SOMMARIO:
2. Le decisioni in contrasto: l’interpretazione quale nuova regola di parametrazione della colpa in ambito sanitario che non configura una fattispecie di esonero o di limitazione di responsabilità.
Nell’immediatezza dell’entrata in vigore della nuova disciplina la Quarta sezione della Corte ha offerto una prima interpretazione (Sez. 4, n. 28187 del 20/4/2017, Tarabori, Rv. 270213- 270214) della nuova disciplina secondo la quale il secondo comma dell’art. 590-sexies cod. pen., detta una «nuova regola di parametrazione della colpa in ambito sanitario», che àncora il giudizio di responsabilità penale a «costituti regolativi precostituiti» (dati dalle linee guida come definite e pubblicate ai sensi dell’art. 5 della legge n. 24 del 2017) e, al contempo, elimina la distinzione, contenuta nella previgente disciplina, tra colpa lieve e colpa grave ai fini dell’attribuzione dell’addebito.
Di conseguenza la norma introdotta dalla novella viene ritenuta meno favorevole rispetto all’abrogato art. 3, comma 1, del d.l. 13 settembre 2012, n. 158, che, invece – escludendo la rilevanza penale delle condotte connotate da colpa lieve in contesti regolati da linee guida e da buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica – limitava la responsabilità dell’esercente la professione sanitaria ai soli casi di colpa grave (e che, viene, quindi ritenuto applicabile ai fatti commessi prima dell’entrata in vigore della novella). Secondo tale interpretazione la disposizione di cui al secondo comma dell’art. 590-sexies cod. pen., a differenza dell’abrogato art. 3, comma 1, d.l. 158 del 2012, non contiene una limitazione di responsabilità dell’esercente la professione sanitaria connessa alla graduazione della colpa.
Ciò in quanto l’apparente contraddittorietà intrinseca contenuta nella disposizione – che prevede che «qualora l’evento si sia verificato a causa di imperizia» non è punibile l’agente che abbia rispettato le linee guida adeguate al caso concreto, cioè l’agente che non è in colpa per imperizia – non può essere superata sul piano dell’interpretazione ritenendo esclusa la punibilità del sanitario che, pur avendo applicato le linee guida, abbia cagionato un evento lesivo per imperizia, quando le linee guida siano estranee al “momento topico” in cui l’imperizia lesiva si sia realizzata (come nel caso del chirurgo che imposta ed esegue l’atto di asportazione di una neoplasia addominale nel rispetto delle linee guida e, tuttavia, nel momento esecutivo, per un errore tanto enorme quanto drammatico, invece di recidere il peduncolo della neoformazione, taglia un’arteria con effetto letale). Tale interpretazione, infatti, viene ritenuta in contrasto con il principio della causalità nella colpa, espressione del principio costituzionale di colpevolezza, che esclude che la colpevolezza si estenda a tutti gli eventi che comunque siano derivati dalla violazione di una prescrizione, e che la limita ai risultati che la regola mira a prevenire, e che, in definitiva «non consente l’utilizzazione di direttive non pertinenti rispetto alla causazione dell’evento, non solo per affermare la responsabilità colpevole, ma anche per escluderla».
L’ipotesi interpretativa prospettata viene, inoltre, scartata, perché implicherebbe un totale esonero di responsabilità, privo di riscontri in altre esperienze nazionali, che rischia di vulnerare l’art. 32 Cost., depotenziando radicalmente la tutela della salute, e perché stabilirebbe uno statuto normativo irrazionalmente diverso rispetto a quello di altre professioni altrettanto rischiose e difficili.
Sul punto la Corte, dopo aver ricordato che le incriminazioni di cui si discute costituiscono un primario, riconosciuto strumento di protezione dei beni della vita e della salute, riconosce che «l’ambito terapeutico è un contesto che giustifica, nell’ambito della normazione e dell’interpretazione, un peculiare governo del giudizio di responsabilità, anche in chiave limitativa», come testimoniato dall’art. 2236 cod. civ., dalla sentenza della Corte costituzionale n. 166 del 1973, dalla giurisprudenza della Corte di cassazione, e, da ultimo dall’art. 3, comma 1, d.l. 13 settembre 2012, n. 158, convertito, con modificazioni dalla legge 8 novembre 2012, n. 189. E rileva che l’esigenza di scoraggiare la cosiddetta medicina difensiva è stata sottolineata dalla sentenza della Consulta appena citata, secondo cui dagli artt. 589, 42 e 43 cod. pen. e dall’art. 2236 cod. civ. è ricavabile una particolare disciplina in tema di responsabilità degli esercenti professioni intellettuali, finalizzata a fronteggiare due opposte esigenze: non mortificare l’iniziativa del professionista col timore d’ingiuste rappresaglie in caso d’insuccesso e quella inversa di non indulgere verso non ponderate decisioni o riprovevoli inerzie del professionista stesso. Evidenzia, tuttavia che «tale particolare regime, che implica esenzione o limitazione di responsabilità, però, è stato ritenuto applicabile ai soli casi in cui la prestazione comporti la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà e riguarda l’ambito della perizia e non quello della diligenza e della prudenza. Considerato che la deroga alla disciplina generale della responsabilità per colpa ha un’adeguata ragion d’essere ed è contenuta entro il circoscritto tema della perizia, la Corte ha ritenuto che non vi sia lesione del principio d’eguaglianza.
Per contro la soluzione interpretativa sin qui esaminata, implicando un radicale esonero da responsabilità, è priva di riscontri in altre esperienze nazionali.
Essa rischierebbe di vulnerare l’art. 32 Cost., implicando un radicale depotenziamento della tutela della salute, in contrasto con le stesse dichiarate finalità della legge, di protezione del diritto alla salute».
Nell’interpretazione del secondo comma dell’art. 590-sexies viene, allora, valorizzato il dato sistematico per cui la legge, perseguendo la finalità della “sicurezza delle cure”, assicura all’Istituzione sanitaria il governo dell’attività medica, costruendo un sistema istituzionale, pubblicistico, di regolazione dell’attività sanitaria, che ne garantisca lo svolgimento in modo uniforme, aggiornato, appropriato, conforme ad evidenze scientifiche controllate: in tale quadro il professionista, che è tenuto ad attenersi alle raccomandazioni previste dalle linee guida codificate ed istituzionalizzate (art. 5 della legge 24 del 2017), ha la legittima pretesa a vedere giudicato il proprio comportamento alla stregua delle medesime direttive impostegli. Il «virtuoso impulso innovatore» della riforma viene, quindi, ritenuto focalizzato sulla selezione e codificazione di raccomandazioni volte a regolare l’esercizio dell’ars medica, e ad ancorare il giudizio di responsabilità a regole precostituite, con indubbio vantaggio in termini di determinatezza delle regole e prevedibilità dei giudizi.
Pertanto, in tale pronuncia, la Corte ritiene che il secondo comma dell’art. 590-sexies cod. pen. sia volto a superare i problemi posti dalla configurazione della colpa in ambito sanitario («figurazione vuota e umbratile, dalla forte impronta normativa, bisognosa di etero integrazione»), determinando una «nuova regola di parametrazione della colpa» (nonostante l’uso dell’espressione atecnica dell’esclusione della punibilità) che àncora il giudizio di responsabilità penale a «costituti regolativi precostituiti». Viene così tradotta in chiave operativa l’istanza di determinatezza, chiarezza, prevedibilità emersa nella materia della responsabilità medica, nell’intento di superare le incertezze manifestatesi dopo l’introduzione della legge n. 189 del 2012 a proposito dei criteri per l’individuazione delle direttive scientificamente qualificate, e stornare il pericolo di linee guida interessate o non scientificamente provate.
Per quanto concerne l’ambito di applicazione della norma, la Corte ritiene che il secondo comma dell’art. 590-sexies cod. pen. si applichi soltanto a eventi che costituiscono espressione di condotte governate da linee guida «appropriate al caso concreto» – quando cioè non vi siano ragioni, dovute solitamente alla comorbilità, di discostarsene radicalmente – e che siano «pertinenti alla fattispecie concreta», cioè che siano state attualizzate in forme corrette, avuto riguardo alle contingenze del caso concreto. La pronuncia ritiene, inoltre, che l’innovazione prevista dal secondo comma dell’art. 590-sexies cod. pen. vale solo per le situazioni astrattamente riferibili alla sfera dell’imperizia (a differenza dell’art. 3 del d.l. 158 del 2012, ritenuto applicabile anche ad aree della colpa diverse da quella dell’imperizia: cfr. Sez. 4, n. 23283 dell’11/05/2016, De Negri, Rv. 266904). L’art. 590-sexies cod. pen. non viene, invece, in rilievo (e l’imperizia rileva quindi sul piano penale in applicazione della disciplina generale prevista dagli artt. 43, 589 e 590 cod. pen.):
a) quando le linee guida non sono appropriate al caso concreto, e devono essere disattese;
b) quando le linee guida siano estranee al momento topico in cui l’imperizia lesiva si sia realizzata, cioè in relazione alle condotte che, sebbene poste in essere nell’ambito di approccio terapeutico regolato da linee guida pertinenti e appropriate, non risultino per nulla disciplinate in quel contesto regolativo;
c) negli ambiti non governati da linee guida.
La sentenza, quindi, esclude che la disposizione di cui al secondo comma dell’art. 590-sexies cod. pen. contenga una limitazione di responsabilità dell’esercente la professione sanitaria connessa alla graduazione della colpa, a differenza dell’abrogato art. 3, comma 1, d.l. 158 del 2012. L’abrogazione dell’art. 3, comma 1, del d.l. n. 158 del 2012 implica la reviviscenza della previgente, più severa, normativa che non consentiva distinzioni connesse al grado della colpa, in quanto la novella del 2017 non contiene alcun riferimento alla gravità della colpa. Con la conseguenza che, ai sensi dell’art. 2 cod. pen. il nuovo regime si applica solo ai fatti commessi in epoca successiva alla riforma, e che, per i fatti anteriori, può trovare applicazione, quando pertinente, la normativa del 2012, che appare più favorevole con riguardo alla limitazione di responsabilità ai soli casi di colpa grave.
In tale sentenza la Corte ribadisce gli approdi cui era giunta sotto la vigenza della legge Balduzzi” (Sez. 4, n. 16237 del/01/2013, Cantore, non mass. sul punto; Sez. 4, n. 23283 dell’11/05/2016, Denegri, non mass. sul punto) in tema di linee guida, rilevando che le stesse: - avendo di regola contenuto orientativo, perché propongono soltanto direttive, istruzioni di massima, orientamenti che vanno in concreto applicate senza automatismi, ma rapportandole alle peculiari specificità di ciascun caso clinico (a differenza dei protocolli delle check list che sono maggiormente rigidi e prescrittivi) non danno, di solito, luogo a norme cautelari e non configurano, quindi, ipotesi di colpa specifica, bensì rilevano nell’ambito delle istanze di determinatezza che permeano la sfera del diritto penale; - d’altra parte non esauriscono la disciplina dell’ars medica: vi sono aspetti della medicina non regolati dalle linee guida, in relazione ai quali, quindi, il rispetto delle relative direttive è irrilevante nell’ambito del giudizio di colpevolezza; - così come non esauriscono, anche sotto altro profilo, i parametri di valutazione dell’attività sanitaria: «ben potendo il terapeuta invocare in qualche caso particolare, quale metro di giudizio anche raccomandazioni, approdi scientifici che, sebbene non formalizzati nei modi previsti dalla legge, risultino di elevata qualificazione nella comunità scientifica, magari per effetto di studi non ancora recepiti dal sistema normativo di evidenza pubblica delle linee guida di cui al richiamato art. 5. Si tratta di principio consolidato nella scienza penalistica: le prescrizioni cautelari ufficiali possono essere affiancate da regole non codificate ma di maggiore efficienza nella prospettiva della ottimale gestione del rischio».
Si segnala che la Corte nella pronuncia in esame ha cura di precisare anche che il legislatore ha stornato il pericolo di stallo nell’applicazione delle novella, ponendo in campo, in via residuale, le buone pratiche clinico-assistenziali, perseguendo, peraltro, anche in questo campo, un progetto di emersione, codificazione e monitoraggio delle buone pratiche attraverso l’istituzione di un Osservatorio nazionale (art. 3). La sentenza si chiude con un richiamo al recente orientamento della Corte che ritiene che la disciplina di cui all’art. 2236 cod. civ., sebbene non direttamente applicabile in ambito penale, sia comunque espressione di un principio di razionalità applicabile, come regola esperienza, a cui attenersi nel valutare l’addebito di imperizia, qualora il caso concreto imponga la soluzione di problemi di speciale difficoltà. La Corte conclude, quindi, riconoscendo perdurante attualità a tale giurisprudenza, ed esprimendo l’auspicio che continui ad orientare il giudizio «in una guisa che tenga conto delle riconosciute peculiarità delle professioni sanitarie». Avuto riguardo alla decisione adottata dalle Sezioni Unite appare opportuno fin da ora segnalare che la sentenza in rassegna affronta il problema della costituzionalità della nuova disciplina avuto riguardo soltanto all’esclusione di responsabilità per colpa grave da imperizia, non contenendo la disposizione di cui al secondo comma dell’art. 590-sexies cod. pen. alcun riferimento al grado della colpa, e non anche con riferimento all’esclusione di responsabilità per colpa lieve, che non sembra, secondo tale pronuncia, sollevare analoghi problemi di costituzionalità. Ai medesimi fini, occorre inoltre evidenziare che la pronuncia in esame: - da un lato, nel delineare l’ambito di applicabilità della novella, lo circoscrive a eventi che costituiscono espressione di condotte governate da linee guida che siano non soltanto “appropriate al caso concreto” – quando cioè non vi siano ragioni, dovute solitamente alla comorbilità, di discostarsene radicalmente – ma anche “pertinenti alla fattispecie concreta”, cioè che siano state attualizzate in forme corrette, avuto riguardo alle contingenze del caso concreto (punto 8 della motivazione);
- mentre, dall’altro lato, nell’affrontare i problemi di diritto intertemporale, delinea gli ambiti in cui la nuova disciplina non trova applicazione in quelli non governati da linee guida, o governati linee guida non appropriate al caso concreto che devono essere, quindi, disattese, o governati da linee guida che siano estranee al momento topico in cui l’imperizia lesiva si sia realizzata, cioè «in relazione alle condotte che, sebbene poste in essere nell’ambito di approccio terapeutico regolato da linee guida pertinenti e appropriate, non risultino per nulla disciplinate in quel contesto regolativo», senza richiamare espressamente, tra tali ambiti, quelli governati da linee guida che «non sono state attualizzate in forme corrette, nello sviluppo della relazione terapeutica, avuto riguardo alle contingenze del caso concreto» (punto 11 della motivazione).