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Truffa: l'apertura di un conto corrente con false generalità può costituire ingiusto profitto


Sentenze della Corte di Cassazione in relazione al reato di truffa

La massima

In tema di truffa, l'ottenimento con generalità false dell'apertura di un conto corrente bancario può costituire ingiusto profitto con correlativo danno della banca, costituito dalla sostanziale assenza della benché minima garanzia di affidabilità del correntista, atteso che la disponibilità di un conto corrente bancario dà al correntista la possibilità di emettere assegni e di fruire di tutti gli altri servizi connessi all'esistenza del rapporto in questione (Cassazione penale, sez. V, 22/02/2019, n. 35590).

 

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La sentenza integrale

Cassazione penale, sez. II, 11/04/2019, n. 25165

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 27 novembre 2017 la Corte di Appello di Palermo confermava la decisione del Tribunale di Agrigento, che aveva ritenuto C.S. colpevole del reato di cui all'art. 497 bis c.p., commi 1 e 2, art. 494 c.p. e artt. 56 e 640 c.p., per avere formato una falsa carta di identità apparentemente rilasciata a R.S. utilizzandola per tentare di aprire con essa un conto corrente bancario presso la Banca Intesa San Paolo - filiale di (OMISSIS) - non riuscendovi per cause indipendenti dalla sua volontà (Commesso il (OMISSIS) e, ritenuta la continuazione, lo aveva condannato alla pena di anni uno e mesi cinque di reclusione, oltre alle spese.


2. Avverso la predetta sentenza ha proposto ricorso l'imputato, a mezzo del difensore, il quale ha svolto due motivi:


2.1. Con il primo deduce violazione di legge e correlato vizio della motivazione per manifesta illogicità con riferimento all'affermazione di responsabilità per il reato di tentata truffa, mancandone i presupposti di fatto evincibili dalla condotta del ricorrente, come accertata in giudizio, deducendo che alcuno svantaggio o danno patrimoniale avrebbe mai potuto subire l'istituto di credito stante l'insussistenza della necessaria provvista sul conto corrente, potendo, al più, derivare danni solo al soggetto prenditore dell'assegno non coperto. Sul punto, fatto oggetto di appello, la Corte territoriale aveva omesso di motivare.


2.2. Con il secondo motivo deduce violazione di legge con riferimento all'art. 497 bis c.p., comma 2, erroneamente ravvisato, nel caso in scrutinio, dai giudici di merito, ricorrendo, piuttosto, la fattispecie meno grave di cui al comma 1, trattandosi di documento di identità evidentemente formato, e falsificato, dallo stesso imputato.


CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è inammissibile poichè propone una riedizione di motivi già prospettati con l'appello e affrontati adeguatamente dalla Corte territoriale nella sentenza impugnata.


2. Quanto al primo motivo, la Corte territoriale ha correttamente fatto riferimento "per relationem" alle "approfondite, diffuse ed articolate argomentazioni poste dal Tribunale a fondamento dell'affermazione di colpevolezza del C." e alla giurisprudenza di questa Corte di legittimità, in particolare alle sentenze Sez. 2 n. 44379 del 25/11/2010, Rv. 249170; Sez. 2, n. 10474 del 04/04/1997 Rv. 210453, le quali hanno affermato, in tema di truffa, che anche l'indebito ottenimento con generalità false dell'apertura di un conto corrente bancario può costituire ingiusto profitto, con correlativo danno della banca, atteso che la disponibilità di un conto corrente bancario crea nel correntista la possibilità di emettere assegni, oltre che di fruire di tutti gli altri servizi bancari connessi all'esistenza del rapporto in questione; vantaggi, questi, a fronte dei quali si pone lo svantaggio, per la banca, di aver instaurato il detto rapporto con soggetto che non poteva fornire la benchè minima garanzia di affidabilità.


3. Quanto al secondo motivo, il ricorrente deduce violazione di legge con riferimento all'art. 497 bis c.p., comma 2, erroneamente ravvisato, nel caso in scrutinio, dai giudici di merito, ricorrendo, piuttosto, la fattispecie meno grave di cui al comma 1, il concorso nella fabbricazione del documento non potendo essere desunto dal solo fatto di aver fornito la propria fotografia perchè, altrimenti, chiunque detenga un documento falso per uso personale risponderebbe del reato nella forma aggravata. Secondo la prospettazione difensiva, il discrimine fra le due ipotesi di reato doveva essere ravvisato nell'inciso presente nel comma 2 della norma citata, "fuori dei casi di uso personale", da estendersi anche all'ipotesi di concorso nella formazione del proprio documento per uso personale, perchè, altrimenti, non sarebbe mai configurabile la forma meno grave nel caso di documento ad uso personale. Tutte le condotte materialmente configurabili, in concreto ma anche in astratto, finirebbero per confluire nell'ipotesi aggravata dell'art. 497 bis c.p., comma 2.


L'aggravio di pena del comma 2 della detta disposizione sarebbe configurabile, quindi, solo in caso di detenzione di documento falso per uso non personale.


3.1. Anche il secondo motivo di ricorso sconta il medesimo vizio di reiterazione di censura già formulata in fase di appello e adeguatamente valutata dalla Corte territoriale con orientamento pienamente allineato all'insegnamento della Suprema Corte, secondo la quale integra il reato di cui all'art. 497-bis c.p., comma 2, e non quello meno grave di cui al comma 1 della stessa norma, il possesso di un documento d'identità recante la foto del possessore con false generalità, essendo evidente, in tal caso, la partecipazione di quest'ultimo alla contraffazione del documento. (Sez. 5, n. 25659 del 13/03/2018 Ud. (dep. 06/06/2018) Rv. 273303).


La deduzione del ricorrente ripropone un percorso argomentativo già esaminato e confutato dalla giurisprudenza di questa Corte, la quale, in ripetuti arresti, ha affermato che configura il reato (alternativo) di cui all'art. 497 bis c.p.p., comma 2, e non quello, meno grave, di cui al comma 1 della stessa norma, il possesso di una carta d'identità recante la foto del possessore con false generalità, essendo evidente, in tal caso, la partecipazione di quest'ultimo alla contraffazione del documento. (Sez. 2, n. 15681 del 22/03/2016, P.M. in proc. Hamzaoui, Rv. 266554); integra, infatti, il reato di cui all'art. 497 bis c.p.p., comma 2, (possesso e fabbricazione di documenti falsi), il concorrere nella contraffazione del falso passaporto posseduto, considerato che la ratio della previsione incriminatrice - che costituisce ipotesi autonoma di reato rispetto a quella del mero possesso prevista dall'art. 497 bis c.p., comma 1, - è quella di punire in modo più significativo chi fabbrica o, comunque, forma il documento, con la conseguenza che il possesso per uso personale rientra nella previsione di cui all'art. 497 bis c.p., comma 1, solo se il possessore non ha concorso nella contraffazione (Sez. 5, n. 5355 del 10/12/2014 - dep. 2015, Amir, Rv. 262221). Le stesse obiezioni proposte dal ricorrente sono state affrontate compiutamente nella pronuncia di questa Quinta Sezione, n. 18535 del 15/02/2013, Lorbek, a cui hanno fatto riferimento gli arresti sopra ricordati.


Non sussiste la ravvisata necessità di una interpretazione estensiva del comma 1 in ragione della pratica impossibilità, in caso contrario, di vedere riconosciuta la meno grave fattispecie all'agente, che pure sia trovato in possesso di un documento per uso evidentemente personale, contraffatto con apposizione della foto dell'indagato stesso e iscrizione delle sue generalità.


L'applicazione, in tale ipotesi, del comma 2, in luogo del comma 1, costituisce, infatti, il frutto di una valutazione del fatto, da parte del giudice del merito, sulla base delle prove raccolte a proposito dell'eventuale concorso dell'agente anche nella condotta di falsificazione, non potendosi escludere, per converso, in linea di principio, che, anche nella situazione descritta (possesso di documento falso, recante la propria fotografia), possa operare il comma 1 della norma.


3.2. Nella sostanza l'obiezione del ricorrente valorizza, per prospettare l'inapplicabilità del comma 1, assunti che rientrano pienamente nella valutazione dei fatti storici da parte del giudice del merito. Non è impossibile, infatti, che l'imputato, colto nel possesso di un documento falso recante la propria fotografia, non abbia concorso alla falsificazione del documento, ma abbia solo successivamente ricevuto il documento, possedendolo consapevolmente.


Di conseguenza, l'argomentazione confonde il livello dell'analisi strutturale della norma e la sua capacità di inclusione descrittiva delle condotte con quello dei fatti storici oggetto di ricostruzione da parte del giudice del merito, laddove, evidentemente, in difetto di altri elementi, la presenza di una fotografia dell'intestatario apparente del documento falso possiede una prepotente efficacia indiziaria di un suo concorso nel processo di predisposizione del falso. Nella fattispecie, il ricorrente si limita alla contestazione in linea di diritto, sopra esaminata e confutata, e non svolge alcuna argomentazione volta a dimostrare che, nel caso concreto, esso ricorrente non avesse fornito ai falsificatori la propria fotografia o lo avesse fatto in buona fede; risulta, anzi, dalla ricostruzione dei giudici di merito, che l'imputato abbia confessato di avere materialmente creato un documento di identità totalmente falso che aveva cercato di utilizzare per aprire un conto corrente bancario.


D'altro canto, in sentenza si dà atto che, dalle indagini svolte, era emerso che il medesimo documento era stato utilizzato già in altre occasioni per effettuare altre truffe ai danni di istituti bancari. Gli argomenti proposti dal ricorrente costituiscono, in realtà, solo un diverso modo di valutazione dei fatti, ma il controllo demandato alla Corte di cassazione è solo di legittimità, e non può certo estendersi ad una valutazione di merito.


4. Pertanto, il ricorso va dichiarato inammissibile, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonchè della somma in favore della Cassa delle Ammende che si stima equo irrogare nell'importo di Euro 3000,00.


P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e della somma di Euro 3000,00 a favore della Cassa delle Ammende.


Così deciso in Roma, il 22 febbraio 2019.


Depositato in Cancelleria il 5 agosto 2019

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