infatti, correttamente disattesa la richiesta di riconoscimento dell'attenuante di cui all'art. 62 c.p., n. 5 giacchè ai fini della configurabilità della stessa è necessario che l'offeso concorra volontariamente a determinare l'evento del reato e non è invece sufficiente che il suo comportamento abbia costituito semplicemente il movente della condotta dell'imputato (Sez. 5, n. 35560 del 07/06/2012, Porta e altri, Rv. 253203). La giurisprudenza di legittimità ha condivisibilmente chiarito che la circostanza in questione, richiedendo la sussistenza del fatto doloso della persona offesa, rinvia, per la nozione del dolo all'art. 43 c.p. e, quindi, presuppone che la persona offesa preveda e voglia l'evento dannoso come conseguenza della propria cooperazione attiva o passiva al fatto delittuoso dell'agente (Sez. 1, n. 29938 del 14/07/2010, Meneghetti e altri, Rv. 248021). Nella specie non consta alcun decisivo elemento a sostegno della tesi difensiva circa la ricorrenza dei presupposti integrativi della diminuente, limitandosi la devoluzione difensiva alla segnalazione di un atteggiamento opportunistico, privo di pregnanza rispetto al determinismo causale richiesto dalla disposizione normativa (sul punto anche Sez. 1, n. 14802 del 7/03/2012, Sulger e altro, Rv. 252265).


6.2 Alcun vizio è dato rilevare nella determinazione della pena dal momento che la Corte distrettuale ha articolato il proprio computo determinando la pena base per la truffa sub A) in anni uno, mesi sei di reclusione ed Euro 600 di multa, operando di seguito l'aumento cumulativo per le circostanze di cui all'art. 61 c.p., nn. 7 e 11 (nessun rilievo può riconoscersi al refuso che si legge a pag. 10, stante l'evidente riferimento alle circostanze aggravanti ritenute in primo grado) nella misura di mesi sei ed Euro 300 e, quindi, quelli per la recidiva e la continuazione, con quantificazione finale pari ad anni tre, mesi otto di reclusione ed Euro 1500,00 di multa. Nella sostanza il giudice d'appello ha mutuato il calcolo della pena relativo al capo A) dal primo giudice, limitandosi ad operare l'aumento ex art. 81 cpv c.p. a seguito del riconoscimento del vincolo della continuazione con la fattispecie sub C).


6.3 Le circostanze attenuanti generiche sono state negate dalla Corte territoriale in ragione della spregiudicatezza e sfrontatezza mostrata dall'imputata nell'esecuzione dei reati, valorizzando connotazioni soggettive della condotta nient'affatto sovrapponibili agli artifizi e raggiri, come assume la difesa, ma espressive di una rimarchevole intensità del dolo sicchè l'apprezzamento operato non appare manifestamente illogico e il diniego opposto alla richiesta difensiva risulta incensurabile in questa sede.


6.4 Prive di pregio s'appalesano anche le censure in punto di applicazione della recidiva. La Corte d'appello ha richiamato a pag. 10 l'esistenza a carico della prevenuta di "diversi precedenti penali, anche per reati specifici", esprimendo un giudizio di ingravescente pericolosità della stessa alla luce degli illeciti a giudizio. La difesa ha dedotto l'inesattezza del riferimento a plurimi precedenti, producendo all'uopo copia del certificato penale della ricorrente. Osserva la Corte che la C. risulta aver riportato condanna in data 29/9/2015, giusta sentenza del Tribunale di Avellino irrevocabile il 13/2/2016, per i delitti di truffa aggravata e continuata e falsità materiale nonchè per il reato di occultamento di documenti contabili in forza di decreto penale di condanna del Gip del Tribunale di Avellino del 22/4/2016. Sotto il profilo meramente ricognitivo il riferimento della Corte territoriale a più precedenti penali non è, dunque, erroneo sebbene la condanna che fonda l'aggravante della recidiva per la specificità e la collocazione temporale dei fatti giudicati sia sicuramente da individuare nella sentenza del Tribunale di Avellino sub 1). Ciò posto, la valutazione della sentenza impugnata non appare affatto condizionata da un'errata presupposizione, come denunzia la difesa, e sfugge a censura in quanto i giudici d'appello danno conto in maniera congrua rispetto all'operata devoluzione delle circostanze a fondamento della ritenuta aggravante.


6.5 Ad analoghi esiti reiettivi deve pervenirsi in relazione alle censure che concernono la misura dell'aumento operato a titolo di continuazione per il capo C), non essendo in discussione la legalità dello stesso mentre la quantificazione costituisce un apprezzamento di fatto correlato ai parametri dosimetrici ex art. 133 c.p., nella specie negativamente declinati sia con riguardo alla gravità dei reati e alle modalità esecutive che ai profili soggettivi dell'agente con una valutazione che permea l'intera motivazione ed implicitamente fonda il conclusivo approdo sanzionatorio.


7. Alla stregua delle considerazioni che precedono, in ragione della complessiva infondatezza dell'impugnazione il ricorso deve essere rigettato con condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali e al ristoro delle spese sostenute nell'odierno grado dalle parti civili costituite, liquidate come da dispositivo.


P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonchè alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalle parti civili P.E. e P.G. che liquida in complessivi Euro 3.510,00, oltre accessori di legge, e dalla parte civile P.C. che liquida in complessivi Euro 3510,00, oltre accessori di legge.


Così deciso in Roma, il 17 novembre 2020.


Depositato in Cancelleria il 9 febbraio 2021

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